Canavese

Montalto Dora (TO) : Parco archeologico del lago Pistono e spazio espositivo

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 Storia e descrizione del Parco archeologico:
Nel marzo 2017  è stata inauguratala prima capanna realizzata per un progetto culturale diversificato atto a creare un sistema integrato di percorsi tra ambiente, natura e storia.
Il Parco si propone di fornire ai visitatori un percorso avvincente, ma filologicamente corretto, nella Preistoria e Protostoria del Piemonte nord-occidentale. Attraverso il circuito guidato è possibile apprendere come e di cosa vivessero le comunità umane del Neolitico e in quale modo il progresso culturale influenzò la loro quotidianità.
Sulle rive del lago Pistono è possibile visitare le ricostruzioni di un villaggio di 6.500 anni fa.


Storia dello spazio espositivo:
Il museo raccoglie importanti reperti archeologici, testimonianza della presenza di un insediamento umano sul Lago Pistono risalente al Neolitico, circa 4.500 anni fa, uno dei più antichi in Italia.
Nel 2005, furono esposti i reperti rinvenuti sul funire degli anni ’90 del Novecento, in una mostra che fornì lo spunto per lo studio del progetto, portato parzialmente a compimento con l’inaugurazione del 9 novembre 2012. Inaugurata nel marzo 2017 la prima capanna realizzata, è un progetto culturale diversificato atto a creare un sistema integrato di percorsi tra ambiente, natura e storia.

Descrizione del materiale esposto:
Lo spazio espositivo si sviluppa per nuclei tematici corrispondenti a vetrine e pannelli esplicativi attraverso i quali è possibile apprendere come e di cosa vivevano gli uomini del Neolitico e in quale modo il progresso culturale influenzò la loro quotidianità. Inseriti opportunamente nel contesto cronologico di riferimento, le vetrine espositive presentano il materiale archeologico rinvenuto durante le indagini effettuate al Lago Pistono e i risultati delle ricerche in atto. L’insediamento preistorico è caratterizzato dalla presenza di un orizzonte culturale interessato dall’impianto di almeno due strutture, di cui una abitativa, riferibili al Neolitico Medio (4900-4500 a.C.). Elementi ceramici permettono di inquadrarlo nella Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata tipo Isolino, che caratterizza i siti perilacustri con strutture palafitticole in Piemonte e Lombardia occidentale.

Informazioni:
Tel: 0125.650014 (interno 2); Email: info@archeolagopistono.it

Links:
https://www.archeolagopistono.it/

http://www.comune.montalto-dora.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=32570

http://archeo.piemonte.beniculturali.it/index.php/it/2011-07-25-15-58-1/item/38-inaugurazione-dello-spazio-espositivo-per-l%E2%80%99archeologia-del-lago-pistono

http://www.archeomedia.net/musei-archeologici/38634-montalto-dora-to-spazio-espositivo-per-larcheologia-del-lago-pistono.html

http://lasentinella.gelocal.it/

Note:
Notizie tratte dai siti sopra indicati. Fotografia in alto da http://www.archeomedia.net/ ; in basso da https://www.archeolagopistono.it/

Data compilazione scheda:
17 gennaio 2013 – aggiorn. giugno 2014 e marzo 2024

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Montalto Dora (TO) : Castello

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Storia del sito:
Il sito fu abitato fin dall’epoca romana, probabilmente legato alla storia della vicina Eporedia (l’attuale Ivrea): Montalto sarebbe sorto come presidio alla Serra per proteggere la città. Il distintivo “Dora” risale presumibilmente al 1800 per evitare confusione con altri luoghi.
Nel Medioevo era un Borgo con un castello, edificato tra il X e l’XI secolo, ma non si conosce chi lo fece costruire. Si sa tuttavia che verso il Mille era costituito da una torre, una cinta di collegamento e una cappella dedicata ai santi Efisio, Marco ed Eusebio. Un “castrum montsalti” è attestato da un documento del 1141 ove si sottolinea che è affidato alla giurisdizione del Vescovo di Ivrea. La fortezza era situata in una posizione strategica di importanza militare, perché sulla via tra Ivrea e Aosta, e religiosa perché sulla “Via Francigena”. Nel 1344 passò tra i possedimenti dei Savoia e diventò un punto di riferimento per la strategia di espansione della casata. A questo periodo risalgono vari interventi che ne delineano la conformazione architettonica attuale: fu costruito il mastio e vennero rafforzate le mura. Nel 1403 il castello fu infeudato ai De Jordano di Bard che proseguono gli ampliamenti della fortezza, tra cui la costruzione della torre Chiaverana, della cappella e del campanile. Numerosi signori si susseguirono nella guida del paese, tra gli altri: Margherita Bobba (1568), i Giovannini di Sordevolo e i Bailetti di Ivrea (1650), Pietro Antonio Negroni (1692) con titolo comitale e Silvestro Oliviero di Trana (1706).
Il Castello nel corso della sua storia subì numerosi assalti, il più devastante dei quali risale al 1641 da parte del D’Harcourt: in quella occasione infatti l’edificio venne smantellato nell’interno, pur mantenendo intatto l’esterno.
Il 30 Agosto 1712 Vittorio Amedeo II fece dono del feudo, con titolo comitale, al barone Filiberto Antonio di Vallesa che doveva essere premiato per un gesto di eroismo. Questa famiglia, originaria della valle di Gressoney, rimase alla guida del borgo fino alla metà del secolo scorso quando si esaurì. Il castello passò poi al conte Severino dei Baroni di Casana, che nel 1890 avviò una campagna di restauri per il recupero delle strutture architettoniche, cui parteciparono anche alcuni studiosi dell’epoca come l’ing. Nigra e l’architetto archeologo D’Andrade. Questo intervento non intaccò comunque le torrette d’angolo, le bifore, le finestre in cotto e la merlatura.
Nel 1957, dopo una serie di passaggi di proprietà, il castello fu acquistato dalla Società Immobiliare “Castello di Montalto” per curarne i restauri e la valorizzazione.

Descrizione del sito:
Oggi il castello si presenta con una pianta quadrata irregolare e una doppia cinta muraria: della prima cinta è rimasta solo qualche traccia; la seconda è alta circa 14 m per un perimetro di oltre 150 m. La merlatura è formata da 142 merli, il camminamento di ronda è lungo 160 m. Vi è una grande torre che domina la parte interna e quattro torricelle angolari.
Castello_di_montalto_dora_pianta_NigraNel cortile del castello vi é una costruzione bassa che presumibilmente era un posto di guardia e la CAPPELLA intitolata alla Madonna delle Grazie, edificio di piccole dimensioni, la cui facciata sud presenta tracce di affreschi del XV secolo, tra i quali san Cristoforo, attribuito a Giacomino d’Ivrea e una Madonna del latte con Bambino. All’interno, formato da una aula unica con presbiterio, vi sono numerosi frammenti pittorici: sulla parete sud un affresco con Sante (s. Margherita, s. Liberata con i santi Gervasio e Protasio infanti s. Lucia). Tra queste due strutture si erge un pozzo che serviva alla necessità d’acqua degli abitanti del castello.
Ai piedi del castello c’è traccia anche di un castelletto del XV secolo, noto come “del Riposo”, in quanto probabilmente era utilizzato dai signori che si recavano in visita. Probabile avamposto militare doveva invece essere la torre, i cui resti si trovano nel parco della Villa settecentesca che si trova ai piedi del maniero.

Descrizione dei ritrovamenti:
Nel 1983-84 è stata condotta una campagna di scavo sul sito del castello ed ha interessato un ambiente quadrangolare rivolto ad occidente posto alla base di una parete di roccia; le fondazioni della torre circolare e un ambiente quadrangolare. Due trincee sono state posizionate una a Nord ed una a Sud al solo scopo di riportate alla luce il muro di cinta. Lo scavo, oltre alle fasi cronologiche che vanno dal XIII al XVII secolo, ha restituito una considerevole quantità di materiali protostorici e di ceramica graffita arcaica di tipo ligure e oggetti in metallo (punte di freccia, coltelli, speroni etc.) databili alla prima metà del XIV sec.

Informazioni:
Il castello sorge a 405 m s.l.m., sul monte Crovero, una scoscesa collina morenica.  Comune tel. 0125 652771 oppure  0125 650037

Links:
http://www.comune.montalto-dora.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=6354

http://www.castellomontaltodora.com/

http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Montalto_Dora

Fonti:
Fotografie da Wikipedia. Seconda in basso da https://www.somewhere.it/prodotto/castelli-terre-ballerine/; terza in basso da pieghevole del Castello.

Data compilazione scheda:
10/10/2005 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Mazzè (TO) : Strada e reperti romani

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Storia del sito:
L’etimologia del nome di Mazzè deriverebbe dal nome della dea celtica Mattiaca (Morgana), in quanto si presuppone che qui esistesse un centro di culto a lei dedicato. Nel 143 a.C. il console romano Appio Claudio Pulcro con il suo esercito invase i territori dei Salassi, popolazione creatasi dalla fusione tra gli autoctoni Liguri ed i Celti. I romani vennero sconfitti lo stesso anno presso Verolengo, ma successivamente ripresero l’offensiva ed a loro volta vinsero i Salassi tra Mazzè e Vische. Nel 22 a.C. il console Varrone sconfisse definitivamente i Salassi e tutto il Canavese, compresa quindi Mazzè, venne centuriato ed i poderi assegnati ai veterani. Probabilmente a quel tempo nel territorio di Mazzè esistevano due insediamenti romani: il primo in regione San Pietro ed il secondo in Regione San Lorenzo, così denominati in epoca medievale.
Nei dintorni di Mazzè vi sono due zone di particolare interesse archeologico nelle regioni Resia e Bose.
REGIONE RESIA. Nell’inverno del 1997, le ricerche, intraprese da un gruppo di volontari diretti dal prof. Giorgio Cavaglià, portarono al ritrovamento di alcuni tratti di selciato stradale romano; nei mesi successivi si scoprì un altro tratto rettilineo di tracciato stradale romano costruito su di un rilevato palesemente più antico. Vennero anche trovati resti del molo del guado sulla Dora e una struttura di epoca medievale detta “Castella”.
REGIONE BOSE All’inizio della strada dei Boschetti, che si dirama dalla strada provinciale Caluso-Cigliano, si possono osservare numerosissime tracce di scavi e di accumuli di pietrame, indubbi testimoni di antiche opere minerarie a cielo aperto. La morfologia dell’ambiente presenta molte somiglianze con la Bessa, il noto luogo del Biellese nel quale, in epoca romana, vennero effettuati notevoli lavori per l’estrazione dell’oro (vedi scheda). Vennero perciò eseguiti sopralluoghi e studi più approfonditi sulle due regioni che portarono a individuare le seguenti cinque fasi dell’antropizzazione della zona.
1) Periodo della coltivazione dei lavaggi auriferi da parte prima dei Salassi e poi dei Romani e forse episodicamente in precedenza, nel corso del Bronzo finale, dagli autoctoni Liguri ( IX-I sec. a.C.)
2) Periodo della navigabilità della Dora, con la costruzione di un attracco per le chiatte transitanti sul fiume (I-II sec. d.C.)
3) Periodo della costruzione della strada militare Quadrata (Verolengo)-Eporedia (Ivrea), avvenuta probabilmente inglobando tronchi di strade locali gia esistenti (IV sec. d.C.)
4) Interruzione della strada in epoca barbarica e fortificazione del sito con la costruzione di muri di sbarramento (Castella)
5) Accumulo di pietre e ciottoli sull’area interessata dalle ricerche, operazione forse portata a termine dai contadini proprietari dei campi circostanti, probabilmente alla ricerca dell’oro rimasto (epoca moderna)

Descrizione del sito:
REGIONE RESIA
Sono stati delimitati e dotati di cartelli esplicativi tratti della STRADA MILITARE ROMANA Eporedia-Quadrata. La carreggiata basolata è larga, da cordolo a cordolo, circa 12 piedi romani (3,60 metri), con banchine laterali. La strada e il ponte collegavano il tratto Ivrea-Mazzè a Vercelli e Milano. È visibile un tratto rettilineo ed un tratto in curva con notevole allontanamento del muro di sostegno per favorire il passaggio dei carri. Le caratteristiche indicano una strada di notevole importanza, costruita sotto l’impero di Flavio Valentiniano I (IV secolo d.C). Rimane aperto il problema del perché nel basso impero si fosse costruita un’opera di tale imponenza e le ipotesi su quale all’epoca dovesse essere l’importanza del territorio del Canavese.
Nei pressi del tratto in curva della strada romana si trova CASTELLA, una fortificazione probabilmente di origine longobarda di m 40 x 80, con resti di un muro perimetrale di m 1 di spessore.
Scendendo verso il fiume c’è il GUADO: dopo l’alluvione del 1977 sono venuti alla luce i resti di un molo sulla Dora, che confermerebbe il fatto che in antico il fiume fosse navigabile almeno sino ad Eporedia.
Nel Medioevo nei documenti si parla di un “pons”: nel 1156 il conte cede i diritti sul Pons Copacij (che dai piedi del Forte del Coasso – denominazione medievale del castello – attraversa la Dora Baltea) ad una congregazione religiosa pro anime sue remedi. Il ponte permetteva il transito sulla via “quae vadit ab Yporegia versus Romanum et Strambinum, usque in pontem Copacij”. Si riteneva si trattasse di un traghetto, ma i recenti ritrovamenti possono dar luogo all’ipotesi che vi fosse anche un ponte in pietra. In quegli anni Mazzè fu sede di un importante mercato, detto Curadia, che attirò le mire espansionistiche di Vercelli grazie anche al sopravvissuto collegamento viario costituito dalla strada militare romana e dal ponte gettato sulla Dora Baltea.

REGIONE BOSE
Particolarmente interessante è un rilevato visibile oltre il “Pilone della Resia”, lungo varie centinaia di metri e mediamente alto cinque, costituito quasi interamente da pietre ammassate le une sulle altre. Ponendo come termine di riferimento i resti dei canali di adduzione dell’acqua necessaria alle lavorazioni, la zona interessata dagli antichi lavaggi è estesa circa 200 ettari, nei versanti di Mazzè e Villareggia. Il nucleo meglio conservato, forse perché di proprietà comunale, un tempo area di pascolo all’estremo nord del giacimento aurifero, è adiacente all’area in cui sono stati ritrovati i tratti della strada romana.

Descrizione dei ritrovamenti:
Per quanto concerne la REGIONE SAN PIETRO, i reperti dell’insediamento e delle sepolture a incinerazione sono stati recentemente sistemati a cura del Comune di Mazzè e della Associazione culturale “F. Mondino” in una bacheca sita presso la sala consiliare.

In REGIONE SAN LORENZO, la CHIESETTA DI SAN LORENZO E GIOBBE è in gran parte edificata con laterizi di origine romana, ben visibili nelle murature esterne, ma è stata troppo snaturata nel corso del restauro, per fornire delle tracce utili sull’epoca di costruzione. È stata trovata, infissa nel pavimento della chiesa, una LAPIDE ROMANA in marmo del II secolo d.C., e sono stati evidenziati all’esterno muri di fondazione risalenti allo stesso periodo. La lapide è attualmente collocata nella chiesa parrocchiale.
La chiesa è citata in un documento del 1349: era sede di una parrocchia, poi accorpata con quella del martire Gervasio. Successivamente l’edificio fu probabilmente adibito a romitaggio e poi fu usato come lazzaretto, subendo un importante restauro alla fine del XVIII secolo, mentre in quello successivo fu edificata la recinzione in mattoni pieni che delimita il terreno di pertinenza.

Informazioni:
da Mazzè prendere la strada che scende sulla sponda destra della Dora Baltea; prima di arrivare al fiume, un cartello indica a destra la strada sterrata che porta al sito archeologico. Comune tel. 0119835901

Links:
http://www.mattiaca.it/sitarche/sitoresia.htm

http://www.mattiaca.it/monsitar.htm#sanl

Bibliografia:
BARENGO L., Riflessioni sul ritrovamento della strada militare romana Quadrata-Eporedia, Mazzè, 20 marzo 1999, dattiloscritto.

Fonti:
Notizie tratte nel 2006 dal sito www.mattiaca.it e da cartellonistica in loco.
Fotografie dal sito www.mattiaca.it e, in basso, da depliant del Comune.

Data compilazione scheda:
17/03/2006 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Mazzè (TO) : Stele megalitica

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Storia del sito:
L’origine di Mazzè è antichissima, probabilmente risale ai primi stanziamenti Liguri. Reperto notevole di questo periodo è la STELE MEGALITICA datata al VI sec. a.C.
Nel marzo del 1988 veniva effettuato lo svasamento del bacino artificiale del fiume Dora Baltea, a monte della diga di Mazzè, in Regione Benne. Sulla sponda del fiume vi era una sorta di sperone a scarpata, formato da grosse pietre sovrapposte a secco: nella struttura, realizzata allo scopo di limitare i danni derivati dall’erosione della corrente in una zona di ansa esterna, era inserito un grande blocco di forma allungata completamente sommerso dall’acqua. L’Associazione Culturale “Francesco Mondino”, informò la Soprintendenza Archeologica del Piemonte che giudicò autentico ed interessante il reperto. Il blocco venne recuperato, studiato e poi collocato nell’abitato di Mazzè.
Si ritiene che l’ubicazione originaria della pietra non potesse essere quella del rinvenimento e senza dubbio essa fu riutilizzata nei lavori di costruzione dell’invaso della diga di Mazzè nel 1921.
La più probabile ubicazione originaria del megalite, risulta essere sulla cosiddetta “Bicocca”, un’altura prospiciente la Dora. Si pensa che con il tempo la stele possa essere scivolata progressivamente fin sulla sponda del fiume; si può anche ipotizzare un abbattimento intenzionale del megalite, durante una fase storica di intensa cristianizzazione, in quanto simbolo evidente di antichi culti pagani.

Descrizione del ritrovamento:
Il monolite si presenta come una sorta di colonna, lunga 4,2 m con sagoma lenticolare rastremata verso l’alto. La circonferenza alla base misura 2 m, mentre alla sommità risulta di circa 1 m. Il peso stimato supera le 2,5 tonnellate. La pietra è un blocco di gneiss, con presenza di mica, feldspati, quarzo; la composizione è caratteristica delle rocce di ambiente alpino nord-occidentale.
Il monolite di Mazzè reca evidentissime tracce di accurata e meticolosa lavorazione: il calco realizzato ha permesso di verificare le tracce evidenti di una bocciardatura generalizzata, cioè di una lavorazione sistematica determinata a realizzare compiutamente non solo una forma standard, ma anche una levigatura abbastanza accurata. Su tutta la superficie del monolite si colgono infatti larghe tracce a solco lunghe circa 15 cm e larghe circa 3 cm, realizzate probabilmente con un mazzuolo litico, di sufficiente durezza, grandezza e peso. Le creste tra le diverse tracce sono in molti casi abbattute, levigate o abrase. Importante è comunque sottolineare che il monolite non solo era rifinito, ma aveva anche una superficie principale, rimasta per fortuna contro terra all’interno della massicciata dell’invaso idroelettrico. Su questa si notano alcune piccole coppelle poco profonde e molto usurate. La presenza delle coppelle, realizzate con utensile litico, e la levigatura della superficie dimostrano che il monolite è da considerare più propriamente una stele monumentale, con una faccia principale incisa. Manca qualsiasi traccia di iscrizioni.
Alcune tracce ancora percettibili di una linea di incrostazioni a circa 40 cm dalla base permettono di definire l’originario interramento della stele: essa era dunque in piedi e doveva, nella sua collocazione originaria, avere un’importante struttura di ciottoli e massi di inzeppamento per garantirne la stabilità, certamente altrimenti precaria in nuda terra e con interramento così esiguo in rapporto all’altezza totale.
La semplice analisi tecnica non fornisce comunque indicazioni univoche sul significato della stele di Mazzè; si può ipotizzare sia una stele funeraria dell’Età del Ferro, per approssimazione e in base a confronti (vedi schede sul “lapis longus” di Chivasso e sul monolite di Lugnacco).

Informazioni.
Comune tel. 011 9835901

Links:
http://www.mattiaca.it/stele.htm

http://www.mattiaca.it/mondinonuovmimmo/stele%201a.htm

Bibliografia:
CAVAGLIA G. et al., La stele megalitica di Mazze, Associazione culturale “F. Mondino”, Mazze (TO), 1993
GAMBARI F.M., La preistoria e la protostoria nel biellese: breve aggiornamento sulle ricerche nel territorio, Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, n. XLIV, 1990-1991

Fonti:
Le notizie riportate sono state elaborate da testi presenti nel sito www.mattiaca.it.
Fotografie dal sito www.mattiaca.it

Data compilazione scheda:
15/03/2006 – aggiornam. giugno 2014 e 2023

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Mazzè (TO) : Castello

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Storia del sito:
L’origine di Mazzè è antichissima, probabilmente risale ai primi stanziamenti Liguri. Nel 141 a.C. il console romano Appio Claudio Pulcro, di stanza a Quadrata, sconfisse i Salassi (popolazione creatasi dalla fusione tra gli autoctoni Liguri ed i Celti) che erano acquartierati sulla rocca di Mazzé e vi edificò un castrum a difesa del sottostante ponte sulla Dora Baltea. In epoca romana nel territorio di Mazzè esistevano due insediamenti: in Regione San Pietro ed in Regione San Lorenzo.
Con le invasioni barbariche tutto il tessuto sociale venne sconvolto. La gente, per cercare riparo, abbandonò i siti romani per trasferirsi sul cucuzzolo della collina più alta, facilmente difendibile, dove venne costruita, utilizzando parte delle strutture romane, una struttura fortificata ed un ricetto per la popolazione. Nel 1100 l’imperatore Enrico IV investì del feudo di Mazzè un membro della famiglia Valperga; tale famiglia abiterà il castello fino all’estinzione del casato, per circa 740 anni. Nel sito vennero costruiti due edifici: il “castello piccolo” (poi detto anche manica est, collocato a destra rispetto all’ingresso), del 1313, era la struttura residenziale dei conti di Valperga; il “castello grande” (manica ovest), del 1430, era la tipica casaforte medievale, ricovero della servitù, magazzino delle riserve agricole, deposito di armi. Nel Medioevo i signori di Mazzè ed il suo popolo furono prima guelfi e poi ghibellini ma, in ogni caso, sempre contrari ai Savoia. Nei secoli seguenti, invece, Mazzè partecipò alle vicende del ducato di Savoia prima, del Regno di Sardegna poi.
Nel XVI–XVII secolo il castello grande venne abbellito, alcune sale rimaneggiate e trasformate in suntuosa dimora per gli ospiti dei conti (da Luigi XII di Francia, sino a Vittorio Emanuele II e allo zar Nicola II). Nel 1641 il castello fu sede del comando territoriale francese durante la guerra dei Trent’anni, nel 1859 sede del comando territoriale durante la seconda guerra d’indipendenza, nel 1945 i Tedeschi vi firmarono la resa agli Alleati.
Nel XVIII secolo, per venire incontro all’aumento della popolazione, la comunità di Mazzè decise di captare, a sue spese, una roggia dal canale di Caluso allo scopo di irrigare i territori della pianura Questo fatto provocò un parziale abbandono del ricetto esistente attorno al Castello a favore di uno sviluppo della zona sul piano e della frazione di Tonengo. Nel XIX secolo il ricetto fortificato viene quasi interamente distrutto per far posto ai Palazzi nobiliari attualmente ancora visibili.
Nel 1840, con la morte del conte Carlo Francesco, si estinse il casato dei Valperga di Mazzè. Il castello, dopo varie vicende, in stato di abbandono, venne poi acquistato dalla famiglia dei conti Brunetta d’Usseaux all’inizio del 1900. Il conte Eugenio Brunetta d’Usseaux (fondatore del Movimento Olimpico in Italia) procedette al riattamento e alla trasformazione del complesso in stile neogotico e affidò i lavori all’architetto Giuseppe Velati Bellini (1867-1926), che fu tra i promotori dell’Esposizione del 1902 e apparteneva alla cerchia del D’Andrade.
Il “castello piccolo” venne reso più funzionale come abitazione dei nuovi castellani; un terrazzo coperto chiuse le merlature, le finestre vennero ampliate per dare maggior luce agli ambienti, fu restaurata la torre quadrata con funzione di mastio che domina la costruzione.
Il “castello grande” subì maggiori modifiche e ne venne alterata la fisionomia: fu sopraelevata la cortina merlata e la torre quadrata; una nuova ala Est venne ricostruita sul porticato esistente per creare nuovi servizi ai piani superiori. Sul terrazzo degli alabardieri a Ovest venne elevata la foresteria, incorporando i merli. Le sale del castello vennero modificate, impreziosite e riarredate.
Dopo la morte del conte Eugenio, nel 1919, il castello iniziò un periodo di decadenza e dopo vari passaggi di proprietà, furti di arredi, danneggiamenti e degrado, passò alla famiglia Salino di Cavaglià, la quale provvide a ingenti opere di restauro. Nel 1981 il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali decretò l’intero complesso Monumento Nazionale. Nel 1986 il Castello venne aperto al pubblico, l’anno seguente il castello grande venne adibito a Centro Incontri per congressi, cerimonie e manifestazioni.
Nel 1999, in collaborazione con Amnesty International, venne realizzato nei sotterranei un “museo delle torture”.

Descrizione del sito:
Il “castello piccolo” è visibile solo esternamente perché abitazione dei proprietari. Un giardino, da cui si ha uno splendido panorama, separa i due castelli; su un angolo si alza una torretta in tipico stile gotico castellano, fatta costruire dal conte Eugenio.
Il “castello grande” ha due piani con 12 sale visitabili, di epoca diversa, dal XV al XIX secolo. La “Sala d’armi” è un grande ambiente con soffitto ligneo originale del XV secolo e arredata con armi e armature dell’epoca. Altri ambienti (sala del trono ecc.) hanno subito rifacimenti più o meno estesi. Al piano superiore si può accedere anche attraverso la scala situata nella torre quattrocentesca all’ingresso, unica parte che non è stata modificata.
MUSEO DELLE TORTURE e SOTTERRANEI. Sono visibili le prigioni e la ghiacciaia del XIV sec.; una zona di epoca romana con una cisterna d’assedio del II sec. a.C.; una cripta celtica del X sec. a.C.; una cappella funeraria del XV sec. L’esposizione si sviluppa su circa 500 mq e presenta numerosi strumenti provenienti dalla Spagna e da varie collezioni europee, utilizzate dai tribunali dell’Inquisizione.
Al castello è annesso un grande parco (Oasi del Bosco Parco, riconosciuto monumento ambientale paesaggistico) aperto con visite guidate.

Informazioni:
Nella parte più elevata dell’abitato, Via Castello 10; tel. 011 9830765 ; e-mail: info@castellodimazze.it

Links:
http://www.castellodimazze.it

Bibliografia:
VENESIA P., Il Medio Evo in Canavese, Vol. 1°, Ivrea 1985
BERTOTTI M., Documenti di Storia Canavesana, Ivrea, 1979

Fonti:
Fotografia in alto http://www.provincia.torino.gov.it/speciali/venerdi_dal_sindaco/incontri/2007/071012.htm; foto n° 2 da http://unmondoaccanto.blogfree.net/?t=3679787

Data compilazione scheda:
13/3/2006 – aggiorn. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Lugnacco (TO) : Antica pieve di Santa Maria

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Storia del sito:
Nel luogo ove oggi è la Pieve sorgeva probabilmente un santuario celtico. In zona fu ritrovato un monolite (vedi scheda).
Probabilmente sui resti del tempio fu costruita una chiesa paleocristiasna e poi, nel secolo XI, la Pieve attuale. Il Paviolo afferma “…l’esistenza, sotto l’attuale edificio dell’XI secolo, di un fabbricato risalente al V secolo, inoltre il rinvenimento di urne cinerarie, lucernette sepolcrali e pitture mitologiche confermerebbero in quello stesso luogo culti precristiani”. Il Bertolotti conferma tali ritrovamenti di epoca romana. Nel 1975, il pievano Don Riva segnalava che, durante i lavori di restauro nella chiesa, era stata rinvenuta una tomba costruita con laterizi romani. Ricordava inoltre che altre tombe erano state scoperte sul lato nord dell’edifico, nella parte esterna, in occasione di scavi di fondazione per la costruzione del marciapiede attiguo alla chiesa.
La Pieve, che è la più antica della valle di Chy, è dedicata a Santa Maria; per circa un secolo è stata denominata della “Purificazione di Maria”.
Le prime notizie scritte, riguardanti tale edificio, risalgono ad un documento relativo all’istituto plebano della diocesi d’Ivrea: si tratta in particolare di una visita pastorale effettuata nel 1329 dal vescovo Palayno.
L’edificio ha poi subito diversi rimaneggiamenti nel corso dei secoli fino ad assumere l’aspetto attuale, interamente intonacato. Originale è rimasto il campanile romanico.

Descrizione del sito:
La facciata sud-ovest della chiesa, a gradienti, presenta una particolarità piuttosto rara dal punto di vista architettonico: la posizione atipica del campanile in facciata, con funzione di portico d’ingresso. Tale modello tipologico è di origine francese e viene detto “clocher porche”. Una piccola porzione di muro romanico si conserva su un lato dell’edificio ed è decorata da una serie di lesene raccordate da due archetti pensili. In corrispondenza della quinta lesena, a partire dalla facciata principale, è stata praticata una finestra.
Il CAMPANILE si eleva su una pianta rettangolare per cinque piani. Le prime tre specchiature sopra l’ingresso sono decorate con un motivo di archetti pensili, nella seconda è ricavata una feritoia e nella terza un’apertura con arco a pieno centro. Il ripiano della cella campanaria è aperto da una bifora con capitello a stampella poggiante su una lastra di pietra. Spessi strati di malta ricoprono la muratura del campanile che è costituita da pietre di forma irregolare disposte senza ricerca di orizzontalità nei corsi.
Intorno al 1980 le ricerche effettuate dalla Soprintendenza alle Belle Arti hanno portato alla luce tracce di affreschi sul campanile (precisamente in corrispondenza dell’apertura con arco a pieno centro del terzo piano e delle bifore della cella campanaria) e sulla parete in facciata, a sinistra del campanile.
L’impianto planimetrico della chiesa è di tipo basilicale, ma non presenta absidi. La navata centrale ha volta a botte sorretta da archi trasversali mentre quelle laterali sono voltate a crociera. Ai lati del presbiterio, di pianta quadrata, sono disposti simmetricamente due locali, uno adibito a cappella, l’altro a sacrestia.

Nei pressi della Pieve sorgono i resti del castello di ARONDELLO, rimaneggiato nel corso dei secoli, che probabilmente era sede feudale con giurisdizione sulla valle.

Informazioni:
La chiesa è sita lungo la strada per Vistrorio, su un poggio collinare. È chiesa Parrocchiale, della Parrocchia intitolata alla Presentazione di Gesù al Tempio. Per contattare le sorelle del Monastero francescano attiguo è possibile chiamare il 3381766421.

Links:
http://www.comune.lugnacco.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2221

http://www.uni3ivrea.it/SANTUARI%20E%20PIEVI%20IN%20CANAVESE/LEZ3/Dynamic/lez3.html

http://www.valchiusella.org/paesi/bassa-valle/lugnacco/

Bibliografia:
BERTOLOTTI A., Passeggiate nel Canavese, Tomo V, tipografia F. L. Curbis, 1871
PAVIOLO A., Canavesani tra gloria e oblio, Lions Club Alto canavese, S. Giorgio C.se, 1987

Fonti:
Notizie tratte nel 2006 dal sito www.prolocolugnacco.it, nel 2014 non più esistente.
Fotografia in alto da www.valchiusella.org, in basso dal sito www.uni3ivrea.it.

Data compilazione scheda:
25/05/2006 – aggiornam. giugno 2014 e 2022

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Lugnacco (TO) : Stele megalitica o monolito

Lugnacco_menhir

Storia del sito:
Il monolito (una sola pietra) o stele megalitica (mega = grande; Lithos = pietra) o anche, meno correttamente, menhir, è simile a quelli trovati a Chivasso (vedi scheda) e Mazzè (vedi scheda).
Secondo la tradizione orale locale, al monolito in passato venivano incatenati i malfattori. Anche secondo Ramella il monolito, nel Medioevo, fungeva da berlina.
Il reperto fu rinvenuto nel 1975 dal Gruppo Archeologico Canavesano.

Descrizione del rotrovamento:
Il monolito è di forma affusolata; misura m 3,85 in altezza e 1,20 di circonferenza alla base e 1,10 nella parte superiore e pesa circa 1800 Kg.
All’altezza di m 1,55 da terra vi è il primo di otto incavi, dei quali sei di cm. 6×4 e gli altri due di dimensioni più ridotte.

Informazioni:
Strada provinciale 65, a lato del cimitero, attiguo all’edificio della Pieve della Purificazione di Maria. Comune di Lugnacco, tel. 0125 789014

Links:
http://www.comune.lugnacco.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=33477

http://www.valchiusella.org/archeologia/il-menhir-di-lugnacco/

http://www.mattiaca.it/stele/stele.jpg

Bibliografia:
RAMELLA, Archeologia in Canavese, Pavone C.se, 1980
GAMBARI F.M., La preistoria e la protostoria nel bielllese: breve aggiornamento sulle ricerche nel territorio, Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, n. XLIV, 1990-1991

Fonti:
Fotografia in alto da Wikipedia; in basso da http://www.mattiaca.it/stele/stele.jpg

Data compilazione scheda:
25/05/2006 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Loranzè (TO) : Masso coppellato

LOranzè MassoCoppellato

Storia e descrizione del sito:
Il masso è anche localmente denominato “Roc dij mascun” (pietra degli stregoni). Il masso coppellato ha una dimensione di circa quattro metri quadri di superficie (2 x 2,10 m circa di base) e 1,45 m di altezza.
Sul masso si osservano una serie di incavi incisi dall’uomo presumibilmente tra il Neolitico e l’Età del Ferro. Intorno ad una coppella centrale notevolmente più ampia delle altre, sono presenti una novantina di coppelle di varie dimensioni, talune collegate da canaletti, alcune circolari, altre ovoidali.

Informazioni:
Situato in regione “pian dl’Aral” alla sommita di uno sperone di roccia che domina la pianura sottostante. Info Comune tel. 0125 53646

Link:
http://www.comune.loranze.to.it

Bibliografia:
FASSIN; GALLO; VENTOSI, Tracce dell’uomo antico tra i massi coppellati del Canavese in “Sopra e sottoterra: rivista canavesana di archeologia e scienze del territorio”, Editore Bolognino, Ivrea TO, 2001

Fonti:
Fotografia dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
14/05/2007 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Lombardore (TO) : Resti del ricetto

Lombardore porta Ripa malone

Storia del sito:
Collocato all’estremo lembo della Vauda canavesana dove il torrente Fisca si getta nel Malone; l’antico “Fiscanum”, poi chiamato “Castrum Longobardorum” trae origine da un insediamento longobardo attorno al X secolo. La parte più antica del paese è il cuneo sopraelevato dove attualmente sorge la chiesa parrocchiale, dove i primi abitatori avevano eretto un fortilizio dominante l’intera pianura sottostante. Vi fu costruito successivamente un ricetto per il deposito di viveri e granaglie e come rifugio per gli abitanti del borgo durante gli assedi. Il nucleo abitato sorse a ridosso del castello, lungo un crinale ancora oggi attraversato dall’unica via principale che sfocia nella vasta piana morenica delle Vaude. Luogo militarmente strategico, nel corso dei secoli, Lombardore fu sovente terra di confine; per questo il borgo era cinto da mura con porte di accesso ai quattro lati; delle quali ne sono rimaste due, benché rimaneggiate più volte nel tempo.
Ai longobardi succedettero i Marchesi di Ivrea, che lo cedettero all’Abbazia di Fruttuaria. Con Feletto, Montanaro e S. Benigno, per oltre 700 anni Lombardore sottostò ai monaci benedettini dell’Abbazia, per passare, a metà Settecento, sotto giurisdizione di casa Savoia.
Lombardore planimetriaVenuta meno la ragione della cinta muraria, nei secoli XVIII e XIX il villaggio prese ad espandersi nella piana ai piedi del promontorio nella regione denominata Beltrama. Un altro insediamento abitativo prese forma ad occidente, di nome Campo o Campeggio, che i Savoia adibirono a poligono di tiro. Lombardore è patria di Antonino Bertolotti (1834-1893), storiografo, autore di Passeggiate nel Canavese, opera in otto volumi in cui vengono descritte le diverse contrade del territorio canavesano.

Descrizione del sito:
Delle porte medievali dell’antico ricetto ne è rimasta una all’inizio del paese e l’altra in via Ripa Fisca, la suggestiva torre-porta.
Il castello, ora Municipio, presenta visibili resti delle mura nella facciata verso cortile.

Informazioni:
Nel centro storico.

Link:
http://www.ilmonferrato.info/to/lmbard/lmbard1.htm

http://web.tiscali.it/comunelombardore/info.htm

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978

Fonti:
Fotografia da http://web.tiscali.it/comunelombardore/info.htm

Data compilazione scheda:
8 luglio 2010 – aggiorn. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Ivrea (TO) : Torre campanaria di Santo Stefano e campanile di Sant’Ulderico

Ivrea_Torre_Santo_StefanoWIKI

Storia del sito:
La torre di Santo Stefano è il campanile romanico, unica parte sopravvissuta, del distrutto COMPLESSO ABBAZIALE DI SANTO STEFANO fondato dai monaci benedettini provenienti da Fruttuaria nel 1041 per volere del vescovo Enrico II. L’abbazia, fondata probabilmente per la necessità di bonificare la paludosa riva sinistra della Dora, assicurava la vigilanza in questo punto della città e costituiva con la sua solida muratura, un ostacolo assai difficile da aggirare. I religiosi costruirono gli edifici dell’abbazia presso un’antica cappella dedicata a Santo Stefano, forse risalente al V secolo, usando laterizi e alcuni materiali di recupero di probabile origine romana.
1Ivrea abbazia S Stefano piantinaL’abbazia fu fiorente sino al 1451, quando papa Niccolò V concesse al duca Ludovico di Savoia di nominare soggetti di sua fiducia titolari dei benefici al momento non assegnati, così il monastero di S. Stefano cadde nelle mani dei Ferreri biellesi che “appaltarono” per un secolo circa il titolo vescovile e il priorato di S. Stefano, provocando la rovina materiale dell’abbazia. Nel 1544 la città, sotto il dominio spagnolo, cadde nelle mani del viceré francese Carlo Cossè di Brissac che, per potenziare le difese della città dalla parte del fiume, fece demolire la chiesa e altri edifici.
Nel 1561 i monaci adattarono una cappella di fortuna vicino al campanile. L’abate Augusto Filiberto Scaglia di Verrua (1671-1697) costruì una nuova chiesa di Santo Stefano, ma ormai il monastero era fortemente decaduto sotto il profilo spirituale, mentre rimaneva come produttore di redditi agricoli. Tra il 1747 e il 1757 l’abate vendette gli edifici superstiti del complesso monastico, eccetto il campanile e il granaio, al conte Carlo Francesco Baldassarre Perrone di San Martino, che li demolì per ingrandire il proprio giardino. L’abate trasformò in chiesa il granaio addossato al campanile.
Nel 1885 la chiesa viene destinata dal Comune a Lazzaretto in caso di epidemia. Nel frattempo alla chiesa si era addossato a est un altro fabbricato ospitante al piano terra un’officina elettrica (1892) e poi un’osteria. Nel 1898 l’ultima chiesa di Santo Stefano, in occasione di un abbellimento dei giardini pubblici viene demolita, lasciando il campanile isolato. Nell’area circostante, si affaccia il palazzo dei conti Perrone, del XVI secolo, oggi noto come Palazzo Giusiana e sede del Tribunale.

Descrizione del sito:
La TORRE CAMPANARIA DI SANTO STEFANO presenta il primo piano, parzialmente interrato, bucato da feritoie sui lati est e nord. Poi si succedono tre piani della dimensione di circa quattro metri, il primo ancora forato da due feritoie sui lati est, nord e ovest, il secondo da monofore e il terzo da bifore su tutti i lati. Il quinto piano presenta una brusca riduzione di altezza, passando da quattro metri a m. 3,30, cessa la lesena centrale, compare una trifora più bassa delle bifore sottostanti e gli archetti pensili si abbassano di molto sulle luci. Questa caduta di stile si fa ancora più evidente nel sesto ed ultimo piano che si riduce a m. 2,70 e nel quale compare una trifora. L’ornamentazione architettonica è costituita da lesene angolari spesse e da lesene intermedie più sottili; dal fregio marcapiano a denti di sega in laterizio a vista, girante su tutto il perimetro della torre; da archetti pensili, più affilati inferiormente, più tozzi nei piani alti.
Queste differenze architettoniche sono probabilmente dovute ad una sopraelevazione; infatti nella sua forma originaria doveva mantenere l’altezza costante dei piani e aumentare progressivamente la misura delle luci, ma nel 1117 fu devastato dal violento terremoto che colpì la diocesi di Ivrea.
Altri danni furono arrecati al campanile dall’artiglieria francese durante l’assedio del 1704. Fu posto rimedio con la ricostruzione in laterizio delle murature dei fregi ad archetti ma le luci non furono rifatte e ci si limitò a tamponarle. Dai documenti di archivio si rileva che le cure riservate al campanile furono scarse, soprattutto tra il XVIII e il XIX secolo. Nel 1827 il piano terra della torre venne adibito a scuderia. Nel 1854 venne sostituita la cuspide andata distrutta con una volta di mattoni, poi ricoperta d’asfalto. Nel 1880 il comune utilizzò il campanile come torre di distribuzione dell’acquedotto.
Alla fine dello scorso secolo il campanile fu restaurato.

Un altro sito medievale, ormai molto frammentario, è il CAMPANILE DI SANT’ULDERICO.
Secondo la leggenda, Ulderico vescovo di Magonza (Germania), si fermò a Ivrea in un’osteria in cui i proprietari stavano piangendo la morte del proprio figlioletto, ma il vescovo fece un miracolo resuscitando il fanciullo. Nello stesso luogo in cui sorgeva l’osteria, il ragazzo, diventato adulto, fece costruire una chiesa dedicata al vescovo, ormai conosciuto come S. Ulderico. La chiesa fu rifatta nel XVIII secolo e la facciata ricostruita nel 1952. Oggi rimane solo il lato esterno del campanile, in stile romanico, costruito in laterizi, ormai completamente incorporato nella facciata della chiesa. Si notano alle diverse altezze, coppie di archetti pensili e lesene che delimitano i riquadri in cui si aprono le finestre, due monofore e una bifora.

Informazioni:
Torre campanaria di Santo Stefano

Campanile di Sant’Ulderico.

Links:
http://digilander.libero.it/mediaivrea/medioita/monument/abazstef.htm

https://www.comune.ivrea.to.it/index.php/scopri-ivrea/cosa-vedere/chiese-e-monumenti/item/campanile-di-santo-stefano.html

http://digilander.libero.it/mediaivrea/medioita/monument/sulderic.htm

https://www.comune.ivrea.to.it/index.php/scopri-ivrea/cosa-vedere/chiese-e-monumenti/item/sant-ulderico.html

Bibliografia:
BOFFA-PETITTI, Santo Stefano di Ivrea, Ed. S.A.S.A.C. Ivrea, 1995

Fonti:
Foto in alto (campanile S. Stefano) tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/Ivrea#mediaviewer/File:Ivrea_Torre_Santo_Stefano.jpg.
Le notizie e le fotografie  sono state ricavate nel 2005 dal sito sopra indicato e da https://www.comune.ivrea.to.it/.

Data compilazione scheda:
06/12/2005 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

IVREA s Ulderico