Provincia di Torino

Villar Dora (TO) : Cappella di San Pancrazio

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Storia del sito:
La cappella fu edificata su un basso colle, al limitare dei boschi di castagni, là dove comincia la brughiera e lo sperone del monte la Seia degrada verso la Dora. Il colle segna il confine tra i paesi di Villar Dora e Novaretto.
In origine vi era un pilone votivo a pianta quadrata, ingrandito successivamente con l’aggiunta di un secondo ambiente e affrescato nel XV secolo. La cappella, nella parte dell’abside, risale probabilmente al secolo XI; l’ampliamento è del XV-XVI.

Descrizione del sito:
L’aspetto esterno della cappella è molto semplice, intonacata, con tetto a capriata. In questa cappella il 12 maggio la comunità di Villar Dora festeggia san Pancrazio martire, il cui culto è molto antico in paese.
Gli affreschi che adornano l’interno dell’edificio, risalenti probabilmente alla prima metà del 1400, raffigurano nella parte absidale la Madonna seduta su uno scranno con un garofano in mano e il Bambino in braccio, circondata da due santi: Pancrazio con la palma del martirio e Giovanni Evangelista. Sui muri laterali sono dipinti altri santi: un vescovo (forse san Giovanni Vincenzo, l’eremita della vicina Celle di Caprie, già vescovo di Ravenna) e san Bernardino.

Informazioni:
Comune, tel. 0119350231

Links:
https://www.comune.villardora.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere

https://www.vallesusa-tesori.it/it/luoghi/villar-dora/cappella-di-san-pancrazio

Fonti:
Notizie dai siti sopracitati. Immagine in alto dal sito del Comune; in basso dal sito al n° 2.

Data compilazione scheda:
3/10/2006 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Villarbasse (TO) : Torrazzo o torrione

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Storia del sito:
La costruzione è gia citata in atti pubblici del 1277.
Fu costruita dai Pertusio di Avigliana che avevano ottenuto il feudo di Villarbasse dai conti di Savoia. Nel Trecento il feudo passa a Giacomo d’Acaja, signore del Piemonte, il quale ne scambia la proprietà con il fratello Tomaso, vescovo di Torino. Il Torrione (Torrazzo) e i terreni circostanti diventano così feudo dei Vescovi di Torino, rimanendo estranei alle successive vicende sabaude. Tra il 1390 ed il 1400, mentre risiede a Villarbasse il vescovo Giovanni di Rivalta, il Torrione viene ristrutturato e rialzato di un piano. Tra il 1420 ed il 1438 viene costruito accanto alla torre  un “palazzo nuovo”, più comodo e moderno, che è tuttora l’abitazione degli attuali proprietari; da allora il Torrione non fu più abitato stabilmente. Documenti d’archivio del 1439 registrano che Ludovico Romagnano (il vescovo di Torino ai tempi del miracolo del SS. Sacramento, del 6 giugno 1453) cede il Torrione ad Amedeo di Chignin. Nel 1542 l’arcivescovo Innocenzo Cibo investe Giovanni Avogadro del Bosco con il titolo signorile “del Torrione”. Nel 1572 il Torrione passa dagli Avogadro a Giovanni Angelo Porporato de’ conti di Luserna.
Nel corso dell’Ottocento il Torrione è oggetto di diversi passaggi di proprietà, fino a quando, nel 1871, viene acquistato da Giuseppe Durando, ai cui discendenti appartiene ancora oggi.

Descrizione del sito:
Il Torrazzo è una torre medievale magnificamente conservata. Ha pianta rettangolare e muri con spessore di due metri alla base: nato con evidenti funzioni difensive per i signori e possibile rifugio per la popolazione locale. È costruito in pietra grezza e ciottoli di fiume disposti in parte senza schema e in parte a spina di pesce. In origine era alto 12,5 m. e dotato di merli guelfi. Vi si accedeva tramite un ponte mobile in legno (quello attuale è in muratura, ma poggia su pilastri originali) che superava il fossato tuttora esistente. Nella ristrutturazione vescovile di inizio XV secolo il’edificio viene sopraelevato di un piano, riempiendo con pietrame la merlatura precedente (di cui sono visibili tracce) e costruendo il resto in laterizio, materiale che meglio si addice ad un edificio di rappresentanza. Vengono anche costruiti i belfredi e le cornici delle finestre. La nuova merlatura è “a penna” di tipo ghibellino. Il terrazzo era dotato di un camminamento di ronda articolato su tutto il perimetro della costruzione. A metà del XV secolo il Chignin provvede alla copertura con un tetto, che sarà rimosso solo nel 1974, ridando al Torrione l’aspetto originario.
La ristrutturazione di metà XVI secolo riguarda principalmente la ridisposizione degli ambienti interni e l’intonaco delle pareti che purtroppo copre decorazioni ed affreschi precedenti; la scala in legno viene rifatta in muratura, e risale probabilmente a quel periodo il soffitto del piano terreno, in legno a cassettone.
Tra gli elementi di interesse sulle facciate rimangono: un quadrante solare per la lettura delle ore mattutine situato sopra il portale di ingresso e una meridiana per la lettura delle ore pomeridiane, naturalmente orientata a mezzogiorno.

Sono stati eseguiti rilievi da parte della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino (autori Carlo Fenoglio, Claudio Gerenzani e Francesco Ghironi, nell’ambito del Laboratorio di Restauro Architettonico tenuto dalla Prof.ssa Carla Bartolozzi).

Informazioni:
Il Torrione o Torrazzo  è di proprietà privata e si può ammirare esternamente salendo dal vicolo Barbera, non lontano dalla piazza del Municipio;  email: f.pennaroli@torrione.net

Link:
http://www.torrione.net/ita/start.html

http://www.comune.villarbasse.to.it/Home/Guida-al-paese?IDDettaglio=20077

Bibliografia:
Virginia Gozzi Brayda-Luciano Tamburini, “Palazzi e Case di Villarbasse”, Pro-loco Villarbasse 1994

Fonti:
Notizie dai sitio, dai testi sopracitati e dall’Archivio di Stato.
Fotografie dal sito http://www.torrione.net

Data compilazione scheda:
15/11/2006 -aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Livio Lambarelli – G. A. Torinese

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Villar Focchiardo (TO) : Riparo preistorico

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Descrizione del sito:
Nella campagna di scavo del 1984, il dott. Aureliano Bertone, con la collaborazione del Gruppo Archeologico Torinese, effettuò uno scavo su un’area di dimensioni ridotte ma che produsse risultati importanti per quanto riguarda la ricostruzione degli insediamenti preistorici nella bassa Valle di Susa. Situato su una rupe che sporge per circa 50 metri sul conoide di deiezione sul quale si è sviluppato l’attuale Villar Focchiardo, il sito s’inserisce in una strategia di insediamento già riscontrata nell’area ligure durante l’età del bronzo medio tardo dove la posizione arroccata sembra essere stata dettata da esigenze economiche più che militari

Descrizione dei ritrovamenti:
Vennero alla luce oltre 6000 frammenti fittili sui quali è stata condotta un’analisi strutturale e morfologica.
Tra gli oggetti più interessanti si segnala una tazza carenata che presenta il bordo piatto estroflesso ed il fondo piatto ombelicato. La decorazione di questa tazza procede a partire dalla base del ventre con due file parallele di coppelline separate da due ampie scanalature, e prosegue con due fasci di segmenti incisi a zig-zag, uno sul ventre e uno sulla carena. Caratteristiche del periodo sono le decorazioni a coppelle con il centro rilevato, le decorazioni a puntini impressi e il motivo inciso a denti di lupo fra segmenti paralleli (tipo Scamozzina-Monza). Di notevole interesse una piccola macina in gneiss locale (la cui presenza caratterizza il sito come insediamento e non come area cimiteriale), una scheggia di quarzo ialino ed un cristallo di quarzo latteo.

Luogo di custodia dei materiali:
Alcuni reperti sono visibili al museo di Chiomonte

Informazioni:
Il sito, denominato “Cara du Ciat”, è situato nel comune di Villar Focchiardo.  L’area archeologica non è visitabile.

Bibliografia:
L’insediamento dell’età del bronzo di Villar Focchiardo (1984), in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, n. 5, Torino 1986 (reperibile sulweb)
Segusium, n. 25, Società di Ricerche e Studi Valsusini, Susa 1988

Fonti:
Disegno di Aureliano Bertone.

Data compilazione scheda:
28 novembre 2000 -aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – Gruppo Archeologico Torinese

Villar Focchiardo (TO) : Certosa di Banda e Certosa di Monte Benedetto

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Storia dei siti:
I monaci certosini giunsero in Valle di Susa alla Losa, nei pressi di Gravere, tra il 1189 e il 1191. Pochi anni dopo, nel 1197, chiesero al conte Tommaso I di Savoia di potersi trasferire a Monte Benedetto, sopra Villar Focchiardo, in quanto la prima sistemazione non soddisfaceva il loro desiderio di isolamento. La loro Regola infatti esaltava l’estraneità dal mondo della vita monacale, inducendo i certosini a collocare i propri monasteri in luoghi isolati. L’espansione fondiaria della certosa, promossa inizialmente dal conte Tommaso, continuò grazie alle numerose donazioni da parte di nobili valsusini e ad un’oculata politica di acquisti. I monaci certosini, che conducevano vita eremitica ciascuno nella propria cella, non svolgevano attività manuale; la gestione dei beni era affidata a conversi e salariati sotto la guida di un priore. Agli inizi del XV secolo le condizioni di vita della Certosa di Montebenedetto divennero precarie a causa dei frequenti straripamenti del rio della Sega e del rio delle Fontanelle che scorrevano ai lati della Certosa stessa. Dopo vari disastri susseguitisi negli anni, solo nel 1498 venne data l’autorizzazione del Capitolo Generale, ad abbandonare la Certosa per trasferirsi più a valle, a Banda (una grangia nata intorno al 1206). Il priore di Montebenedetto, non molto tempo prima del trasferimento, aveva infatti fatto costruire cinque celle e qualche edificio accessorio, ma già in precedenza, essendo Banda diventata molto importante ai fini produttivi e di servizio, si costruirono camere per i conversi, un chiostro (1435) e una piccola foresteria; senza dubbio la chiesa doveva essere adatta alle pratiche religiose dei conversi presenti, del priore e del procuratore quando vi si recavano. Con il trasferimento a Banda, altre costruzioni furono adattate agli usi certosini ma Banda non assunse mai l’aspetto di una Certosa ben definita, rimanendo molto simile alla configurazione di una Certosa primitiva e di una grangia. La particolare morfologia di questa grangia-Certosa la rende unica nel suo genere e ne rende importante la conservazione

Descrizione dei siti:
LA CERTOSA DI MONTE BENEDETTO I resti della certosa, limitati al nucleo principale e alla chiesa abbaziale, sono oggi di proprietà privata. La chiesa, un tempo ridotta a fienile, è stata recentemente fatta oggetto di un intervento di restauro da parte del Parco Orsiera-Rocciavrè, all’interno del cui territorio si trova oggi il complesso monastico. L’edificio è a una sola navata, ed è stato ampliato in fasi successive come rilevabile dalle tracce sulle pareti esterne. Nel complesso la chiesa è in stile romanico anche se non mancano alcuni particolari gotici. Il campanile è dell’inizio del XIII secolo. La certosa è oggi ridotta a rustico mentre delle celle non resta più traccia. Le linee architettoniche essenziali, concretizzano gli ideali di povertà e distacco dal mondo dello spirito certosino. Sopra quello che fu l’ingresso principale, oggi murato, è visibile un affresco quattrocentesco rappresentante la Vergine col Bambino venerata da alcuni monaci. Poco più a valle della certosa sono situati i ruderi della correria, i locali che erano riservati ai conversi e ai salariati.

LA CERTOSA DI BANDA Attualmente la Certosa di Banda, abitata da pochissimi privati, si presenta divisa in tre nuclei, disposti a semicerchio: la chiesa, i resti del chiostro e di alcune celle. Arrivando dalla mulattiera da Villarfocchiardo si incontra un cortile rurale attorniato da fabbricati. Di questi il più antico è quello disposto sul lato nord caratterizzato dalla presenza di una grande finestra con montanti e architrave in pietra, databile al XIII secolo e i cui spigoli murari sono rinforzati da grossi elementi orizzontali in pietra da taglio. Ad ovest e visibile un portico, sottostante ad un primo piano a cui si accede da una scala in pietra. Dal lato sud del portico, attraverso un arco a tutto sesto, si entra in un’ala di chiostro dissestata rispetto al porticato, con archi sorretti da pilastri poggianti su un muro continuo. Esisteva fino a qualche anno fa una finestrella della “ruota”, che probabilmente era quella della cella priorale. Quel che resta del porticato continua fino alla chiesa; verso ovest un’ala di chiostro cerca di compiere un quadrilatero, con pilastri che poggiano direttamente a terra, unici superstiti di quello che doveva essere un portico. L’ala del portico claustrale gira verso est dove diventa un corridoio chiuso e buio: poco più avanti la parete della chiesa che lo costeggia si apre con la porta del coro dei padri, preceduta da un tratto di corridoio a volta. La chiesa, in stile romanico, orientata, costruita tra il 1200 e il 1250 su un roccione strapiombante, è ad unica stanza ad abside piatta con la presenza di una bella finestra trilobata, coperta da una volta a crociera gotica, con costoloni poggianti su colonne addossate, i cui capitelli portano decorazioni antropomorfe fortemente espressionistiche, e ciò in violazione del divieto del Consiglio Generale di raffigurare “imagines curiosae”. La facciata della chiesa è aperta da una finestra molto rimaneggiata; non vi è portale d’ingresso. L’interno della navata è occupata da un coro ligneo semplicissimo con stalli chiusi da baldacchini profondi, appoggiato alle pareti, di cui è stata ipotizzata la provenienza da Montebenedetto. Si tratta di un’opera notevole di un intagliatore franco-piemontese della seconda metà del XV secolo. La chiesa era ricca di arredi trasferiti successivamente in altre sedi, come il trittico della Madonna con Bambino e i santi Ugo di Lincoln e di Grenoble, della fine del XV secolo, ora nella cattedrale di San Giusto a Susa. Alcune celle si trovano in fondo al corridoio, disposte sfruttando ogni possibilità di disposizione; privilegiano l’altezza più che la superficie in piano, munite come sono di un primo piano, come di norma; probabilmente altre celle dovevano trovarsi dietro l’abside della chiesa, volte verso valle. Nel 1642 il monastero fu infine soppresso e incorporato nel patrimonio della Certosa di Collegno.

Il paese di Villar Focchiardo, centro di antica origine, feudo dei visconti di Torino, conserva la casa-forte (sec. XI) di cui restano considerevoli resti, il castello dei Carroccio e i resti della casa-forte di Roland.

Informazioni:
Dal paese e si seguono le indicazioni per le Certose (è possibile raggiungerle in macchina o tramite un sentiero in mezzo al bosco). Ente di gestione aree protette Alpi Cozie, Uffici di Bussoleno Tel. 0122.47064 e-mail: parco.orsiera@ruparpiemonte.it

Links:
http://www.cartusia.it/home.html

http://www.rupestre.net/archiv/cult2.htm

http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/sit-cartografico/beni-culturali/beni/vsusamed/vsusamed-vfocchiardo2 Monte Benedetto

http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/sit-cartografico/beni-culturali/beni/vsusamed/vsusamed-vfocchiardo3 Banda

Bibliografia:
AA.VV.(a cura della Regione Piemonte), Guida alla Certosa di Monte Benedetto e al parco dell’Orsiera-Rocciavré, CDA Centro documentazione alpina, Torino 1995

Fonti:
Il testo della presente scheda è tratto nel 2004 dalle pagine internet del Gruppo Cartusia (http://www.geocities.com/cartusia/S800/prima.html, sito risultante chiuso nel 2014) e del Gruppo Ricerche Cultura Montana (www.rupestre.net)
Immagini dai siti sopracitati.

Data compilazione scheda:
28 settembre 2003 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gabriella Monzeglio – Gruppo Archeologico Torinese

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Villafranca Piemonte (TO) : Chiesa parrocchiale di Santo Stefano e torre di Cantogno

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Storia del sito:
Il primo accenno storico ad una chiesa dedicata a Santo Stefano risale al 1037, quando Landolfo, Vescovo di Torino, fondando la vicina Abbazia di Santa Maria a Cavour, donava a questa, tra l’altro, la Chiesa e le tre Cappelle esistenti nel Borgo Soave. Nella seconda metà del XII secolo, gli abitanti di Borgo Soave vennero in gran numero a stabilirsi nell’attuale Villafranca e prima loro cura fu di far sorgere una nuova Chiesa, che vollero dedicata al Protomartire. Gli abitanti che invece rimasero nel Borgo Soave si ricostruirono in seguito anch’essi una chiesa, che dedicarono a San Giovanni, dalla quale deriva l’attuale nell’omonima frazione.
La nuova Chiesa di Santo Stefano di Villafranca venne affidata ai monaci di San Benedetto dell’Abbazia di Cavour col titolo di “Priorato” e fu da tali monaci officiata fino al 1315, quando il priore don Ruffino di Bagnolo, sentendosi ormai vecchio e privo di monaci officianti, chiedeva di rinunziare alla Chiesa che rimetteva nelle mani del Vescovo di Torino. In tale modo si chiudeva il periodo Benedettino della Chiesa e incominciava il secondo periodo, nel quale la Parrocchia regolare (cioè tenuta da monaci) diveniva secolare (cioè tenuta da preti), alla diretta dipendenza del Vescovo di Torino. A questo secondo periodo, che durerà dal 1315 al 1530, fa riferimento il grande restauro e notevole ingrandimento della Chiesa stessa. Successivamente la parrocchia fu retta dai Padri Agostiniani (chiamati per un’epidemia di pestilenza) dal 1529 al 1802. Dal 1801, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi decisa da Napoleone, la parrocchia di S. Stefano ritornò secolare.

Descrizione dei siti:
Della PARROCCHIALE DI SANTO STEFANO è rimasto originale il bel CAMPANILE in cotto risalente al XIV secolo, con quattro ordini di bifore, pinnacoli ed una slanciata cuspide. Sulla facciata gotica, rimaneggiata successivamente, è inserito un bassorilievo, presumibilmente del XI secolo, che rappresenta l’ Agnello con la Croce. La chiesa conserva all’interno frammenti di affreschi gotici.

TORRE DEL CASTELLO IN FRAZIONE CANTOGNO.
Del Castello, una delle costruzioni più antiche di Villafranca risalente all’XI secolo, restano soltanto rovine. Sono ancora visibili l’arco del vecchio ponte levatoio e alcuni affreschi interni risalenti ai primi decenni del 1200, in precario stato di conservazione: le tre figure rappresentano il Crocifisso, San Pietro e San Paolo (ultima foto in basso).

Informazioni:
La chiesa parrocchiale, attualmente intitolata a “Santa Maria Maddalena e Santo Stefano” si trova nel centro storico di Villafranca. La torre è nella frazione di Cantogno.  Comune, tel. 011 9807107

Link:
http://www.comune.villafrancapiemonte.to.it

Bibliografia:
BORLA G., Memorie storiche di Chiesa e Convento di S. Stefano in Villafranca Piemonte, Ed. a cura di Pietro Sandrino, s.d.
GRANDE S., Gli 800 anni della storia di Villafranca Piemonte, Paravia, Torino, 1995 (ristampa anastatica della 1° ed. Moretta, 1953)
AA.VV., Pittura a Villafranca Piemonte attraverso i secoli, Gribaudo Editore, Cavallermaggiore CN, 1992

Fonti:
Notizie e fotografie tratte nel 2014 dal sito del Comune. Seconda fotografia della Torre da:
https://mapio.net/pic/p-130088777/

Data compilazione scheda:
20/01/2008 – aggiornamento febbraio 2014 e febbraio 2023

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Villafranca Piemonte (TO) : Castello di Marchierù o Marcerù

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Storia del sito:
Marchierù viene indifferentemente indicato come Castello o Casaforte probabilmente perché in origine era una fortezza militare; le prime notizie risalgono al 1220, quando l’Abbazia Benedettina di S.ta Maria di Cavour ricevette una donazione intestata a Marzerutum o Marzarutum. L’etimologia del nome Marchierù potrebbe avere varie origini: la prima dal francese “macheron” (mucchio), oppure dal provenzale – piemontese “macaroun”, riferito ad un mucchio di macerie derivante da una distruzione barbara; oppure da “marca di confine”, considerando che si trovava proprio sul confine tra i possedimenti del Marchesato di Saluzzo e quelli dei Savoia – Acaia; oppure, più probabilmente, è riferito alla “marcita”, cioè i luoghi, qui una volta numerosissimi, dove veniva messa a macerare la canapa.
I primi signori di Marchierù dovrebbero essere stati i Signori di Barge, divisi in diverse famiglie, la più importante delle quali era quella degli Aicardi i cui discendenti nel 1251 vendettero diversi terreni a Tommaso II di Savoia; fra questi terreni c’erano anche quelli di Marchierù, ceduti per 700 libbre e 500 buoni segusini. Nel 1384 Marchierù passò dai Savoia alla famiglia Petitti attraverso Francesco Petitti, figlio di Beatricina, figlia di Filippo d’Acaia e rimase a tale famiglia fino al 1482. Nel 1583 Marchierù ritornò agli Acaia – Savoia nella persona di Filiberto Signore di Racconigi ed a sua sorella Claudia sposata Besso – Ferrero, Marchese di Masserano. Nel 1640 passò ai Conti Solaro di Macello e, più tardi e per successione, per metà ai Cacherano di Osasco, sotto i quali venne costituito in Commenda dal Sovrano Militare dell’Ordine di Malta, e per metà ai Filippi di Baldissero. Così rimase fino al 1800 quando Vittorio Ignazio Filippi di Baldissero riscattò anche l’altra metà dal cugino Cacherano di Osasco e ne diventò l’unico proprietario. Carlo Alberto Filippi di Baldissero, membro della Regia Accademia di Agricoltura di Torino, scrisse anche alcuni manuali sul lavoro agricolo e dette inizio ai lavori per la rete di irrigazione delle campagne circostanti; il figlio Enrico fece eseguire notevoli migliorie sotto il profilo architettonico. Il castello passò poi ad una delle sue figlie, sposata al Conte Vittorio Prunas Tola, ai cui discendenti ancora appartiene.
Sono noti gli ultimi interventi che hanno portato l’immagine del castello da una probabile architettura trecentesca all’odierna villa di campagna. Le opere di consolidamento (i contrafforti sulle pareti est e ovest) e i numerosi tiranti ben visibili sulle facciate risalirebbero al 1808 quando, in seguito ad un forte terremoto che interessò il territorio villafranchese, s’intervenne, probabilmente, anche abbattendo un ulteriore piano delle torri poste sul lato Nord. Le arcate, presenti sulla parete est del sottotetto, risalgono al 1933 quando, il cambiamento delle destinazioni d’uso delle camere adiacenti, richiese la trasformazione della parete priva di finestre poiché il locale limitrofo era utilizzato come deposito. Un altro intervento eseguito nel 1972 fu l’installazione di un ascensore inserito in un ampliamento mimetico della torre situata sul lato Ovest. In questo modo, l’accesso all’ascensore, è stato garantito tramite il garage presente nel cascinale ovviando ai problemi di livello con un innesto che salvaguarda le facciate.
Per quanto riguarda il cascinale, non vi sono tracce sui documenti; le tipologie presenti assicurano una certa continuità del complesso architettonico del quale, nel 1958, venne prolungata la manica Ovest. Un’aggiunta più recente è il garage situato sul lato destro del fronte Nord.

Descrizione del sito:
L’edificio, in ottimo stato di conservazione, è in mattoni; la parte più bassa sulla facciata anteriore è un’aggiunta successiva al nucleo antico, il cui coronamento con merli a coda di rondine e archetti si nota sulle parete dell’ultimo piano, una soprelevazione più tarda. Alcune finestre, in parte tamponate, con apertura a tutto sesto e decorazione a fasce bicolori ornano le facciate.

Informazioni:
In frazione San Giovanni, a poca distanza dalla Cappella di Missione, di proprietà privata. Comune, tel. 011 9807107

Link:
http://www.comune.villafrancapiemonte.to.it/

Fonti:
Notizie e fotografie tratte nel 2008 dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
20/01/2008 – aggiorn. febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Villafranca Piemonte (TO) : Cappella di Missione

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Storia del sito:
La cappella di Missione è la chiesa più antica di Villafranca Piemonte, sorge sul luogo di una cappella già esistente nel 1037, quando venne donata dal vescovo di Torino Landolfo all’abbazia di Santa Maria di Cavour che la restituì nel 1315 e da allora rimase alla comunità. Il nome di Missione compare in documenti del XIII secolo come toponimo, forse preromano, ma di oscuro significato. Di essa si hanno infatti notizie già in un documento del 1037, ma alla fine del Trecento è stata ricostruita ex novo e arricchita di pregevoli AFFRESCHI, sia all’interno che all’esterno Gli affreschi interni, databili intorno al 1430, sono in gran parte attribuiti all’opera di Aimone Duce (Dux Aymo).
Nel 1702 la cappella è stata nuovamente modificata, senza rispettarne i caratteri originari, ed è stato aggiunto un campanile. Notevoli lavori di risanamento delle murature e poi di restauro degli affreschi sono stati eseguiti dal 1998 al 2001.

Descrizione del sito:
La costruzione ha una facciata triangolare piuttosto rustica. All’esterno la facciata è interamente intonacata. È possibile che in origine la superficie fosse a mattoni a vista come le pareti laterali e infatti l’intonaco si va a sovrapporre all’affresco. Si tratta di una scena raffigurante l’Annunciazione, che sovrasta la porta d’ingresso, e di due Santi (ormai scomparsi) di cui uno è probabilmente San Rocco collocati a sinistra e destra della porta. Per questo dipinto si è ipotizzata la data del 1530 e l’attribuzione a Jacobino (Giacobino) Long. Una gigantesca figura di San Cristoforo (ormai appena visibile) si trova sulla parete sud dell’edificio e frammenti di decorazione a motivi geometrici sono attorno alla finestra e sotto lo spiovente del tetto.
La chiesa all’interno è a navata unica, divisa in due campate: nella prima le pareti e la volta, in origine, non erano decorate ma rifinite con un intonaco bianco, nella seconda invece tutte le superfici sono state dipinte.
Il ciclo di affreschi di Aimone Duce occupa la parete di fondo ed è composto da due scene: una annunciazione sovrastante ed una deposizione, o meglio un compianto sul Cristo morto, nella scena inferiore.
La lunetta della parete di sinistra è occupata dalla raffinata rappresentazione della processione delle virtù e dei vizi impersonati da figure femminili che sono intente all’attività che le caratterizza e sono (i vizi) diretti alla bocca dell’inferno (rappresentato da un grande pesce nella bocca del quale si intravedono i dannati) cavalcando animali che sono essi stessi simboli del peccato descritto e sospinte e accompagnate da demoni mostruosi.
Tutta la fascia bassa dell’affresco è occupato da una serie di dodici santi che sono (da destra a sinistra): san Michele Arcangelo, sant’Andrea Apostolo, san Bernardo, sant’Antonio Abate, san Costanzo, la Beata Margherita di Lovanio (?), san Chiaffredo, san Claudio Vescovo di Besançon, il Martirio di san Sebastiano, santa Caterina, san Valeriano, san Giovanni Battista.
La lunetta di destra è occupata dalla scena in cui il committente è presentato alla vergine (con il Bambino in braccio) da San Giulio Vescovo suo protettore. A destra della Vergine vi è una figura di Santo militare non identificabile.
La restante parte dell’opera, della quale non si conosce l’autore ma solo il committente che ha lasciato il suo nome nel cartiglio (Giulio de Giuli), occupa la volta con la raffigurazione dei VILLAFR MISSIONE PIANTINA

Descrizione dei ritrovamenti:
Durante i lavori di risanamento, nella seconda campata, ad una profondità di circa cm 70 sono venuti alla luce i resti di un’ abside semicircolare che potrebbe essere dell’edifico menzionato nel 1037; frammenti di materiali da costruzione di epoca romana e sepolture terragne medievali.

Informazioni:
In frazione San Giovanni, località Graneri, in aperta campagna, vicino a un corso d’acqua.  Comune di Villafranca Piemonte, telefono 011.9807107, e-mail: info@comune.villafrancapiemonte.to.it
Visitabile installando l’app: https://play.google.com/store/apps/details?id=it.cittaecattedrali.chieseaporteaperte&hl=it

Link:
http://www.comune.villafrancapiemonte.to.it

http://it.wikipedia.org/wiki/Cappella_di_Missione

Fonti:
Le notizie sono state tratte dal sito del Comune sopra citato. Immagini dal sito del Comune e da wikimedia. Piantina da scheda reperita in loco.
aymo dux e giacomo jaquerio_2.pdf
«Magister Dux Aymo pictor de Papia»

 

Data compilazione scheda:
01/09/2006 – aggiornamenti 2008 e  febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Vigone (TO) : Chiesa di Santa Maria De Hortis

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Storia del sito:
La cappella risale all’anno Mille e poi verosimilmente fu ricostruita e affrescata nel XIV secolo grazie all’interessamento di molte famiglie legate al ramo dei Savoia-Acaia. Gli affreschi sono rimasti occultati almeno dall’Ottocento, ma quasi certamente prima vennero imbiancati e maldestramente ricoperti di calce, usata come disinfettante durante la peste del Seicento. Recentemente sono stati scoperti grazie all’intervento di un’associazione di volontari e accuratamente restaurati a cura della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Piemonte

Descrizione del sito:
L’edificio è una cappella a navata unica. Ogni affresco ha uno o più stemmi della famiglia che lo ha commissionato. Sono stati individuate due famiglie e due pittori. Sulla parete destra del presbiterio sono emersi due cicli di affreschi. Il primo dei quali si estende anche sulla volta e rappresenta la morte e la glorificazione della Vergine; a sinistra di questo dipinto è invece raffigurata una crocifissione, in cui figurano, da sinistra, un santo monaco, la Vergine, Gesù e san Giovanni Evangelista. Alla sinistra del presbiterio è raffigurato san Bartolomeo scuoiato, che porta la sua pelle su un bastone; sulla volta, infine, appaiono i quattro evangelisti rappresentati come nell’iconografia canonica, seduti sui troni e con i loro simboli: san Matteo con l’angelo, san Luca con il bue, san Marco con il leone e san Giovanni con l’aquila. Per la sua datazione, il gruppo che raffigura la morte e la glorificazione della Vergine è senz’altro il più interessante. Si vede l’angelo che porta in cielo l’anima della Madonna, raffigurata come una bambina ravvolta in un lenzuolo, poi Gesù che la benedice e l’angelo che le porge la corona. In basso a destra i due committenti protetti da una santa, che potrebbe essere santa Caterina d’Alessandria. A sinistra nella cornice troviamo lo stemma dello sposo (forse la famiglia Opezzi, tra i più importanti feudatari di Vigone). I caratteri stilistici, come il sorriso stereotipato delle figure, tipico del gotico d’Oltralpe, identificano l’artista come un pittore di cultura transalpina, mentre alcuni dettagli di moda, come il taglio delle vesti, fanno collocare l’affresco nell’ultimo quarto del Trecento. L’altro pittore individuato (autore del san Bartolomeo e della Crocefissione risalenti alla fine del XIV secolo) è di area lombarda, probabilmente un artista che lavorava alla corte viscontea. A lato del san Bartolomeo si individua lo stemma (due sbarre oblique su fondo oro) della nobile famiglia dei Della Riva. Gli affreschi sono di altissima qualità come attestano molti dettagli tecnici, quali la ricchezza cromatica e le aureole punzonate, nelle quali venivano incastonate delle foglie d’oro e d’argento, andate purtroppo perse.

Informazioni:
Raggiungibile da V. Santa Maria, 35  .  Comune di Vigone 011 9804269 ; Associazione “Amici della Biblioteca Luisia” tel. 011 9801243 – email: biblioteca.@comune.vigone.to.it

Link:
http://www.comune.vigone.to.it
https://www.chieseromaniche.it/Schede/531_SANTA_MARIA_DE_ORTIS_VIGONE.htm#home  (foto degli affreschi)

Bibliografia:
B.DOLZA, Tornano gli angeli nel cielo di Vigone, in Pagine del Piemonte n.12, dicembre 2000, pp.25-27
— Vigone – Affreschi in Santa Maria de Hortis, 2003

Fonti:
Immagini dal sito del Comune e dall’archivio GAT.

Data compilazione scheda:
17 luglio 2004 – aggiorn. febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

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Venaus (TO) : Chiesa di San Biagio e Sant’Agata

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Storia del sito:
Venaus ha origini preromane; il nome è citato per la prima volta nel testamento di Abbone, fondatore dell’abbazia della Novalesa nel 726 e governatore franco della Moriana e di Susa. Da quel momento Venaus viene infeudato a Susa e ne segue le sorti. Venaus si trova sul tracciato della strada “Reale”, fatta costruire dai Savoia nel 1752.
La chiesa parrocchiale di Venaus, così come la si vede oggi, è del 1909, ed è stata realizzata in stile neoromanico-gotico, ma l’edificio era già stato ricostruito nel 1660 sulle rovine di una chiesa romanica.
Nella ricostruzione Novecentesca sono state inglobate parte degli edifici preesistenti, conservando affreschi e opere di varie epoche, dal XIV al XX secolo. Originale è rimasto il campanile.
A Venaus vi è anche anche l’Oratorio di San Rocco, che conserva sulla facciata un affresco tardogotico.

Descrizione del sito:
Il CAMPANILE della Parrocchiale, nello stile romanico del Delfinato tipico dell’Alta Valle di Susa, è formato da una solida torre quadrata sormontata da una cuspide e tre dei suoi lati sono solo parzialmente visibili perché coperti dalla chiesa novecentesca che vi è stata addossata.
Gli AFFRESCHI del XIV secolo, originariamente esterni all’edificio sulla parete della chiesa romanica, si trovano ora sulla parete che divide la navata centrale da quella di sinistra; illustrano le Storie della vita di Cristo.
All’interno della chiesa vi sono opere lignee di varie epoche: le più antiche sono il gruppo del Calvario che, per analogia con altri gruppi presenti sia al di qua sia al di là del Moncenisio, si pensa che dovesse dominare, dal trave dell’arco trionfale, il presbiterio dell’antica chiesa (probabilmente nel 726, anno di fondazione dell’Abbazia di Novalesa, Venaus aveva già una sua chiesa). Il Cristo è assai più antico delle due statue della Vergine e di S. Giovanni: risale infatti al Quattrocento, mentre le altre sono del XVII secolo.
La chiesa conserva inoltre una serie di dipinti della fine del Seicento e del Settecento. Con il restauro novecentesco è stata inglobata nella chiesa la seicentesca “Cappella del SS. Sacramento”, che anticamente le era attigua.

Informazioni:
Tel. 0122.50118

Link:
http://www.comune.venaus.to.it

Fonti:
Notizie e fotografie dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
01/06/2006 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Druento (TO) – Parco Regionale La Mandria: Cappella di San Giuliano

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Storia del sito:
La cappella di San Giuliano si trova all’interno del Parco Regionale della Mandria, in territorio di Druento, in prossimità della cascina Rubbianetta. Qui esisteva un borgo eretto in comunità indipendente appartenente al viscontado di Baratonia con una popolazione dedita soprattutto all’agricoltura e al commercio del legname di cui erano ricchi i boschi circostanti.
Secondo Monsignor Della Chiesa, scrittore di Patrie Storie nonché vescovo di Saluzzo, il nome Rubbianetta deriverebbe da un’antichissima famiglia detta “Rubineta”, ma non è da escludere che possa derivare dal latino Robur – roboris, cioè rovere, e che quindi volesse indicare un territorio coperto da boschi di querce, gli stessi che ancora oggi crescono folti nei suoi pressi. Il borgo Rubbianetta fu posto sotto la protezione di San Giuliano martire in onore del quale fu edificata la Chiesa omonima. Nel 1594 la giurisdizione religiosa su San Giuliano fu affidata alla parrocchia di Druent: da allora il parroco di Druento ebbe la totale amministrazione della parrocchia di Rubbianetta e si chiamò Prevosto di Druent e Curato di Rubbianetta; la nuova parrocchia, unione delle due, si chiamò parrocchia di Santa Maria della Stella e S. Giuliano in Rubbianetta e portò questo nome fino al 1986, anno in cui l’Ordinario Diocesano di Torino decretò che si sarebbe chiamata solamente più Santa Maria della Stella.
Gli anni dal ‘500 all’inizio del ‘600 furono caratterizzati da liti e pendenze su questioni legate ai confini tra i territori di Druent e quelli di Rubbianetta; dopo la grave pestilenza del 1612 che decimò la popolazione e una lite con i signori Provana legata alla onerosità delle imposizioni fiscali iniziò una lenta e irreversibile decadenza della Comunità della Rubbianetta i cui abitanti si spostarono oltre il Ceronda per dare vita all’attuale paese di Druento. L’utilizzo stesso della chiesa diminuì ma si mantennero gli appuntamenti tradizionali del 28 agosto, giorno di San Giuliano, e del 18 aprile, annuario della consacrazione della chiesa.
Una piccola ma significativa ripresa dell’attività religiosa coincide con là costruzione della cascina Emanuella, l’attuale Rubbianetta, dedicata da Vittorio Emanuele II al figlio Emanuele Alberto avuto dalla Rosa Vercellana. In tale cascina si sviluppò una importante attività di allevamento dei cavalli finalizzata a rifornire l’esercito e successivamente a produrre cavalli di gran razza per competizioni di corse internazionali.

Descrizione del sito:
L’impianto tardoromanico originario della Cappella di San Giuliano, risalente alla fine del XII secolo, ha subìto trasformazioni ed ampliamenti a partire dalla metà del secolo tredicesimo.
In un periodo che si pone intorno al 1440 viene realizzata l’abside poligonale in laterizio contestualmente all’arco trionfale a sesto acuto che separa il transetto dalla navata e ai due tratti di muro che congiungono i punti di innesto dell’abside con le pareti laterali.
Gli interventi secenteschi riguardano l’erezione della facciata barocca, tripartita e cadenzata sull’impianto architettonico e il modesto controsoffitto ligneo a doghe di pioppo, poi ripreso nel Novecento, in sostituzione del soffitto a cassettoni che nel Quattrocento completava la navata.
Al secolo XV, firmati da Giovanni Marcheto, sono databili gli affreschi interni della Cappella, raffiguranti San Sebastiano, Sant’Antonio, San Francesco, Sant’Anna, Sant’Antonio Abate, il Beato Antonio Neirotti di Rivoli, San Pietro, San Giovanni Battista, San Giacomo Maggiore, San Grato. I resti, purtroppo molto rovinati, di affreschi presenti sulle pareti dell’abside risalgono alla seconda metà del 1600 e sostituiscono dipinti precedenti, forse cinquecenteschi.
La trave lignea porta un crocifisso dipinto su tavola di sapore iconografico bizantino (periodo Tre-Quattrocentesco, superstite di un trittico ligneo di cui le parti laterali sono state trafugate.
Gli interventi di restauro e consolidamento strutturale realizzati consistono nel ripristino delle parti ammalorate e nella sostituzione di alcune di esse dove si è reso necessario; in particolare si è proceduto al rifacimento del tetto, al risanamento statico-strutturale del fabbricato e delle sue pertinenze murarie (l’antico perimetro di Cinta del Ricetto), al restauro delle superfici murarie interne e alla revisione dei pavimenti. Sono stati inoltre restaurati gli arredi della cappella, la Pala dell’Icona (tela dipinta a olio della metà del XVII secolo), l’altare ligneo, l’acquasantiera in pietra, la trave lignea decorata, le panche e le superfici pittoriche affrescate con eliminazione parziale degli intonaci ottocenteschi in modo da valorizzare l’impianto pittorico quattrocentesco enucleandolo dal contesto circostante che ripropone l’originale superficie muraria in ciottoli e laterizi. L’impiego della luce artificiale debitamente indirizzata mira ad accentuare il risalto delle scene pittoriche facendole emergere con forte contrasto cromatico dall’intorno circostante mantenuto prevalentemente in oscurità.

Informazioni:
Ente di gestione delle Aree Protette dell’Area Metropolitana di Torino, V.le Carlo Emanuele II, 256 – 10078 Venaria Reale (TO) – www.parks.it/parco.mandria o www.parchireali.gov.it – Tel. 011/4993381 – 011/4993311 info@parcomandria.it

Link:
http://www.parks.it/parco.mandria/mappa.interattiva/14.html

http://www.parchireali.gov.it/parco.mandria/punti-interesse-dettaglio.php?id_pun=1066

Fonti:
Fotografia in alto archivio GAT, in basso da www.parchireali.gov.it

Data compilazione scheda:
20/02/2005 – aggiorn. febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G. A. Torinese

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