Torino città

Torino: Il mito di Atteone nel mosaico romano di via delle Orfane

Storia e descrizione del sito:
Il quadrilatero di Torino, l’antica Augusta Taurinorum, ha una nuova piazza pubblica e una nuova area archeologica. A unirle è Quadra.To, spazio cittadino nato dalla riconversione dell’antico convento di Sant’Agostino in complesso residenziale e dal restauro conservativo dell’antica area termale d’epoca romana – rinvenuta nel cortile durante i lavori – reso possibile dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” con il sostegno della Fondazione CRT.

Nel 2017 durante lavori di trasformazione dell’ex convento degli Agostiniani – all’angolo tra via delle Orfane e via Santa Chiara – è stato rinvenuto un complesso di ambienti di epoca romana imperiale databile tra I e III secolo. Si tratta di quattro stanze rettangolari che si affacciavano su un cortile colonnato, forse appartenenti a un edificio pubblico oppure destinato ad attività sociali private. Tra i molti reperti, nella parte orientale di fronte all’ingresso è stato trovato un frammento di decorazione a esagoni inscritti in un cerchio, realizzata con tessere nere rettangolari disposte “a canestro”, tecnica finora mai riscontrata a Torino; nel vano meridionale, è stato portato alla luce un grande mosaico, quasi integro: un quadrato di lato circa 1,2 m composto da tessere di marmo bianche e nere, databile tra il I e il III secolo rappresentante la figura mitologica di Atteone mentre si  sta tramutando in cervo (ha già le corna) e brandisce un bastone col quale tenta di difendersi dall’attacco dei suoi cani da caccia. Essere sbranato dai suoi cani è la punizione cui lo sottopone Diana, perché Atteone ne ha spiato le nudità. “E’ una scoperta che ci racconta qualcosa sulla storia di Torino – dice la soprintendente Luisa Papotti – La domus romana aveva un ampio porticato con grandi cancelli e ricchi intonaci dipinti. Le tessere musive sono di marmo, una rarità”.

Dopo il restauro, l’area archeologica è ora aperta al pubblico.


Informazioni:
Via delle Orfane, 20. L’accesso al cortile sarà sempre aperto.

Links:
https://www.fondazionecrt.it/quadrato/

Bibliografia:
Piro Mander C., Sotto il convento si nascondeva il mosaico di Atteone, da: “Torino Storia” n° 22, novembre 2017, pp. 35-41
Diciotti F., ArcheoTorino, Yume, Torino 2019, pp. 172-73

Fonti:
Immagine dal sito sopra indicato e da “Torino Storia”.

Data compilazione scheda:
3 aprile 2022

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese


TORINO : Area archeologica Lavazza

Storia del sito:
Nel 2013-2014 i lavori di scavo per la costruzione della “Nuvola”, la nuova sede della società Lavazza, hanno portato alla luce, tra corso Palermo e via Ancona, un’area archeologica con i resti di una chiesa  collocabile tra la seconda metà del IV-V secolo, e sviluppata a sua volta sopra le strutture di una precedente necropoli. La chiesa potrebbe essere quella dedicata a San Secondo martire, le cui reliquie furono spostate all’interno delle mura della città durante le incursioni “saracene”, all’inizio del X secolo. Un diploma del 1041 del vescovo Guido (1039-1044) rivela che la chiesa di San Secondo fuori le mura era stata distrutta dai saraceni; nel 1044 lo stesso vescovo concesse all’abate Alberico la chiesa, rovinata dai “pagani”, affinché la restaurasse e vi istituisse un monastero. I tentativi di ripristino, che in base a qualche muratura databile tra XI e XII secolo sembrano esserci stati, non portarono risultati duraturi e la chiesa di San Secondo con l’annessa zona cimiteriale, i cui materiali furono depredati, trasformati e reimpiegati altrove, scomparvero del tutto nel giro di pochi secoli. Si perse addirittura memoria dell’antica ubicazione: è per questo che l’attuale attribuzione della chiesa a San Secondo, mancando dati inoppugnabili, rimane un’ipotesi, sebbene plausibilissima.

Il percorso dell’Area Archeologica (divenuta realtà nel 2018 grazie alla sinergia tra la competente Soprintendenza e la Lavazza, che ha anche contribuito finanziariamente) è stato ottimamente musealizzato, completato e arricchito dall’esposizione degli oggetti ritrovati durante gli scavi e da chiari pannelli esplicativi. Una vetrata a livello della strada e un’illuminazione scenografica consentono anche ai passanti, in qualunque momento, una vista d’insieme del complesso.

Descrizione del sito:
L’area archeologica individuata ha un’ampiezza di 1.600 metri quadrati, di cui 400 sottostanti il nuovo centro direzionale. La chiesa, a navata unica di m 12,70 x 20, è caratterizzata da una serie di tombe sia all’interno che all’esterno del suo perimetro. La datazione del complesso non è agevole, ma le sue caratteristiche complessive suggeriscono il periodo tra la seconda metà del IV e il V secolo.
La necropoli del IV secolo è caratterizzata da un complesso cimiteriale con più mausolei o recinti funerari. Quello centrale, rettangolare e aperto sul lato est, include una tomba al centro, costruita in muratura, pavimentata e intonacata; intorno se ne inseriscono altre, poi in gran parte spogliate delle loro strutture. Al tempo dell’abbandono del sito infatti le tombe più antiche furono sistematicamente svuotate e in gran parte smantellate per recuperare i materiali edilizi. A nord di questo mausoleo vi sono altre strutture simili che definiscono un recinto o un mausoleo più grande; a sud si affianca un modesto edificio ad aula con abside semicircolare a ovest e un piccolo vano di ingresso. L’interno, sia nell’abside sia nell’aula, fu in seguito occupato da alcune tombe.

Descrizione dei ritrovamenti:
Una grande stele in marmo di Foresto, ritrovata nel 2011 durante un limitato intervento manutentivo in corso Palermo angolo via Ancona (a pochi metri dall’attuale area archeologica), è stata musealizzata nel sito medesimo. Si tratta di un manufatto databile al II sec. d.C., proveniente da una vicina necropoli pagana e reimpiegato nel IV secolo come copertura di una sepoltura cristiana, coerente alla necropoli appena descritta.
Il testo della stele recita: Q(uinto) Coesio Q(uinti) f(ilio) / Ste(llatina tribu) Secundo/ Coesia Q(uinti) l(iberta) Aphrodisia / uxor v(iva) f(ecit) e ricorda Q. Coesius Secundus, cittadino romano ascritto alla tribù Stellatina – quella a cui Augusta Taurinorum fu assegnata – ; la committente dell’iscrizione fu la moglie, Coesia Aphrodisia.
La stele presenta una decorazione ridondante, forse realizzata da più di un artigiano. Il registro superiore, il cui timpano era sovrastato da due creature marine (una sola conservatasi in parte), illustra il mito di Ganimede rapito da Zeus sotto forma di aquila; appena sotto, in testa all’iscrizione, due leoni a dorso contrapposto poggiano la zampa su teste bovine; nel registro inferiore, frammentario, si intravede la figura di Ercole bambino che strozza i serpenti inviati da Era per ucciderlo in culla. L’iconografia, inconsueta per l’area torinese, fa supporre che l’epigrafe sia stata realizzata in una bottega lapidaria di un certo pregio.
Altri oggetti di corredo funerario e monete di varie epoche ritrovate durante gli scavi dell’area sono esposti in una lunga teca sotto la vetrata e raccontano la loro storia intrecciata con quella del sito.

Informazioni:
Corso Palermo angolo via Ancona. Ingresso dal Museo Lavazza, Via Bologna, 32.
Prenotazioni visite:
https://www.lavazza.it/it/museo-lavazza/scopri-il-museo/visita-area-archeologica.html

Links
https://www.lavazza.it/it/museo-lavazza/scopri-il-museo/visita-area-archeologica.html

Bibliografia:
Pejrani Baricco L.; Ratto S., L’inattesa scoperta di una chiesa paleocristiana, in: Rivista Torino Museo n° 7, dicembre 2014, pp. 10-13
Pejrani Baricco L.; Ratto S., Torino, corso Palermo (centro direzionale Lavazza). Chiesa funeraria paleocristiana, in: Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte n. 30, 2015, pp. 377-380

Fonti: Notizie e foto tratte dal sito della Lavazza e dai testi in bibliografia. Ultima foto in basso da https://www.torinoggi.it/2019/09/25/

Data compilazione scheda:
28 maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gruppo Archeologico Torinese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TORINO : Terme romane

Descrizione del sito:
Diversi dati riferibili ai ritrovamenti di presunte strutture termali risalenti al periodo compreso tra la seconda metà del 1800 ed i primi anni del 1900 risultano, ormai, di difficile interpretazione; tra essi vanno segnalati un ipocausto ad occidente di piazza della Frutta, alcuni mattoni rotondi per colonnine trovati in via S. Francesco d’Assisi durante i lavori di restauro dell’omonima chiesa ed altri resti in prossimità di piazza del Duomo.

Più recentemente, sono stati rinvenuti i resti di un vano riscaldato nel corso degli scavi effettuati all’interno della navata nord della cripta del Duomo, di cui rimangono tratti delle pareti perimetrali e il battuto di cocciopesto inferiore, sul quale poggiavano le colonnine di sostegno del pavimento vero e proprio. Non è, tuttavia, possibile definirne una destinazione termale pubblica, in quanto analoghi ambienti ad ipocausto risultano abitualmente inseriti nell’edilizia residenziale urbana né in questo caso sono emersi elementi architettonici o di rivestimento di pregio, utili a tale identificazione. In effetti, casi di ambienti dotati di sistemi di riscaldamento all’interno delle abitazioni private di un certo rilievo sono stati riscontrati in tutta l’area urbana, un’esigenza evidentemente determinata dal clima invernale rigido. In una domus di via Garibaldi, ad esempio, sono stati individuati parte dell’ipocausto e del prefurnio riferibili ad una prima fase costruttiva; uno strato carbonioso, connesso all’uso dell’ipocausto, con materiali del IV secolo d.C., ha documentato l’uso dell’edificio fino a questo periodo.

Un altro ipocausto (pertinente ad una ricca domus, considerata la presenza di elementi architettonici in marmo e di frammenti di intonaco), è emerso nel corso delle ricerche svolte in via Barbaroux in occasione dei lavori di ristrutturazione del Palazzo sede dell’Archivio Storico (ex Anagrafe) nell’ambito dell’insula compresa tra le vie Barbaroux, Stampatori, Botero e Garibaldi.

Tracce di suspensurae di forma circolare (del diametro di ca. 18 cm.) pertinenti ad un vano riscaldato con pareti intonacate e piano base in cocciopesto si ritrovano anche in un edificio ritrovato a seguito degli scavi per la realizzazione di un garage interrato in piazza Castello 51.

Bibliografia:
GRAZZI R., Torino romana, Torino, 1981, p. 24
F. FILIPPI – L’edilizia residenziale urbana – pp. 132-133 in “Archeologia in Piemonte” – Torino, 1998 – vol. II – “L’età romana”
PANERO E., La Città romana in Piemonte, Cavallermaggiore, 2000, pp. 184-185
LUPO M., Resti di terme romane nella cripta del Duomo, La Stampa, 10 marzo 2000
GRUPPO ARCHEOLOGICO TORINESE, Guida Archeologica di Torino, Savigliano (CN), 2010, Terza Ediz., 2° vol., pp. 25-26
In “Archeologia a Torino”, Torino, 2003 :
MERCANDO L., Notizie degli scavi recenti, pp. 220-240
PEJRANI BARICCO L., L’isolato del complesso episcopale fino all’età longobarda, pp. 303-304.

Data compilazione scheda:
26 febbraio 2002 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Marina Luongo – Gruppo Archeologico Torinese

TORINO : Templi romani

Descrizione del sito:
Le tracce più note sono quelle provenienti dal Mastio della Cittadella, consistenti in un frammento decorativo a palmette (conservato in un locale del Museo di Artiglieria) ed in un’iscrizione votiva che sembrano attestare il culto di Iside in zona extraurbana; sul suo tempio, secondo la tradizione, sarebbe sorta nel medioevo la Basilica di San Solutore, abbattuta dai francesi nel 1536; l’esistenza e l’importanza di questo culto orientale è peraltro ben noto nel Piemonte romano grazie al santuario isiaco di Industria (Monteu da Po). Altri elementi derivano dalla tradizione ma senza riscontri archeologici: ad esempio l’antica chiesa di Sant’Agnese, oggi della Ss. Trinità, nota sin dal XII sec., si dice fondata sulle rovine di un tempio dedicato a Giunone, così come la chiesa medievale di San Silvestro (ora Santo Spirito), in via Porta Palatina, sarebbe sorta su un precedente tempio pagano dedicato a Diana, come ricorda l’iscrizione frontale del XVII sec. In questo secondo caso si parla della possibilità che la cripta sottostante all’attuale chiesa, trovandosi al livello della strada romana, possa essere identificata con il sacello del tempio; mancano però indagini approfondite in merito. Negli anni ’30 il Bendinelli identificava l’area del duomo, edificio rinascimentale della fine del XV sec. intitolato a S. Giovanni Battista, con l’antico campidoglio della città, evidenziando che la sua realizzazione comportò l’abbattimento di tre antiche chiese preesistenti, a loro volta sorte sul luogo di tre basiliche paleocristiane, affiancate ed intercomunicanti, dedicate a San Salvatore, San Giovanni e Santa Maria de Dompno (probabile corruzione di Santa Maria de Domino). Tale triplice denominazione cristiana richiamerebbe il culto romano della triade capitolina (composta da Giove, Giunone e Minerva), facendo supporre la presenza di un tempio tripartito anteriore all’affermarsi, nel IV sec., del Cristianesimo a Torino e pertanto una scelta non casuale del sito su cui sono sorte le chiese, ma determinata dalla volontà di continuare ad utilizzare il maggior centro di culto cittadino. Valido elemento di confronto, in tal senso, è stato considerato il duomo di Trieste (San Giusto), sorto sul sito del foro romano, per il quale si avrebbe l’analogo caso di una doppia trasformazione, da tempio capitolino a gruppo di tre chiese, poi accorpate in una sola. In realtà questa ipotesi, per quanto suggestiva, è ormai del tutto smentita dagli scavi condotti in tempi recenti nella medesima area, dove si è riscontrata la presenza di edilizia residenziale o commerciale in un arco cronologico compreso tra il I e la metà del II secolo d.C. Successivamente, nella media età imperiale vi sorgono imprecisabili strutture pubbliche che riutilizzano parzialmente le fondazioni dei fabbricati preesistenti.
Il Grazzi ha così sintetizzato la situazione: “in realtà le ipotesi sull’ubicazione dei templi torinesi sono infondate su dati oggettivi… ma la completa scomparsa dei templi pagani deve far ritenere che, in considerazione del perimetro urbano limitato e degli alti costi di edificazione e di pratica cultuale, il loro numero fosse limitato… Dalle iscrizioni possiamo arguire l’esistenza di templi, aree sacre, edicole o statue dedicate a Giove, Giunone, Minerva, Venere Ericina, Apollo, Diana, Mercurio, Mitra, Iside, il Sole, Ercole, Silvano, Igea ed Esculapio, la Fortuna e la Vittoria… (inoltre) vi furono flamini dei divi Augusto, Claudio, Vespasiano, Tito, Drusilla, Faustina Minore”.

Bibliografia:
GRAZZI R., Torino romana, Torino, 1981, pp. 27-28
TORELLI M., Urbanistica e architettura nel Piemonte romano, p. 38, in “Archeologia in Piemonte”, Torino, 1998 – vol. II – “L’età romana”
PANERO E., La Città romana in Piemonte, Cavallermaggiore, 2000, p. 185
GRUPPO ARCHEOLOGICO TORINESE, Guida Archeologica di Torino, Savigliano (CN), 2010, Terza Ediz., 2° vol., pp. 21-22
In “Archeologia a Torino”, Torino, 2003:
MERCANDO L., Il recupero del passato, p.49 e Testimonianze di monumenti perduti, pp.147-148
PEJRANI BARICCO L., L’isolato del complesso episcopale fino all’età longobarda, p. 305.

Data compilazione scheda:
26 febbraio 2002 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Marina Luongo – Gruppo Archeologico Torinese

TORINO : Teatro Romano

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Storia e descrizione del sito:
I ruderi furono rinvenuti nel 1899, in occasione dello scavo per la fondazione della Manica Lunga di Palazzo Reale. Con l’intervento del D’Andrade i resti furono lasciati in vista, in parte a cielo aperto ed in parte nelle cantine della nuova ala. Il teatro occupava un’insula periferica di circa 76 m di lato, posta a ridosso del taglio a petto dell’angolo nord-est delle mura ed affacciata sul declivio della Dora, al limite dell’abitato. La scelta di una posizione marginale, in prossimità delle mura e della Porta Palatina, si giustificherebbe da una parte con la necessità di agevolare l’afflusso di spettatori provenienti anche dalle zone rurali circostanti la città, dall’altra con la volontà di far risaltare visivamente l’imponente mole del teatro, la cui altezza superava i 20 m, sul profilo urbano, connettendola inoltre ad altri edifici dotati di valore monumentale e simbolico, quali le torri della porta urbica. L’impianto originario coincide con la prima edificazione della città (inizio I sec. d.C.); è inizialmente provvisto di cavea lignea su sostruzioni in muratura e, caso eccezionale nella tradizione architettonica romana ad esclusione di auditoria ed odea, racchiuso entro un recinto quadrangolare, in modo da consentirne l’inserimento nella maglia ortogonale urbana. Questa fase costruttiva corrisponde alla prima delle tre principali, che risultano, dai dati di scavo, intervallate da distruzioni a seguito di incendi. Gli avvenimenti militari del 69 nell’ambito della guerra civile tra Otone e Vitellio, ed in particolare dello scontro tra soldati romani ed ausiliari batavi di stanza a Torino, sono stati messi in relazione con il primo di tali incendi. È tra il II ed il III sec. d.C. che si completa l’evoluzione da una struttura relativamente ridotta e semplice ad un’altra caratterizzata da ragguardevoli dimensioni, complessità progettuale e ricercatezza tecnica: il teatro viene integralmente trasformato: aumentata la capienza (per un totale di circa 3.500 spettatori) e potenziato l’apparato scenico, arriva a sconfinare sulle strade limitrofe e a ridosso delle mura settentrionali, rendendo necessaria una revisione globale del disegno urbano nel settore nordorientale della città. Gli attuali resti evidenziano un edificio realizzato in pietra gneissica valsusina, comune a Torino, e con una tecnica muraria simile a quella della cinta urbana, a fasce di concreto separate da doppie cordonature laterizie. Un ampio quadriportico post scaenam si estendeva dal teatro al lato settentrionale della cinta ed un capiente ambulacro anulare, scandito da grandi pilastri, definiva il perimetro esterno della cavea. Questa, del diametro di 70 m, aveva gradinate lapidee suddivise in quattro settori da scalette radiali; tre parodoi (due corridoi laterali ed uno centrale) collegavano l’orchestra, del diametro di 28 m e pavimentata in marmo, con l’esterno. Lesene ornamentali in marmo bianco rivestivano anche il pulpito, che era profondo 6 m, lungo 44 m e provvisto di pozzetti a sezione quadrata per la manovra del sipario; la scaenae frons rettilinea appariva movimentata da sei nicchie rettangolari e da porte, tre delle quali fiancheggiate da colonne. Si ha inoltre testimonianza di pitture parietali policrome, ormai perdute e di datazione controversa, relative alla porticus post scaenam; sembra consistessero in uno zoccolo nero, con cesti di fogliame verde scuro ed uccelli in volo, sormontato da una zona parietale a fondo rosso; fasce divisorie verticali e decorazioni con anfore e candelabri dovevano completare l’insieme. I costanti interventi volti a modificare ed ampliare la struttura sono stati interpretati come una diretta prova del valore architettonico del teatro in quanto veicolo di immagine per la città, ma anche dell’importanza e della frequenza degli spettacoli teatrali, soprattutto nelle popolari forme del mimo e della pantomima, e, conseguentemente, del livello di prosperità raggiunto da Augusta Taurinorum in età imperiale.


Links:
http://www.museotorino.it/view/s/c3f850cfc60f4925a5da97cb3cad8720

http://www.archeogat.it/archivio/torinomedievale/percorsoTAPPE/06MONteatroromano.htm

Bibliografia:
L. PAPOTTI, Alle origini del linguaggio rappresentato, in Teatri Greci e Romani, S. Paloma, Roma, 1994, vol. III, pp. 73-74
L. PAPOTTI, Strutture per spettacolo del Piemonte romano, in Archeologia in Piemonte, Torino, 1998, vol. II – L’età romana, pp. 101-118
R. GRAZZI, Torino romana, Torino, 1981, pp. 33-38; 84-85
S. FINOCCHI, I nuovi scavi del teatro romano di Torino, in Atti SPABA 1962-1963, p. 142 segg.

Fonti:
Fotografia GAT.

Data compilazione scheda:
28 novembre 2000 – aggiorn. maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Marina Luongo – Gruppo Archeologico Torinese

TORINO : Porta Palatina

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Storia del sito:
La Porta Palatina è ritenuto il più cospicuo avanzo di Torino romana ed il più antico, grandioso e meglio conservato esempio di porta urbica romana. E’ posta nella cortina muraria settentrionale.

Descrizione del sito:
Aperta ad uno sbocco del cardo maximus, da essa partiva la strada che attraversava Settimo e Trino, e, in Lomellina (Laumellum), si biforcava per Milano e per Pavia (Ticinum), tenendosi sempre a nord delle colline del Monferrato.

Il nome, anche se non è quello originario, suggerisce l’antica importanza. I duchi longobardi ed i conti franchi probabilmente insediarono la loro dimora nell’attuale zona di Palazzo di Città; anche se palatium era chiamata la sede del conte franco, nulla può far ritenere che nel castello, o casaforte, sorto su di essa dal X secolo, risiedessero i rappresentanti del Re. Diverse furono le denominazioni medioevali, ma in epoca romana doveva trattarsi della porta principalis dextra.
L’addossarsi di strutture ostruì nel corso dei secoli i transiti della porta settentrionale, e brecce furono aperte nelle mura sul suo lato occidentale.

L’8 luglio del 1404, il Comune ordinava il rifacimento della merlatura delle torri; un secolo più tardi un tondo radiato in stucco con la sigla IHS, ispirato alla predicazione eucaristica di San Bernardino da Siena, venne situato al centro dell’interturrio, cancellando la quarta parasta da occidente del secondo piano, quasi per difesa della città.
La grande sistemazione barocca di Torino e l’apertura nel 1699 e nel 1724 della nuova porta, cui passò il nome di Palazzo, in Piazza della Frutta, fecero correre all’antico monumento il rischio di distruzione; per fortuna, l’ingegnere militare Antonio Bertola convinse della sua importanza Vittorio Amedeo II e l’edificio venne trasformato in carcere.
L’interturrio venne sopraelevato in modo da fornire gli alloggi per i custodi, mentre le torri fungevano da vera e propria prigione; durante l’età napoleonica venne utilizzato come carcere militare e successivamente come carcere femminile.

La rivoluzione storica e scientifica della porta Palatina appartiene alla seconda metà del secolo XIX. Carlo Promis e Davide Bertolotti presentarono un progetto di restauro al Comune. Nel 1872 iniziarono i lavori, demolendo la vicina casa dei macelli per isolare l’edificio. Gli ambienti dell’interturrio furono utilizzati da allora come scuola di musica e poi di disegno, fino al 1903, quando iniziarono massicci restauri, portando in luce le strutture interne antiche.
Il restauro monumentale del 1872 risentì delle teorie tendenti a ripristinare il più possibile la porta romana, distruggendo le strutture più recenti. Venne demolita la caratteristica merlatura a coda di rondine nelle torri che costituiva un elemento terminale già antico.
Nella facciata si chiusero l’occhio circolare del 1511 e le finestrelle delle celle carcerarie, usando il laterizio: questo venne adoperato dovunque fu necessario ricostruire un tratto di cortina esterna, con mattoni spessi come quelli romani, ma di larghezza e lunghezza minori, secondo il criterio di usare materiali simili ma non identici agli originali, affinché restasse possibile distinguerli.

Nel 1906, Alfredo d’Andrade e Cesare Bertea proposero i seguenti lavori:
– scavi sul lato sud-occidentale per scoprire le fondamenta della torre ed i resti del cavaedium ancora sepolti;
– ricostruzione di alcuni muri ortogonali alla facciata, distrutti dalle costruzioni moderne, necessari per la stabilità dell’interturrio;
– demolizione di alcuni muri perimetrali recenti;
– demolizione delle integrazioni del 1872 nelle torri, in particolare la merlatura;
– recinzione dell’edificio con una cancellata.

Quando i lavori vennero sospesi a causa della guerra, nel 1915, il restauro aveva riguardato solo la parte inferiore della porta, dove si era mantenuto il taglio aguzzo dei mattoni simili agli antichi; una larga breccia rimase nella torre di levante, privata della merlatura.
La torre rimase in tali condizioni per circa 20 anni, finchè nel 1934 avvenne la sistemazione del complesso monumentale.
Vennero allora abbattuti alcuni edifici fronteggianti per creare un piazzale dove collocare le statue di Caesare ed Augusto, tradizionali fondatori di Augusta Taurinorum, copie bronzee di antiche sculture; si riportò il livello stradale a quello della pavimentazione romana, 60 cm. più in alto del piede della cortina laterizia; si eliminò la cancellata; la torre di ponente, come già quella di levante nel 1907, venne privata della merlatura dell’intervento del 1872, sostituita con una in mattoni, e venne restaurato anche il suo basamento; la breccia della torre di levante venne chiusa con materiale simile a quello del 1872; entrambe le torri vennero coperte con solette di cemento armato, in modo che fossero impermeabili all’acqua.

Nelle torri vi fu rispetto anche per gli elementi relativamente recenti: si risparmiarono le tracce di finestrelle ai vari livelli, le porte di comunicazione coi passaggi di ronda, i parapetti delle bocche di lancio del XVI secolo; le nuove murature ebbero degli incatenamenti in ferro.
I resti interni della statio, appena affioranti dal terreno, vennero sopraelevati con muri di restauro, rendendo anche meglio riconoscibile l’antico impianto.
I lavori dal 1902 al 1915 consistettero essenzialmente in demolizioni; nel 1934 si ebbe, nel quadro della valorizzazione del patrimonio culturale di tradizione romana, la sistemazione del monumento e della zona circostante.

Descrizione dei ritrovamenti:
Cercando di ricostruire la struttura antica della porta, alle spalle della facciata, verso la città, vi era la statio per il corpo di guardia; essa aveva pianta rettangolare, circa m. 20,50 x 16,80, e si componeva anche di due piani superiori corrispondenti ai due ordini di finestre dell’interturrio. L’altezza della struttura viene indicata in m. 18,30.
Passando per i due fornici maggiori centrali si attraversava un cavaedium dal quale si usciva verso città per altri fornici uguali ai precedenti; questo cavaedium, o cortiletto di disimpegno, era fiancheggiato dagli ambulacri che uscivano dai fornici minori, per i pedoni.
Secondo la ricostruzione del d’Andrade, una scala affiancata esternamente al muro dell’ambulacro orientale, immetteva sul cammino di ronda e probabilmente dava accesso alle torri. Dai piani superiori si manovravano le cataractae (saracinesche) per la chiusura delle porte; in tutti e quattro i fornici sono ben conservate le scorsoie che servivano per il loro scorrimento.

Osservando la porta da sud, cioè dall’interno della città, si notano fra le arcate stradali dell’interturrio dei palastri sporgenti fra fornice e fornice a guisa di prominenze i avancorpi, tendenti a riunirsi con andamento incurvato al di sopra dei fornici maggiori: questo dato è da considerarsi in relazione con la costruzione dei ballatoi interni addossati al perimetro, corrispondenti ai due piani di finestre. Il primo piano superiore della statio poggiava forse sull’estradosso dei fornici stradali e sui pilastri del cavaedium; il pavimento del secondo piano doveva riposare sopra una travatura lignea; a riprova di ciò rimane una fila di incavi quadrati per travature, fra i due ordini di finestre.
La parte terminale dell’interturrio, cioè l’attivo oggi non più esistente, poteva anche avere una merlatura simile a quella delle torri, probabilmente quadrata e lapidea.
Nelle torri è originale il modo come sorgono alla base, composta di un massiccio quadrangolare sormontato da quattro segmenti di piramide in mattoni disposti a piani di risega, per accordare il quadrangolo della base stessa col poligono della torre.

Le torri della porta Palatina dovettero avere una struttura interna simile a quelle di Palazzo Madama, che misurano m. 7,20 di diametro esterno, m. 5,60 di quello interno, mentre lo spessore del muro è di m. 1,50. Il Promis aveva considerato le torri della porta di sei piani, lasciando sospeso il problema dei pavimenti a volte semisferoidali, cementizie, che gli parevano moderne, e di quattro ordini di finestrelle rinascimentali larghe m. 0,60 ed alte 1,70; Altri, dopo di lui, riterranno che in origine i piani fossero cinque, separati da pavimenti lignei appoggiati su mensole, simili a quelle di Palazzo Madama; resta irrisolta la struttura delle scale interne e della loro relazione con la statio attraverso un’eventuale apertura.
Il d’Andrade riteneva che le torri fossero state costruite costruite per prime, dato che avevano fondamenta più profonde, a riseghe, contro cui si appoggiarono, probabilmente poco tempo dopo, prima l’interturrio e poi il muro di cinta.
Dietro la parte anteriore della porta non esistevano complicate strutture, ma vi erano pur sempre nei piani superiori dei corridoi. Il Carducci sostiene che strutture anteriori trovate in prossimità del transito orientale fanno pensare che la porta non sia stata la prima del genere sorta in quel periodo repubblicano e che con probabilità l’attuale porta potrebbe ritenersi Augustea, se non addirittura Flavia.

Le lesene tuscaniche delle prime finestre, idealmente impostate sull’elemento lapideo, sembrano sostenere l’ordine superiore; sopra questo, le lesene avranno a loro volta la funzione ideale di sostenere un attico che si può immaginare con merli quadrati, riprendendo quello che poteva essere il coronamento delle torri. Le slanciate finestre, servono, alleggerendo la massa della facciata, a creare un movimento verticale (in modo più semplice che al piano superiore), già preparato dalle pure slanciate aperture del piano terreno.

Informazioni:

Links:
http://www.archeogat.it/archivio/torinomedievale/percorsoTAPPE/07MONportapalatina.htm

http://www.museotorino.it/view/s/fb25e1a8d7a34826bde45128ef1580c7

Bibliografia:
Carlo Promis, Torino antica;
Luigi Cibrario, Storia di Torino;
Carlo Carducci, Arte romana in Piemonte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Torino 1968;
Renato Grazzi, Torino Romana, Il piccolo editore, Torino 1981
GRUPPO ARCHEOLOGICO TORINESE, Guida Archeologica di Torino, Savigliano (CN), 2010, Terza Ediz., 2° vol., pp.35-46

Fonti:
Fotografie dall’archivio GAT.

Data compilazione scheda:
27 marzo 2006

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Feliciano Della Mora – Gruppo Archeologico Torinese

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TORINO : Palazzo Madama

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Storia del sito:
(da AAVV, Guida Archeologica di Torino, Gruppo Archeologico Torinese, Torino 1996, pp. 83-84) “Al centro della piazza si eleva Palazzo Madama, uno degli edifici più interessanti e rappresentativi della lunga e complessa storia cittadina: esso trae origine dalla romana Porta Decumana, posta a controllo dell’ingresso orientale di Julia Augusta Taurinorum. La costruzione romana era simile, nella struttura, alla più nota Porta Palatina e i suoi resti sono ravvisabili nelle due torri poligonali collocate dietro la settecentesca facciata dello Juvarra e nelle tracce rinvenute nei sotterranei, presso le quali è anche visibile un tratto del Decumanus Maximus. Le torri, che all’esterno presentano un paramento di età medievale, conservano internamente l’aspetto originario, visibile percorrendo le scale a chiocciola in esse costruite. Questo edificio, così come la Porta Palatina, deve la sua fortunata sopravvivenza all’intenso riutilizzo a cui fu soggetto nel tempo. Dopo la caduta dell’Impero Romano, quando ebbero inizio le scorrerie barbariche, la porta dovette comunque perdere la sua primitiva importanza, per riacquistarla alla fine del secolo XI quando Torino, a somiglianza di altre città italiane, si eresse a Comune. Per consentirne il transito da e verso il Po venne aperta la Porta Fibellona, il cui lato occidentale sfruttava le strutture adiacenti all’antica porta, inserendosi con un arco a tutto sesto (tutt’ora visibile all’interno di Palazzo Madama) in una breccia del muro romano. A seguito di ulteriori ampliamenti del castello, nel 1408 la Porta Fibellona venne spostata più a sud. Nel 1317/20 Filippo d’Acaja affiancò due torri quadrate a quelle poligonali della porta romana. La casaforte venne successivamente ampliata da Ludovico d’Acaja (signore di Torino dal 1402 al 1418), che aggiunse le torri prospettanti verso il Po, di stile gotico ma ricalcanti, nella pianta a sedici lati, quelle romane. L’interno del castello fu abbellito ripetutamente tra il 1403 e il 1408 dal pittore Giacomo Jaquerio (affreschi oggi perduti).”

Descrizione dei ritrovamenti:
“Scavi eseguiti nel giugno del 1987 hanno permesso di osservare che le basi di fondazione della parte posteriore del castello sono costituite da materiale romano di spoglio (blocchi lapidei tra i quali si segnala un elemento recante alcune lettere incise, parte di un’iscrizione perduta). Le fondazioni sono nettamente distinte dalla soprastante cortina muraria, interamente laterizia, e si approfondiscono per soli due metri”. (op. citata). Durante i lavori ancora in corso per la sistemazione del Museo Civico d’Arte Antica, nella sala detta il “Voltone” al piano terra, sono tornate alla luce le fondazioni romane e la corte medievale. Qui la costruzione mostra tutte le sue stratificazioni ed evoluzioni. Affacciandosi dall’atrio sul grande spazio del locale si può ammirare, con un unico sguardo, tutta la storia del palazzo: il livello interrato e il lastricato romano, la fabbrica medievale e le pareti su cui si profilano alcune tracce delle finestre decorate, i pilastri e la volta barocchi. “…si cammina sopra una griglia vetrata sotto la quale sono stati evidenziati resti archeologici che si rifanno alle fasi medievali e romane dell’edificio. In più, a sinistra e a destra, sono ora parzialmente visibili le due torri poligonali della porta romana sulla quale il castello si fonda. Di fronte a noi si apre, in tutta la sua complessa stratigrafia architettonica e archeologica, il cortile del castello medievale, il cui porticato fu dapprima tamponato e che, nel XVII secolo, venne coperto e trasformato in salone. Tutto l’ambiente è stato sapientemente restaurato; le antiche pareti, nell’alternarsi talvolta caotico di finestre e aperture varie, mostrano l’intrico delle fasi evolutive attraverso le quali l’edificio è passato; le chiare, ma severe, colonne barocche… arricchiscono l’ambiente creando interessanti scorci visivi…” (Fabrizio Diciotti, La lenta resurrezione di Palazzo Madama, in “Taurasia”, n. 2 – settembre 2001)

Informazioni:
Il Palazzo è sede del Museo civico d’Arte Antica (vedi scheda).
Nel 2011 è stato riallestito il “Giardino botanico medievale” nel fossato del Castello. (1)

Link:
https://www.palazzomadamatorino.it/it

Bibliografia:
GRUPPO ARCHEOLOGICO TORINESE, Palazzo Madama, in “Guida Archeologica di Torino”, terza edizione, Torino, 2010, vol. II, pp. 111-116
(1) Santoro E. Il Giardino botanico medievale di Palazzo Madama, Palazzo Madama 2021, Saggio-Santoro.pdf

Fonti:
Fotografia GAT

Data compilazione scheda:
13/04/2006 – aggior. marzo 2023

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Feliciano Della Mora – Gruppo Archeologico Torinese

TORINO : Necropoli romane

Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
I ritrovamenti, nell’area urbana ed extraurbana di Torino, in gran parte già oggetto di studio tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900, testimoniano che Augusta Taurinorum non derogò a norme e prassi in uso nella maggior parte delle città romane, prima delle quali l’obbligo di ubicare le aree funerarie fuori del perimetro urbano, lungo le strade principali di accesso alla città stessa. In effetti la segnalazione di tombe riguarda nella quasi totalità il perimetro esterno alla cinta muraria, ad eccezione dello sbocco verso il Po.
La necropoli (o forse l’insieme di necropoli) principale fiancheggiava esternamente il lato settentrionale delle mura, in una zona estesa tra la chiesa della Consolata e Porta Palazzo. La sua importanza e la sua plausibile monumentalità sembrano attestate dal rinvenimento di gran parte del materiale funerario noto, come quello epigrafico, a seguito della distruzione del bastione presso la chiesa della Consolata nel XVIII sec.; è in effetti probabile l’originaria pertinenza dei reperti ad edifici funerari romani ed il loro riutilizzo in epoche successive. Non si può escludere che alla suddetta necropoli appartenessero anche i resti rinvenuti tra via XX Settembre e corso S. Maurizio, nonché la tomba in muratura, non anteriore al III sec., rinvenuta presso la sponda destra della Dora (vecchia Officina del Gas), contenente una cassa di piombo a coperchio mobile. Inoltre, nel 1999 è stata data notizia del ritrovamento, nella medesima area extramuranea, di un sarcofago di granito grigio, di epoca imperiale, accanto a resti di sepolture tardoromane, emerso nel corso degli scavi del sottopasso di corso Regina Margherita, proprio davanti all’ingresso secondario del Museo di Antichità (ora Museo Archeologico). Scavi ancor più recenti, effettuati tra il 2004 e il 2005 nel settore sud-ovest di piazza S. Carlo, hanno portato alla luce parte di una necropoli del II – III sec. estesa su una superficie di oltre 1.000 m2; sono state ritrovate 26 tombe ad inumazione, danneggiate, ma solo in quattro di esse sono stati recuperati elementi di corredo.

Tombe isolate o a piccoli gruppi trovate più lontano dalla cinta muraria, in zona Regio Parco, via Frejus, Barriera di Nizza, Borgo S. Paolo, Lucento o nell’area collinare potrebbero essere ricollegate alla presenza di stazioni agricole ed insediamenti minori (pagi, villaggi) disseminati nelle campagne suburbane piuttosto che a necropoli cittadine. In particolare, per quanto riguarda la collina, si constata che, in assenza di resti di complessi residenziali o di strutture agricole, sono proprio le sepolture a costituire la quasi totalità delle testimonianze archeologiche di epoca romana.

Nella fascia pedecollinare si segnalano la necropoli ad incinerazione associata a monete imperiali di borgo Piacentino di Moncalieri, inoltre piccoli gruppi di tombe rispettivamente a Testona (nei pressi della chiesa di S. Maria, insieme ad una moneta di Costantino) ed in borgata Moriondo; nell’area propriamente collinare si segnalano inoltre le sepolture di Ronchi di Cavoretto e di regione Fioccardo ed inoltre la tomba del Bric della Maddalena, interessante per la presenza di clavi trabales, oggetti rituali foggiati a forma di chiodo. Nel complesso le testimonianze contribuiscono a confermare che l’insediamento sparso costituiva la principale forma abitativa della collina; peraltro, laddove è stata trovata una sia pur piccola necropoli, “data la frequente vicinanza tra il cimitero e le strutture abitative, come per lo più si è riscontrato nel corso di scavi archeologici in Italia settentrionale, si può presupporre che questi piccoli gruppi di tombe siano indice della presenza di un insediamento di qualche genere nelle immediate prossimità” (da La Rocca Hudson).
Tipologicamente, soprattutto a partire dal III sec., la quasi totalità dei reperti è costituita da sepolture “a cappuccina”, con tetto a capanna e caratterizzate dalla povertà del corredo funebre e dal reimpiego di materiali quali mattoni e tegole. Anche la zona ubicata lungo la via delle Gallie presentava sepolture disposte in piccoli gruppi in relazione alle abitazioni di cui era costellata: ad esempio un gruppo in corso Francia, forse non posteriore al III sec., una piccola necropoli con monete di Tito, Geta e Nerone in borgata Cenisia e, a sud dell’antica strada di Rivoli, un gruppo con cinque tombe di cremati, allineate, di cui quattro laterizie ed una in muratura.

Nella zona di Porta Susa, scoperto proprio mentre si gettavano le fondamenta della stazione (1854-1855), si trovava un sepolcreto piuttosto esteso con alcune anfore cinerarie contenenti ceramica figulina, vetri, oggetti in bronzo, ferro ed avorio, monete imperiali. In base a tali ritrovamenti si riscontra un’altra prassi consueta nel mondo romano, la lunga coesistenza dei riti dell’inumazione e dell’incinerazione. Le strutture funerarie sono risultate, come già riscontrato per le zone collinari, per lo più modeste, in quanto evidentemente destinate ai meno abbienti, e limitate a semplici anfore segate o capannette murate di embrici, inclinati in corrispondenza dei due lati più lunghi e verticali in corrispondenza degli altri due, coperte di tettuccio a tegoloni, pavimentate di ammattonato o di calcestruzzo, e talora disposte sul nudo suolo, di poco dissimili dalle tombe e dalle capanne celto-liguri. Le altre sepolture consistevano in camere sotterranee, murate di cotto e di pietrame o disposte a cassoni di lastre di pietra, coperte di tegoloni o di lastra tombale su cui si leggeva l’iscrizione e corredate di oggetti funerari (anfore di terracotta, ampolle di vetro, lucernette fittili, balsamari, oggetti di bronzo quali patere ed, in qualche caso, strigili).

In effetti per Torino non si hanno molte notizie di monumenti sepolcrali o, più in generale, di tombe non sotterranee: già da tempo si ipotizza la pertinenza ad un monumento funerario, probabilmente ubicato nell’area sepolcrale fuori Porta Praetoria, del frammento di stele marmorea recuperato in piazza Castello nel 1925 ed attualmente conservato a Palazzo Madama; attribuito alla prima metà del I sec., presenta sulla fronte un rilievo con la lupa che allatta i gemelli nel contesto di un paesaggio roccioso. E’ del resto plausibile che anche Torino, analogamente alle altre città romane, vantasse almeno alcune strutture funerarie, dedicate a personaggi e famiglie di spicco, ragguardevoli sia per monumentalità che per valore artistico. In particolare, studi recenti compiuti in relazione ad un restauro su reperti conservati nel Museo Archeologico porterebbero all’individuazione di un imponente monumento a pianta quadrata, collocato ipoteticamente nell’area funeraria fuori Porta Palatina. Tali reperti sono noti già da lunghissimo tempo nelle collezioni torinesi, forse già dalla fine del XV sec. se è vero, come è stato ipotizzato, che gli stipiti del Duomo decorati con fregi d’armi ne rappresentano un’imitazione, e consistono in un gruppo di blocchi parallelepipedi, forse provenienti dall’area di Porta Palazzo, in marmo bianco di Carrara ed alti in media 45 cm, decorati su una faccia da un ricco repertorio di armi romane e “galliche”. In effetti già nel XIX sec. i blocchi erano stati riconosciuti come resti di un monumento funerario, il cui destinatario si identificherebbe con Q. Glizio Agricola, illustre personaggio torinese, peraltro vissuto in un’epoca vicina a quella corrispondente alla probabile datazione dei fregi (prima metà del II sec.). Si tratterebbe, invece, secondo una suggestiva interpretazione risalente agli anni ’30 dello scorso secolo, di un monumento celebrativo posto extra moenia, assimilabile alla tipologia dell’arco di trionfo in base ad elementi tecnici ed iconografici nonché di confronto con vari archi onorari, tra cui quello di Aosta.

Di interesse anche il rilievo recuperato in via Parma che, come evidenziato dalla Mercando, “presenta eccezionalmente i busti dei due defunti nudi…di solito, invece, i busti dei defunti sono più o meno riccamente panneggiati, come si può osservare in un altro rilievo torinese, coevo: i personaggi maschili indossano la toga, quelli femminili la tunica a palla”.
Di particolare interesse storico, infine, un gruppo di epigrafi commemorative dei caduti nella battaglia che nel 312 vede affrontarsi proprio a Torino Costantino e Massenzio.

Luogo di custodia dei materiali:
La maggior parte del materiale funerario è attualmente custodito presso il Museo Archeologico di Torino

Bibliografia:
in “Archeologia in Piemonte” – Torino, 1998 – vol. II – “L’età romana” : L. MERCANDO – Riflessioni sul linguaggio figurativo – pp. 323; 337-338; 351
G. MOLLI BOFFA – Tombe romane in Piemonte – pp. 189; 192-193: 200-201
R. GRAZZI – Torino romana – Torino, 1981 – p. 26
C. LA ROCCA HUDSON, Le vicende del popolamento in un territorio collinare: Testona e Moncalieri dalla preistoria all’alto medioevo, “BSBS” LXXXII, 1984, pp. 45-50
M. LUPO – Lo scavo restituisce un tesoro – La Stampa, 11 giugno 1999
Guida Archeologica di Torino del GAT – Torino, 1996, Seconda Edizione – pp. 42-43 ed edizione 2010, Savigliano CN, p.9

Data compilazione scheda:
6 dicembre 2002 – aggiornamento maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Marina Luongo – Gruppo Archeologico Torinese

TORINO : Museo Storico Nazionale di Artiglieria

Storia del Museo:
Fu istituito il 18 aprile 1731 da Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna, nei locali dell’Arsenale. In seguito all’occupazione francese del 1798, le collezioni vennero disperse. Nel 1842 il Museo venne ricostituito dal re Carlo Alberto. Nel 1893 il Museo trovò sistemazione nel mastio della Cittadella, sua attuale sede.
Attualmente è chiuso in attesa di interventi di risistemazione logistica del materiale contenuto e di interventi strutturali.  Si ipotizza, per la fine del 2016 o 2017, davanti al Mastio, la realizzazione di un grande salone sotterraneo ad anfiteatro, cui si dovrebbe accedere attraverso due percorsi, uno dei quali consentirà di ammirare i livelli stratigrafici del terreno, mettendo a nudo alcuni reperti archeologici: quelli del villaggio romano extraurbano che sorse in quel punto, le fondamenta del tempio di Iside (di cui il Museo conserva un frammento marmoreo) e della successiva Abbazia benedettina di San Solutore, distrutta quando venne eretta la Cittadella.

Descrizione delle collezioni:
Le ricche raccolte di armi illustrano l’evoluzione dell’armamento dalla preistoria ai giorni nostri.

Descrizione del materiale non esposto:
Fra il materiale non esposto si evidenzia un’ascia preistorica bipenne di pietra liscia molto ben conservata ed un elmo apulo di bronzo tirato a martello (sec. V – IV a.C.). Nella raccolta del museo figurano inoltre armi di pietra del paleolitico e del neolitico; amigdale, punte di freccia e di lancia, coltelli ed asce; armi di bronzo e di ferro ed armi difensive.

Informazioni:
Corso Galileo Ferraris 0 (Mastio della Cittadella) (sede storica)
Le collezioni del Museo sono ora visitabili nella sede provvisoria della Caserma Amione in piazza Rivoli a Torino, ingresso corso Lecce, 10..
E’ necessario prenotare la visita con un anticipo di 5 giorni info http://www.artiglieria.org/html/visite.html : mail: segrmuseoart@cmeto.esercito.difesa.it ; tel. 011 56033124 oppure 011 56033118

Links:
http://www.artiglieria.org

http://www.museotorino.it/view/s/9bf53a7d4d1747ff9b191526eab67c11

Data compilazione scheda:
26 ottobre 2000 – aggiornamento marzo 2014 – maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Feliciano Della Mora – Gruppo Archeologico Torinese

TORINO : Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi.

Storia del Museo:
La nascita del Museo si può far risalire alla costruzione della “vedetta alpina” sulla cima del Monte dei Cappuccini avvenuta nel 1874.  Successive modifiche ed ampliamenti nel corso degli anni 1877, 1885, 1888, 1901, 1911, 1918 lo portarono alla situazione attuale dopo un radicale intervento strutturale avvenuto negli anni 1940-1942.
Una ristrutturazione dell’immobile, terminata alla fine del 2005, ha portato ad un totale riallestimento dal 2006.
Sede anche di mostre temporanee.

Descrizione del materiale esposto:
Il museo espone  due riproduzioni (calchi in gesso del 1940) di un’incisione rupestre della Valcamonica e dell’incisione del “Capo tribù” del Monte Bego, Alpi Marittime.
Inoltre, sempre nella prima sala, è presente una riproduzione in vetroresina del 1999 di “Ötzi”, l’Uomo di Similaun.

Descrizione del materiale non esposto:
Le collezioni di proprietà del Museo Civico di San Remo non sono state utilizzate per l’attuale allestimento e vengono per ora conservate nei magazzini del museo. Vi sono interessanti selci lavorate con diversa fattura: paleolitico medio – industria musteriana, proveniente dalle Alpi Marittime; paleolitico superiore – industria Aurignaziana e Mesolitica, proveniente dalla Val Pennavaire – Liguria; ascia del Campignano – Monti Lessini; materiale vario di età eneolitica e del bronzo, proveniente dai Monti Lessini.

Informazioni:
Tel. 011 6604104    email: posta@museomontagna.org

Link:
http://www.museomontagna.org

Data compilazione scheda:
30/12/2005 – aggiornamento marzo 2014  –  settembre 2015

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Feliciano Della Mora – Gruppo Archeologico Torinese