Canavese

Ivrea (TO) : Palazzi medievali

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Storia dei siti:
Fondata dai Romani e denominata Eporedia, da epo (cavallo) e da reda (carro), poiché i suoi abitanti erano abili domatori di cavalli, la città di Ivrea si sviluppò secondo i canoni dell’urbanistica romana basata sui cardi e decumani immersa tra le colline ed il fiume Dora Baltea. Nel medioevo la città era cinta da mura e divisa in terzieri; quello della città comprendeva la parte alta dove si trovavano il Palazzo del Vescovo, la Cattedrale, il Chiostro, il Palazzo del Comune e il Castello; a sua volta anche la Città alta era attorniata da mura. La zona occidentale, ossia il terziere di San Maurizio, comprendeva la zona ove si trovava il castello dei Marchesi di Monferrato, conosciuto come Castellazzo. La parte bassa verso est faceva parte del terziere di Borgo, mentre oltre il ponte Vecchio, fuori dalle mura si trovava il Borghetto di ponte. Degli edifici medievali sono rimasti alcuni palazzi, più o meno rimaneggiati in epoche successive.

Descrizione dei siti:
PALAZZO DELLA CREDENZA
Si trova nel lato sud della piazza principale ed è una modesta costruzione in stile gotico, in mattoni: al pianterreno c’è un porticato con archi ogivali e con piccole finestre a sesto acuto, presenti anche al primo e secondo piano. Una semplice decorazione di coronamento sottolinea l’ultimo piano e il sottotetto. Fu eretta, probabilmente, intorno al 1313 insieme alla piazza attigua del mercato, per dare una sede al Consiglio del Comune, che nel Medioevo era detto Credenza. Si ritiene che fin dal XVI secolo questo palazzo non sia più stato usato come sede dei Credenzieri, ma per altri scopi, di cui non si hanno notizie.
Sul lato destro del palazzo della Credenza, affacciati sulla piazza, vennero costruiti portici bui e scuri che venivano affittati nei giorni di mercato. Con soffitti formati da grossi travi in legno, vennero demoliti nel 1700 a causa del degrado e dell’abbandono. L’unica testimonianza di essi sono i resti della “PORTA TOUPE” cioè un antro piuttosto basso e buio, allo sbocco di via Marsala (nel Medioevo “rua delle ova”).

CASA DEGLI STRIA (foto 1)
L’edificio si trova in via Siccardi, poco distante dal Palazzo di Giustizia ed attualmente ospita una scuola secondaria superiore. In questa casa nel 1391, Amedeo VII, il Conte Rosso, firmò, insieme ai nobili Canavesani e ai rappresentanti dei Turchini, un accordo che pose fine al Tuchinaggio, il movimento popolare che aveva più volte combattuto contro i feudatari del Canavese. La casa era dell’importante famiglia eporediese degli Stria e presenta una interessante cornice decorativa in cotto che riproduce ornamenti tipici del periodo: archi trilobati, fogliame e fune intrecciata. Questi fregi, testimonianza di una casa signorile del medioevo, vennero riprodotti nel 1884 dal D’Andrade nel borgo medioevale del Valentino a Torino.

PALAZZO E TORRE DEI TALLIANTI (foto 2)
Il palazzo si trova in Via Bertinatti. Fu costruito tra il XII e il XIII secolo dalla famiglia Tallianti, antico casato eporediese estintosi nel 1740. Nel cortile interno è possibile vedere la possente torre a pianta quadrata che è stata denominata “Turris Alba” (torre bianca) da A. D’Andrade. Non si sa però con esattezza da dove provenga il nome; si pensa derivi dall’intonacatura di calce che un tempo la ricopriva e di cui sono state ritrovate tracce in alcuni punti. La torre si innalza di due piani rispetto al tetto dell’edificio; su ogni lato si aprono delle finestrelle ad arco ogivale. I materiali usati per la costruzione sono pietra e laterizi a vista. Una ricca fascia composta da tre file di archetti pensili abbellisce la torre e una decorazione simile è presente in alcuni punti della facciata esterna.

TORRIONE E PALAZZO VESCOVILE
Il palazzo si trova in piazza Duomo, nei pressi della Cattedrale, è un complesso di edifici di diverse altezze e dimensioni formatosi nel corso del tempo con molte aggiunte e rifacimenti. Caratteristiche architettoniche medievali originarie restano nella torre, detta il “Torrione del Vescovo”, risalente al XV secolo, che si innalza alcuni metri oltre il tetto e che conserva il coronamento con decorazioni in cotto, i merli a coda di rondine e alcune aperture basse e strette, che, insieme allo spessore dei muri, testimoniano l’origine di casaforte. All’interno del vescovado vi è un cortile dove sono conservate lapidi con iscrizioni romane e cristiane ritrovate in canavese e un giardino, l’antico “pomarium”, formato da alcuni terrazzamenti.

Informazioni:
nel centro storico.

Links:
http://digilander.libero.it/mediaivrea/medioita/monument/homemonu.htm

https://www.comune.ivrea.to.it/

Bibliografia:
BENVENUTI G., Storia di Ivrea, Ed. Enrico, Ivrrea, 1976

Fonti:
Le notizie e le fotografie sono state tratte nel 2005 dal sito sopra indicato e dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
05/12/2005 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Ivrea (TO) : Museo Civico “Pier Alessandro Garda”

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Storia del Museo:
Dopo 28 anni di chiusura e importanti lavori di restauro è stato riaperto nel 2014 il Museo Civico “P.A. Garda”.

Descrizione delle collezioni:
Il nuovo allestimento è articolato in tre diverse sezioni:
La COLLEZIONE ARCHEOLOGICA, il cui progetto scientifico è stato curato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e MAE, raccoglie le testimonianze della città e del suo territorio dall’età neolitica fino al periodo basso medievale. Ampio spazio è dedicato in particolare al periodo romano della colonia di Eporedia, documentato da importanti reperti come la “stele del gromatico”, con la raffigurazione dello strumento utilizzato dai Romani per segnare la centuriazione del territorio.
La collezione d’arte orientale è il frutto della raccolta personale di Pier Alessandro Garda (oltre 500 opere provenienti dal Giappone) e della raccolta di Palazzo Giusiana che comprende diversi oggetti cinesi e di altri paesi asiatici.
La collezione Croff si compone di quadri di Giovanni del Biondo, Neri di Bicci, Bergognone, Carracci, Palizzi, Simi, Annigoni, Xavier e Antonio Bueno, De Chirico, pervenuti alla città grazie alle volontà testamentarie della signora Lucia Guelpa.

Informazioni:
Info Assessorato Cultura tel. 0125-4101 oppure 0125 634155; email: musei@comune.ivrea.to.it ; info@museogardaivrea.it

Links:
http://www.museogardaivrea.it/

Fonti:
Fotografia da http://blog.turismotorino.org/scopri-torino-provincia/un-tesoro-ritrovato-il-museo-civico-pier-alessandro-garda-di-ivrea, pagina non più esistente nel 2020.

Data compilazione scheda:
16 luglio 2004 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gruppo Archeologico Torinese

Ivrea (TO) : Chiesa di San Bernardino

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Storia del sito:
La chiesa di San Bernardino, con annesso convento, edificata nell’arco di quindici mesi, fu consacrata il 3 febbraio 1457, come è testimoniato dalla lapide marmorea collocata sulla parete di sinistra all’interno della chiesa stessa. L’edificio constava, a quella data, di una sola navata a pianta quadrangolare con volta a crociera e presentava un unico altare, insufficiente a consentire ad un gran numero di fedeli di assistere alle funzioni religiose. La devozione della cittadinanza nei confronti del culto di San Bernardino da Siena spinse così i monaci a riprendere i lavori per modificare la primitiva disposizione della chiesa: si prolungò la navata originaria, creando tra questa e la nuova un corpo di fabbrica a due piani e ricavando al piano terreno due cappelle; il primo piano in diretta comunicazione con il convento fu forse destinato al coro. La nuova costruzione consacrata il 9 aprile 1465, assunse in tal modo l’aspetto di una chiesa conventuale, mantenendo separata la parte riservata alle funzioni per i soli religiosi da quella a cui i fedeli avevano accesso e costituendone dopo il XVI secolo, l’unico esempio in tutto il Canavese. La fama del convento si estese rapidamente, tanto che il 21 giugno 1466 Amedeo IX di Savoia venne qui in visita, prendendo il convento sotto la sua protezione, che venne mantenuta, anzi riconfermata anche da sua moglie Jolanda di Valois il 27 ottobre 1472. Pare risultare dai documenti che un secolo dopo una sorta di lassismo abbia mitigato la disciplina dei Frati Minori. I Francescani Riformati occuparono perciò il convento cacciandone nel 1612 i Frati minori, che dovettero anche lasciare la città. Successivamente l’edificio fu abbandonato anche dai Riformati. L’8 settembre 1704, durante l’assedio di Ivrea, il maresciallo Vendôme, fece accampare i suoi reggimenti a S. Bernardino, causando la rovina degli edifici. Altri danni dovuti ad accampamento di truppe si ebbero nel 1793. Infine, in seguito alla soppressione dei beni ecclesiastici, la chiesa conventuale divenne un granaio. Quando nel 1907 fu acquistata da Camillo Olivetti la zona conventuale doveva apparire in completo abbandono. Nel 1955 furono restaurati e consolidati sia la chiesa che il ciclo di affreschi che ornano le pareti della chiesa.
Il 6 giugno 2023 la chiesa è stata donata dalla famiglia Olivetti al FAI.

Descrizione del sito:
L’edificio si trova al centro dell’area industriale dell’Olivetti, circondato però come un tempo dal verde dei prati. La chiesa conventuale, come abbiamo visto, è divisa in due parti da un corpo di fabbrica a due piani, la cui parete divisoria rivolta verso quella che era un tempo la chiesa pubblica, è occupata interamente dal ciclo pittorico della “Vita e passione di Cristo”, databile al terzo quarto del XV secolo, opera di Gian Martino Spanzotti, pittore casalese formatosi a Milano. Suddiviso in venti quadrati di metri 1,50 per 1,50, disposti intorno al grande riquadro centrale raffigurante la Crocifissione di circa 9 metri quadri, è completato a livello dei due pennacchi centrali, dalla decorazione del giudizio universale e da uno spaccato dell’inferno con i dannati sottoposti alle più svariate torture, mentre nei due pilastri sottostanti sono raffigurati rispettivamente San Bernardino e Cristo come «Imago Pietatis»; da ultimo nei due semi pennacchi laterali, addossati alle pareti trovano posto la cacciata dal paradiso terrestre ed uno scorcio del purgatorio con le anime che si mondano, assistite dagli angeli. Gli altri affreschi, sparsi sulle pareti delle due chiese, quella conventuale e quella pubblica, sono opera di artisti ignoti del XV secolo.

Informazioni:
Via G. Jervis, 380, al centro dell’area industriale dell’Olivetti Tel. 0125 234110 oppure 0125 425767. Da giungo 2023 rivolgersi al FAI.

Links:
http://digilander.libero.it/mediaivrea/medioita/monument/sbernard/frsbaffr.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Bernardino_%28Ivrea%29

http:/www.serramorena.it/intorno-ad-ivrea/chiesa-di-san-bernardino-ivrea/.

Bibliografia:
ROVERETO A., 1990, Il Convento di San Bernardino in Ivrea e il ciclo pittorico di Gian Martino Spanzotti

Fonti:
Fotografia in alto da Wikipedia, in basso da www.serramorena.it

Data compilazione scheda:
10 maggio 2004 – aggiornam. giugno 2014 e giugno 2023

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

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Ivrea (TO) : Città romana di “Eporedia”

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Storia del sito:
La colonia romana di Eporedia fu fondata intorno al 100 a.C su un abitato celtico e fu la prima fondazione in Piemonte a nord del Po per controllare i valichi. Il nome, che secondo Plinio derivava dall’abilità degli allevatori di cavalli del luogo, potrebbe riportare anche a “città difesa da carri trainati da cavalli”, usanza tipicamente celtica.
Posta su un guado della Dora Baltea, su un terreno con forti dislivelli, non aveva la abituale pianta quadrata. Si è però potuto individuare il Decumano massimo, che correva a metà pendio della collina e su cui si affEporedia-0piantinaacciavano i principali edifici, posto sulla strada tra Vercelli e i valichi della Val d’Aosta, che superava la Dora presso l’attuale Ponte Vecchio. Il Cardine massimo correva sull’altura del Castello e della Cattedrale e usciva a sud superando la Dora con il Ponte Maior, sulla strada che porta a Torino. La massima espansione della città si ebbe nel I sec d.C.
Di Eporedia rimangono resti e ritrovamenti sporadici dal XIX secolo alla fine del scorso secolo, limitati dal fatto che la città medievale e quella odierna furono edificate sull’area di quella romana. (vedi piantina da Ramella 1995)

Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
STRADE: sono tutte interrate, essendo di parecchi metri sotto il livello dell’attuale piano stradale. Nel 1969-70, in occasione degli scavi per la costruzione dell’hotel “La Serra” in Corso Botta venne alla luce un cardine largo m 6 che partiva dal Decumano Massimo. A lato della strada resti di strutture abitative e commerciali (“tabernae”) tardorepubblicane ristrutturate in età imperiale. Le costruzioni più antiche erano in pietre disposte irregolarmente e legate con argilla; le pareti erano rivestite da intonaco bianco. Sotto la strada vi era un grande collettore fognario risalente al I sec d.C. Un’altra CLOACA è stata trovata all’altezza di via Siccardi; in essa sono state recuperate monete, frammenti di vasellame ceramico e vitreo e di ossa.

Della CINTA MURARIA è incerto l’andamento, a sud probabilmente seguiva il corso della Dora. Un tratto delle più antiche opere di fortificazione, risalente al I sec. a.C., fu scoperto durante i lavori prima citati ad ovest di corso Botta: una doppia cinta muraria, alta circa m 6, formata da due muri paralleli spessi m 2,5 l’esterno e m 1 l’interno, separati da un cunicolo largo m 0,7 pavimentato con mattoni. Un altro è stato rinvenuto in corso Umberto, nella zona di Santo Stefano, probabilmente un ampliamento. Un tratto di circa m 210 si trova sotto il piano stradale di Via Siccardi, costruito a sacco e spesso m 1,20. In occasione della costruzione del Palazzo delle Poste sono stati trovati due muri romani paralleli distanti circa m 10 con basamento a m 6,70 sotto l’attuale piano stradale.
Delle porte non è rimasta traccia, probabilmente erano sull’asse delle attuali corso Palestro – via Arduino.

Dei PONTI romani restano i basamenti verso monte del PONTE VECCHIO attuale. Del Ponte MAIOR, che aveva 10 arcate ed era lungo oltre m 40 e largo circa m 5, restano i basamenti e i relitti delle arcate nella Dora.

MURO SU PALFITTE o banchina fluviale. A seguito dell’alluvione del 1977, presso Corso Umberto I all’altezza di Via San Francesco, venne alla luce un tratto di muro lungo m 167, in direzione est-ovest con basamento di palafitte di tronchi in quercia squadrati di lato m 0,25 e lunghi oltre m 3 a circa m 3,50 sotto il livello della Dora. La struttura era formata da palafitte poste a tre e tre, coperte da un tavolato di m 0,12; al di sopra vi erano lastre in pietra spesse m 0,25 e larghe m 1,50, legate con graffe di ferro fermate con piombo fuso. Sopra le lastre era stato eretto un muro a sacco rivestito da un intonaco in cocciopesto. Il muro era difeso dalle acque da lastre in pietra alte m 1,40 e spesse m 0,16. Databile tra il I e Il II sec. d. C. (manufatti simili sono stati trovati solo a Londra e sul Reno), aveva probabilmente la funzione di banchina o elemento di difesa per la navigazione commerciale verso il Po.

Il FORO era forse situato nella parte alta della città, presso la medievale cattedrale di S. Maria, dove è stata rinvenuta l’ara dedicata a Giove e riutilizzata nella cripta, varie iscrizioni e murature (vedi scheda sulla Cattedrale).

Il TEATRO, edificato tra il I e il II sec. d.C., con la cavea scolpita nella roccia sul lato ovest e sostenuta da murature sul lato est, è venuto alla luce all’inizio del 1800, durante alcuni scavi di ristrutturazione. Con il passare del tempo fu in gran parte demolito e la zona su cui sorgeva venne ricoperta per permettere la costruzione di case, nelle cui cantine è ancora possibile vedere lastroni di pietra appartenuti alle gradinate. Le vie adiacenti alle case sono state costruite sui ruderi del teatro ed hanno mantenuto un andamento curvilineo.

L’ANFITEATRO, edificato in età Flavia in un’area già occupata da una villa suburbana, sulla via per Vercelli, in prossimità della Dora, fu realizzato con una pietra granitica locale. Le gradinate della cavea sono sostenute da un terrapieno contenuto da tra anelli murari concentrici e, verso la Dora, da un muraglione rettilineo. Con l’asse maggiore che misurava quasi m 100, si presume che potesse ospitare da dieci a quindicimila spettatori. L’anfiteatro eporediese è stato portato alla luce all’inizio del 1955 e, durante i lavori di scavo, sono stati rinvenuti molti frammenti di affreschi ed un lungo tratto di rivestimento in bronzo per le spalliere dei sedili del podio. Della preesistente villa sono visibili alcuni resti. Nell’area sono state rinvenute monete, anfore, frammenti di statue e resti di intonaco dipinto.

ISOLATI URBANI. Un’ “insula” risalente alla prima età imperiale è stata ritrovata tra Piazza Balla e vicolo dell’Arco; nel 1982, durante alcuni lavori di scavo, sono emerse le strutture di due isolati urbani tra via S. Martino e via Cuniberti e nei giardini pubblici ai margini ovest dell’abitato.

Durante i citati lavori in corso Botta, fu rinvenuto un locale rettangolare con vasca quadrilobata rivestita in cocciopesto ed accanto una “esedra” di forma semicircolare della stessa epoca, pertinenti probabilmente ad un EDIFICIO PUBBLICO TERMALE.

Nei pressi della medievale Porta Vercelli sono state trovate le strutture di un grande edificio di età imperiale, rimasto in uso per molti secoli, probabilmente era un magazzino commerciale o granaio, “HORREUM”.

Vari sono stati i ritrovamenti di resti dell’ACQUEDOTTO che, dal torrente Viona presso Andrate, arrivava nella parte alta della città; è stato individuato un tratto di 8 km fino a Maresco di Bienca. Dell’impianto idrico cittadino sono state scoperte grosse tubature in piombo in Via Arduino e in Viale Monte Sella e, in varie zone, brevi tratti di condotto in conglomerato e pietre sbozzate con copertura a botte e l’interno rivestito in malta fine. Nella vecchia Piazza d’armi una cassa in piombo con iscrizione latina fungeva da contenitore per un piccolo acquedotto locale.

NECROPOLI sono state individuate sulle strade per Vercelli, per Aosta e per Torino.

Luogo di custodia dei materiali:
I reperti di Eporedia sono, per la maggior parte, nel museo civico P.A. Garda, vedi scheda.
Le lastre in bronzo provenienti dall’anfiteatro sono al Museo di Antichità (archeologico) di Torino.

Informazioni:
Sono musealizzati  e visibili  i resti in Corso Vercelli.

Links:
https://www.comune.ivrea.to.it/index.php/scopri-ivrea/la-storia/ivrea-romana.html

http://archeo.piemonte.beniculturali.it/index.php/it/musei/aree-archeologiche/70-aree-arch-prov-di-torino/343-anfiteatro-di-ivrea

http://www.serramorena.it/intorno-ad-ivrea/l-anfiteatro-romano-di-eporedia/

https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchaeologicalProperty/0100354541 (teatro)

Bibliografia:
BRECCIAROLI TABORELLI L., Un contributo alla conoscenza dell’impianto urbano di Eporedia: lo scavo di un isolato a Porta Vercelli, Quad, Sovrint. Arch. Piemonte, 6, 1987
BRECCIAROLI TABORELLI L:, La ceramica a vernice nera da Eporedia, Cuorgnè To, 1988
CAVAGLIA’ G., Contributi sulla romanità nel territorio di Eporedia, Gruppo edit. Tipografico, Chivasso TO, 1998
PERINETTI F., Ivrea romana, Ed. San Giusto, Rivarolo TO, 1964
RAMELLA P., Eporedia, Ed. Centro studi Canavesani – Bolognino, Ivrea TO, 1995
Eporedia_Un_GIS_per_la_ricostruzione.pdf

Fonti:
Fotografia in alto di F. Levi dal sito www.serrramorena.it;  disegni da Ramella 1995

Data compilazione scheda:
09/02/2008 – aggiornam. giugno 2014 e marzo 2024

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Eporedia banchina da Mandolesi

Ivrea (TO) : Cattedrale di Santa Maria

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Storia del sito:
La Cattedrale sorge nella parte alta della città, in un’area sacra già sede, nella città romana di Eporedia, di un’ara dedicata ad Apollo (o a Giove). Recenti scavi all’esterno dell’abside attuale hanno individuato una struttura attribuibile ad un tempio che venne distrutto tra la seconda metà del V secolo e gli inizi del VI. Sulle rovine venne edificata una basilica paleocristiana: secondo alcuni studiosi era un edificio a tre navate concluse da un’abside a est, secondo altri era un edificio a pianta rotonda dotato di un’ampia galleria anulare e sormontato da una cupola. Probabilmente essa venne edificata in età carolingia, anche se alcuni storici sostengono che possa risalire all’epoca della dominazione bizantina in Italia.
LA CHIESA PROTOROMANICA venne costruita tra l’ultimo trentennio del 900 e il 1005. Ancor oggi è visibile una lapide in marmo con la scritta “Condidit hoc Domino preasul Warmundus ab imo”, che ricorda che il vescovo Warmondo fece costruire il tempio dalle fondamenta. In realtà il presule non ricostruì totalmente la chiesa, ma la ampliò addossando alla facciata una grande controabside ed erigendo due alte torri campanarie. Warmondo, di origine tedesca e di parte imperiale, per tutta la vita combatté con le armi e le scomuniche contro il re Arduino. In quegli stessi anni l’abate Guglielmo da Volpiano fece costruire l’abbazia di Fruttuaria a San Benigno Canavese, e sicuramente vi furono contatti tra i due presuli e i due cantieri: infatti la Cattedrale di Ivrea rivela interventi di “aggiornamento” e modifica nel giro di pochi anni.
La costruzione fu proseguita dai successori di Warmondo nel corso dell’XI secolo e richiese pertanto, come spesso succedeva all’epoca, un lavoro di alcuni decenni: ciò è documentato dallo stile diverso delle due torri campanarie, dai successivi ampliamenti della cripta e dalle differenti forme figurative dei capitelli che sono presenti all’interno di questa.

LA CRIPTA. Quando il vescovo Warmondo nell’anno 997 accolse le reliquie di san Tegolo e di san Besso, ponendole in un sarcofago romano, probabilmente fece costruire la parte più antica della cripta di forma semicircolare e fece anche sopraelevare la zona del coro attorno al quale fu realizzato un vasto ambulacro. La cripta occupava circa una metà dello spazio centrale della rotonda sormontata da due campanili contro i quali venne addossata una muratura, innalzando poi sei colonne, con capitelli, per sostenere le volte a crociera. L’entrata era al centro della navata maggiore e per accedere al coro superiore furono costruite due rampe di scale nelle navate minori. Nell’abside verso nord fu dipinto alla fine del XII sec. un affresco rappresentante la Madonna col Bambino seduta in trono, alla sua sinistra un Vescovo con mitra e pastorale ed alla sua destra un Santo monaco.
A distanza di mezzo secolo, tra la fine del secolo XI e gli inizi del XII, essendo stato riformato il modo di svolgere le pratiche religiose con l’aumento di sacerdoti e di cantori, si rese necessaria la costruzione di una seconda cripta per poter ampliare il coro; essa venne composta con snelle colonne dotate di capitelli scolpiti da un raffinato maestro lombardo, il cui nome è rimasto sconosciuto.
Una terza fase di costruzione della cripta previde l’ampliamento verso oriente, ove venne costruita un’altra nicchia per installare un altare in onore di san Gaudenzio, nativo di Ivrea, rappresentato nell’affresco che risale probabilmente all’XI o XII sec. Per potere accedere al presbiterio superiore venne costruita una scala al centro della navata maggiore, e l’ingresso alle cripte avveniva attraverso due porticine a lato della scalinata stessa; era possibile anche accedervi da due porte praticate al fondo delle navate minori.
La cripta nei secoli successivi venne adibita non più ad usi liturgici ma a funzioni diverse, dal magazzino al sepolcreto, con pesanti manomissioni e alterazioni che solo restauri recenti hanno eliminato (1997-98). Sono stati portati alla luce alcuni affreschi del XV sec., che erano stati parzialmente ricoperti di intonaco. Inoltre è stato anche restaurato l’antico affresco rappresentante san Gaudenzio.

Il CHIOSTRO. Tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII vennero costruiti, a lato della cattedrale, alcuni edifici ad uso abitativo e di studio; essi erano disposti intorno ad un chiostro che serviva per collegare tra loro i diversi edifici attigui alla chiesa. Dal presbiterio della Cattedrale, infatti, restando al coperto, si poteva accedere agli alloggi del clero e dei chierici, alle sale di studio e di scrittura, ai refettori, ai laboratori e alla foresteria.

Il vecchio edificio romanico fu in gran parte demolito a partire dal 1785 per far posto ad una nuova costruzione barocca. Un’ultima imponente trasformazione fu subita dalla cattedrale nel 1854, quando la facciata barocca fu sostituita con l’attuale, di stile neoclassico.

Descrizione del sito:
La Cattedrale conserva, del periodo romanico, la cripta, il deambulatorio superiore, i due campanili, il tiburio; invece la struttura interna è stata mascherata da ristrutturazioni sette-ottocentesche. Della primitiva facciata romanica non restano tracce, mentre ben conservata è la parte posteriore dell’edificio in cui sono visibili il muro esterno dell’abside e i due campanili che si differenziano nell’articolazione delle monofore, bifore e trifore.
Pare che il campanile a sud-ovest sia stato il primo a essere iniziato in quanto nel suo ordine inferiore le colonnine con i capitelli hanno forme bizantine. Nella cella campanaria e nella torre di nord-ovest i capitelli furono modellati con maggiore nervosità, segno di una evoluzione nello stile romanico.
La chiesa oggi è a pianta longitudinale ed è suddivisa in tre navate; il tiburio ottagonale che sovrasta il presbiterio è parzialmente originario; ogni lato ha la superficie partita in due livelli, una con una fila di archetti pensili, il secondo da quattro arcatelle a fornice cieco, che forse anticamente erano aperte.
Molti edifici intorno alla cattedrale vennero demoliti insieme a una parte del chiostro già nel corso del XIV sec., durante l’edificazione del castello del Conte Verde. Attualmente è visibile solo una parte del “chiostro della canonica”, oggi detto “orto dei canonici”, sul lato posteriore della cattedrale, parte a vista, parte inglobato nel muro di cinta con capitelli dei sec. XI e XII.
Il sarcofago romano del I sec. d.C. di Atecio Valerio, che si trovava nella cripta e custodiva le spoglie di san Besso, nel XIX secolo venne trasportato sotto il portico della facciata e, recentemente, fu riportato nella cripta.

Un frammento di MOSAICO, opera lombardo-piemontese del secolo XII, oggi murato sotto il porticato del vicino seminario, fu rinvenuto nella zona del coro in occasione della ricostruzione dell’attuale altare maggiore. Il frammento, lungo 3,32 m ed alto 1,34 m, è costituito da tessere policrome; nella parte di mosaico ancora visibile sono rappresentate quattro “arti liberali”: filosofia, dialettica, geometria ed aritmetica.

Informazioni:
Tel. 0125 40109

Links:
http://www.serramorena.it/intorno-ad-ivrea/cattedrale-di-santa-maria-assunta-ivrea/

http://it.wikipedia.org/wiki/Duomo_di_Ivrea

Bibliografia:
MINARDI M., TRONCHETTO E., Il Canavese ieri ed oggi, Torino, 1960
MESTURINO V., Sancta Maria de Yporegia: appunti architettonici sulla cattedrale di Ivrea, F.lli Enrico librai editori, Ivrea TO, 1967
CAVALLARI MURAT A., Tra Serra di Ivrea, Orco e Po, Torino, 1976
DE BERNARDI FERRERO D., La cattedrale di Ivrea, in “Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura”, Torino, 1983-87
ROMANO G. (a cura di), Piemonte romanico, Banca CRT, Torino, 1994

Fonti:
Fotografie tratte da Wikipedia.

Data compilazione scheda:
09/10/2005 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Ivrea (TO) : Castello

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Storia del sito:
La costruzione del castello di Ivrea ebbe inizio nel 1358 per volere di Amedeo VI di Savoia detto il Conte Verde. I lavori si conclusero fra il 1393 e il 1395. Il castello fu edificato a scopo difensivo, per questo venne scelta una posizione strategica nella parte alta della città: in quel periodo il Canavese era teatro delle lotte tra i signori di Valperga e i Signori di San Martino, sostenuti dai Savoia.
Nel XV secolo la pace fu ristabilita e il Castello divenne la residenza elegante e raffinata delle duchesse di casa Savoia che favorirono lo sviluppo della cultura e delle arti: tra di esse sono da ricordare Jolanda di Francia, sorella di Luigi XI e Beatrice del Portogallo. Ci è giunta testimonianza sugli arredi del castello e le feste organizzate per la nascita di Adriano, figlio di Beatrice e del duca Carlo II, nel 1522.
In seguito, a causa delle guerre tra Francesi e Spagnoli, iniziò una lenta trasformazione del Castello da ricca dimora a presidio militare e poi a ricovero per i profughi. Nel 1676 un fulmine colpì la torre di Nord-Ovest, quella verso Porta Aosta, dove era situata la polveriera: l’esplosione provocò 51 morti, 187 case rovinate e la torre stessa del Castello crollò rimanendo mozza come è ancora oggi.
Nel XVIII secolo il castello venne nuovamente rimaneggiato per essere adibito a carcere e dai tre piani originari fu portato a quattro, vennero aperte diverse finestre in corrispondenza delle celle e fu costruito un muro divisorio al centro del cortile. Il castello mantenne la funzione di carcere fino al 1970; poi rimase chiuso ed inutilizzato per nove anni.
Nel periodo successivo vennero realizzati alcuni restauri per salvaguardare la struttura e per eliminare i corpi di fabbrica che erano stati aggiunti nel cortile.
Dal 1994 lo Stato ha dato il castello in concessione al Comune.

Descrizione del sito:
Il castello ha una pianta a forma di trapezio rettangolo con quattro torri cilindriche situate ad ogni angolo.
castelloIVREApiantaDopo il primo cancello di ingresso al castello vi è la zona un tempo occupata dal fossato e dall’antiporta, oggi non più esistenti. Nel corso del restauro del 1979 sono emerse tracce delle fondazioni dell’antiporta.
La facciata presenta una bella bifora ad archetti trilobati in pietra, che conserva lo stemma dei Savoia e due monofore, simili alla bifora, con inferriate a maglie legate di tipo savoiardo. Restano i numerosi modiglioni in pietra sagomati che sostenevano il camminamento di ronda; tra di essi si aprivano le caditoie (le aperture che servivano per il lancio di proiettili), ancora ben visibili sulle torri.
Il cortile esterno, situato accanto alla manica di nord-ovest, cinto da mura, veniva utilizzato per far trascorrere “l’ora d’aria” ai detenuti. Dopo il secondo cancello vi è il grande cortile sul quale si affacciano le numerose finestre delle celle dell’ex carcere, protette da fitte inferriate. Al centro del cortile vi sono una grande cisterna di sei metri di diametro, un tempo usata come ghiacciaia, ed un pozzo.
Le torri angolari sono quattro: quella mozza (ossia la torre maggiore), le due torri con i merli a coda di rondine, e la torre senza merlatura.
L’interno del castello non presenta tracce dell’antica struttura perché nei secoli venne completamente modificato per le differenti destinazioni cui fu adibito; oggi è costituito quasi interamente da celle ed è visitabile solo in parte al piano terreno dove vi sono la cella della torre, a pianta circolare, che veniva usata come cella di rigore, e cinque celle che si affacciano su uno stretto corridoio, chiuse da doppie porte e con finestre protette da robuste inferriate. In una di queste celle è esposto un plastico che riproduce il castello in miniatura e permette di osservare alcuni particolari dell’edificio e anche di quelle parti alle quali non è possibile accedere.

Anticamente esisteva il Castello di San Maurizio che sorgeva sulla rocca omonima. Probabilmente fu edificato da Arduino e venne chiamato “castellazzo” dalla popolazione eporediese che, in lotta contro i soprusi del potere feudale, lo distrusse nel XII secolo. Ricostruito nel XIII secolo fu definitivamente distrutto nel secolo successivo.

Informazioni:
Tel. 0125 44415

Link:
https://www.comune.ivrea.to.it/index.php/scopri-ivrea/cosa-vedere/item/il-castello-di-ivrea.html

Bibliografia:
RODDI G., Note sulla costruzione del castello di Ivrea, Centro Studi Piemontesi, Torino, 1982
RAMELLA P., Il castello di Ivrea (1393–1993): Medioevo in Canavese con studi su S. Lorenzo, Settimo Vittone; S. Bernardino, Ivrea; Campanile di S. Stefano, Ivrea; Castello di Ozegna, Città di Ivrea, Ivrea 1993
L’Associazione Amici del Castello di Ivrea (Via S. Nazzari, 27 – 10015 Ivrea), ha pubblicato un opuscolo informativo sul castello.

Fonti:
Fotografia in alto da wikipedia.

Data compilazione scheda:
01/12/2005 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

Issiglio (TO) : chiesa di San Pietro

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Storia del sito:
La chiesa venne costruita verso l’anno Mille, come attestano la vetustà della sua architettura, l’abside romanica decorata da archetti pensili, in parte celati oggi da una costruzione funeraria edificata a ridosso dell’edificio. È stata sino al 1696 chiesa parrocchiale anche per il vicino comune di Vidracco. Con la separazione delle due parrocchie, si decise di costruire in Issiglio una nuova chiesa che conservò la dedicazione a San Pietro in vincoli. Da allora la chiesa ha mantenuto solamente la funzione di cappella cimiteriale.
La chiesa è ad aula unica, con abside volta ad Est, coperta da un tetto a capriate, lasciata in stato di sommo degrado per molti anni, è stata recentemente restaurata con il rifacimento completo del tetto e il risanamento delle pareti portanti.
Un inedito ciclo di AFFRESCHI gotici quattrocenteschi è stato scoperto nella chiesa dal 2008.

Descrizione del sito:
Il ciclo di AFFRESCHI è di ampie dimensioni e di una certa complessità iconografica, anche se per alcune parti in condizioni non buone e con ampie zone lacunose. Le porzioni interessate sono abside, arco trionfale e paretine annesse, ed il fianco destro della chiesa. L’arco trionfale è dipinto a conci alternati grigi e rossi e contornato da un motivo decorativo che ricorda il piumaggio d’uccello e che racchiude le parti affrescate; nelle pareti laterali, una per parte, le figure dell’angelo annunziante e della Madonna: quest’ultima, meglio conservata, con le mani al petto, è raggiunta dalla colomba dello Spirito Santo sopra raggi di luce, mentre legge, posato su di un piano inclinato, il libro di Isaia. Al centro dell’arco, entro altra cornice decorata, non più visibile per cadute d’intonaco, forse una testa di Padre Eterno. Nei registri inferiori delle paretine, a sinistra l’affresco è pressoché illeggibile, a destra è una figura di santo vescovo benedicente, probabilmente di San Dionigi; lì presso, in alto, una curiosa piccola immagine nera di diavoletto. L’intradosso dell’arco absidale ospita, entro cornici a scudo una serie di ritratti solo parzialmente visibili, ma molto espressivi, in abiti quattrocenteschi, probabilmente profeti e sibille; il catino mostra frammenti pittorici interpretabili come i simboli dei quattro Evangelisti (Tetramorfo), in scabro paesaggio roccioso, e al centro una Maiestas Domini lacunosa. Sulla sinistra una figura femminile inginocchiata, probabilmente ancora una Vergine, e a destra un frammento di figura. Nella parte inferiore, al centro, il legno di croce con la scritta canonica, che poteva esser lo sfondo d’una Pietà. La porzione ancora sottostante reca le tracce degli apostoli posti a semicerchio, ed è in parte ancora nascosta dall’altare ivi sistemato nei secoli successivi. Nella parete laterale dell’aula è visibile, sempre entro una grande cornice decorativa della stessa foggia di quella dell’arco trionfale, una scena di grandi dimensioni, raffigurante una Madonna della Misericordia col mantello sostenuto da due angeli: sotto il mantello, in due registri sovrapposti, vi sono molti personaggi, a sinistra maschili e a destra femminili. Le due schiere superiori ospitano santi e sante, quelle inferiori papa, cardinale, signori, religiosi e religiose, vale a dire i rappresentanti delle gerarchie terrene. Notevole particolarità iconografica è il fatto che la Vergine della Misericordia è raffigurata in trono, col Bambino in braccio e che i due registri raffigurino personaggi defunti e, in basso, vivi, ma con al centro un teschio a indicare la caducità della vita. Sulla sinistra di tale scena è ancor visibile l’immagine di San Pietro vescovo, titolare dell’edificio, seduto su di uno scanno e con l’attributo delle chiavi.
Si tratta d’un ciclo di notevole livello stilistico e di forte interesse anche iconografico, con sovrabbondanza di cartigli eleganti, talora forniti d’iniziale colorata. Sostanziali sono ancora i richiami, stilistici e tematici, al mondo degli affreschi di stampo jaqueriano con altri aspetti che richiamano certi sviluppi visibili nella pittura novarese, come mostrano la struttura generale e certi particolari come la Vergine seduta, col trono a base poligonale prospettica (cicli di Novara o Casalvolone). Ma il più diretto riferimento stilistico è con il ciclo scoperto nell’estate 2007 nella parrocchiale di San Giovanni di Torre Canavese. Il ciclo che sembra possibile, almeno in via provvisoria, datare alla seconda metà del secolo XV, posteriore a quello di Torre, che l’interpretazione d’una scritta sia pur frammentaria, può forse far risalire al 1444, e rispetto al quale c’è forse qualche elemento che testimonia una certa evoluzione in senso coreografico.

Informazioni:
Nel cimitero. Comune tel. 0125 789079


Links:

https://www.comune.issiglio.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/chiesa-romanica-di-san-pietro-2171-1-063f0a90ca0a5e068ed26b33166b5c90

http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_cimiteriale_di_San_Pietro_in_vincoli_(Issiglio)

https://www.cosenostre-online.it/2017/10/guido-forneris-la-chiesa-issiglio/

Bibliografia:
GUALANO F., Guida alla visita dei beni aperti in Piemonte, Soprintendenza per il Patrimonio storico artistico e demoetnoantropolgico del Piemonte, stampata a cura del FAI, 2009

Fonti:
Notizie e fotografie dai siti sopra indicati.

Data compilazione scheda:
21 novembre 2011 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Grosso canavese (TO) : Chiesa di San Ferriolo o Ferreolo

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Storia del sito:
San Ferreolo o, come è più comune nella zona, San Ferriolo, è un Santo pressoché sconosciuto in Italia e la chiesa di Grosso è l’unica a lui dedicata. Un’ipotesi lo farebbe coincidere con l’omonimo santo francese evangelizzatore della regione di Besançon, cui la chiesa potrebbe essere stata dedicata successivamente alla costruzione, nel sec. XIV, in epoca di influenza francese. Un’altra ipotesi si rifà ad un santo “locale”, il cui nome potrebbe essere stato modificato dalla tradizione orale.
Nei sec. XI-XII, al tempo della sua costruzione, era sulle vie di comunicazione tra le chiese di Ciriè, San Carlo Canavese, la Pieve di Grosso (che fu monastero e casa-forte e di cui restano solo rovine), Mathi e Balangero testimonianze di arte e religiosità “popolare” di cui restano spesso solo i bellissimi campanili.
I primi documenti in cui è citata la cappella sono del 1386.
La chiesa di San Ferriolo è un gioiello romanico, conservato praticamente intatto, ed è stata a torto per lungo tempo quasi ignorata dalla critica d’arte. È stata restaurata nel 1970.

Descrizione del sito:
L’edificio risale alla fine del secolo XI – inizi del XII ed è costruito con ciottoli tratti dal vicino torrente Banna, selezionati delle stesse dimensioni, disposti con regolarità per lo più a spina di pesce, e piccoli mattoni. In alto è corsa da archetti pensili a tutto sesto. La muratura ricorda quelle coeve di S. Michele a Oleggio, S. Secondo a Magnano e altre.
La chiesa è formata da una navata unica con un’abside semicircolare con tre finestre. Il tetto é a due spioventi. Nessuna decorazione scultorea all’esterno o all’interno.
L’abside e la parete sinistra sono ornate da splendidi AFFRESCHI dipinti in due tempi diversi.
Il ciclo più antico, dell’ XI-XII sec., occupa l’intera abside.
Sull’arco trionfale vi è una decorazione a greca e a riquadri con figure simboliche (pesci, colomba ecc.); nella calotta è raffigurato entro una mandorla il “Cristo Pantocratore” seduto su un trono, in gesto di benedizione, con un abito di broccato ornato di perle e pietre preziose. Ai suoi lati i simboli dei quattro Evangelisti. Ai bordi della calotta dell’abside vi sono a sinistra la Vergine e a destra San Giovanni, rappresentati in piedi e molto allungati per dare un’illusione prospettica.
Nella fascia sottostante, per tutto il semitamburo absidale, interrotto da tre finestrelle, vi sono i 12 Apostoli rappresentati frontalmente. Questa parte ha subito cadute di intonaco a causa dell’umidità proveniente dal terreno. Le figure sono ieratiche; i colori predominanti sono il rosso mattone, i verdi, gli azzurri; l’effetto luce è dato da pennellate biancastre. Gli sguanci di due delle tre finestre sono decorati in rosso su fondo bianco uno con motivi geometrici, l’altro con motivi floreali.
Non si conosce il nome dell’artista, sicuramente non locale perché forti sono i caratteri della corrente stilistica di Reichenau e dell’area di influenza ottoniana, benché personalizzate dall’attenzione alla composizione d’insieme. Si possono rilevare somiglianze tra questi affreschi e quelli di San Tommaso a Briga e di San Michele in Clivolo a Borgo d’Ale.

Il secondo ciclo di affreschi, sulla parete sinistra, risale, stando agli studi più recenti, al XIV-XV secolo, comunque sicuramente precedente al dipinto, sovrapposto in parte a questo, con una Vergine allattante in trono e San Bernardino (che porta la data del 1472).
Questo ciclo è stato affrescato con uno stile popolaresco, vivo e fresco, da un ignoto pittore che ha raffigurato un tema caro al tardo medioevo e frequente soprattutto in Provenza, ma più raro in area piemontese (esempi in Val di Susa e nel Cuneese): “Allegoria dei Vizi e delle Virtù”. Vi sono due ordini di figure: al livello superiore le sette Virtù sono rappresentate da dame incoronate e statuarie con lunghe vesti e cilicio, divise da un colonnato ad archi gotici. Nel livello inferiore i sette Vizi sono raffigurati ognuno da una donna che cavalca una bestia lungo un selciato, con un atteggiamento tipico del vizio che rappresenta e con un cartiglio che ne indica il nome. Per le fotografie e una descrizione dettagliata delle figure, si rimanda la sito sotto indicato.

Informazioni:
A circa 1 Km dall’abitato verso Est. Rivolgersi al sig, Barutello Michele, Via Corio, 58 – tel. 011 9268255

Links:
http://web.tiscali.it/jovishome/affreschi/canavese/ferreolo/scheda.htm

http://www.comune.grosso.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2158

Bibliografia:
BELLEZZA-PRINSI A., Memorie storiche di Grosso Canavese, Soc. Storica Valli di Lanzo, Lanzo, 1980
CHIERICI S., CITI D. Italia romanica. Il Piemonte , la Valle d’Aosta, Milano, 1979
SEGRE MONTEL C., Dipinti monumentali in “Piemonte romanico” (a cura di ROMANO G.), Torino, 1944
CARESIO F., Romanico in Piemonte, Ed. Di Camillo, Moncalieri, 1998

Fonti:
Fotografie 1 e 2 da archivio GAT. Foto 3 e 4 da /web.tiscali.it/jovishome/affreschi/canavese/ferreolo/

Data compilazione scheda:
23/05/2005 – aggiornamento 2009 e giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

grosso abside

ferreolo corteo

carita

Fiorano Canavese (TO) : Resti del ricetto

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Storia e descrizione del sito:
Le prime notizie certe su Fiorano risalgono all’anno 1000: in un diploma dell’imperatore germanico Ottone III si confermano alla Chiesa di Ivrea, sua vassalla, i possessi e i diritti con particolare menzione della corte Florano nominata con omnibus pertinentiis. Un’altra citazione appare nell’atto di fondazione dell’Abbazia di S. Stefano del 1041, in cui il vescovo d’Ivrea Enrico vi comprende una “brajda”, cioè una landa, e il molino di Fiorano con tutto il necessario. In un documento del 1205 si parla della cessione del castello di Fiorano, posto su un’altura della regione denominata Cordola, alla città di Ivrea. Il podestà lo infeudò con il predicato “di Fiorano” a nobili della città molto influenti, che per blasone portavano un giglio fiorito d’oro in campo rosso, stemma quasi simile a quello di Firenze. I nobili “di Fiorano” assunsero molta importanza dopo il 1278, allorché Ivrea si assoggettò al Marchese di Monferrato. Tra essi si distinse Savino, consigliere ultimo della reggente Bianca di Savoia, uomo espertissimo negli affari politici, dottore in legge. Il castello di Fiorano esisteva ancora nel 1502 e spettava alla mensa vescovile, che lo diede in affitto. Fu distrutto durante le guerre scatenatesi nei secoli XVI e XVII. Si possono ancora scorgere resti delle mura presso la chiesa parrocchiale ricostruita nel XVIII secolo.
Nel 1407 la comunità di Fiorano ottenne da Ivrea il permesso di costruire un ricetto a sud del castello sul terreno adiacente alla chiesa. Del ricetto si è conservata una TORRE-PORTA in mattoni, con un’apertura carraia e una posterla. L’altezza della torre è limitata.
Solo alcune cellule adiacenti all’ingresso conservano l’impianto del XV secolo, il tessuto urbanistico, nel complesso, si è profondamente alterato; restano alcune case in pietra con portali, finestre ad arco e motivi decorativi in cotto.

Le ricerche archeologiche hanno individuato sul colle di Cordola la presenza di incisioni rupestri, frammenti fittili e ceramici che testimoniano l’esistenza di un insediamento preistorico databile all’Età del Bronzo.

Informazioni:
Nel centro storico. Comune, tel. 0125 611930

Link:
http://www.comune.fioranocanavese.to.it/

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978

Note:
Fotografia da http://commons.wikimedia.org

Data compilazione scheda:
06/02/2008 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Feletto (TO) : Torrione

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Storia del sito:
Nel basso Medioevo pare certo che esistessero due centri abitati. Il primo, più antico, in basso rispetto alla ripa; distinto dalla successiva villanova, posizionata a Nord dell’attuale piazza Martiri Felettesi e perimetrata dalle odierne vie S. Giuseppe e Antonio Giordano.
Le periodiche rovinose piene dell’Orco hanno cancellato ogni traccia del primitivo insediamento.
Ancora nella mappa comunale del 1762, si rileva la struttura a schema ortogonale che conferma che in epoca medievale (nella zona a nord dell’attuale piazza principale) esistesse un borgo munito di cinta muraria e fossato.
La zona che era così fortificata era la più antica e comprendeva anche il Torrione quadrato, isolato a sud, che alcuni anni orsono incorporava anche gli uffici municipali. Di questo massiccio edificio non si conosce la data di costruzione, ma certamente esisteva nel 1455, quando era un borgo fortificato dipendente dall’Abbazia di Fruttuaria di San Benigno.
Nel corso dei secoli il Torrione subì alcune manomissioni, ma risulta ancora ben conservato.

Descrizione del sito:
Il Torrione è un edificio a pianta quadrata, in laterizio, trasformato in torre campanaria, munito di orologio e meridiana.

Informazioni:
Sulla piazza principale. Info Comune tel. 0124 490547


Link:
http://digilander.libero.it/gi46bo/feletto.html

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I Ricetti, Edialbra, Torino, 1978
Anno Domini Millesimo Septingentesimo quinquagesimo, Parrocchia di Feletto, Feletto To, 2000

Note:
Fotografia da http://digilander.libero.it/gi46bo/torrione1.html di Giancarlo 2001.

Data compilazione scheda:
30/05/2006 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese