musei p. Alessandria
Tortona (AL) : Museo Civico
Storia del Museo:
Ordinato nei primi anni di questo secolo (1905) ad opera della Società per gli studi di Storia, Economia ed Arte nel Tortonese (sorta nel 1903 ed ancora attiva come Società Storica Pro Iulia Dertona) trovò sistemazione a Palazzo Guidobono nel 1955, dopo i lavori di restauro che avevano interessato l’edificio dal 1938. Il primo nucleo di materiali (soprattutto lapidi e reperti fittili) risale al 1891, quando la preziosa collezione archeologica del cav. Cesare De Negri Carpani, alla sua morte e secondo le sue volontà testamentarie, venne divisa fra Alessandria e Tortona. Nel 1905 la raccolta si arricchì per la donazione alla città, da parte del vescovo mons. Igino Bandi, di importanti pezzi (tra cui il sarcofago di P. Elio Sabino) fino ad allora conservati in Cattedrale e nel Palazzo Vescovile.
Descrizione del materiale :
Attualmente il Museo raccoglie più di 2000 reperti, testimonianze tanto concrete quanto affascinanti della storia locale, dalle epoche più remote al Medioevo. Del resto il nome di Tortona si può leggere anche nei libri di geologia e già nelle primissime pagine di quelli di storia. Infatti, Tortoniano ha nome uno dei piani del Miocene (che termina 7 milioni di anni fa) e lo Sperone di Tortona è una tipologia geologica le cui successive, varie formazioni sono abbondantemente fossilifere. Il Museo possiede una interessante raccolta di fossili locali ed è in grado di documentare anche la più antica presenza dell’uomo nella nostra zona: un cranio neolitico, appartenuto probabilmente ad un maschio di 20 anni e risalente al quarto millennio a.C., alcuni pezzi di corna di cervo lavorate e selci scheggiate costituiscono il piccolo, ma significativo retaggio della presenza umana nel Tortonese prima dell’epoca storica. L’origine di Tortona sembra potersi far risalire con sempre maggior certezza ad un insediamento preistorico ligure sulla collina del castello, tra l’VIII e il V secolo a.C.. In effetti, durante lavori di recupero, consolidamento, studio stratigrafico del muro romano di Via alle Fonti sono stati rinvenuti frammenti ceramici dell’età del ferro, che assieme al materiale laterizio proveniente dal castelliere del Guardamonte di Gremiasco rappresentano il nucleo ligure del Museo. La civiltà gallica è presente con diverse fibule intere o frammentarie, mentre qualche bel vaso di bucchero testimonia che gli Etruschi sono passati di qui. Il Museo, comunque, si qualifica soprattutto per il materiale romano, proveniente da Julia Dertona, la seconda colonia romana dedotta tra il 40 ed il 30 a.C. sul territorio della più antica Dertona, sorta nel 120 a.C. circa, a seguito di una colonizzazione d’età repubblicana, di poco successiva a quella promossa da Caio Gracco. Altre fonti letterarie antiche (in particolare Livio, Ab Urbe condita XXXII, 5, 49 e Strabone, Geographicon V, I, 11) collocano Dertona tra le città romane nobili e degne di considerazione e come importante nodo stradale. In effetti, alcuni dei pezzi conservati nel museo sono di così singolare bellezza o di proporzioni tali da confermare l’ipotesi che la città fosse grande, fiorente e ricca di edifici pubblici e di templi. Fra i reperti, particolarmente interessanti e pregevoli sono: – il sarcofago marmoreo di Publio Elio Sabino (sec. III d.C.); – la lapide dei tre ciabattini, stele d’arenaria (sec. III d.C.); – il pavimento a mosaico policromo (età imperiale); – le fistulae plumbeae dell’acquedotto (età imperiale); – le lucerne fittili e le anfore vinarie; – la collezione di monete. Stando alle testimonianze d’epoca, per altro non prive di riscontri in studi recenti, Tortona sarebbe la più antica colonia romana del Piemonte e sembra poter vantare questo primato anche come diocesi. Sebbene abbia scarsi fondamenti storici la tradizione che attribuisce già alla fine del I secolo, l’evangelizzazione del territorio dertonino e la fondazione della diocesi di Tortona ad opera del vescovo Marziano, martire nel 122 d.C., è invece accertato che alla metà del IV secolo Dertona è sede vescovile ed il suo vescovo Innocenzo appare a capo di una comunità cristiana solida ed attiva. Se si tien conto della datazione e del numero delle iscrizioni (54 fino al VI sec.) e delle lucerne fittili (46) paleocristiane rinvenute, si hanno elementi sufficienti a fare di Tortona una delle località dell’alta Italia che possono vantare la più grande antica diffusione del cristianesimo. In particolare, per quanto riguarda le iscrizioni, sono ben 70 quelle riunite nel lapidario paleocristiano del Museo. Qui è anche la lapide di Crescentia datata 434 d.C., che rappresenta la più antica testimonianza certa del Cristianesimo a Tortona. Queste epigrafi paleocristiane (V-VIII sec. d.C.), tutte di destinazione funeraria, costituiscono una preziosa documentazione della situazione di Tortona nei “secoli bui” dell’Alto Medioevo e consentono, ad esempio di cogliere visivamente il progressivo imbarbarimento della lingua, nella fase di passaggio dal latino al volgare. Alcuni frammenti di lapidi, scritte in caratteri greci, sono particolarmente interessanti quali rari documenti della presenza a Tortona dei Bizantini nella seconda metà del 500 d.C.. Tutto sommato ben rappresentato nel Museo (con oggetti di fine oreficeria) è il periodo (490-555 d.C.) dell’insediamento dei Goti di Teodorico, che aveva eletto la città a “granaio della Liguria”, come scive Cassiodoro nelle sue “Variae”. Dai primi anni del 600 e fino al 773 d.C., cioè per quasi due secoli, Tertona è soggetta ai Longobardi; il museo documenta anche questa così stabile e prolungata presenza, sebbene solo con poca suppellettile domestica.
Da segnalare sono: – la collezione di ceramica (200 frammenti), graffita, dipinta, monocroma ed invetriata, soprattutto di produzione locale; – l’arca reliquiaria del 1210, appartenuta al convento benedettino di S. Stefano (area di Palazzo Canegallo, in piazza Malaspina), che reca scolpite a bassorilievo sui lati figure dei santi, martiri e vescovi. Sono effigiati Germano, Demetrio, Vittore, Eustachio, Cosma, Giacomo, Filippo, Barnaba, Lorenzo e Biagio. Sono solo ricordati col nome diversi beati: Nabore, Felice, Simone, Giuda, Teodoro, Luca, Arsenio, Cipriano, Afra; – gli esemplari della monetazione prodotta dalla zecca di Tortona (sec. XIII).
Durante i lavori di ristrutturazione del museo sono comparsi, sotto il pavimento, murature romane e depositi di epoche anteriori che si intenderebbero recuperare (progetto Museo nel Museo).
Informazioni:
P.zza Arzano 2 / Via S. Marziano, tel. 0131 863470 / 0131 864273 , temporaneamente chiuso; è in corso la realizzazione del nuovo museo civico archeologico
Links:
http://www.comune.tortona.al.it/Sezione.jsp?titolo=Museo%20archeologico&idSezione=645
Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
16 luglio 2004 – aggiornamento febbraio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – Gruppo Archeologico Torinese
Serravalle Scrivia (AL) : area archeologica e museale di “Libarna”
Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
I resti della città romana di Libarna, già ricordata da Plinio, furono scoperti tra il 1820 ed il 1825, durante i lavori per la costruzione della “strada regia”, che da Genova portava a Novi Ligure, e da allora gli scavi ne hanno portato alla luce ampie parti.
Il sito vede intensi transiti fin dall’età del Ferro ed acquista importanza in età romana con il tracciato della via Postumia (148 a.C.) che, partendo da Genova, valica l’Appennino e procede verso Aquileia. Già in un periodo compreso tra la fine del III sec. e l’inizio del II sec. a.C. nell’area di Serravalle, sulla collina del Castello, è documentata la presenza di un nucleo di popolazione ligure, confermata anche da resti murari di possibile età repubblicana. La città sorge agli inizi del I sec. a.C.; tra l’89 a.C. (data della concessione del diritto latino alle popolazioni della Cisalpina) ed il 49 a.C. (data della concessione del diritto romano) si costituisce in municipium ed in età augustea viene compresa nella IX Regio ed ascritta alla tribù Maecia.
Il suo territorio confinava a sud con quello di Genova, a nord con Tortona, ad est con Veleia e ad ovest con Acqui Terme. Era organizzata secondo una rete urbanistica regolare, divisa in insulae (isolati) ed era centrata sul foro, posto all’incrocio delle due vie principali lastricate: il cardine massimo, costituito dal tratto urbano della via Postumia, ed il decumano massimo, che collegava il foro all’anfiteatro. Altre vie ad esse parallele suddividevano gli isolati di abitazione. Delle circa 40 insulae, 8 erano occupate da edifici pubblici.
L’area attualmente visitabile (solo un decimo dell’antica Libarna, la cui superficie era di ca. 23 ettari) occupa l’angolo nord-orientale: qui sono oggi visibili i resti di due isolati residenziali, l’anfiteatro ed il teatro.
Quest’ultimo, costruito tra la fine del I sec. e l’inizio del II sec. d.C., si trova attualmente in posizione infelice, tra due tratte ferroviarie, cosa che non permette di apprezzarne appieno la monumentalità e l’inserimento urbanistico di notevole impatto. L’ingresso principale era quello centrale, cui si affiancavano altri sei ingressi secondari ed era chiuso da un ambulacro colonnato. Il monumentale spazio quadrangolare ad esso collegato, verosimilmente tenuto a giardino e circondato da un ampio porticato, svolgeva la funzione di foyer, come si riscontra in altri esempi piemontesi (Torino, Benevagienna…). Della ricca decorazione architettonica restano solo poche notizie e alcuni frammenti, essendo stata quasi completamente asportata nel periodo in cui il teatro fu usato come cava di materiali edilizi.
L’anfiteatro, collocato in posizione scenografica, fu costruito nella seconda metà del I sec. d.C., all’estremità del decumano. Contrariamente alle consuetudini, non si trovava all’esterno del perimetro cittadino ma era inserito nell’impianto urbano, dove occupava lo spazio di due interi isolati, delimitato da portici. All’ingresso principale, al centro di uno dei due lati brevi in corrispondenza del decumano massimo, si affiancavano 12 corridoi secondari che consentivano un agevole accesso degli spettatori. Si può ipotizzare che, come per il teatro, l’elevato comprendesse due ordini, di cui il primo ospitava le gradinate per i posti a sedere, il secondo il loggiato per i posti in piedi. Per quanto concerne le abitazioni private, si ritiene che Libarna offra l’esempio più interessante e completo della regione.
I due isolati adiacenti l’anfiteatro sono probabilmente databili alla fine del I sec. a.C. e ristrutturati dopo la costruzione dell’anfiteatro stesso. Ciascuno è diviso in diverse domus che presentano il tipico schema della casa romana, con ambienti articolati intorno ad uno o più cortili, talvolta porticati e dotati di pozzi e fontane.
L’approvvigionamento idrico era assicurato da un acquedotto che partiva dalla valle del rio Borlasca. La prosperità dell’insediamento è comprovata dai notevoli mosaici che decoravano gli ambienti, tra i quali uno ancora visibile in situ, con la raffigurazione del mito di Licurgo e Ambrosia. Tra gli oggetti rinvenuti si segnalano piccole sculture in ambra (un giovinetto, un personaggio con cesto, un anello con testa dionisiaca), forse in parte provenienti da Aquileia, ed alcuni oggetti in bronzo (una statuina di Vittoria, collegabile alla produzione di Veleia, una di Minerva, un modellino di faro). Questi manufatti, così come altri frammentari in ceramica e vetro, sembrano suggerire un’ampia circolazione delle maestranze nel periodo di massima fioritura della città, tra il I e il II sec. d.C. ma, già a partire dal III sec. d.C., la prevalenza di altri percorsi viari determina la rapida crisi, quindi l’abbandono, dell’abitato.
Luogo di custodia dei materiali:
Un’ AREA MUSEALE è ospitata nel Palazzo Comunale di Serravalle Scrivia (Via Berthoud, 49), visitabile negli orari di apertura degli Uffici Comunali; info, tel. 0143 633627 ; ingresso gratuito.
L’Area accoglie una selezione di reperti dell’apparato decorativo di edifici della città romana di Libarna , provenienti da una collezione privata ottocentesca. Vi sono frammenti di capitelli, cornici, fregi, l’epigrafe dello scrivano Caius Catius Martialis (II sec. d. C.), parte di una lastra marmorea con le teste a rilievo di Pan e di Gorgone. Reperti di più recente acquisizione sono una fontana, due erme, vasellame da mensa, lucerne fittili ed un emblema in opus sectile che era la decorazione centrale di un pavimento del II secolo d. C.
Altri reperti sono conservati al Museo di Antichità di Torino e ai Musei Civici di Genova.
Informazioni:
Rivolgersi alla Biblioteca Comunale di Serravalle Scrivia, Piazza Carducci 4, Tel. 0143.633627, 0143.634166, Fax. 0143.686472
Links:
http://www.comune.serravalle-scrivia.al.it/It/008/037/Area+archeologica+e+museale+di+Libarna.html
Bibliografia:
Elisa PANERO, La città romana in Piemonte, Cavallermaggiore 2000, pp. 115-131
Emanuela ZANDA, Libarna, Torino 2004
Brochure_Libarna edita dal Comune di Serravalle S.
Fonti:
Informazioni tratte dal depliant illustrativo realizzato a cura del Museo di Antichità di Torino e del Comune di Serravalle Scrivia e da “Il Piemonte degli Scavi”, supplemento a La Stampa, Torino, 2004, pp. 109-114. Fotografia dal sito del Comune di Serravalle S.
Data compilazione scheda:
08/11/2007 – aggiornamento febbraio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Marina Luongo – G.A. Torinese
Castelnuovo Scrivia (AL) : Museo Civico
Storia del museo:
Sulla via Garibaldi si ammira l’imponente PALAZZO CENTURIONE, bell’esempio di architettura genovese del secolo XVII, ora sede del Municipio, con elegante porticato a crociera.
All’interno, in quattro sale rimaste integre, fu collocato il Museo civico, costituito ufficialmente nel 1987, ricco di reperti archeologici dall’età della pietra sino all’epoca romana. Vi sono anche lapidi, statue e quadri tolti dalle chiesette abbandonate, mappe settecentesche, pergamene, gli Statuti del 1400, antiche armi, ex-voto del 1600 e lavori in ferro battuto.
Il museo sorse nel 1978 per iniziativa del Comune e di un gruppo di volontari cittadini che nel corso degli anni si erano occupati di recuperare alcuni pezzi di valore archeologico ed artistico per garantirne la conservazione e la tutela.
Quasi tutto il materiale proviene da chiese abbandonate e ripetutamente saccheggiate dai ladri. Il materiale venne restaurato con cura e competenza dagli stessi volontari, coordinati dal pittore Michele Mainoli.
In questi ultimi anni, la raccolta si è venuta ampliando raggiungendo la consistenza di 130 pezzi inventariati (escludendo i numerosi reperti archeologici). Il museo è collocato nei saloni adiacenti la biblioteca comunale ed è in fase di ristrutturazione.
Descrizione delle collezioni:
I reperti di interesse archeologico sono due anfore dissepolte nel 1904 e nel 1997; un’ascia del Neolitico trovata in zona Sicchè, frammenti di ceramica risalenti al 1000 a.C., lucernette, bracciale in bronzo, piedino in bronzo con zampa leonina, materiale edilizio tombale.
L’ing. Francesco Guagnini portò dalla Tunisia, forse da Leptis Magna, parecchi reperti tra i quali un tondo in marmo raffigurante due lottatori che presenta una retroconcavità dovuta all’utilizzo in epoche successive come mortaio; una maschera in arenaria da una tomba punica; un bacile invetriato.
Informazioni:
Info: Biblioteca comunale tel. 0131.826754
Link:
Museo Civico
Fonti:
Foto tratta dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
08 giugno 2005 – aggiornamento settembre 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Anna Vecchi – Biblioteca comunale di Castelnuovo Scrivia (AL)
Cassine (AL) : Complesso conventuale di San Francesco e museo di San Francesco “Paola Benzo Dapino”
Storia del sito:
Il complesso conventuale di san Francesco risale al XII-XIV secolo e fu edificato in stile gotico lombardo nel sito del castrum. Dal 1291 si hanno indizi del trasferimento nel convento dei frati minori conventuali. L’arrivo dei francescani attesta un progressivo inserimento della comunità religiosa nel tessuto sociale della cittadina medievale. In San Francesco si svolgevano le adunanze della comunità nei momenti critici della sua vita. Se San Francesco adempiva al ruolo di sede comunitaria per la vita di Cassine, analoga funzione svolgeva l’ampio spazio antistante, utilizzato per il mercato annuale.
Non si conosce l’intera storia della Chiesa di San Francesco a causa della dispersione dell’archivio. La chiesa ha subito varie modifiche nel corso dei secoli: al 1430 risale un campanile, l’altro al 1614; al 1548 il portale classicheggiante. Nel XVII secolo vi furono due scorrerie di truppe francesi e un terremoto che provocò danni all’edificio della chiesa, cui si rimediò con la costruzione di due robusti contrafforti e il rifacimento delle prime due campate (alla fine del 1600).
Altri lavori vennero eseguiti dopo l’arrivo da Roma, nel 1713, delle spoglie di Sant’Urbano martire, unitamente ad una settantina di reliquie custodite in preziose teche lignee intagliate: venne sistemata una cappella destinata ad accogliere le spoglie del martire. Nel 1733 venne rifatto il pavimento, l’anno successivo vennero collocati il pulpito e gli stalli del coro. Con la soppressione per decreto di Napoleone iniziò il definitivo decadimento del complesso francescano: i Minori conventuali tornarono a Cassine nel 1830; un decennio più tardi furono sostituiti dai Padri Cappuccini che ressero il convento fino al 1858. Negli edifici del convento i frati, a metà Ottocento, aprirono scuole pubbliche che vennero mantenute anche dopo che il Comune acquistò il complesso. L’abside quadrata della chiesa venne restaurata nel 1928.
Nel 2011 è stato inaugurato il Museo che espone una serie di arredi in un unico organismo costituito dagli elementi superstiti del convento e con la realizzazione di una nuova struttura avente funzione di ingresso. Il complesso, adiacente la chiesa, si compone di tre ambienti: Sala Capitolare, Sacrestia e Quadreria.
Descrizione del sito:
La CHIESA DI SAN FRANCESCO ha la facciata in cotto, con coronamento di archetti pensili originali romanici, come nel fianco sud; il portale gotico fortemente strombato.
La chiesa presenta un impianto basilicale a tre navate, a cui se ne aggiunge una quarta costituita dall’insieme delle cappelle intercomunicanti sorte in fasi successive sul lato sud. I vari interventi di ristrutturazione in stile barocco non permettono di leggere completamente la struttura originale, con archi ogivali e volte a crociera cordonate. I capitelli sono prevalentemente cubici, dalla fattura molto semplice; in alcuni casi compaiono tipologie a forma svasata con una decorazione scultorea a carattere vegetale. Un ulteriore elemento artistico è la decorazione pittorica: tutte le superfici interne delle zone superiori della chiesa furono decorate, poco dopo l’edificazione, con fregi cosmateschi, finti conci alternati e finti marmi, fregi a spirale, rosoni e altri motivi in stretta connessione al momento architettonico.
L’interno conserva resti di AFFRESCHI dal XV al XVII secolo. Sul primo pilastro a sinistra è affrescata una immagine di Madonna con Bambino datata al XV secolo grazie all’analisi mensiocronologica (cioè basata sulla misura dei mattoni).
A sinistra della facciata della chiesa vi è l’ex-convento, con un bel portale ogivale a conci di tufo e mattoni alternati. Il chiosco presenta portico e loggia; in un’aula a sinistra, l’antica SALA CAPITOLARE vi è un ciclo pittorico trecentesco raffigurante la “vita di Cristo” (Crocifissione, Epifania…) attribuito al “maestro di Cassine”, cui alcuni studiosi attribuiscono anche affreschi nella chiesa di san Michele a Pavia. Al centro della parete orientale c’è una Crocifissione, mentre sul lato destro sono raffigurati san Francesco e san Giacomo. Sulla parete nord sono effigiate le Storie dei Magi e l’Adorazione del Bambino in braccio alla Vergine, mentre sulla parete opposta si trova una Vergine con Bambino in trono e sant’Antonio abate, santa Caterina d’Alessandria e san Giorgio. Nelle vetrine sono esposti alcuni reliquiari lignei, dipinti e dorati, appartenenti a un unico complesso giunto nel 1713 a Cassine come dotazione a corredo delle spoglie di sant’Urbano Martire. Altro reliquiario importante è quello del triregno funebre di papa San Pio V, databile al 1588. Nella Sala Capitolare vi sono anche due crocifissi lignei policromi di ambito alessandrino (XV-XVI sec.).
La SACRESTIA, modificata nel 1713, con l’inserimento di due armadi la costruzione, sulla parete orientale, di un altare in muratura sovrastato dall’affresco della Vergine con Bambino e i santi Matteo e Bonaventura, attribuite al Monevi. Durante il restauro degli armadi, sulla parete Nord, è emerso un affresco del 1532 con la stessa iconografia dell’altare. Sul lato opposto è stato rinvenuto il dipinto di un cavaliere munito di scudo e vessillo con croce; il soffitto a cassettoni lignei è tardomedievale. Completano gli arredi una scultura lignea secentesca dell’Ecce Homo e quattro reliquiari del ‘700 in lamina d’argento e il reliquiario della Vera Croce (XVIII sec.).
La QUADRERIA si trova nella terza sala, originariamente collegamento fra sacrestia e chiesa. Contiene 14 tele della Via Crucis (1796) del bolognese Fancelli, tele sei-settecentesche e la pala della Vergine con Bambino fra san Francesco e san Biagio, di fine Cinquecento, opera dell’alessandrino Soleri. Durante il restauro sono stati individuati strati pittorici sovrapposti ed è emerso che la figura di san Francesco era stata dipinta sopra una precedente raffigurazione di un santo Vescovo.
Informazioni:
Piazza Vittorio Veneto, 2 . Comune tel. 0144 715151
Allegato Pieghevole Museo Cassine
Link:
http://www.comune.cassine.al.it – Complesso conventuale di San Francesco
Bibliografia:
ARDITI S., Il trecentesco complesso conventuale di San Francesco di Cassine, in Alto Monferrato, tra Piemonte e Liguria, tra pianura e Appennino, storia, arte e tradizioni, coordinamento di Luigi Gallareto e Carlo Prosperi, Torino 1998.
GREGORI M. (a cura di), Pittura murale in Italia dal tardo duecento ai primi del Quattrocento, Ist. Bancario S. Paolo Torino, Torino, 1995.
Fonti:
Foto in altro tratta dalla pagina Wikipedia: Cassine, monumenti e luoghi d’interesse
Foto in basso tratta dalla pagina del sito del Comune: Complesso conventuale di San Francesco
Data compilazione scheda:
24 gennaio 2006 – aggiornamento giugno 2014 – dicembre 2021
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese
Casale Monferrato (AL) : Museo Civico
Storia del museo:
L’istituzione del Museo risale al 1854, quando la collezione etnografica formata da Carlo Vidua fu donata alla città da Clara Leardi.
Il Museo ha sede nell’antico convento agostiniano di Santa Croce, affrescato all’inizio del Seicento da Guglielmo Caccia detto il Moncalvo.
Nelle ventiquattro sale sono ordinate oltre quattrocento opere suddivise nei settori Pinacoteca e Gipsoteca Bistolfi. Di recente è stata aperta la Sala Archeologica, allestita con i reperti risalenti all’età del Bronzo Finale (X secolo a.C.) rinvenuti a Morano Po (loc. Pobbieto). (vedi scheda su Archeocarta).
Esposizioni temporanee:
Sino al 2007 fu allestita la mostra: “In riva al fiume Eridano”. Nel periodo 2007-2014 il Museo Civico ha poi ospitato la mostra archeologica “Longobardi in Monferrato”, che è stata disallestita nell’estate 2014 per decorrenza dei termini del deposito.
Informazioni:
tel 0142 444309 oppure 0142 444249 email: cultura@comune.casale-monferrato.al.it
Link:
http://www.comune.casale-monferrato.al.it/Museo Civico
Bibliografia:
VENTURINO GAMBARI M. (a cura di), “In riva al fiume Eridano”, catalogo della mostra allestita sino al 2007 al Museo Civico di Casale Monferrato
Data compilazione scheda:
10 settembre 2004 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – Gruppo Archeologico Torinese
Brignano-Frascata (AL) : Polo museale
Storia del museo:
Il museo sorse per esporre una selezione dei numerosi reperti, databili tra l’epoca neolitica e l’Età del Bronzo, venuti alla luce nell’area della comunità montana delle Valli Curone, Grua e Ossona, dove sorgevano alcuni dei più antichi insediamenti neolitici conosciuti della pianura padana.
Il polo museale sorse per iniziativa della Comunità Montana, della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria e del GAL Giarolo, che finanziarono la ristrutturazione dell’edificio del Comune di Brignano Frascata, che lo mise a disposizione per realizzare mostre temporanee e permanenti e attività di indirizzo didattico e divulgativo.
Attualmente il museo risulta chiuso e vuoto.
Descrizione dei ritrovamenti:
Nel comune di Momperone sono stati trovati resti di un villaggio abitato nell’Età del Bronzo, in varie località sono stati rinvenuti reperti dall’età del ferro all’età romana.
In frazione Frascata sono stati trovati i resti di un edificio rurale della prima età imperiale romana (I-II sec. d.C.). Nelle vicinanze si trovava una fornace per la produzione di anfore. Dal IV secolo il complesso venne sostituito da un abitato con strutture in materiale vario e abbandonato nel corso del VI secolo.
In frazione San Giorgio vi era un altro insediamento rurale della prima età imperiale, che ebbe un notevole sviluppo tra il IV ed il V secolo con strutture abitative con base in pietra ed elevato in argilla su scheletro ligneo.
Descrizione delle collezioni:
Nel museo erano conservati anelloni, asce, accette e scalpelli in pietra verde collegati alla presenza di centri di lavorazione attivi in loco tra il VI e d il V millennio a. C.
L’Età del Rame era meno documentata, con alcuni reperti della cultura del “Vaso campaniforme”. Sul versante destro della Val Curone si trovano i resti del villaggio del Neolitico antico di Brignano Frascata, che ha restituito anche reperti del Neolitico più avanzato e dell’Eneolitico.
Nel vicino comune di Casalnoceto è stata rinvenuta una struttura risalente al Neolitico antico-medio, con un pozzetto in cui sono stati accumulati strati con ceramiche e strumenti in selce e quarzo.
Informazioni:
Il museo è chiuso. Piazza IV Novembre – Email: mgmilani@tor.it, tel. 0131 784 003
Link:
http://archeo.piemonte.beniculturali.it -Archeologia nella Valle del Curone
archeologia media valle del Curone.pdf
Bibliografia:
Mandolesi A., Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle di Aosta, Editurist, Torino, 2007.
Pantò G. (a cura di), Archeologia nella valle del Curone; Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1993.
Venturino Gambari M. (a cura di), Archeologia in provincia di Alessandria, Ed. De Ferrari, Genova, 2006.
Fonti:
Fotografia d’archivio
Data compilazione scheda:
27 ottobre 2008 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
ALESSANDRIA – Villa del Foro : Antiquarium
Storia del Museo:
L’ Antiquarium raccoglie parte dei reperti dell’importante sito archeologico romano di Forum Fulvii. I primi scavi dell’inizio anni ’80, avvennero sulla base dei materiali trovati a seguito di lavori agricoli. Il museo è ospitato nei locali dell’ex scuola elementare.
Si è inaugurato, il 28 ottobre 2008, il nuovo allestimento multimediale dell’Antiquarium, mentre veniva presentato il progetto “Dagli Etruschi a Baudolino. Villa del Foro e le origini di Alessandria”.
La zona archeologica di Villa del Foro (vedi scheda) sarà aperta al pubblico con percorso guidato strutturato con pannelli informatici. Nel 2009 è stato ampliato lo spazio dell’esposizione museale con sale dedicate al più antico popolamento del territorio, che risale al VI millennio a.C.
Descrizione delle collezioni:
Il percorso si propone di illustrare con reperti e pannelli i principali aspetti del popolamento nell’area di Villa del Foro, dalla preistoria all’età romana e altomedievale evidenziando il ruolo svolto dal fiume Tanaro nel favorire lo sviluppo degli abitati e i contatti commerciali. Nella sala dedicata all’emporio ligure della media età del ferro (VI-V secolo a.C.) collocato in prossimità della confluenza del Belbo con il Tanaro, vengono illustrate in particolare le attività artigianali connesse alla lavorazione dell’argilla per la produzione di vasi in ceramica da impasto, spesso ad imitazione delle analoghe forme in bucchero etrusco.
La città romana (fine II sec a.C. – III secolo d.C.) era collocata lungo un importante arteria (via Fulvia), e l’Antiquarium presenta testimonianze della presenza di officine per la lavorazione della ceramica, dei metalli e per la produzione di oggetti in vetro. Il corredo di una tomba del I sec. d. C., tra le più ricche della necropoli di Forum Fulvii, fornisce lo spunto per un approfondimento sugli usi funerari romani nell’età imperiale (I-II sec. d.C).
Informazioni:
Il museo si trova nella frazione Villa del foro, via Oviglio, 10. Ufficio Cultura del Comune di Alessandria, tel. 0131 40035 /0131 234794. Email: sistemamusei@comune.alessandria.it. CHIUSO E IN SITUAZIONE DI DEGRADO
Bibliografia:
AAVV, Villa del foro e agro alessandrino: archeologia del territorio; Biblioteca civica di Alessandria, 1999
Venturino Gambari M. ( a cura di ), Archeologia in provincia di Alessandria, Ed. De Ferrari, Genova, 2006
Mandolesi A., Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle di Aosta, Editurist, Torino, 2007
M. Venturino Gambari, S. Gatti, M. Giaretti, 2010, Alessandria, frazione Villa del Foro. Indagini archeologiche nell’area del sito della media età del Ferro, in “Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte”, 25: 130-133.
Fonti:
Fotografia in alto da http://www.alexala.it/
foto in basso di Claudio Pasero: la situazione odierna.
Data compilazione scheda:
28/10/2008 -aggiornamento febbraio 2014 – settembre 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta -G.A.Torinese
ALESSANDRIA : Museo civico
Storia del museo:
Palazzo Cuttica di Cassine, edificio settecentesco sito nel cuore della città che conserva intatto il suo aspetto di dimora nobiliare, è la sede delle raccolte del Museo Civico, creato nel 1885, dove è stato recentemente allestito il nuovo percorso museale.
Descrizione delle collezioni:
Le raccolte comprendono arazzi, paramenti sacri e corali miniate del Papa Pio V Ghisleri, unico papa piemontese; cimeli e documenti relativi a Napoleone Bonaparte e alla celebre battaglia di Marengo; stampe, carte geografiche e opere di pittura sacra piemontese, tra cui il polittico dell’Annunciazione della Vergine opera di Gandolfino da Roreto.
LE COLLEZIONI ARCHEOLOGICHE comprendono splendidi oggetti di età pre-romana e romana frutto di un’intensa attività di collezionismo ottocentesca (Cesare Di Negro Carpani), e reperti provenienti da scavi nell’alessandrino. I reperti di età romana provengono da Villa del Foro, Libarna e Tortona. Molti i manufatti di epoca preistorica e protostorica: da Castelceriolo provengono rinvenimenti paleolitici; dalla località Il Cristo asce e scalpello in pietra verde di epoca neolitica.
Le caratteristiche storico-archeologiche delle collezioni, il loro significato nelle attuali conoscenze sulla preistoria e storia antica dell’area alessandrino-tortonese, la qualità e la provenienza interamente locale, ne fanno un insieme di rilevante interesse e di particolare importanza.
Informazioni:
Assessorato Cultura tel. 0131 40035 Email: sistemamusei@comune.alessandria
Link:
http://www.cultural.it/musei/civico.asp – I percorsi del Museo Civico
Bibliografia:
Venturino Gambari M. (a cura di), Archeologia in provincia di Alessandria, Ed. De Ferrari, Genova, 2006.
Fonti:
Fotografia GAT
Data compilazione scheda:
25 ottobre 2008 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
ALESSANDRIA : Musei Civici, Sale d’Arte – “Le stanze di Artù”
Storia del museo:
Le Sale d’Arte comunali sono oggi aperte al pubblico nei nuovi locali ristrutturati dell’edificio che ha ospitato fin dalla seconda metà dell’Ottocento, il Museo, la Pinacoteca civica e la Biblioteca di Alessandria.
Il percorso museale rinnovato negli arredi e nelle strutture espositive, intende proporre al pubblico alcune delle più importanti opere e oggetti d’arte appartenenti alle collezioni del Museo e della Pinacoteca civica. La nuova sede suddivisa in quattro sezioni espositive oltre a proporre una riflessione sull’identità civica della città che vede le sue radici nel Medioevo e nella civiltà comunale, accoglie lo splendido ciclo di affreschi ispirati alle storie di Artù. L’Ottocento rivisitato attraverso il fascino della pittura di Giovanni Migliara e il Novecento rappresentato attraverso l’opera dell’alessandrino Alberto Caffassi, anticipano l’esposizione di opere d’arte contemporanea confluite nelle collezioni a partire dagli anni ‘20. Quest’ultima sala viene inoltre utilizzata per le mostre temporanee.
Descrizione del materiale esposto:
Si tratta di un ciclo di affreschi, commissionati alla fine del XIV secolo da Andreino Trotti, condottiero e membro di un’importante famiglia alessandrina, per festeggiare la vittoria ottenuta nel 1391, al fianco di Gian Galeazzo Visconti, contro le truppe francesi. Gli affreschi si situano successivamente a questa data e prima del 1402, anno di morte di Galeazzo Visconti e del Trotti medesimo. Il ciclo è uno degli esempi più antichi di “camera Lanzaloti” (così in epoca medievale venivano chiamate le sale decorate con tali soggetti) che si sia conservato ai nostri giorni e testimonia il notevole successo riscosso dall’iconografia arturiana in quel periodo. La fonte letteraria degli affreschi è il romanzo “Lancelot du Lac“, il più famoso dei testi della saga cavalleresca di Re Artù, tratto dalla “Vulgate Arthurienne” di Chretien De Troyes.
In origine le quindici scene del ciclo decoravano le pareti della grande sala di rappresentanza della Torre Pio V di Frugarolo (AL) che fu prima curtis carolingia, poi castrum e mansio fornita di hospitium dei cavalieri gerosolimitani e in seguito divenne residenza signorile di Andreino Trotti. Dopo l’esito favorevole dell’impresa militare, il Trotti poté ampliare le sue proprietà e apportò importanti modifiche alla torre di Frugarolo, innalzandola di un piano. Per altre notizie sulla torre vedi la scheda: Frugarolo (AL): Torre medievale
Della sala decorata si erano praticamente perse le tracce documentali, quando fu ritrovata, nel 1971, nella torre ridotta a rudere e colombaia, fra infiltrazioni d’acqua, in condizioni disastrose. Ma la bellezza degli affreschi fece scattare una mobilitazione che consentì di staccarli e, al termine di un lungo e delicato processo di restauro, di presentarli al pubblico in una mostra nel 1999-2000, che poi venne resa permanente. Alle scene del ciclo si aggiunge un sedicesimo frammento raffigurante una “Madonna in trono con bambino”.
La ricostruzione ideale dello sviluppo del ciclo affrescato nello spazio della torre svela come gli episodi più importanti, raffigurati sul lato orientale, avessero come coprotagonisti il cavaliere Lancillotto e l’amico “le prince Galehot”, in cui vanno ravvisate le figure del Trotti stesso e di Galeazzo. Per la committenza di quest’ultimo era presente nel castello di Pavia proprio nel 1393 Giovannino de Grassi, e il frescante di Frugarolo è da identificare fra gli artisti attivi in quel circuito, in un pittore di cui non conosciamo il nome, aperto all’influenza del maestro milanese e ben informato per linguaggio sui codici della biblioteca pavese. Anche per precise affinità degli elementi di moda dei personaggi degli affreschi con le figure miniate nell’Offiziolo Visconti, la realizzazione del ciclo si colloca con un certo margine entro la fine del secolo XIV.
Lancillotto è riconoscibile dalla sigla “L” dipinta vicino a lui; Galehot ha sempre lo stesso cappello e una corta barbetta bionda come dettava la moda del tempo; Ginevra ha una lunga treccia bionda che le scende lungo la schiena, mentre la Dame de Malohaut porta i capelli sul capo intrecciati con un nastro.
Informazioni:
Indirizzo: Via Niccolò Machiavelli, 13 – 15121 Alessandria (AL)
Telefono: 0131.23.42.66 (lun-ven)
Link:
http://www.asmcostruireinsieme.it/sale-darte/
http://www.rialfri.eu/rialfriPHP/public/testo/testo/codice/frugarolo.html
https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0100408631-0
https://www.italiamedievale.org/portale/gli-affreschi-arturiani-di-frugarolo/
Bibliografia:
CASTELNUOVO, E. Le stanze di Artù: gli affreschi di Frugarolo e l’immaginario cavalleresco nell’autunno del Medioevo, Catalogo della Mostra tenuta a Alessandria nel 1999-2000, Electa, Milano 1999, rist. 2009
Fonti:
Fotografia in alto tratta da: https://medioevoinalessandria.wordpress.com/la-torre-di-frugarolo-e-gli-affreschi-arturiani/.
Immagini in basso da http://leradicideglialberi.blogspot.com/2020/02/
Data compilazione scheda:
3 dicembre 2011 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Acqui Terme (AL) : Museo Archeologico
Storia del Museo:
Acqui Terme occupa oggi quello che fu il sito della città romana diAquae Statiellae, centro sorto nella prima metà del II secolo a.C., in luogo di Carystum, antica capitale dei Liguri Statielli, difficile da localizzare con precisione vista la scarsità di tracce archeologiche di età protostorica.
I reperti archeologici finora ritrovati permettono di avviare una ricostruzione dell’iniziale popolamento del territorio acquese durante il Paleolitico e il Neolitico, intensificatosi poi nel corso dell’età del Bronzo e del Ferro. La presenza in età preromana di un insediamento su questo territorio e la formazione di una città, vitale per lunghi secoli a partire dall’età romana, è senz’altro riconducibile all’esistenza delle ricche acque termali, elemento peculiare della città. Ancora oggi il paesaggio acquese è caratterizzato dalle rovine del grandioso acquedotto romano e dalla monumentale fonte detta La Bollente, posta al centro della città.
I numerosi e significativi reperti archeologici acquesi, frutto di varie campagne di scavo o di ritrovamenti fortuiti, sono stati raccolti all’interno del Museo Archeologico ricavato negli ambienti del vecchio Castello dei Paleologi.
Dopo alcuni tentativi di raccogliere i reperti acquesi, malamente conclusi tra Ottocento e Novecento, una sommaria esposizione fu allestita alla fine degli anni Settanta, trascurando tuttavia di approfondire la conoscenza dei contesti perduti.
L’odierno allestimento del museo, inaugurato nel 2002, mira a colmare questa lacuna e rappresenta il primo lotto di un progetto che mira al recupero completo del castello. Un secondo lotto è’ stato completato nel 2013.
Descrizione delle collezioni:
Le sei sale del museo sono organizzate per temi e periodi cronologici, in modo da spaziare dalla preistoria all’età romana e al Medioevo.
Le prime due sale,riservate al periodo preistorico, affrontano le tematiche del popolamento del territorio dal Paleolitico alla seconda età del Ferro.
Una scheggia in selce rinvenuta a Toleto di Ponzone e un raschiatoio proveniente dai terreni della vecchia fornace acquese collocata sulla strada per Savona sembrano confermare una frequentazione dell’Appennino ligure-piemontese a partire dal Paleolitico inferiore. Altri reperti testimoniano la presenza di gruppi di cacciatori nomadi che probabilmente si spostavano seguendo i branchi di selvaggina e raccogliendo i vegetali nati spontaneamente.
Più nutrita la documentazione riferibile al Neolitico (fine VI-metà IV millennio a.C.), lungo arco di tempo in cui l’uomo passa dalla sopravvivenza basata sulla caccia e sulla raccolta a un’economia produttiva imperniata sull’agricoltura e sull’allevamento. Gli insediamenti si fanno stabili e inizia la produzione di recipienti in ceramica e di utensili levigati come asce, accette e scalpelli. Il reperto più antico riferibile all’età del Bronzo (2200-900 a.C.) è un frammento di un grande vaso biconico recuperato ad Acqui Terme durante i lavori di estrazione nella cava di argilla collocata sulla destra della strada per Savona, nell’area della necropoli romana.
A partire dalla media età del Bronzo gli insediamenti si concentrano nei bassi terrazzi fluviali del Bormida. È in questo periodo che si attua il graduale passaggio dal rito funerario dell’inumazione a quello della cremazione, con la deposizione dei resti dapprima all’interno di fosse scavate nel terreno e forse ricoperte da un basso tumulo, poi in un’urna fìttile, insieme agli oggetti di abbigliamento e di corredo raccolti dal rogo funebre. In riferimento all’età del Bronzo finale (XII-X secolo a.C.) è particolarmente interessante l’area del Sassello, assai sfruttata per l’approvvigionamento del rame necessario alla nascente metallurgia. Numerosi i materiali qui rintracciati: punte di lancia, rasoi, lingotti, frammenti di spada e di vasi.
La seconda sala illustra l’età del Ferro (IX-II secolo a.C.) e soprattutto il momento di passaggio dall’abitato dei liguri statielli alla formazione della città romana.
La prima età del Ferro è condizionata dallo sviluppo del commercio etrusco, fino al crollo del macrosistema dell’Etruria Padana a seguito delle invasioni galliche, iniziate sul finire del V secolo a.C. Appartiene a questo periodo una fibula con lunga staffa a globetto rinvenuta nel 1961 ad Acqui. La seconda età del Ferro termina con l’avvio del processo di romanizzazione (II secolo a.C.) ed è caratterizzata dall’arroccamento delle popolazioni nelle vallate appenniniche e dalla prevalenza di un’economia basata sulla pastorizia e sull’impiego come mercenari negli eserciti.
Le tre sale seguenti affrontano l’età romana, con l’obiettivo di raccogliere in maniera sistematica l’insieme dei dati acquisiti nel centro urbano in tempi differenti, dagli scavi più recenti e meglio documentati alla rilettura delle conoscenze più datate. Si è potuta così abbozzare una prima ricostruzione dell’impianto urbano di età romana.
Aquae Statiellae è stata costruita intorno alla sorgente termale, urbanizzando la piana, terrazzando l’altura del castello e cercando di ovviare con opere di drenaggio agli allagamenti cui era soggetta la valle del Medrio.
La terza sala espone i corredi delle necropoli urbane, testimonianza dell’alto tenore di vita degli antichi abitanti del centro. Lungo il tracciato della strada consolare, l’antica via Aemilia Scauri, ad est e a ovest, sono state individuate due grandi necropoli sviluppatesi in gran parte tra l’inizio dell’età augustea e la fine del I secolo d.C.
I corredi più antichi – come quelli dei settori di piazza San Guido e via De Gasperi – sono caratterizzati da ceramiche da mensa, bottiglie, lucerne e unguentari. Merita di essere ricordato un anello in ambra con una gemma intagliata a forma di piccola scimmia. Si distingue inoltre una sepoltura raccolta dentro un’anfora, con un ricco corredo di coppe, bicchieri e vasi fittili, oltre a uno specchio, una lucerna, alcuni unguentari e un prezioso piatto in vetro verde scuro.
Le tombe ritrovate in via Alessandria sono caratterizzate da una maggiore monumentalità. Si tratta più spesso di pozzetti quadrati in muratura con nicchie in cui era deposto il corredo, con una certa prevalenza di urne cinerarie e oggetti in vetro. Si segnalano strigili in bronzo argentato lavorati a bulino con la raffigurazione di opliti, recipienti vitrei di vari tipi, tra i quali spicca un rhyton, la cui funzione riporta direttamente all’ambiente termale.
È ipotizzabile che l’asse stradale che costeggiava l’impianto cittadino a sud dell’abitato abbia acquistato maggior importanza a partire dalla seconda metà del I secolo, forse in concomitanza con la costruzione dell’anfiteatro e del vicino centro termale.
Alla piazza della Bollente, sin dall’antichità centro dell’impianto urbano, è dedicata la sala principale del museo. Sono qui collocati resti dei sedili marmorei della grande fontana romana pertinente all’impianto termale romano, di cui si conserva, sotto i portici di via Saracco, la dedica a mosaico voluta dai magistrati responsabili di una delle ricostruzioni o dei restauri, forse collocabile tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale.
Si può immaginare che alla fine del I secolo a.C. lo spazio oggi costituito dalla piazza e dal tribunale fosse occupato dalla monumentale fontana, ubicata nella parte più alta, nel punto in cui sgorga la sorgente. I dati degli scopritori raccontano di gradini in marmo e di una vasca di forma circolare con un diametro di quattro metri e mezzo, circondata lungo tutto il perimetro interno da un sedile con schienale sempre in marmo. Il pavimento era in calcestruzzo rivestito di lastre marmoree, con un pozzo quadrato centrale da cui sgorgava la sorgente. La parte bassa, invece, doveva essere destinata al complesso termale. Questo doveva essere assai articolato con una serie di vani strutturati secondo funzioni diverse.
I pochi tratti, individuati durante recenti campagne di scavo, mettono in evidenza alcuni muri che dovevano delimitare una nicchia rettangolare, al centro della quale sorgeva una struttura circolare. La pavimentazione, posta su un solido vespaio, era costituita da un mosaico in tessere bianche, mentre l’andamento delle pareti era sottolineato da un largo bordo a fascia in tessere nere. La parete occidentale doveva ospitare un alveus, una vasca per il bagno a immersione, mentre in quella settentrionale era invece posto un labrum, un largo bacino su basamento in muratura, destinato a contenere acqua fredda per rinfrescarsi dai bagni caldi. Mancano le tracce del consueto impianto di riscaldamento a ipocausto, ma è ipotizzabile che gli ambienti venissero scaldati sfruttando il calore delle acque termali. Accanto al calidarium si aprivano altri ambienti con funzioni differenti, come il laconìcum (sauna), il tepidarium e il frigidarium (destinati ai bagni tiepidi e freddi), la natatio (la piscina che solitamente concludeva il percorso termale).
La stessa sala conserva numerosi reperti provenienti dagli scavi di edifici pubblici e privati: ricchi materiali architettonici in marmo e in terracotta, frammenti di sculture, arredi domestici marmorei e un frammento di mosaico con iscrizione. Pochissime le notizie relative ai frammenti di sculture ritrovati in territorio acquese. Si distingue per pregio la mano femminile rinvenuta nell’edificio di via Aureliano Galeazzo. Si tratta dell’unico esempio di grande scultura reperito in città. Le dimensioni notevolmente superiori alla grandezza naturale e la qualità del pezzo, insieme alla destinazione pubblica del luogo del ritrovamento, fanno pensare a una statua, forse rappresentante una divinità.
Interessanti le testimonianze relative ai pavimenti romani della città, che permettono la ricostruzione di quattro tipi differenti di pavimentazione. I sectilia pavimenta erano i più pregiati e costosi. Se ne sono rinvenuti quattro esemplari, tutti di età imperiale, a disegno geometrico, giocato sul contrasto cromatico delle mattonelle nere e bianche, I pavimenti a mosaico sono il tipo più rappresentato, con oltre una ventina di attestazioni. Si tratta soprattutto di esemplari in tessere bianche, talvolta arricchiti da cornici nere. Pochi i casi di decoro geometrico, come quello a stelle e quadrati di via Carducci, databile al I secolo d.C., o quello decorato da cornici a onde correnti di tradizione tardoellenistica, ritrovato nei pressi della Bollente. A un altro edificio pubblico deve essere assegnato il mosaico che reca un’iscrizione, quella di M. Octavius Optatus, che fece costruire il pavimento stesso, o l’intero edificio, a sue spese.
Un altro tipo di pavimentazione piuttosto diffuso è rappresentato dai cocciopesti, apprezzati per la loro resistenza e impermeabilità. Di essi si registrano una decina di esemplari, alcuni semplici, altri con decorazioni in scaglie o tessere o piastrelle in marmo e pietra. Il più interessante appartiene a una domus rinvenuta in corso Roma e presenta piastrelle romboidali e triangolari disposte in modo regolare. Infine esistono testimonianze di pavimenti in elementi di laterizio o cotto, in particolare piastrelle rettangolari disposte a spina di pesce. Nel 2013 è stato riportato nel museo il frammento di pavimento musivo di epoca romana recentemente rinvenuto in via Mariscotti, nella zona occidentale della città, nel corso degli scavi per la posa delle tubazioni per il teleriscaldamento cittadino.
Centro termale con una intensa vita commerciale Segue una sala dedicata agli aspetti della vita commerciale e produttiva della città antica: una selezione delle centinaia di anfore, rinvenute nella bonifica antica di via Gramsci, testimonia l’intensità dei traffici commerciali che interessarono Aquae Statiellae e che ebbero come fulcro il porto di Savona, tramite con la penisola iberica. Alle importazioni di materiali dalla Spagna si affianca la produzione locale di oggetti di immediata necessità. Dalla fornace suburbana di via Cassino proviene un consistente nucleo di materiali ceramici di uso comune, come pentole, tegami, coppe e brocche prodotti in serie e sicuramente destinati ad un commercio locale. Altri oggetti, come le matrici per la produzione di lucerne, informano di una produzione più specializzata che doveva avvenire anch’essa in loco.
La presenza della sede episcopale, in epoca paleocristiana, si inserisce in una serie di elementi che confermano la continuità abitativa della città. La prima testimonianza certa dell’episcopato acquese risale alla seconda metà del V secolo. La sua collocazione sul colle attesta il progressivo abbandono della maggior parte dell’abitato antico posto nella piana e l’accentramento nella parte più alta e protetta. Non si conoscono ancora nel dettaglio le dinamiche storiche vissute da Acqui nel corso dell’alto medioevo, tuttavia, nella pur lacunosa documentazione, in città sono evidenti tre aree cimiteriali altomedievali di notevole consistenza: la zona di San Pietro, l’area di corso Roma e quella di piazza della Conciliazione. Tra le chiese assume infatti una particolare rilevanza quella dedicata all’apostolo Pietro, a cui è appunto connessa l’ampia area cimiteriale, collocata in quello che era stato il centro della città romana. Si conosce purtroppo poco delle vicende costruttive di questa chiesa, ma la presenza di un variegato campionario scultoreo alto-medievale fa pensare a diverse fasi di rifacimento dell’arredo liturgico. Purtroppo gran parte di queste decorazioni è conservata soltanto in fotografia, poiché molti dei pezzi rinvenuti nel cantiere degli anni Trenta sono andati perduti. Le immagini consentono in ogni caso di datare i decori in un’epoca compresa tra la fine del VII secolo e l’età carolingia.
Poco distanti sorgono le tombe attribuibili al cimitero della chiesa di San Giovanni, attestata almeno dal X secolo. La chiesa, poi donata ai francescani e completamente ricostruita, è giunta a noi con la dedica a san Francesco. Il cimitero è comunque più antico: nel corso di indagini archeologiche in corso Roma sono state portate alla luce 31 tombe a inumazione prive di corredo e databili tra VII e X secolo d.C. Dai dintorni del centro urbano provengono invece corredi funebri che attestano la presenza dei longobardi: pettini, orecchini, fibbie di cinture, lame di coltello, resti di casse funebri.
Un’ultima vetrina è infine dedicata a un gruppo di materiali ceramici del XVI secolo rinvenuti nei terreni che andarono a colmare la vecchia piscina medievale della fonte termale, in piazza della Bollente. Testimoniano la diffusione di tipologie decorative e di produzioni tipiche del primo rinascimento.
Informazioni:
Tel. 0144 57555
Link:
http://www.acquimusei.it -Museo archeologico di Acqui Terme
Bibliografia:
SAPELLI RAGNI M. (a cura di), 2004, Tesori del Piemonte. Il Piemonte degli scavi. Siti e musei di antichità.
Fonti:
Fotografie tratte dal sito del Museo archeologico di Acqui Terme
Data compilazione scheda:
08 gennaio 2005 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G. A. Torinese