Torinese e valli di Lanzo

Lanzo (TO) : Ponte del Roch, o del Diavolo

Lanzo-ponte-comune

Storia del sito:
Il Ponte del Roch o Ponte del Diavolo, come ancora oggi viene tradizionalmente chiamato, deve probabilmente il suo nome a una leggenda popolare che ne attribuirebbe la costruzione al diavolo, il quale, in cambio dell’anima del primo che lo avesse attraversato, lo avrebbe edificato nel corso di una notte. Probabilmente tale attribuzione nasce dallo stupore popolare derivato dall’audacia e dalle difficoltà che si sono dovute affrontare per portare a termine l’opera. In realtà documenti di archivio, gli Statuti ed i conti della Castellania di Lanzo e Valli, redatti dall’11 settembre 1377 al 20 settembre 1380 dal Castellano sabaudo Aresmino Provana signore di Leinì, attesterebbero la data di costruzione al 1378. Fu infatti nel XIV secolo, in seguito a una deliberazione presa il 1 giugno 1378 dalla Credenza raccolta nella Chiesa di Sant’Onofrio, alla presenza del Castellano Aresmino Provana, che iniziò la costruzione del ponte del Rocco. Per portare a termine l’opera si spesero 1400 fiorini e dal Sovrano si ottenne facoltà di porre per dieci anni un dazio sul vino per ammortizzare tale spesa. Il nome del probabile costruttore potrebbe derivare da un rotolo pergamenaceo dell’Archivio di Stato di Torino in cui si annota che in data 15 luglio 1378 la Castellania corrispose dei pagamenti a un certo Giovanni Porcherio “pro preparacione et aptacione primi pontis basterie (ponte basterie, a causa della sua forma a basto, un tipo di sella dalla forma molto arcuata). La costruzione del ponte si deve probabilmente a scopi difensivi: doveva infatti garantire alle valli uno sbocco anche sulla riva destra del torrente Stura in caso di ostilità con i Principi d’Acaja, nell’orbita dei quali erano gli abitanti di Balangero, Mathi e Villanova, e con il Marchese di Monferrato, signore di Corio e di altre zone verso il Canavese. Il ponte permetteva inoltre di controllare tutto il traffico pedonale che, tramite mulattiere e sentieri, era obbligato a radunarsi e a passare in sicuri punti vigilati per le perquisizioni e le esazioni di gabelle.

Descrizione del sito:
Il ponte si trova tra le spalle del monte Basso in sponda destra della Stura e la spalla del monte Buriasco; è interamente costruito in pietra e la sua gittata è di circa trentasette metri. Il suo impalcato all’estradosso è profilato a schiena d’asino, cosicché esso può alzarsi sul pelo delle acque in piena di sedici o diciassette metri. Percorrendo il ponte, circa a metà del camminamento, si erge un’arcata che in epoca medievale era dotata di una porta custodita da una sentinella. In caso di guerra o di pestilenza la porta veniva chiusa impedendo il transito del ponte.

Informazioni:
Parco del Ponte del Diavolo, con ingressi da via Frasca, via Papa Giovanni XXIII e via Cafasse. Dal 1979 la zona è parco protetto; nei pressi del ponte si trovano le caratteristiche “Marmitte dei Giganti”, particolari conformazioni rocciose, frutto di fenomeni erosivi dell’epoca glaciale.

Links:
http://www.comune.lanzotorinese.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=29889

Bibliografia:
AUDISIO A., RAVET B. G., Il ponte del Roch o del Diavolo a Lanzo Torinese, Società storica delle Valli di Lanzo, Lanzo (Torino) 1978
JORIO P., 1999, Acque, ponti, diavoli, nel leggendario alpino, Priuli & Verlucca Ed., Torino

Fonti:
Fotografia tratta nel 2014 dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
9 dicembre 2003 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Pasquale Spoto – Gruppo Archeologico Torinese

Condove (TO) : Incisioni rupestri

Condove_buia_2

Storia e descrizione dei siti:
Il MASSO IN LOCALITÀ BUIA misura 375 x 220 x 90 cm e presenta: 13 coppelle, 1 croce, 1 canaletto, 2 canaletti passanti, 2 date (1630-1914), 2 lettere (“C”), 1 vaschetta quadra, 2 mezzelune. La roccia potrebbe essere identificata con la “Petra Perforata” già citata in fonti archivistiche del XIV secolo.
Numerose e profonde escavazioni, in parte naturali, sono state riutilizzate e corrette artificialmente. Notevoli due fori passanti, di cui uno è parte di un sistema di coppelle e canaletti che conduce, dopo il salto di un gradino, in una vaschetta rettangolare. Il gradino costeggia tutto il lato più lungo della roccia, che assume quindi una forma irregolare di parallelepipedo. Le coppelle sono di medie dimensioni, lisce e rego1ari, al pari del canaletto.
La data 1630 potrebbe però rivelarsi a un esame più attento essere il numero 163, relativo a una probabile mappatura catastale. Le due lettere “C” infatti, al cui interno si trova una crocetta e tra cui si nota una croce più profonda e squadrata, indicano quasi certamente il confine comunale tra Condove e Caprie.

La ROCCIA IN LOCALITÀ SILIODO misura 320 x 160 cm, è una serpentinite e presenta 16 affilatoi ad asterisco, 1 affilatoio a scaletta, 1 coppella raggiata, 360 affilatoi, lettere corsive. La notevole concentrazione di affilatoi è molto simile a quelli di Camparnaldo (SUS 17) e del Colle della Frai (SUS 257), ma decisamente insolite le disposizioni ad asterisco, ottenute con tre o sei affilatoi. Dall’unica coppella, piccola e molto regolare, si dipartono sei raggi. Altri affilatoi sono disposti a scaletta, mentre la maggior parte segue un andamento parallelo e verticale, con lunghezza molto variabile, da pochi centimetri a oltre cinquanta. Pochi affilatoi sono intagliati perpendicolarmente, senza peraltro assumere configurazioni a croce, ma intersecando gli altri “a pettine”. Esaminando attentamente la disposizione si nota quanto essa non sia disordinata e casuale, ma divisa in piccoli gruppetti omogenei e separati, di cui i più evidenti sono i gruppetti a tre o a cinque affilatoi paralleli. Si notano inoltre numerose sovrapposizioni, e differenze di patina all’interno dei vari affilatoi. La roccia presenta varie fessurazioni, che in alcuni casi interrompono le incisioni. Lettere corsive graffite e poco interpretabili (“rado”) si notano isolate sulla sinistra. Due altre rocce minori, di cui una però con altri 150 affilatoi, si trovano nelle immediate vicinanze, mentre una terza con affilatoi a croce ci trova lungo il sentiero sovrastante. Testimonianze orali confermano di avere sempre visto questa pietra, citando anche la sua funzione di “pietra magica”, in grado cioè di offrire buona sorte nel caso venisse intagliata. Tale uso è quindi proseguito fino ad epoca recente.

Informazioni:
Una roccia incisa si trova in località Buia, presso il confine con Caprie.
Una seconda roccia si trova in località Siliodo-Camporossetto a quota 950 m.

Links:
http://www.rupestre.net/archiv/2/ar24.htm

http://www.rupestre.net/archiv/2/ar25.htm

Fonti:
Notizie e foto tratte dai siti sopra citati.

Data compilazione scheda:
7/7/2007 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

buia_3p

Condove_siliodo_1

Condove_Siliodo_4

Collegno (TO) : Necropoli longobarda

AME-necropoli1

Storia del sito:
Nella primavera del 2002, durante i lavori di costruzione del tracciato della metropolitana torinese, sono state individuate una necropoli gota, una più estesa necropoli longobarda, e l’abitatorelativo alle due fasi insediative. La continuità tra occupazione gota e longobarda è dimostrata dalla vicinanza dell’area funeraria all’abitato.
I Goti si stabilirono nella zona tra fine V e inizio VI secolo d.C., mentre la comunità longobarda vi si insediò dalla fine del VI: la relativa necropoli venne organizzata secondo l’usanza germanica dei “cimiteri a file” con le inumazioni orientate ovestest e il capo a ovest.

Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
Le 62 sepolture che sono state esplorate hanno suggerito la suddivisione in tre periodi: il primo dal 570 ai primi decenni del VII secolo, il secondo fino alla seconda metà del VII secolo e il terzo comprendente tutto l’VIII secolo.
Al primo periodo appartiene una sepoltura femminile che risulta la più antica (570-590) per la presenza di due fibule a staffa di grande pregio di provenienza burgunda.
Accanto a questa sepoltura sono state trovate altre tombe oltre a quella di un cavaliere con il più ricco corredo ritrovato fino ad ora: lancia, spada con relativa cintura, scudo, cintura multipla, due coltelli e uno sperone. Vicino a queste inumazioni è stata individuata una fossa con i resti di un cavallo decapitato: si tratta di un rituale di cui si è trovata testimonianza in Austria e in Germania, con cavalli sacrificati sepolti in fosse accanto a quelle dei loro proprietari.
Durante il secondo periodo, cioè nella seconda metà del VII secolo, la necropoli si espande verso est e verso ovest in modo meno ordinato. Accanto a fosse preparate in modo semplificato con scavi poco profondi e con pochi grandi ciottoli, si trovano fosse scavate semplicemente nella terra. L’indagine di undici tombe del settore occidentale ha rivelato relazioni strette, quasi parentali tra i componenti, evidenziate più dalla composizione delle cinture che da particolari caratteri fisici. Si tratta di una singolare abitudine, ancora da verificare in modo approfondito sui materiali longobardi in Italia, che consiste nella trasmissione da una generazione all’altra di qualche elemento di guarnizione della cintura.
Al terzo periodo appartengono una serie di fosse in piena terra, ben allineate,appartenenti a individui adulti e prive di corredo. A questa fila sembra essersi aggiunto, in un secondo momento, un nuovo gruppo di sepolture, nelle quali sono stati rilevati indizi di resti del sudario e della posizione delle braccia conserte sull’addome. La comparsa, nell’VIII secolo, di questo modo di comporre i corpi, sembra essere di ispirazione cristiana.

Luogo di custodia dei materiali:
Sovr. Beni Arch. ed Antichità Egizie del Piemonte.

Informazioni:
Nella zona adiacente al Campo Volo.

AME-necropoli2

Link:
http://www.museotorino.it/view/s/73865b7f6f10413fa213ec44838e3f2f

Bibliografia:
AA.VV Publica Strata, catalogo della mostra, Ed. Gruppo Archeologico Torinese, G A. Ad Quntum, Assoc. Amici Scuole Leumann, Torino, 2005
Pejrani Baricco L. (a cura di), Presenze longobarde. Collegno nell’alto medioevo, Torino 2004
Elena Bedini, Fulvio Bartoli, Francesca Bertoldi, Barbara Lippi, Francesco Mallegni, Luisella Pejrani Baricco L., Le sepolture gote di Collegno (To): analisi paleobiologica in XVI Congresso dell’Associazione Antropologica Italiana, Genova 2005-2006, pp. 91-100
Pejrani Baricco L., Longobardi da guerrieri a contadini. Le ultime ricerche in Piemonte, in Gian Pietro Brogiolo, Alexandra Chavarria Arnau (a cura di), Archeologia e società tra tardo antico e alto medioevo, 12° Seminario sul tardo antico e l’alto medioevo, Padova-Mantova 2005-2007, pp. 363-386
Giostra C., La necropoli di Collegno, in Gian Pietro Brogiolo, Alexandra Chiavarria Arnau (a cura di), I Longobardi. Dalla caduta dell’Impero all’alba dell’Italia catalogo della mostra (Torino 27 settembre 2007 – 6 gennaio 2008), Silvana Editore, Milano 2007, pp. 268-273

Fonti:
Fotografie tratte dal sito sopra indicato.

Data compilazione scheda:
02/05/2007 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gruppo Archeologico Torinese

Collegno (TO) : Chiesa di San Massimo

Collegno-s_mas_este

Storia del sito:
L’antica chiesa di San Massimo era posta fuori del borgo cittadino ed era una tappa della Via Francigena; subì nei secoli molti interventi e modifiche e giunse sino alla metà del 1900 con un impianto molto diverso dall’attuale. Le ricerche e gli scavi compiuti nel 1958 hanno portato a individuare in modo più chiaro rispetto ai lavori del 1949, la presenza di varie fasi costruttive.
Le origini di questo luogo di culto risalgono al periodo paleocristiano alla fine del V secolo; la dedicazione a San Massimo si riferisce al vescovo di Torino (ca. 395-415 d.C.) o, più probabilmente, al suo omonimo successore dal 452 al 465. L’edificio paleocristiano fu edificato su un preesistente edificio romano; furono in gran parte riutilizzati i muri perimetrali ed il colonnato interno e, sul lato breve occidentale, fu impostata la facciata, sfondando il lato opposto per la costruzione di un’abside della quale una struttura semicircolare rinvenuta all’interno dell’abside romanica potrebbe rappresentare la traccia. Il rinvenimento, ancora in situ, di due basi di colonne, di molte lastre in pietra destinate a ripartire i carichi delle colonne sulle fondazioni e il ritrovamento di un frammento di capitello corinzio (IV-V secolo d.C.) fanno supporre che la divisione interna dell’edificio paleocristiano riprendesse quella romana, a tre navate divise da colonnati.
Una seconda fase altomedievale, tra la fine del sec. VIII e la prima metà del IX, non modificò nella sostanza l’impianto paleocristiano: fu demolito il vano laterale nord e realizzata, previa chiusura della porta verso il presbiterio, una piccola abside ricavata in uno spesso muro.
Una terza fase “romanica primitiva” risale al secolo XI e una più propriamente romanica al XII secolo. De Bernardi indica come appartenenti alla prima di queste soltanto pochi elementi strutturali, datando invece all’alto medioevo gli otto pilastri di mattoni ancora portanti degli archi a tutto sesto, che dividevano la navata centrale dalle laterali. Gli archi apparivano più larghi rispetto alla distanza fra i sottostanti pilastri a cui si raccordavano grazie a un profilo a ferro di cavallo. I pilastri si appoggiavano sulle medesime lastre della primitiva basilica, della quale due basi in marmo rimasero inglobate nei rispettivi pilastri. Residui di altri due pilastri, in asse con i precedenti e conservati per un’altezza di 55 cm dal piano di fondazione, furono trovati all’esterno della chiesa barocca. In seguito all’asportazione dell’intonaco dalle pareti, si mise in luce anche parte della muratura fino a 50 cm di altezza dalla chiave degli archi. Tra gli elementi inseriti dalla De Bernardi nella fase “romanica primitiva” si ha la costruzione, al termine della navata a sud, di una cappella a pianta rettangolare coperta da una volta a botte intersecata dalla copertura a semicatino dell’abside. Un grande arco con curvatura concentrica alla volta a botte fu costruito in aderenza al muro del presbiterio della chiesa del V sec. d.C., incorniciando la primitiva apertura. Il lato sud era ornato da quattro lesene collegate in alto da una cornice liscia. La muratura di questa parete, piuttosto grossolana, era in ciottoli e materiali di spoglio; l’abside della stessa navata sud presentava sei lesene formanti cinque campi sormontati ciascuno da due archetti pensili. Nelle tre svecchiature centrali era aperta una piccola finestra a doppia strombatura e ad arco. L’abside della navata maggiore, riconoscibile, per questa fase, fino all’altezza di m. 3,10 da terra, era semicircolare divisa da lesene in quattro campi, in ognuno dei quali venne aperta una finestra. La muratura dell’edificio e dell’abside, formata da mattoni romani di spoglio intersecata da ciottoli a spina di pesce, e il gioco delle lesene collegate a coppie di archetti pensili sono tipici della prima metà dell’XI sec. Le murature dell’abside maggiore e il collegamento a tre archetti denotano invece una cronologia posteriore, ma sempre prima del XII sec.: ciò fa riportare questa fase dell’edificio alla fine dell’XI sec.

Collegno-sma_ planimetrieUna ulteriore successiva fase si riconosce nella struttura muraria della parte superiore dell’abside maggiore. L’abside venne, infatti, ricostruita nella parte superiore e forse sopraelevata: la nuova muratura in mattoni e ciottoli si presenta con corsi più sottili di quelli della parte inferiore. Le quattro finestre preesistenti vennero murate e se ne aprono invece tre, sempre strombate e più alte, a m. 3,75 dal pavimento. Le due finestre laterali furono aperte esattamente sopra le più antiche, la terza al centro dell’abside andando a interrompere la lesena centrale. Le altre lesene furono continuate fino alla sommità. In alto serie di tre archetti pensili, lesena, sei archetti pensili, lesena, tre archetti. Il raggruppamento a sei degli archetti e la tecnica costruttiva permettono una generale datazione al XII secolo.
La fondazione del campanile risale probabilmente a una delle fasi romaniche.
L’impianto romanico è quello che sopravvisse sino al sec. XVIII con tre navate. Nel 1606, a causa della lontananza dal centro urbano, venne dichiarata cappella campestre. Nel 1637 venne rilevato che la struttura era fatiscente e alla fine del secolo vennero eseguiti alcuni lavori di manutenzione. Nel 1688 I Padri Certosini offrirono “i materiali della Chiesa di San Massimo cadenti in rovina” all’amministrazione civica offrendo in cambio di erigere un’altra chiesa e casa parrocchiale, ma non si giunse ad un accordo. Nel 1689 si eseguì un primo intervento di recupero, però insufficiente, perché nel 1700 l’autorità civica si rivolse all’arcivescovo di Torino per avere il permesso di demolire parzialmente la chiesa. In un documento del 1701 la comunità vendette del “materiale edilizio” appartenente alla “diroccata chiesa di San Massimo dei padri Certosini”.
Si sa che nel 1725 vennero terminati dei notevoli interventi strutturali e i lavori di rifacimento della facciata e della struttura conferendo un impianto barocco ed una riduzione di superficie, che si potrebbe definire come una ulteriore fase costruttiva dell’edificio che all’epoca appariva composto da un’unica navata a pianta rettangolare con abside semicircolare; a destra dell’altare maggiore vi era un piccolo transetto con relativa abside; l’edificio era coperto da una volta a botte lunettata e l’abside centrale coperta da una volta a quarto di sfera. La facciata era a intonaco con quattro lesene e un frontone curvilineo (fotografia prima del 1949).
Nel 1949 si procedette a un restauro che ha consentito una lettura dei vari periodi storici, però ha comportato una ricostruzione ideale che ha lasciato visibile ben poco della antiche strutture.

Descrizione del sito:
Oggi la Chiesa appare con una facciata in cotto con archetti e lesene e coperta da tetto a capriate. Le tre absidi presentano una muratura omogenea, quella sud ha archetti e lesene. L’interno della chiesa è a tre navate con pilastri quadrati, le pareti sono intonacate; nell’absidiola sud vi è la statua lignea di san Massimo, eseguita intorno al terzo decennio del sec. XV, stilisticamente vicina a modelli jaqueriani.

Descrizione dei ritrovamenti:
All’interno della navata meridionale furono ritrovate alcune tombe di età altomedievale delle quali solo una fu, parzialmente, documentata. La tomba, addossata alla parete laterale della navata, era costituita da tre lastre di pietra e conteneva un inumato deposto con uno scramasax (spada corta a un solo taglio) che consente la datazione della tomba al VII secolo. Un altro scramasax e un coltello recuperati nei pressi indicano la presenza di almeno una o due tombe simili. Un altro gruppo di sepolture è stato individuato esternamente al lato sud della facciata. Sono documentate almeno quattro tombe tre delle quali a cassa in muratura, chiuse da lastre di pietra, con defunto disteso supino e orientamento ovest-est; la quarta era invece posta esattamente di fronte alla porta di ingresso e delimitata da quattro lastre di pietra di reimpiego, una delle quali è l’epigrafe di Calpurnia Marcellina. La tomba era coperta da due lastre ugualmente di pietra. Questi ritrovamenti permettono di evidenziare un legame della chiesa con longobardi cristianizzati.
Una lunga epigrafe, conservata in tre frammenti non contigui, potrebbe essere datata alla fine del VII-inizi dell’VIII secolo, ciò la collegherebbe a interventi di iniziativa regia, riguardanti modifiche apportate all’edificio e al rinnovo dell’arredo liturgico. Allo stesso periodo potrebbero appartenere frammenti marmorei di pilastrini, di lastre e colonnine e alcuni capitelli, sicuramente destinati a una recinzione. Non sono state evidenziate tracce murarie che permettano di stabilire l’estensione del recinto né se interessasse il solo presbiterio. Si può ipotizzare una delimitazione principale costituita da pilastrini e lastre, con un avancorpo verso la navata; sui piastrini (fine VII sec.-prima metà VIII sec.) dovevano appoggiare le colonnine con capitelli, sui quali doveva poggiare una trabeazione. Altri elementi scultorei collocano nella 2° metà del secolo VIII una ristrutturazione della recinzione.Altri cambiamenti, testimoniati da alcune lastre decorate e caratterizzate dalla notevole diffusione di moduli decorativi a intreccio, sono collocabili nella prima metà del IX secolo.

Informazioni:
Via XX Settembre, 10. Info Parrocchia tel. 011 781327

Bibliografia:
D. DE BERNARDI FERRERO, La chiesetta di San Massimo in Collegno in “Palladio”,Vicenza, n° III-IV, 1958
P. VERZONE, Da Bisanzio a Carlomagno, Il Saggiatore, Milano, 1968
A. CROSETTO, La chiesa di San Massimo “ad Quintum”: fasi paleocristiane e altomedievali, in L. PEJRANI BARICCO (a cura di), Presenze longobarde. Collegno nell’alto Medioevo, Torino, 2004
AA.VV Publica Strata, catalogo della mostra, Ed. Gruppo Archeologico Torinese, G A. Ad Quintum, Assoc. Amici Scuole Leumann, Torino, 2005

Fonti:
Fotografie archivio GAT.

Data compilazione scheda:
29/04/2007 – aggiornam. giungo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Collegno-smass1949

Collegno-smassimo_epigrafi

Chieri – Pessione (TO) : Museo Martini di Storia dell’Enologia.

pessione-museo martini di storia dell enologia

Storia del Museo:
Nato nel 1960 da un’idea di Lando Rossi di Montelera, allora amministratore delegato della Martini & Rossi ed appassionato di cose antiche, il Museo venne inaugurato nel 1961. Considerato il più importante in Europa nel suo genere, il Museo mira all’essenziale dell’arte enologica attraverso i secoli. Ambientato da Oberto Spinola, suo primo direttore, in 16 sale ricavate dalle antiche cantine della Villa settecentesca che fu sede dei primi stabilimenti Martini a Pessione, il Museo trova la sua sede naturale fra i mattoni a vista delle pareti e delle volte che ancora sprigionano il delicato profumo dei mosti e delle erbe aromatiche.

Descrizione delle collezioni:
I reperti provengono da tre fonti distinte: il nucleo principale, costituito in massima parte da oggetti in terracotta etruschi, attici e apuli, apparteneva alla Collezione privata di Lando Rossi di Montelera; il secondo nucleo, comprendente prevalentemente attrezzi di lavoro (torchi e carri agricoli), fu acquistato da privati; il terzo (anfore vinarie, vetri dell’età imperiale, ecc.) fa parte del patrimonio della Soprintendenza alle Antichità del Piemonte.

Descrizione del materiale esposto:
La raccolta si presenta come un quadro sinottico che delinea la storia del vino attraverso i tempi, fornendo sull’argomento una vasta e rara documentazione: oinokoai etrusche, apule e corinzie (sec. VII-V a.C.); kyatoi, kilikes e khantaroi apuli (sec. VI-IV a.C.); olpai etrusche, corinzie, apule e della Gallia cisalpina (sec. VII a.C. – II d.C.); anfore, crateri, borracce, buccheri etruschi, ciprioti, greci e apuli (sec. VII-II a.C.); skiphoi attici ed apuli (sec. VI-IV a.C.); patere, pelikai del sec. IV a.C.; vetri romani di età imperiale; un bassorilievo marmoreo romano con scene bacchiche (sec. II a.C.); brocche in ceramica del sec. XIV; preziosi servizi da liquore; torchi di varie epoche e provenienze; un bellissimo carro agricolo d’epoca Luigi XV. In particolare, nella parte iniziale della raccolta si nota un plastico della Villa Pisanella di Pompei ed un modellino di torchio di Catone, posti lì per spiegare come avveniva la vinificazione nell’antica Roma. Seguono dolia ed altri medi e piccoli vasi vinari dell’epoca. Nella successiva sala “dei banchetti” risplendono idrie, anfore vinarie, crateri. Qui si può ammirare l’anfora pugliese, detta del pittore greco di Hearst, del IV sec. a.C., e firmata dall’autore: Aristarkos. La successiva saletta “dei filtri” propone attingitoi, olpi falische, bicchieri etruschi, vetri romani, anforette e patere del culto funebre delle genti galliche. Risalta una coppa del V sec. a.C. dedicata ad Ercole. Seguono reperti più recenti di cultura materiale che sono serviti per lavorare l’uva e mescere il vino.

Informazioni:
In frazione Pessione, a circa km 5 da Chieri, tel. 011 94191

Links:
http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_1629499434.html

https://www.martini.com/

Fonti:
Fotografia tratta nel 2014 dal sito www.martinierossi.it.

Data compilazione scheda:
7 febbraio 2001 – aggiornam. luglio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Feliciano Della Mora – Gruppo Archeologico Torinese

Chieri (TO) : Precettoria e Chiesa di San Leonardo

sleonardo

Storia del sito:
Il piccolo fronte gotico della precettoria di san Leonardo è tutto ciò che sopravvive dell’Ospedale Gerosolimitano di S. Croce, appartenente all’Ordine dei Cavalieri di san Giovanni di Gerusalemme. Fu fondato e la sua sede edificata nel 1412 da Tommaso Ulitoto, precettore della chiesa dello stesso ordine, intitolata a San Leonardo. Finalizzato ad accogliere i pellegrini, l’ospedale fu soppresso nel 1553 e l’edificio in seguito utilizzato come dimora del precettore, prima dai cavalieri Gerosolimitani, poi dai Cavalieri di Rodi che ne ricevettero l’eredità, e infine dai cavalieri di Malta, sino alla soppressione dell’Ordine decretata dall’editto di Carlo Emanuele III il 13 ottobre 1798, al quale fece seguito la confisca dei beni ecclesiastici imposta dal governo giacobino. Ceduto a privati l’edificio fu più volte rimaneggiato.

La chiesa, situata nel giardino adiacente, ha origini più antiche. La prima notizia infatti risale al 1141, quando Innocenzo II con una bolla la confermò al capitolo della Collegiata di Santa Maria. Nel 1190 viene invece testimoniata a Chieri per la prima volta la presenza di una mansio dell’Ordine dei Templari, ma non è dato sapere quando l’ordine si stabilì nella chiesa, alla quale però rimase legato per tutto il secolo XIII. Nel 1285 l’edificio fu distrutto da un incendio e dopo la soppressione dell’Ordine del Tempio, nel 1312, la chiesa passò con gli altri beni templari ai cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme. Tommaso Ulitoto nel 1410, due anni prima di costruire l’Ospedale, fece riedificare la chiesa ed in essa volle essere sepolto. Dopo la soppressione dell’Ordine subì le stesse vicende della precettoria, diventando officina di un carradore a metà del XIX secolo. Nel 1934 chiesa e precettoria furono acquistati dai Salesiani e divennero parte integrante dell’Oratorio di san Luigi

Descrizione del sito:
La PRECETTORIA. Della struttura originaria si conserva solo un piccolo locale a pianta quadrata al piano terra, coronato da una volta a crociera costolonata, impostata su capitelli di pietra addossati al muro, e il fronte che si affaccia su via Roma con un portale gotico sormontato da un rosone oggi tamponato. Frammenti di affreschi si scorgono ancora sulle lunette della volta. Del piano superiore dell’edificio, sopra la linea marcapiano, sopravvive una finestra decorata con una semplice cornice in cotto; un’ulteriore cornice in cotto realizzata con un motivo decorativo a catena di rombi, segna la linea del tetto. L’elemento significativo di questa costruzione è la fascia esterna della decorazione del portale, ottenuta con una serie di formelle riproducenti alternativamente la croce greca e la croce di Malta, simboli dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, alla quale si affianca la cornice del rosone caratterizzata da formelle decorate “a palmetta” particolare che permette di collegare il periodo di formazione di quest’edificio a quello di altre costruzioni chieresi, come S. Domenico, dove compare lo stesso tipo di decorazione.

La CHIESA. S. Leonardo si presenta oggi come un unico ambiente adibito a porticato, al quale si accede attraverso tre aperture dal cortile adiacente il lato meridionale. Il pavimento è innalzato di oltre un metro rispetto a quello originario per allinearsi al livello stradale. Sorto come chiesa a tre navate, orientata, oltre al presbiterio l’edificio conserva tracce della primitiva porta d’ingresso alla navata centrale e della porta laterale sinistra, caratterizzata da una cornice gotica. Sulle pareti sono visibili numerosi rimaneggiamenti dovuti all’apertura successiva di porte e finestre. Le volte gotiche a crociera delle navate laterali e la volta barocca a botte lunettata della navata centrale si impostano sui muri perimetrali e su quattro colonne in mattoni arrotondati e sfalsati (a imitare i pinnacoli delle chiese gotiche chieresi), sormontate da capitelli cubici in mattoni non decorati. Lo stesso motivo ritorna nell’imposta degli archi sui muri perimetrali. L’originario campanile fu demolito nel 1850.

Gli affreschi quattrocenteschi sono stati recuperati nel 2006 sotto le scialbature. Rimangono quattro  lunette con episodi della Passione di Cristo e la volta decorata con monogrammi.

Informazioni:
Associazione Carreum Potentia tel. 345 4463201 oppure 388 356 25 72 ; email:  info@carreumpotentia.it

Links:
http://www.carreumpotentia.it/chiesa-e-precettoria-di-san-leonardo/

https://www.comune.chieri.to.it/cultura-turismo/complesso-sanleonardo

https://youtu.be/1OepPGZoaHE  (restauro affreschi)

Bibliografia:
VANETTI G., 2000, Chieri. Dieci itinerari tra Romanico e Liberty, Edizioni Corriere

 Fonti:
Fotografie dai siti sopra indicati

Data compilazione scheda:
4 maggio 2004 – aggiornam. giugno 2014 e marzo 2023

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

s-leonardo01-carreum-potentiachieri_leonardo1


Chieri (TO) : Mostra archeologica

MOSTRA_ ARCHEOLOGICA_CHIERI (6)-GAT

Storia del Museo:
La Mostra Archeologica è stata allestita nel 2009 nel seminterrato del Palazzo Comunale e raccoglie principalmente reperti trovati a Carreum Potentia, vedi scheda

Descrizione del materiale esposto:
La prima sala ospita la ricostruzione dello scavo di un banco di anfore, realizzato da Società Case Manolino.
La seconda sala permette di comprendere le cerimonie che accompagnavano il morto nel suo ultimo viaggio ed il rito della sepoltura. Un primo tratto della necropoli che doveva fiancheggiare la via in uscita da Chieri in direzione sud ovest venne alla luce nel 1960 durante i lavori di sterro per le fondazioni di un nuovo edificio tra viale Cappuccini e viale Fasano. Nel 1993 è emerso in un lotto di terreno adiacente a quello dei rinvenimenti del 1960, un nuovo consistente nucleo di sepolture. Le indagini archeologiche hanno portato alla luce 47 tombe con corredo, che in diversi casi sono risultati frammenti non databili. In tre corredi erano presenti probabilmente delle cassettine di legno, utilizzate forse come contenitori delle ceneri. Molto interessante il caso della tomba 35, il cui corredo è costituito da ben 19 oggetti, molti dei quali esposti: tre lucerne con disco figurato; due balsamari; tre bottigliette in vetro soffiato; cinque coppette carenate.
Altre indagini archeologiche consentono di definire le caratteristiche delle ceramiche in uso dalla fine del secolo XII, quando lo sviluppo economico e l’espansione urbanistica della città portano alla nascita di manifatture artigianali. Vengono presentati in mostra esemplari di ceramica invetriata, ingobbiata e smaltata.

Informazioni:
Piazza Dante/Via Palazzo di Città 10. Visitabile su richiesta, tel. 011 9428342/440 (orario d’ufficio); email: cultura@comune.chieri.to.it

Link:
https://www.comune.chieri.to.it/cultura-turismo/museo-archeologico

Fonti:
Fotografie GAT.

Data compilazione scheda:
16 luglio 2004 – aggiornamento giugno 2014 e marzo 2024

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – Gruppo Archeologico Torinese

MOSTRA ARCHEOLOGICA CHIERI (28)-GAT

Chieri (TO) : Città romana di “Carreum Potentia”

CHIERI (18)-GAT

Storia del sito:
Chieri, la romana Carreum Potentia, costituiva, oltre alla sua più nota vicina, Torino (Julia Augusta Taurinorum), l’unico centro urbano sul quale in epoca romana gravitava il complesso collinare torinese. Entrambe le città si svilupparono su precedenti insediamenti celto-liguri, come testimoniato con particolare evidenza dal loro attuale nome, di origine celtica (Karr-o nel caso di Chieri), che nei secoli si è imposto su quello romano.
Anche la denominazione romana fornisce elementi di interesse; nello specifico, Potentia (traducibile con potenza, forza) ci riporta a casi di città con nomi simbolico-augurali (Pollentia=Pollenzo, Valentia=Valenza Po, Industria) nate in stretta connessione con il progetto di riorganizzazione territoriale di tutto il Piemonte sud-orientale che si realizza alla fine del II sec. a.C. con l’obiettivo di insediarvi coloni romani attraverso la parcellizzazione (centuriazione) e la distribuzione delle terre conquistate. Progressivamente una serie di atti amministrativi sancisce il processo di romanizzazione: sotto Cesare, i suoi abitanti vengono censiti nella tribù Pollia; in età augustea , Chieri viene inclusa nella IX Regione augustea ed in età successiva diviene municipium.
Il suo territorio risulta limitato da Industria a nord, da Asti ad est, da Pollenzo a sud e ad ovest da Torino; con buona probabilità, comunque, è il Po a fungere da confine amministrativo tra Torino e Chieri e, contemporaneamente, da demarcazione tra XI e IX Regione augustea. Nei primi secoli dell’impero sembra, nel complesso, seguire l’evoluzione comune a molti centri italici godendo di un soddisfacente benessere; in particolare Plinio il Vecchio cita Chieri nella sua “descriptio Italiae” tra le “nobili” città della regione compresa tra Po ed Appennino, definizione che certo allude ad una situazione di prosperità economica e ad un evoluto tessuto urbano e sociale.
Peraltro per Chieri si registra una precoce decadenza; risente infatti molto presto della concorrenza di Torino, colonia a vocazione internazionale, restando forzatamente esclusa dalle grandi direttrici di traffico. Si ipotizza una contrazione del nucleo abitato e un suo spostamento verso l’area collinare di San Giorgio a partire già dal II sec. d.C.; la sua debolezza sarà ufficialmente sancita dall’inserimento dell’intero territorio chierese nella diocesi di Torino.

Descrizione del sito:
L’abitato urbano, privo di mura, sembra si estendesse su un’area quadrata con lato di 6-700 m compreso all’incirca tra le attuali via S. Raffaele, via dei Molini, via Tana ad ovest; via S. Pietro, via Pellico, via S. Domenico a sud; via S. Antonio a nord.
Al suo interno, dai recenti scavi effettuati nel corso del restauro del Palazzo Fassati di San Severino, è emerso un complesso di rilievo quanto a dimensioni e ad impegno costruttivo, identificato con il foro e consistente in una grande piazza quadrangolare, di circa 60 m di lato, delimitata ad est da murature segnalate sotto via Palazzo di Città, circondata da portici e provvista di una vasca di raccolta dell’acqua. La sua realizzazione in età augustea, all’inizio del I sec. d.C., potrebbe segnare il riconoscimento dello status municipale di Carreum. Proprio a partire da tale età si riscontrano notevoli rifacimenti ed ampliamenti delle strutture urbane, anche nell’ambito delle abitazioni private, come ad esempio in vicolo Tre Re, dove l’impianto risultava completato da un collettore fognario.
Lo sviluppo urbanistico non sembra però aver seguito una rigorosa metodologia di pianificazione, fatto in buona parte imputabile ai vincoli geo-morfologici del terreno collinare; l’edilizia pubblica si sarebbe pertanto focalizzata su due problemi, entrambi idrici, seppure opposti: da un lato il drenaggio, da cui la necessità di realizzare terrazzamenti in funzione delle pendenze, dall’altro l’approvvigionamento e la distribuzione dell’acqua potabile.
Al di fuori del perimetro urbano si collocano invece sia le necropoli sia gli impianti artigianali, indagati in modo sistematico a partire dagli anni ’80 del Novecento; appartengono alla seconda categoria le bonifiche con anfore presso Ponte del Nuovo e quelle di via Tana, dove si è rilevato un impianto risalente alla fine del I sec. d.C., costituito da un porticato connesso ad un focolare e ad un pozzo; il piano di calpestio del portico si presentava drenato da anfore intere, capovolte e disposte ordinatamente tra i pilastri.
Le necropoli si situano rispettivamente all’inizio di viale Cappuccini e sotto l’ex edificio del Seminario, poi Scuola Don Milani, in via Vittorio Emanuele II, con una probabile collocazione sull’antica via Fulvia, lungo il tratto ricostruibile Villanova-Riva di Chieri-Chieri. La vicinanza delle aree sepolcrali al centro cittadino ha fatto ipotizzare la mancanza di una fascia di suolo pubblico inedificabile all’esterno della città e quindi comproverebbe ulteriormente l’assenza di una logica “urbanistica” nell’organizzazione della Chieri romana.
Al problema dell’approvvigionamento dell’acqua si collegano i resti di un acquedotto: Vedi Scheda “Acquedotto romano”.

Nelle aree limitrofe alla città si sono poi reperite altre opere idriche, non più visibili, in particolare, nel 1960, in regione Maddalena, località Fontaneto, il perimetro di un edificio in muratura con tre vasche rettangolari che si dicevano alimentate da una piccola sorgente alla quale la regione di Fontaneto doveva il proprio nome. Di questo e dell’edificio attiguo, composto di due locali, uno absidato ed il secondo a camera, non si conosce la destinazione. Che si tratti di un santuarietto rustico piuttosto che di un complesso finalizzato al rifornimento idrico del territorio extraurbano (con o senza collegamento con l’acquedotto), come ipotizzato, sembra comunque confermare l’impegno degli amministratori pubblici chieresi nei confronti del “bene acqua”.

Altri ritrovamenti di rilievo sono da riconnettere alle attività artigianali chieresi più fiorenti e con organizzazione definita preindustriale, vale a dire la produzione di laterizi e ceramica, favorita dalle caratteristiche geologiche della pianura chierese, ricca di formazioni argillose (loess). In particolare i manufatti edilizi (tegole piane per la copertura dei tetti e mattoni sesquipedali) sono spesso rinvenuti come materiale di riutilizzo nelle tombe, ad es. nella copertura di quelle “a cappuccina”, indicano una distribuzione su vasta area, in grado di rifornire almeno il territorio municipale. Oltre al materiale prodotto, sono testimoniati sia i luoghi di produzione, ovvero le fornaci, come in vicolo Tre Re, sia il nome dei produttori forse più importanti della zona (ricorre spesso come marchio di fabbrica la gens Petronia).

La ceramica è rappresentata da parecchi esemplari del tipo c.d. “sigillato”, a vernice arancione, caratteristica, oltre che per il colore, anche per la tecnica di lavorazione “à la barbotine” consistente nel decorare esternamente il vaso applicandovi elementi figurati o geometrici in rilievo ottenuti diluendo l’argilla, senza utilizzo di matrici. La quantità di manufatti immessi nel mercato locale induce a ritenere che sul territorio chierese esistessero officine in grado di raccogliere l’eredità della ceramica padana “a figure rosse” e di porsi in alternativa alla produzione della Gallia meridionale in un periodo compreso tra l’età neroniana e la metà del II sec. d.C.  Vedi Scheda “Civico Museo Archeologico”.

Luogo di custodia dei materiali:
Presso il Museo Archeologico di Torino e la “Mostra Archeologica” presso il Municipio di Chieri, vedi scheda.

Informazioni:

Bibliografia:
AA.VV. – Museo Archeologico di Chieri – Contributi alla conoscenza del territorio in età romana – Torino, 1987
D. BETTALE, M. MONETTI, P. TAMAGNONE – Relazione dell’attività archeologica della Sez. GEI di Chieri, anni 1957-70, Chieri, 1973, pp. 29-31
A. DORO, Alcune osservazioni sull’antico culto delle acque nella zona di Chieri, in “Epoche. Cahiers di storia e costume del Piemonte I”, 1962, pp. 138-140
R. GHIVARELLO, L’acquedotto romano di Chieri, Boll. “SPABA” XVI, 1932, pp. 156-167
R. GHIVARELLO, Nuovi ritrovamenti dell’acquedotto romano di Chieri, Boll. “SPABA” XVI-XVII, 1962-1963, pp. 137-139
B. LA ROCCA HUDSON, Le vicende del popolamento in un territorio collinare: Testona e Moncalieri dalla preistoria all’alto medioevo, “BSBS” LXXXII, 1984, pp. 29-32
L. ROCCATI, I ritrovamenti romani – Regione Maddalena – Scavi 1958-1959, “Il Chierese” XV, 1959, nn. 30-35
E. ZANDA, Lo sviluppo della città in età romana, “I giornali di restauro” n. 3, 1994, pp. 39-47
G. PANTÒ (a cura di),  Archeologia a Chieri : da Carreum Potentia al comune basso medievale, Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte e del museo antichità egizie, Torino 2011

Fonti:
Fotografia GAT.

Data compilazione scheda:
28 ottobre 2000 – aggiornam. luglio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Marina Luongo – Gruppo Archeologico Torinese

Chieri (TO) : Chiesa e convento di San Domenico

chieri_domen

Storia del sito:
Sebbene la presenza dei Domenicani in Chieri risalga almeno al 1260-70, come si può dedurre dagli Statuti Comunali del 1313, la costruzione della chiesa gotica iniziò solo verso il 1326, negli anni in cui si tenne a Chieri, per la prima volta, il capitolo provinciale. Una delibera del consiglio chierese conferma l’esistenza di una fabbrica per il San Domenico nel 1332, quando concede un contributo ai predicatori «ut melius possint perficere ecclesiam S. Dominici». Una seconda testimonianza si ha nel 1373, allorché l’inquisitore Tommaso da Casasco condannò cinque eretici a varie pene, una delle quali prevedeva «quod contribuatis florenos centum magnos boni auri et ponderis pro fabrica ecclesie Sancti Dominici de Cherio».
Secondo alcuni autori, dopo un ulteriore contributo del Comune nel 1381 per le campane, il cantiere fu chiuso nel 1388 e la prima chiesa inaugurata. Non si conoscono le caratteristiche di questo edificio al quale dovrebbe appartenere oggi solo il campanile. Un’ipotesi, basata su alcuni ritrovamenti e sulla probabilità che tale chiesa fosse orientata, vorrebbe far coincidere il primo edificio gotico con il transetto dell’attuale. La fabbrica di S. Domenico si riaprì tra la fine del XIV secolo e il primo ventennio del XV. Di questa fase abbiamo notizie relative alla nascita delle cappelle, ad opera delle famiglie Bullio, Dodoli e Gribaudi, ma soprattutto dei Villa che fecero affrescare la cappella sotto il campanile, contribuirono al rinnovo della facciata, adornarono la Cappella della Maddalena con il trittico ligneo delle Storie della Passione (oggi al museo di Bruxelles) e ottennero il privilegio del patronato dell’altar maggiore. Nel 1499 i lavori si conclusero e la chiesa venne nuovamente consacrata da Felice V antipapa in favore del quale si erano schierati i Domenicani. Strutturalmente era simile all’attuale, però l’altare principale era posizionato nella zona absidale ed era anticipato dal coro, posto nel presbiterio; un pontile, tra il transetto e l’aula, divideva la chiesa dei frati da quella dei fedeli.
Con la Controriforma vennero adottate alcune modifiche: l’altare maggiore avanzò verso il transetto e si scambiò con il coro; il pulpito avanzò anch’esso sino alla terza colonna di destra; l’altare della Madonna del Rosario venne portato nella cappella attuale. Furono annullati gli altari addossati ai pilastri. Interventi significativi si ebbero nella prima metà del sec. XVII per volontà della famiglia Broglia, con gli affreschi della volta del catino absidale ad opera del Moncalvo. Tra gli interventi tesi a rinnovare la chiesa secondo canoni barocchi ve n’è uno non voluto, bensì derivante da una causa di forza maggiore: nel 1641 fu chiusa la cappella di S. Marta sotto il campanile con gli affreschi quattrocenteschi della Natività, e si trasformò il locale per ricavare l’attuale cappella di Santa Rosa. Probabilmente non di una scelta estetica si trattò, ma di un intervento necessario per riparare ad un evento rovinoso, quale il crollo delle campane, che da documenti pervenuti risultano sostituite nello stesso periodo. Dopo le confische dei beni ecclesiastici nel 1871 rientrarono i padri domenicani e a fine Ottocento la chiesa subì modifiche interne dettate dal gusto dell’epoca e un rafforzamento con chiavi della facciata che minacciava il crollo.

Descrizione del sito:
Il frontale, non in asse con la chiesa, è partito in cinque campi delimitati da contrafforti a pianta quadrangolare, conclusi da un pinnacolo; portale strombato, sormontato da una trifora gotica; due bifore in corrispondenza delle navi laterali; fianchi e regione absidale della chiesa scanditi da contrafforti in corrispondenza dei pilastri interni d’imposta degli archi delle volte; luci barocche nelle cappelle e nell’abside; tetto in coppi a due spioventi e tre falde; muratura in mattoni a vista; cornici ed archetti intrecciati a delimitare la linea del tetto, poggianti su mensoline e sormontate da una cornice a rombi; cornice in cotto a più fasce nella strombatura del portale e della bifora soprastante; cornice a fascia semplice sulle monofore laterali della facciata; pinnacoli in cotto a coronamento del fronte.
INTERNO. Pianta a croce latina con transetto poco pronunciato, tre navate affiancate da cappelle; quattro campate per ogni navata; volte a crociera rette da otto colonne fasciate, sormontate da capitelli e collegati da arconi a sesto acuto; presbiterio conchiuso da abside poligonale; navate laterali non absidate; quattro capitelli decorati a figure sui quattro pilastri prossimi al transetto; tracce di elementi decorativi sugli arconi delle cappelle laterali. Alla fine del XIV secolo e il primo ventennio del XV dovrebbero risalire i cicli di dipinti gotici ancora conservati in modo frammentario alla base del campanile e in un piccolo locale a lato della sacrestia, nonché l’affresco della Madonna del latte, sulla prima colonna a sinistra per chi entra. Gli affreschi del catino absidale sono opera di Guglielmo Caccia detto “il Moncalvo”. Eseguiti tra il 1605 e il 1615, raffigurano nella volta del coro i Quattro Evangelisti e nelle lunette sottostanti episodi della Vita di san Domenico e nei cinque medaglioni del catino absidale Santi Domenicani. Sempre dello stesso periodo sono le due grandi tele della Resurrezione di Lazzaro e del Miracolo dei pani e dei pesci. Nel frattempo iniziarono i lavori per rinnovare la cappella del Rosario, sull’altare della quale lo stesso Moncalvo e gli artisti della sua scuola posero la stupenda pala della Madonna con Figlio tra San Domenico e santa Caterina. Ancora alla bottega del Moncalvo vengono attribuite le pale di S. Pietro Martire ai piedi del Crocifisso e della Sindone sorretta dagli Angeli.

CAMPANILE. Alto 52 metri, a pianta rettangolare, è inserito tra il braccio sinistro del transetto e la terza campata della nave laterale, partito in cinque piani orizzontali con luci ad ampiezza crescente verso l’alto; tetto a cuspide con pinnacoli in cotto (non originari); muratura in mattoni a vista; archetti non intrecciati nelle cornici marcapiano; cornici in cotto non decorate alle bifore e alle monofore.

CONVENTO. Si presenta come un edificio a pianta rettangolare con due chiostri quadrangolari interni divisi da una manica trasversale; perimetrali ai chiostri corrono i corridoi, a tutti i piani e su tutti i lati, ad eccezione di quello nord-orientale. Due scale a due rampe con archi collegano il piano terra al primo piano, riservato alle celle dei frati e alla biblioteca. Resti di finestre con cornice ogivale in cotto non decorato testimoniano l’origine medievale dell’edificio. Nella sala capitolare è conservato un Crocifisso ligneo del 1522, opera di Martino da Casale.

Informazioni:
Tel. 011 9403911

Links:
http://www.comune.chieri.to.it/vivi-la-citta/san-domenico

http://www.lacabalesta.it/testi/arte/chierisandomenicosanleonardo.html

Bibliografia:
VANETTI G., 2000, Chieri. Dieci itinerari tra Romanico e Liberty, Edizioni Corriere

Fonti:
Fotografie da http://www.chieri.info

Data compilazione scheda:
9 maggio 2004 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

sandomen2

Chieri (TO) : Chiesa collegiata di S. Maria della Scala – Duomo

chieri_duomo10

Storia del sito:
L’edificio gotico, quale oggi si può ammirare, risale ad una fabbrica apertasi nel 1405 e conclusasi nel 1436. L’origine della chiesa è tuttavia più antica e documentata sia dalle sopravvivenze architettoniche che dai documenti d’archivio. Un diploma del 1037 ricorda con diversi particolari i lavori di costruzione condotti dal vescovo di Torino Landolfo a Chieri, il quale “comandò che fosse costruita la chiesa in onore di Santa Maria madre di Dio, non lontano dallo stesso castello”. Sotto l’edificio gotico sopravvive una parte della cripta della chiesa landolfiana, mentre sull’assetto della chiesa non è possibile formulare ipotesi. Pesanti restauri di gusto neogotico, effettuati verso il 1875 da Edoardo Mella, hanno modificato non solo la facciata, ma anche l’interno della chiesa, appesantendolo con l’intonaco a fasce chiare e scure e con la doratura dei capitelli.

Descrizione del sito:
La facciata è divisa in cinque zone da marcate lesene sormontate da pinnacoli cuspidati. Elemento caratterizzante è il portale principale, affiancato da numerose colonnine lungo tutta la strombatura e sormontato da una ghimberga decorata a elementi vegetali di derivazione francese. Nella lunetta sopra il portale vi è una copia (l’originale è all’interno del Battistero) della Madonna del melograno. Le porte laterali e i tondi che le sovrastano sono frutto di interventi ottocenteschi. L’interno è diviso in una navata centrale, due laterali, e due serie di cappelle. La navata centrale è divisa in quattro campate. Il quadrato, i cui angoli sono i quattro pilastroni fasciati che delimitano ogni campata, è il modulo sul quale si sviluppa la chiesa. Ad ogni campata corrispondono due campatelle nelle navate laterali, ad ogni campatella corrisponde una cappella. Sorte con la chiesa nella prima metà del XV secolo, le 15 cappelle (la sedicesima corrisponde all’ingresso del Battistero) furono rimaneggiate più o meno pesantemente in epoca barocca. Il transetto divide le navate dal presbiterio, che a sua volta è collegato al coro e all’abside poligonale a cinque lati. Ai lati del presbiterio due grandi cappelle non absidate ospitano i due altari laterali.
Partendo dall’ingresso, nella navata sinistra si allineano otto cappelle, in origine con volte a crociera, in età barocca trasformate nelle attuali volte a botte (ad eccezione della terza cappella).
1. Cappella di Santa Rita da Cascia
2. Cappella di Sant’Anna e S. Antonio di Padova con sull’altare una pala di Giovanni Miel (1654), raffigurante La Vergine tra sant’Anna e sant’Antonio e le Sante Agata, Barbara, Caterina e Orsola
3. Cappella di S. Margherita da Cortona (conserva la volta a crociera)
4. Cappella della Madonna delle Grazie disegnata dal Vittone
5. Cappella dei Santi Piemontesi
6. Cappella dei SS. Giuliano e Basilissa (con formelle seicentesche)
7. Cappella delle Anime Purganti
8. Cappella delle Reliquie, che conservava un tempo il Tesoro del Duomo, attualmente non esposto al pubblico.
Anche la cappella a sinistra del transetto ospita opere secentesche, tra cui la pala del Crocifisso con la Maddalena, Maria e S. Giovanni di Carlo Dauphin.
Di grande interesse il coro ligneo quattrocentesco. Sui dorsali sono raffigurate piante eduli e medicinali (castagno, malva, fico e cardo), mentre le due porte laterali ed i fianchi illustrano, in bassorilievo, scene di vita della Vergine e del Cristo. Il baldacchino è coronato da statuette a tutto tondo di Apostoli e Profeti.
Dalla cappella a destra del transetto si accede alla CRIPTA unica parte superstite della chiesa landolfiana. La cripta divenne oggetto di attenzione solo nel secolo scorso, per merito del canonico Antonio Bosio, che per primo si calò nell’ambiente sotterraneo. L’assetto odierno della cripta è dovuto alle campagne di restauri che si sono succedute. Soltanto nel 1957 veniva realizzata la scala di accesso dalla chiesa superiore, secondo un percorso diverso dall’originario. Rimane dell’impianto originale una porzione ridotta a due sole campate, relativa alla terminazione orientale absidata. Un muro di tamponamento realizzato posteriormente, ha interrotto lo sviluppo longitudinale della sala. Le volte seguono tecniche costruttive collaudate: crociere prive di bombatura a nervature perimetrali, con una sporgenza costante ed una larghezza dei costoloni di 23 cm. Tale larghezza non sembra essere casuale, e corrisponde alle dimensioni di sesquipedali di 45 cm tagliati in due parti, ancora visibili in tratti non intonacati. Il riutilizzo di materiale romano di recupero è una costante delle opere landolfiane. Le ricadute delle volte sono sorrette lungo le pareti da semicolonne, realizzate con elementi curvilinei laterizi in cotto.
Sull’abside si aprivano tre finestre, tutte monofore arcuate a doppia strombatura con un restringimento al centro costituito da mattoni posti di taglio. La tessitura muraria risulta composta da elementi incoerenti uniti da malta abbondante, in grande prevalenza frammenti laterizi di recupero. I sostegni sono costituiti da colonnine, con il fusto intagliato in modo irregolare. Un interesse particolare è assunto dai capitelli ancora inglobati nei due sostegni occidentali, ridotti a semicolonne inglobate nel muro di tamponamento. Si tratta di semplici dadi rastremati agli spigoli, con decorazioni appena accennate che seguono l’andamento della scantonatura.
Al centro è conservato l’altare. Sopra uno zoccolo murario oggi ricoperto di malta cementizia, di base quadrangolare, è poggiato un elemento di recupero antico, forse il frammento del capitello di un pilastro, con abaco ed echino a doppia modanatura curvilinea.
Sulle pareti della cripta (che nei secoli passati servì come tomba della famiglia Balbo) sono state murate due epigrafi. Una venne in luce nel 1957, quando fu costruita la scala di accesso della cripta, l’altra ricorda la piccola Ienesia e fu rinvenuta durante i lavori di restauro del 1875, reimpiegata nella muratura gotica del Duomo. Per la sua datazione (488 d.C.) è un’importantissima testimonianza attestante la presenza del cristianesimo a Chieri fin dal V secolo.
Dalla cappella del transetto posta a destra dell’altar maggiore si accede anche alla base del campanile, trasformata in cappella dalla famiglia Gallieri e decorata tra il 1414 e il 1418, da un artista non lontano dallo stile dei Fantini, nel quale alcuni critici vorrebbero riconoscere Giovanni, lo zio del pittore del Battistero. Gli affreschi raffigurano scene della Vita del Battista (sulle pareti) e i quattro Evangelisti (sulla volta). Il campanile che sovrasta la cappella è opera precedente la costruzione della chiesa gotica; riedificato agli inizi del Quattrocento e quindi innalzato in due successive riprese, fino a raggiungere gli attuali 50 metri.
Nella navata di destra, dalla cappella del transetto ritornando verso l’ingresso troviamo, dopo un accesso laterale della chiesa:
1. Cappella della Resurrezione, con una pala del Cristo risorto, attribuita a Giovanni Crosio e una dell’Assunta, attribuita a F. Fea
2. Cappella dei Tabussi con affreschi quattrocenteschi di scuola jaqueriana, se non dello stesso Jaquerio, rappresentanti la Natività, la Presentazione al Tempio e la Adorazione dei Magi, restaurati nel 2006-7
3. Cappella della Visitazione di Maria
4. Cappella del Ritrovamento della Croce con una tela della Madonna con i santi Sebastiano e Antonio attribuita al Moncalvo
5. Cappella di S. Giuseppe e della Natività
6. Cappella di San Tommaso con una tela di Vittorio Amedeo Rapous, rappresentante santa Elisabetta d’Ungheria.
7. Cappella di Nostra Signora di Loreto con la pietra tombale cinquecentesca di Bernardino Biscaretti, proveniente dalla distrutta chiesa di San Francesco.

Informazioni:
Associazione Carreum Potentia tel. 345 4463201 oppure 388 3562572 ;  email:  info@carreumpotentia.it

Links:
http://www.duomodichieri.com/storia_main.php

http://web.tiscali.it/margheritaronco/dipinti%20e%20affreschi.htm

http://www.carreumpotentia.it/

Bibliografia:
VANETTI G., 2000, Chieri. Dieci itinerari tra Romanico e Liberty, Edizioni Corriere
TOSCO C., 1997, Architettura e scultura landolfiana, in Il rifugio del vescovo. Testona e Moncalieri nella diocesi medievale di Torino a cura di G. Casiraghi, Scriptorium, Torino
PANTÒ G., 1994, Venti anni di interrogativi sulle testimonianze archeologiche del Battistero, in Il Battistero di Chieri tra archeologia e restauro, a cura di PANTÒ e D. BIANCOLINI, Torino, pp. 49-77

Fonti:
Fotografie archivio GAT; foto  4  e 5 dal sito web.tiscali.it sopra indicato. Affresco foto 2 da www.carreumpotentia.it

Data compilazione scheda:
6 maggio 2004 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

affreschi-cappella-tabussi carreumpotentia

chieri_duomo20

chieri_duomo3

chieri_duomo4