Provincia di Biella
Cavaglià (BI) : resti del castello
Storia del sito:
Il castello è citato in vari documenti: del 1034 quando un certo Umberto, conte del luogo, dona terre alla cella di S. Vincenzo con atto “in castro Cabaliacae”; del 1207 quando Tebaldo, conte di Cavaglià, cede al conte Enrico un suo sedime “vicino al castello di Cavaglià”. Un terreno viene detto fin dal 1251 “retro castrum Cabaliacae” e vi è il toponimo “dietro castello”. Sul finire del secolo XIX i ruderi del castello dovevano essere ancora visibili: la sua forma era irregolare seguendo la circonferenza della vetta del colle. Probabilmente le mura avevano più di un metro di spessore e scendevano a mezzo il colle racchiudendo nel loro giro parecchie case l’una isolata dall’altra (il loro circuito era di circa 200 metri e il diametro massimo di circa 70).
I signori del luogo, i conti di Cavaglià, che nel 1173 si dichiaravano vassalli del vescovo di Vercelli, furono coinvolti nel conflitto fra i Comuni di Vercelli e Ivrea, che durò dal 1221 al 1231, e parteggiarono probabilmente per Ivrea. Solo nel 1254 i conti di Cavaglià, non seguiti dal ramo di Castronovo, giurarono fedeltà al Comune di Vercelli e nel 1257 a Cavaglià veniva costituito il borgo franco, ricostruendo il paese nel sito attuale e munendolo di fossati. Restavano esterni al borgo il castello, il priorato di S. Vincenzo e la parrocchiale di S. Pietro. Il castello lentamente decadde insieme con le fortune della casata dei conti di Cavaglià. Nel secolo XV, alla dedizione del luogo ai Visconti e ai Savoia, la fortificazione non doveva già più essere utilizzabile.
Descrizione del sito:
Attualmente nessun rudere è più visibile, ma la fotografia aerea mostra con evidenza la particolare conformazione del sito e suggerisce la presenza di una torre sul colle oltre la strada, sottolineando la validità della posizione rispetto alla plastica del terreno e al percorso stradale.
Nel 2005, nel corso di lavori, sono venute alla luce parte delle mura e delle fondamenta del castello. I resti saranno probabilmente oggetto della realizzazione di un parco archeologico
Informazioni:
Il castello si ergeva sul colle detto Bricco a nord del centro storico di Cavaglià; info Comune Tel. 0161 96038/39
Link:
http://www.archeovercelli.it/Cavaglia.html
Bibliografia:
GRUPPO ARCHEOLOGICO VERCELLESE, Luoghi fortificati fra Dora Baltea, Sesia e Po. Atlante aerofotografico dell’architettura fortificata sopravvissuta e dei siti abbandonati”, pp. 168-171; II Basso Vercellese-Vercellese occidentale, Vercelli 1992
RABAGLIO R., Castelli del Biellese, Ed. Leone Griffa, Pollone BI, 2003
Fonti:
Info e fotografia dal sito sopra indicato.
Data compilazione scheda:
05/08/2006 – aggiornamento marzo 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Cavaglià (BI) : Menhir
Storia e descrizione del sito:
Nel 2004, in un’area dismessa del Comune, accanto al parcheggio della piazza adibita a mercato, giacevano semiricoperti da rovi e vegetazione selvatica, numerosi monoliti, di cui uno ancora fortunosamente in posizione verticale. Luca Lenzi comunicò la circostanza alla Sovrintendenza ai Beni Archeologici della regione Piemonte. Dopo un primo sopralluogo, il professor Filippo Maria Gambari, segnalò al comune di Cavaglià ed alla locale stazione dei Carabinieri la necessità di provvedere alla “sicurezza dei blocchi e di programmare il loro posizionamento sul sito o nella più vicina area pubblica, in un contesto adeguato”.
Ulteriori sopralluoghi evidenziarono la presenza, sui massi, di lavorazione umana antica, di incisioni cruciformi e di una coppella. Basandosi su tali elementi, i monoliti potrebbero essere datati come “appartenenti all’Età del Ferro”.
Alla fine di gennaio 2005 partirono i lavori di riposizionamento dei reperti sotto la direzione dell’incaricata della Sovrintendenza e venne ripristinata la postura verticale di 11 monoliti. La sistemazione attuale è una ricostruzione ideale che non rispecchia la posizione originale.
Il complesso non è ancora stato oggetto di studi scientifici esaustivi per cui, sull’interpretazione dei monoliti, sulla validità della loro sistemazione, sulla cronologia dei petroglifi persistono opinioni varie, tra loro discordanti e basate su dati poco solidi. L’ipotesi illustrata in questa scheda è la più nota, ma non è detto che sia quella corretta.
Informazioni:
I monoliti, o menhir, di trovano presso l’incrocio tra la statale Biella – Vercelli e via S. Giovanni Bosco, in direzione di Viverone.
Links:
http://ontanomagico.altervista.org/menhircavaglia.htm
https://sites.google.com/site/santhiastoria/home/articoli/testimonianze-dalla-preistoria/preistoria
Fonti:
Notizie di Luca Lenzi e di Maurizia Vaglio, tratte dal sito sopra indicato al n° 1. Il sito indicato al n° 2 contiene foto storiche che risalgono a prima che i massi venissero spostati ed accatastati.
Fotografia in alto del 2014 da Wikipedia.
Fotografe in basso del 2005 del GAT.
Data compilazione scheda:
02/10/2007 – aggiornamento febbraio 2014 e febbraio 2022
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Castelletto Cervo (BI) : Castello e Priorato dei Santi Pietro e Paolo
Storia e descrizione di siti:
Castelletto (la specificazione Cervo è del secolo scorso), anticamente denominato Clivolo perché situato su un poggio, era un passaggio obbligato della medievale “Via Lexonasca” (che congiungeva Buronzo con Lessona, su cui transitavano soprattutto calce, vino e lana) e guado del torrente Cervo. Abitato sin dalla preistoria, sede di due necropoli romane.
Il CASTELLO, citato nel 1070, venne variamente rimaneggiato soprattutto nel XVII secolo, trasformandolo in una dimora signorile a forma di “L”. Delle strutture difensive antiche è rimasta solo una torretta cilindrica di avvistamento nello spigolo a sud-est. Dopo un lungo periodo di abbandono il castello, con una nuova proprietà, è stato fatto oggetto di un radicale intervento di recupero e ricostruzione. Ora adibito a uso turistico.
Il PRIORATO/monastero CLUNIACENSE DEI SANTI PIETRO E PAOLO. Nell’VIII-IX secolo esisteva una chiesa che fu priorato nel X secolo; nel 968-978 i monaci di Castelletto si posero sotto la signoria pontificia aderendo al movimento cluniacense. Un documento dell’abbazia di Cluny parla di un “ Carrelle castri ad quos monachis S Petri Cluniensis” che farebbe ipotizzare che il monastero di San Pietro alla Garella fosse una struttura fortificata.
L’edificio venne costruito utilizzando molti materiali di recupero, lapidi romane, capitelli, pietre tombali (una colonnina ed una lapide paleocristiana con due pellicani sono state rubate nel 1989). La primitiva chiesa romanica, forse sul finire del XVI secolo, quando la chiesa divenne parrocchiale, venne radicalmente trasformata con l’abbassamento delle volte delle navate laterali, la costruzione di una nuova sacrestia, il rifacimento dell’abside. Nel XIX secolo venne costruita la casa parrocchiale con la demolizione del chiostro, di cui rimane solo il bellissimo portale di passaggio tra chiostro e chiesa.
L’attuale facciata è un avancorpo costruito tra il XIV-XV secolo per realizzare un nartece.
Nella sacrestia vecchia un affresco del XIV secolo raffigurante la leggenda di san Giacomo di Compostela e a destra la Trinità in forma di tre figure umane uguali, secondo un’antica iconografia poi condannata dal Concilio di Trento.
Le strutture di fondazione e alcuni piani pavimentali del chostro , che si trovava avanti l’attuale casa parrocchiale, sono stati scavati tra il 2009 ed il 2012 dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”: quattro gallerie verosimilmente porticate chiudevano sui lati uno spazio aperto, probabilmente destinato in origine a giardino, e definivano un quadrilatero a sud della chiesa monastica – attuale parrocchiale – e ad ovest della manica claustrale, oggi ancora esistente seppure trasformata in casa parrocchiale. Alcune sepolture medievali sono emerse dalle gallerie nord ed ovest, dato che aiuta – nel generale silenzio delle fonti scritte – a ricostruire l’immagine del chiostro, evidentemente destinato a luogo di inumazione, verosimilmente per individui anche con una posizione sociale eminente (tra cui benefattori laici, come denuncia il ritrovamento di uno sperone da cavaliere in una delle tombe.
Informazioni:
Il castello, di proprietà privata, si trova in regione Rivetto.
Comune di Castelletto Cervo tel. 0161 859116.
Il complesso degli edifici del Priorato/monastero si trova in regione Garella, sulla strada che va alla frazione Cagna.
Links:
http://www.comune.castellettocervo.bi.it/ComSchedaTem.asp?Id=1062#container1
http://www.monasterodicastelletto.it/
Bibliografia:
RABAGLIO R., Castelli del Biellese, Ed. Leone Griffa, Pollone BI, 2003
Fonti:
Foto in alto dal sito: http://www.mtbsentieribiellesi.it/salvaguai/Castello_Castelletto_C.jpg. Foto in basso da Rabaglio (2003). Altre fotografie si possono trovare nei siti sopra indicati.
Data compilazione scheda:
03/08/2006 -aggiornamento febbraio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Candelo (BI) : Ricetto
Storia del sito:
Il termine Ricetto deriva dal latino receptum (ricovero, rifugio) e indica un luogo difeso, cinto da fortificazioni, utilizzato come deposito per i prodotti agricoli (in particolare granaglie e vino) in tempo di pace e come rifugio in tempo di guerra o di pericolo.
Il tessuto urbanistico e la struttura originaria sono rimaste praticamente intatte sino ad oggi e il Ricetto di Candelo costituisce il migliore esemplare di tutti i ricetti del Piemonte ed un unicum nel suo genere, che si è conservato grazie all’utilizzo totalmente contadino che ne è stato fatto sino a tempi recenti ed in parte ancor oggi.
Nel 988 compare per la prima volta il nome di Candelo (Canderium) nel documento in cui Ottone III ne conferma il possesso feudale a Manfredo. L’anno seguente Ottone III infeuda Candelo alla Chiesa vercellese. Il nome di Candelo è forse da mettere in relazione con le origini pre-celtiche del luogo. I due elementi di cui è formato, cioè “candt” che significa pietra ed “elu”, un suffisso indicante località presso alture o acque, fanno pensare alla presenza dei Liguri.
Tra la fine del XIII e l’inizio del XIV sec., gli abitanti di Candelo, autonomamente, costruiscono il Ricetto su un terreno di signori locali, per il quale all’inizio pagano un censo annuo e che poi riscattano. Nel 1360 si contano nel Ricetto 157 casupole dette cellule.
Nel 1374, prima fra le terre biellesi, Candelo fa atto di spontanea dedizione ai duchi di Savoia.
Nel 1554-58 Candelo è coinvolto nelle lotte tra Francesi e Spagnoli, che causano gravi danni al Ricetto che viene riparato nel 1561.
Dal 1644 al ’49 nuove occupazioni spagnole provocano incendi e distruzioni.
Nel 1785 Carlo Sebastiano Ferrero Fieschi è l’ultimo feudatario di Candelo. Con l’occupazione napoleonica si modifica la struttura politico-amministrativa del borgo.
Nel 1819 inizia la costruzione dell’attuale Palazzo comunale sulle antiche mura del Ricetto e viene realizzata l’attuale piazza.
In tempi recenti il Comune ha provveduto al rifacimento e al consolidamento di torri e mura e alla ristrutturazione di varie cellule, destinate a spazi museali, laboratori di artigiani, botteghe di artisti ed enoteche. Sono stati realizzati percorsi illuminati fuori le mura ed è stato progettato il rifacimento di parte del cammino di ronda e della “via di lizza”.
Descrizione del sito:
Il ricetto è a pianta pentagonale irregolare, ha un perimetro di circa 470 metri e una superficie di 13 mila mq, è largo 110 metri e lungo 120. In queste ristrette dimensioni trovano oggi spazio circa 200 cellule, quasi tutte di proprietà privata. La cinta muraria ne segue tutto il perimetro ad eccezione del lato sud, ora occupato dal palazzo comunale in stile neoclassico in stridente contrasto con l’architettura medievale del ricetto.
Vedi nella PIANTINA i principali monumenti e siti:
1 – Torre Porta
2 – Casa del Principe
3 – Torchio per vinacce
4 – Torre di cortina
5 – Punti panoramici
6 – Torri sud-ovest
7 – Casa comunale
LE MURA sono costruite in ciottoli di torrente posti a “spina di pesce” (opus spicatum) con un coronamento merlato. Tutto intorno correva il cammino di ronda, di cui restano alcune mensole di sostegno in pietra. Una “via di lizza”, ora quasi scomparsa per il prolungamento di alcune case nell’Ottocento, correva lungo il perimetro delle mura. Gli angoli del ricetto sono protetti da quattro torri rotonde, in origine tutte aperte verso l’interno per facilitare le operazioni di difesa. I coronamenti in cotto, con decori di mattoni posti a scalare, risalgono a sistemazioni successive. L’unica via d’accesso era protetta, a sud, da una poderosa Torre-Porta (1), mentre al centro del lato nord, tra due torri angolari rotonde, si trova ancora la possente Torre di cortina (4) costruita quasi interamente con grandi massi squadrati (successivo è il coronamento in mattoni). Oltre allo scopo difensivo, fungeva da collettore per lo scarico di acque e liquame, come rivelano le feritoie in basso. Ancora oggi assolve il compito di far defluire l’acqua superficiale del ricetto.
LE RUE (come sono dette con un francesismo le strade) sono costituite da ciottoloni inclinati verso la mezzaria e con pendenza da sud a nord per permettere il deflusso delle acque superficiali verso la torre di cortina. L’impianto viario è costituito da cinque assi in direzione est-ovest, intersecati da due ortogonali. La rua principale, al centro, era calibrata in funzione del traffico dei carri; più ridotte sono le rue laterali. Gli edifici, costituiti da una serie di singole cellule edilizie non comunicanti, sono accorpati in nove isolati, a doppia manica, separati da una stretta intercapedine (riana, rittana, chintana) per garantire il deflusso delle acque e del liquame. La muratura, spessa circa 60 cm, è per lo più a ciottoli disposti a spina di pesce; qua e là si nota anche interposizione di mattoni e di grosse pietre.
LE CELLULE sono formate da un vano a pianoterra (caneva) che è una cantina con pavimento in terra battuta, destinata al vino e alle operazioni connesse, cui si accede dalla strada attraverso un portale. Il vano al piano superiore (solarium) è un ambiente secco ed asciutto, ideale per la conservazione delle granaglie, cui si accede direttamente dalla rua tramite la lobbia, una balconata in legno che poggia sulle travi di separazione tra caneva e solarium. I due vani non sono comunicanti per ridurre al minimo le escursioni termiche. La lobbia meglio conservata è quella vicino alla sala consiliare. La muratura, spessa circa 60 cm, è formata per la maggior parte da ciottoli disposti a spina di pesce, talora con inserimento di mattoni e di grosse pietre.
I portali delle singole case sono di due tipi: i più antichi, costituiti da tre conci di pietra, poggiano su piedritti litei con interposta una pietra squadrata posta orizzontalmente. Quelli di mattoni, di epoca successiva, sono ad arco leggermente acuto, formati da una doppia ghiera, una di fascia ed una di punta. Oggi, come alle origini, le cellule edilizie sono di proprietà privata, in parte ancora destinate alla vinificazione e conservazione del vino.
Varcata la Torre-Porta, ci si trova in una piazzetta pavimentata con le pietre tondeggianti del vicino torrente Cervo; su di essa sorge una costruzione più imponente delle altre, il PALAZZO DEL PRINCIPE (2), fatto costruire da Sebastiano Ferrero nel 1496, quando diventò feudatario di Candelo. Il palazzo presenta una struttura a mastio, oggetto di vari interventi in epoca successiva. Era solo un’abitazione temporanea del signore, che abitualmente dimorava nel castello di Gaglianico.
Sulla sinistra della piazzetta, sono situate la “sala consiliare e delle cerimonie” del Comune di Candelo (7), dove vengono periodicamente allestite mostre, e la “biblioteca-archivio storico”. Il grosso pietrone, datato 1749, situato nei pressi dell’attuale pozzo, era il contrappeso di un torchio a leva, anticamente situato nella sala cerimonie. Uno strumento simile, tuttora funzionante ed in perfetto stato di conservazione, si trova in una cantina privata del ricetto.
Dal ricetto, scendendo lungo il tratto erboso a sinistra della torre di sud-ovest, si raggiunge la chiesa di S. Maria attraverso un viottolo che costeggia la roggia Marchesa, il canale che dal 1561 dà acqua alle campagne circostanti e alle risaie del Vercellese. In questi terreni, fino alla piana del torrente Cervo, si trovavano le fosse per la macerazione della canapa, coltivazione dismessa agli inizi del Novecento.
LA CHIESA DI SANTA MARIA variamente rimaneggiata nei secoli, è menzionata per la prima volta nel 1182 e conserva una bella facciata romanica costruita con pietre di torrente disposte a spina di pesce. All’interno sono pregevoli i capitelli quattrocenteschi delle colonne, gli affreschi della fine del XV secolo e il pulpito della metà del XVII.
Informazioni:
Nel centro dell’abitato. Pro Loco tel. 015 2536728 . La Chiesa di Santa Maria è visitabile su prenotazione, rivolgendosi alla Parrocchia di Candelo (tel. 015 2536045)
Links:
https://www.ricettodicandelo.it/
http://www.comune.candelo.bi.it
Bibliografia:
TORRIONE P., Il ricetto di Candelo, Ed. Rosso, Biella, 1965
GRASSNICK M., Il ricetto di Candelo, Kaiserlautern Universitat, Kaiserlautern, 1982
SPINA L., BELLARDONE P., Candelo e il ricetto: X-XIX secolo, Comune di Candelo Ed. Motta, Milano, 1990
CHILA’ F., Il castello che non c’è: l’immagine del ricetto di Candelo tra suggestioni romaniche e ipotesi di riutilizzo, “Nuraghe”, Biella, 2001
candelo – De bosis
Fonti:
Fotografie e parte delle notizie dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
12/09/05 – aggiornamento febbraio 2014 e 2023
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese
BIELLA: Museo del Territorio Biellese
Storia del museo:
Il Museo è stato inaugurato nel dicembre 2001 per raccogliere e conservare il patrimonio biellese e si è arricchito nel corso degli anni con l’allestimento di varie sezioni: al primo allestimento dedicato alla Sezione Egizia, ha fatto seguito, nel 2004, l’apertura della Sezione Archeologica con l’esposizione di materiali del nucleo storico del vecchio Museo Civico e che copriva i periodo pre-protostorici, della romanizzazione e si limitava, per l’età romana, al contesto della necropoli di Biella-via Cavour.
A maggio 2011 è stata inaugurata la sezione archeological con un nuovo percorso espositivo.
Descrizione del materiale esposto:
La sala egizia raccoglie la collezione che nel 1908 costituì l’atto di nascita della sezione archeologica nel Museo di Biella. Fu allora che il sindaco della città Corradino Sella, appassionato di antichità egizie acquistò una “piccola raccolta di oggetti” su consiglio di Ernesto Schiaparelli, al quale è dedicata la sezione egizia del Museo. Schiaparelli, studioso di origini biellesi, dopo anni di scavi in Egitto che lo portarono a compiere numerose scoperte come la tomba dell’architetto Kha e Merit e la tomba di Nefertari, rivestì l’importante carica di direttore del Museo Egizio di Torino.
Attualmente la collezione comprende 95 oggetti risalenti all’epoca tarda e al periodo tolemaico e romano. Nelle vetrine è possibile osservare la collezione di amuleti in pasta vitrea, pietra dura e smalti colorati che raffigurano le varie divinità del pantheon egizio; una decina di bronzetti notevoli per fattura ed esecuzione tra cui spiccano la figura di Osiride mummificato e Bastet la dea gatta, un piccolo gruppo di ushabti mummiformi, alcuni utensili e armi in selce, oggetti appartenenti ad un corredo funerario, oltre ad alcuni reperti curiosi della vita quotidiana del popolo egizio come un pettine e uno specchio.
Al centro della saletta, una grande teca di vetro ospita il vero elemento di attrazione: il sarcofago antropoide e la mummia della signora Shepsettaaset. Risalente all’epoca tolemaica e proveniente da Asyut, il sarcofago si presenta intatto nella forma e nella decorazione e grazie ad un’esposizione particolare ed accurata, visibile in tutte le sue parti. Di grande impatto, la mummia rende la piccola sala del museo affascinante. L’atmosfera di mistero creata da questa presenza millenaria e silenziosa accoglie i visitatori offrendo uno “scorcio” d’Egitto del tutto particolare.
La sezione archeologica si articola in diverse sezioni: Età Preistorica e protostorica, Età della romanizzazione: la Bessa e le necropoli di Cerrione, Età romana: le necropoli e il popolamento, Età medievale. La prima sala raccoglie le principali evidenze sulla più antica storia del territorio biellese, di cui è seguito il progressivo costituirsi in un’identità ben definita dalle prime presenze umane nel Paleolitico all’età romana. Complessi come i materiali dell’età del bronzo e dell’età del Ferro dalla Burcina, con la ricca tomba del V secolo a.C., si associano ad eccezionali ritrovamenti isolati come lo splendido pugnale dell’antica età del Bronzo, il calco della testa in ignimbrite del VI secolo, la spada di Vigliano o i reperti da Oropa.
Le testimonianze dal territorio della Bessa (vd. scheda) costituiscono il centro del percorso, a cavallo tra la protostoria ed i primi momenti della romanizzazione, mentre l’età romana è ben rappresentata dalla grande necropoli di Villa Bertrand a Biella e dalla documentazione delle epigrafi dal territorio e dalle necropoli di Cerrione.
Testimonianze anche delle incisioni rupestri del Biellese e dell’archeologia medievale, destinate a chiudere coerentemente la sezione archeologica. I reperti attirano il visitatore di ogni età guidandolo con un ricco apparato didattico nella sintesi storica, attraverso molteplici percorsi alternativi che evidenziano l’analisi dell’artigianato artistico, la cultura materiale e le tecniche di realizzazione, il valore simbolico di determinati oggetti, il collegamento a miti e figure leggendarie della cultura popolare.
Informazioni:
Chiostro di San Sebastiano, tel.015 2529345, email: museo@comune.biella.it
guida-al-museo.pdf
Link:
http://www.museodelterritorio.biella.it
Bibliografia:
SAPELLI RAGNI M. (a cura di), 2004, Tesori del Piemonte – Il Piemonte degli scavi- Siti e musei di antichità
MERCANDO L. (a cura di), 1998, Archeologia in Piemonte, Allemandi
BRECCIAROLI TABORELLI, 2000, Alle origini di Biella. La necropoli romana, Torino
AA. VV., Una filosofia per il Museo del Territorio, Assessorato alla Cultura – MdT, Biella, 1996
ROMANO G. (a cura di), Museo del Territorio Biellese, Assessorato alla Cultura – MdT, Biella, 1990
Fonti:
Il testo è tratto dal sito del museo con modifiche e integrazioni. Fotografia da www.comune.torino.it
Data compilazione scheda:
19/12/2004 – aggiornam. febbraio 2014 – dicembre 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Simona Vigo – G. A. Torinese
BIELLA: La Bessa (Riserva Naturale Regionale Speciale)
Storia del sito:
Strabone (IV,6,7) riporta, attingendoli da una fonte più antica, avvenimenti molto precedenti, poiché riguardano la spedizione di Appio Claudio Pulcro contro i Salassi, fra il 143 ed il 140 a.C. Per intervenire in questa zona i Romani presero a pretesto le lotte che opponevano i Salassi alle popolazioni che vivevano nella pianura situata a valle e che venivano private dell’acqua per le loro colture, poiché i primi le utilizzavano per lavare l’oro delle miniere. Il generale romano respinse i Salassi sulle montagne ed i loro impianti di lavaggio dell’oro caddero in possesso di Roma, che continuò nello sfruttamento dei giacimenti. Augusto, nel 25 a.C., sottomise definitivamente i Salassi e fondò la colonia di Aosta. In questo periodo si può ricordare un passaggio di Plinio il Vecchio che ricorda l’esistenza di una Lex censoria Ichtimulorum, nel territorio della città di Vercellae, la quale interdiva ai publicani che sfruttavano la miniera di impiegare più di 5.000 lavoranti, per il timore di forti concentrazioni di schiavi.
La sola data che si può oggi assegnare archeologicamente alla Bessa è la fine del II ed il I secolo a.C., ma se la miniera d’oro dei Salassi è quella di cui parla Strabone, bisogna andare ad un’epoca anteriore. La coltivazione del giacimento cessò probabilmente in seguito al progressivo esaurirsi dei materiali auriferi verso la metà del I sec. a.C., soppiantato anche dalle più ricche miniere iberiche.
Descrizione del sito:
Comuni di Borriana, Cerrione, Mongrando e Zubiena (Prov. di BIELLA) Trattasi di un terrazzo alluvionale – 8 km di lunghezza e 1,1 di larghezza massima – allo sbocco della Valle d’Aosta, sulla riva destra del torrente Elvo, ad una cinquantina di km a nord-est di Torino. Ha una superficie di soli 4,4 kmq ma il suo territorio è stato sconvolto dall’intervento dell’uomo a causa dell’oro in esso contenuto. La zona è inclinata da nord-ovest a sud-est, passando da 400 a 300 m di altitudine circa. È a due livelli separati da un dirupo la cui altezza progredisce da monte a valle, dove raggiunge i 30 m. Il livello superiore è coperto da cumuli di ciottoli e solcato da valloni perpendicolari al suo asse longitudinale; sul livello inferiore, allo sbocco di questi valloni, si espandono conoidi di deiezione giustapposti. La zona termina a punta, alla confluenza dell’Elvo e dell’Olobbia; a questo livello, sulla riva destra di questo stesso corso d’acqua, si notano i lembi di un terrazzo del medesimo aspetto del precedente.
Descrizione dei ritrovamenti:
Fondi di capanne sono stati ritrovati su parecchi cumuli di ciottoli provenienti dallo sfruttamento più antico. Scavi effettuati presso Mongrando e presso Vermogno hanno fornito materiale datato alla fine del II e I secolo a.C. Nell’autunno del 1995 altri resti di questo genere sono stati messi in luce nel settore denominato in dialetto “Ciapej parfondà” (= vano sprofondato): si tratta di un grande vano allungato e di vani più piccoli. Queste costruzioni, le cui pareti erano edificate con ciottoli a secco, sono assai difficili da distinguere poiché erano, almeno in parte, ricavate all’interno di cumuli di ciottoli, di cui erano parimenti ricolmate. Le ricerche archeologiche hanno inoltre portato alla luce reperti di grande interesse comprendenti lapidi, vasellame ceramico lavorato al tornio e modellato a mano, lucerne di tipo romano in cotto, fusaiole, fibule di ferro, una lama, chiodi, chiavi di ferro di tipo romano, un cuneo, monete d’argento.
Luogo di custodia dei materiali:
I materiali rinvenuti sono custoditi nel Museo Civico di Biella.
Informazioni:
Ente di gestione delle Riserve Pedemontane e delle Terre d’Acqua – sede operativa di Cerrione – Via Crosa, 1 – 13882 Cerrione (BI) tel.015677276 e-mail baraggebessabrich@tiscalinet.it
Centro visite : Via ai Monti s.n. – Frazione Vermogno 13888 Zubiena (BI).
Sono cinque gli itinerari, dotati di segnaletica, che permettono di percorrere in sicurezza parte della Riserva Naturale. In comune di Cerrione si trova il primo itinerario del Parco ad essere aperto ai visitatori; interessante per il ritrovamento, avvenuto nel 1977, di una stele ora visibile nella sede del Parco e per le recenti indagini archeologiche riguardanti il sistema di coltivazione del giacimento aurifero. In comune di Morgando il più settentrionale degli itinerari, si snoda dove la Valle Viona sbocca nella pianura; su questo percorso di notevole incontriamo il punto panoramico denominato “Truch Briengo” e l’insediamento del “castelliere” di interesse archeologico. Dal centro visite di Vermogno iniziano tre itinerari: uno dedicato alle incisioni rupestri, gli altri due permettono di visitare resti di villaggi abbandonati da oltre venti secoli e l’area dove maggiormente sono evidenti le testimonianze dello sfruttamento minerario dei Romani.
Links:
http://www.bessa.it
www.bessa.it/coppelle (per notizie sulle incisioni rupestri)
Bibliografia:
CALLERI G., La Bessa. Documentazione sulle aurifodine romane nel territorio biellese, Biella, 1985
DOMERQUE C., La miniera d’oro della Bessa nella storia delle miniere antiche, in “Archeologia in Piemonte – l’età romana”, Allemandi Editore, Torino, 1998, pp. 207-222
GIANOTTI F., Bessa, paesaggio ed evoluzione geologica delle grandi aurifodine biellesi, Vigliano Biellese, 1996
SCARZELLA P., Aspetti dell’arte mineraria romana e interpretazione del singolare paesaggio dell’Aurifodina della Bessa, in “Atti e Rassegna Tecnica Società ingegneri e architetti in Torino”, 29/7-8, pp. 74-83
Fonti:
Foto in alto da Wikipedia
Data compilazione scheda:
12/04/2006 -aggiornamento febbraio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Feliciano Della Mora – Gruppo Archeologico Torinese
BIELLA: Battistero
Storia del sito:
Mancando una precisa documentazione d’archivio il dibattito sulla datazione della costruzione si è basato sull’esame delle strutture dell’edificio. Le proposte di datazione variano in un arco di tempo assai vasto: dal VII al secondo quarto dell’XI. La maggior parte degli studiosi tende a collocarlo alla fine della seconda metà del X secolo. Alcuni a motivo sia delle strutture murarie che della decorazione ad archetti ciechi, che si riscontra anche in altri edifici della metà dell’XI dell’area eporediese e torinese (San Giovanni ai Campi a Piobesi, San Pietro di Celle), propendono per un avanzamento al secondo quarto dell’XI secolo
Descrizione del sito:
L’edificio faceva parte del complesso della chiesa matrice di Santo Stefano; dopo la demolizione della chiesa, avvenuta alla fine dell’Ottocento, si è salvato solo il bellissimo campanile a otto piani. Il Battistero si trovava sul lato destro della chiesa, staccato da essa all’altezza del presbiterio. È una costruzione a pianta quadrata con absidi semicircolari su ciascun lato. Impostato sulle absidi è il tamburo ottagonale, coronato da una piccola torretta-lanterna, sfalsata rispetto alla pianta di base e pur essa quadrata nell’iconografia. Ciascuna abside è separata all’esterno da robusti contrafforti che controbilanciano le spinte della cupola, protetta all’esterno da un involucro ottagonale. Le absidi sono inoltre decorate da quattro lesene, delimitate nella parte superiore da archetti pensili e da nicchiette a fornice cieco. Ciascuna specchiatura reca al centro una piccola finestra ad arco a doppio strombo, ad eccezione di quelle a nord-ovest e a sud-ovest, dove al posto della finestrella centrale si apre una piccola porta. Il portale di nord ovest è architravato e sormontato da una nicchia ornata con mattoni a raggiera recante al centro una lastra marmorea di età romana raffigurante Ercole con un amorino di fronte ad un portico con lesene. Il tamburo è ottagonale, ma non regolare nelle proporzioni; presenta ciascuna faccia decorata nella fascia superiore da una serie di archetti ciechi simili a quelli delle absidi. Al centro di ogni lato si apre una piccola finestra arcuata a doppia strombatura. Il lanternino è decorato da quattro bifore a doppia profilatura con colonnina con capitello a stampella. La sua struttura muraria e la sua disposizione assialmente eccentrica rispetto alla base dell’edificio ha fatto supporre una sua appartenenza ad una fase di costruzione più tarda. La struttura muraria del battistero è all’esterno piuttosto rozza, come dimostrano in primo luogo i muri del tamburo, che non hanno uno spessore uniforme, ma si ingrossano nella parte centrale, per ragioni di carattere statico, di miglior sostegno della volta superiore. I materiali con cui sono costruiti i paramenti esterni sono mattoni, ciottoli di fiume misti a frammenti di laterizi, con disposizioni a filari e più spesso a spina di pesce, con legamento di malta. Singolare è il sistema di copertura impiegato sull’intero edificio. Le lastre risultano infatti posate direttamente sull’estradosso delle volte, secondo un sistema proprio della tradizione tardo-antica. La lanterna ha una piccola croce di ferro e rame dorato (del sec. XII rinvenuta durante i restauri del 1913).
Nella parte interna il Battistero passa dalla pianta quadrata del corpo inferiore a quella circolare della parte superiore (cupola) mediante l’impiego di pennacchi, la cui struttura ha dato adito a vivaci discussioni fra gli studiosi a proposito della datazione dell’edificio. Contrasta con la corposa e colorata struttura muraria dell’esterno la nuda semplicità dell’interno, che ora appare interamente intonacato. Dalle parti decorate a calce emergono tracce della decorazione pittorica (affreschi e sinopie) che vengono datati tra la fine del XIII secolo e gli inizi del secolo successivo e sembrano appartenere ad interventi diversi. Una prima mano rivela innanzitutto l’affresco dell’abside dell’altare raffigurante la Vergine con il Bambino ed un Santo martire. La cultura di questi dipinti rinvia a talune maestranze che operano nel XIII secolo a Milano (S. Ambrogio) e a Pavia (S. Teodoro) con una traduzione semplificata degli stilemi bizantini. Ad altre mani ancora, più tarde ed involute, appartengono altri frammenti con figure di Santi
Informazioni:
Tel.015 22592 (Parrocchia di Santo Stefano)
Links:
http://sit2.comune.biella.it/sv/bcd.php
http://www.comune.biella.it/web/storia-della-citt%C3%A0/i-monumenti
Bibliografia:
CHIERICI S.; CITI D., 1985, Italia Romanica. Il Piemonte, la Val d’Aosta, la Liguria, Jaka Book
DE BERNARDI D., 1959, L’architettura romanica nella diocesi di Biella
SCIOLLA G. C., 1980, Il Biellese. Dal Medioevo all’Ottocento, pp. 18-22, 31
Fonti:
Foto in alto dal sito del Comune. Foto in basso archivio GAT. Piantina da Chierici, Citi 1985; ultima foto, schema da http://www.loicderrien-illustration.com/biela.htm
Data compilazione scheda:
3 maggio 2004 – aggiornamento febbraio 2014 -aprile 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese
BIELLA : Chiesa di San Giacomo e rione Piazzo
Storia dei siti:
L’odierno nome di Biella deriva da “Bugella”. Il documento scritto più antico nel quale viene menzionata Biella è un diploma dell’826 degli Imperatori del Sacro Romano Impero, Ludovico il Pio e Lotario. Si tratta della donazione della “Corte di Biella”, nel pago dei Vittimuli, fatta dai predetti Imperatori al loro messo il Conte Bosone. Carlo il Grosso, con suo diploma dell’882 donò Biella alla Chiesa di Vercelli.
Nel X° sec. incominciò ad esercitare la sua influenza sugli uomini di Biella il capitolo di S. Stefano, desideroso di sostituire la propria autorità alla signoria Vescovile, favorendo lo sviluppo in senso autonomo della vicinia che si stava formando intorno alla Chiesa di S. Stefano, creando così quel nucleo che doveva dare origine al Comune. Questo stato di cose indusse nel 1160 il Vescovo Uguccione a fondare un nuovo abitato nella località detta Piazzo, in posizione più alta rispetto al rione Piano, più antico. A questo rione si accedeva dalla porta della Torrazza (quella oggi esistente fu rifatta nel 1780); dalla trecentesca Porta d’Andorno, ancora esistente, e dalla Porta di Ghiara.
Dell’antico castello dei Vescovi di Vercelli, ora non riamane più nulla; infatti nel 1377 quando i Vescovi furono cacciati da Biella, esso venne raso al suolo e sui suoi ruderi sorse il convento di san Domenico in cui fungeva da campanile una antica torre del castello. Del convento resta parte di un bel chiostro, questa proprietà fu acquistata dai Poma che la trasformarono in fabbrica (1862), ora chiusa.
La chiesa dedicata a San Giacomo fu eretta nel borgo nel XIII secolo in stile gotico; la facciata e il campanile furono eretti nel secolo successivo. Il protiro è una aggiunta del XVII secolo.
Descrizione dei stiti:
La CHIESA DI SAN GIACOMO è la parrocchiale del rione Piazzo. Il campanile è a 5 piani con bifore.
L’interno della chiesa è a croce latina a tre navate divise da robusti pilastri cruciformi, con archi a tutto sesto e cupola ottagonale. Nel XVI secolo fu rialzato il pavimento, facendo perdere slancio alle arcate, e probabilmente fu anche aggiunta la cupola. Nel 1862, per attuare un nuovo rivestimento, furono distrutti gli affreschi che la decoravano .
Alla parete sinistra vi è un trittico di Daniele De Bosis, del 1497, rappresentante la Vergine in trono col Bambino Gesù e i SS. Giacomo e Gottardo ed il donatore Giacomo Dal Pozzo, rettore della Città di Biella. Nella navata sinistra, una tavola di Boniforte Oldoni che raffigura la Madonna tra due Santi, del secolo XVI. Gli arredi sono del XVII-XVIII secolo.
__________
Nel RIONE PIAZZO sorgono palazzi e case del XIV-XV secolo, rimaneggiati, di cui restano alcune decorazioni in cotto delle finestre, visibili principalmente in Piazza Cisterna, su cui si affaccia anche Casa Teccio, la più antica di Biella con archi ogivali ornati da fasci floreali in cotto.
Il palazzo Ferrero-Lamarmora conserva un’alta torre ottagonale del XV secolo.
LA PORTA D’ANDORNO fu eretta nella prima metà del ‘300, quando la città venne fortificata dal Vescovo Lombardo della Torre; era costruita in mattoni e munita di opere difensive e di saracinesche scorrevoli. Nel lato verso il Piazzo vi erano dipinte l’arma degli Scaglia e la Sindone.
Di fianco alla chiesa di San Giacomo, un tempo sorgeva l’OSPEDALE DI SANTO SPIRITO che viene citato per la prima volta in un documento del 1201; oggi ne rimane la porta, ora murata, con la scritta “Domus Hospetalis 1603”.
Informazioni:
Il rione Piazzo ritrova nella parte alta di Biella, raggiungibile anche con una funicolare.
Info Parrocchia tel. 015 23951
Links:
http://www.comune.biella.it
https://www.capotrenogio.it/il-borgo-del-piazzo/
Fonti:
Notizie e fotografie tratte nel 2007 dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
18/07/2007 – aggiornamento febbraio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
BIELLA : Campanile di S. Stefano
Storia del sito:
La chiesa di Santo Stefano Vecchio aveva origini molto antiche, intorno al V secolo ed era situata parallelamente rispetto alla successiva cattedrale di Santa Maria Maggiore. La chiesa, e il complesso di edifici annessi, era la principale della città. Da alcuni documenti dei secoli X-XI si rileva la sua importanza, anche nell’ambito delle pievi della regione, e la sua destinazione cimiteriale. Altre testimonianze d’archivio rivelano le trasformazioni dell’edificio avvenute nel secolo XVI ed i radicali rifacimenti a cui fu sottoposta nei secoli XVI e XVIII.
La chiesa venne demolita nel 1872, di essa sono rimasti pochi reperti e, fortunatamente intatto, il CAMPANILE, del quale non si hanno documenti relativi alla costruzione, avvenuta presumibilmente nel secolo undicesimo.
Descrizione del sito:
Il campanile romanico è a pianta quadrata, ha otto piani, dei quali sei adorni di doppie bifore e due di monofore, sormontato da una snella cuspide piramidale a base ottagonale e da quattro pinnacoli in cotto. Il campanile è alto 52,6 m; la cuspide è alta 10,4 metri; i pinnacoli, a base quadrata terminanti a piramide, sono alti metri 3,88. I piani sono divisi tra loro da file di archetti pensili. Le finestre sono di diverso tipo: feritoie al piano terreno, monofore ai due piani successivi, bifore nei rimanenti piani.
La struttura muraria è in ciottoli e mattoni legati da malta, lo spessore dei muri varia da 1,40 m (in basso) a 0,6 m.
Secondo Debernardi Ferrero la struttura muraria del campanile presenta almeno tre tipi diversi di muratura di epoche diverse: “la zona inferiore sembra appartenere ad una delle torri della cinta muraria ed è costituita da muratura in ciottoli a lisca di pesce e da lesene angolari più larghe; nei due piani che seguono i ciottoli scompaiono quasi interamente e si ha in prevalenza muratura in scampoli di pietra con spessi strati di malta; a partire dal quarto piano, pur restando la muratura in scampoli di pietra, gli stati di calce tra un corso e l’altro sono più sottili” . Queste differenze hanno fatto dedurre che la parte inferiore della torre possa ritenersi del secondo quarto dell’XI secolo; che i due piani sovrastanti possano attribuirsi a qualche tempo di poco successivo; infine gli ordini superiori ed il completamento può essere ritenuto della fine del secolo XI.
Descrizione dei ritrovamenti:
Durante la demolizione della chiesa di S. Stefano Vecchio vennero trovate una moneta d’oro e vasi provenienti da una tomba, risalenti al V secolo d.C., che ne testimoniano le antiche origini. Nelle fondamenta della chiesa venne ritrovata la pietra tombale di Prete Albino.
Pochi sono gli oggetti pervenuti dalla demolizione: una serie di mensole e capitelli, conservati parte in una collezione privata di Biella e parte al museo Civico di Biella; una serie di stalli lignei appartenenti al coro della chiesa ed ora incorporati nell’orchestra del Duomo. Alcune mensole in pietra verde degli archetti pensili che ornavano la facciata e gli spioventi della navata centrale, risalente al secolo XII, sono di proprietà P. Torrione Biella.
Informazioni:
Links:
http://www.comune.biella.it
http://www.biellacitta.com/settori/storia/museimonumenti.htm
Fonti:
Notizie tratte dai siti sopra indicati. Fotografia dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
17/07/2007 -aggiornamento febbraio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
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