Torinese e valli di Lanzo

Carignano (TO) : Casaforte di La Gorra

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Storia del sito:
Tra l’XI e il XII secolo il nome di Gorra identificava una vasta area rurale ricca di corsi d’acqua e stagni, tra il Po, il torrente Banna e il rio Stellone (da cui il nome di Villastellone). La zona era posseduta dai Templari (i Cavalieri del Tempio), che avevano sede in S. Martino di Gorra, un toponimo oggi perduto.
Fin lì si spinse l’influenza del comune di Chieri dal 1203, con l’acquisto di parte del territorio e con la fondazione della “villanova” di S. Martino dello Stellone (1228-1236), oggi Villastellone, cinta da mura e fossati, che fu poi totalmente distrutta da un incendio nel 1325.
L’attuale casaforte di La Gorra fu edificata nel 1300 dai Provana di Carignano, una delle casate feudali più antiche del Piemonte, a quel tempo vassalli di Filippo d’Acaja e consignori di Carignano insieme ai marchesi di Romagnano. Dal XIV secolo uno dei numerosi rami della famiglia Provana assunse il titolo di signori (o castellani) della Gorra.

Scarica allegato: Fortificazioni di Carignano

Descrizione del sito:
La massiccia struttura ha il paramento in laterizio. Alcune finestre sono state modificate.
Alla sommità si notano tracce di merlatura a coda di rondine, inserita nella sopraelevazione.

Informazioni:

L’edificio è di proprietà privata, sito in frazione Gorra 26-28. Comune Carignano tel. 011 9698411

Link:
https://www.comune.carignano.to.it

Bibliografia:
SERGI G. (a cura di), Luoghi di strada nel medioevo, Archivio Storico Comunale di Carignano
CASTAGNO P., Notizie sulla famiglia Provana, Stultifera Navis, giugno 2002, ed. non in vendita

Fonti:
Fotografia GAT.

Data compilazione scheda:
14/11/2006 – aggiornam. maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Livio Lambarelli – Gruppo Archeologico Torinese

Cantoira (TO) : Santuario di Santa Cristina

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Storia del sito:
Sul monte, prima della costruzione del Santuario, esisteva un pilone votivo dedicato alla martire: ancora oggi lo si può scorgere all’interno della cappella, alla destra dell’altare. La chiesa attuale risulta essere l’ampliamento di precedenti costruzioni. Infatti una piccola cappella era già esistente verso la fine del Trecento.
Nel 1440 gli abitanti di Ceres e Cantoira costruirono di comune accordo una modesta cappella che fu poi ingrandita nel XVI secolo e costituita a santuario nel XVII secolo. Ceres e Cantoira se ne disputarono a lungo il possesso, finché non rimase a questi ultimi.
Nel 1840 l’amministrazione del santuario fece costruire attorno alla cappella e sulle pareti a picco del promontorio un imponente bastionata che funge da riparo e fortezza. Nel 1901 vennero eseguiti altri interventi di restauro.

Descrizione del sito:
L’interno del santuario si presenta modesto e semplice: sull’altare bianco in muratura è collocata la statua di Santa Cristina, mentre sulle pareti sono conservati circa cento ex-voto dipinti, risalenti ai secoli XIX-XX (le grazie che ricorrono con maggior frequenza sono le guarigioni da malattia, gli episodi di guerra, gli incidenti agricoli e le guarigioni del bestiame).
Al suo interno presenta tracce di affreschi, alcuni dei quali di buona mano. Un frammento, molto bello, rappresenta una Madonna in trono con Bambino, con accanto Santa Cristina. Sul vestito della Vergine è stata graffita la scritta: FUNDATA LAN 15(41). Questa data potrebbe riferirsi ad un ampliamento cinquecentesco della primitiva costruzione.

Informazioni:
Il Santuario sorge sulla cima del monte Santa Cristina (m 1353), dove termina il contrafforte che fa da spartiacque tra la Val d’Ala e la Val Grande ed è raggiungibile a piedi con un sentiero sia da Ceres, sia da Cantoira, in entrambi i casi in circa h 1,45. Parrocchia di Cantoira tel. 0123 585621. I festeggiamenti in onore della Santa si svolgono il sabato e la domenica più prossimi al 24 luglio. Il sabato si effettua il pellegrinaggio al santuario, dove i Priori e i Rettori organizzano un incanto dei doni offerti dai fedeli, il cui ricavato è usato per la gestione del sito.

Link:
http://www.comune.cantoira.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2538

Fonti:
Fotografia dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
28/11/2005 – aggiornamento maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

Cambiano (TO) : Torre

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Storia del sito:
Il nome del paese è di probabile origine celtica (Cambius).
Fu abitata in età romana e infatti sono state trovate tracce di un grande edificio rurale, una “villa” romana, nella regione detta “S. Pancrazio” per la presenza di un pilone votivo a lui dedicato. Nella zona sono state rinvenute inoltre sei monete di bronzo, due delle quali risalgono ai primi anni dell’imperatore Galieno (verso il 250 d.C.). La villa probabilmente fu distrutta e sostituita da un nuovo insediamento in un luogo più difeso, sulla “motta” che oggi corrisponde alla via del Castello e a Piazza Giacomo Grosso, e nelle vie del quadrilatero difeso da mura e formato da via Mosso, via Cavour, via Borgarelli, via S. Francesco d’Assisi.
Il nome Cambianis è attestato fin dal 955, mentre diventa Cambianus nel 1152. Cambiano è poi ricordata in due carte dell’anno 1034 in cui l’abate del monastero benedettino di Nonantola (Modena) permuta alcuni possedimenti in Piemonte (e tra essi Cambiano) con i conti di Biandrate, di origine longobarda, fedeli all’imperatore, che divennero così signori del Chierese e lo rimasero per due secoli. Quando nel 1155 Federico Barbarossa distrusse Chieri, i signori di Cambiano furono tra i primi a concorrere per la sua riedificazione. Da allora la storia del paese seguì le vicende della repubblica chierese e nel 1248 prestò formale sudditanza a Chieri ricevendo in cambio assicurazione di difesa militare. Nel 1347 Chieri, e con essa Cambiano, si sottomise ai Savoia. La signoria fu esercitata congiuntamente dal conte di Savoia e dal ramo cadetto dei Savoia-Acaja. Nel 1418 con l’estinzione del ramo cadetto Cambiano entrò a far parte del nuovo stato Sabaudo seguendone nei secoli successivi tutte le vicissitudini.
Il borgo medievale di Cambiano aveva due torri-porta. La prima si trovava dove oggi è il municipio, dotata di torre di difesa, della quale poco si conosce: era detta “Cella” o “Gemella” e la sua immagine è visibile in un affresco nei pressi del Comune; fu abbattuta nel giugno 1883, perché pericolante e alcuni suoi mattoni furono impiegati nelle fondazioni del campanile della chiesa.
La seconda torre-porta, ancora esistente e recentemente restaurata, era anticamente detta anche “porta stellina” (perché dava verso Villastellone), era gemella della precedente e costituiva con essa un accesso all’abitato medievale.

Descrizione del sito:
L’antica torre-porta, che oggi viene detta torre campanaria, presenta un grande passo carraio, un tempo chiuso da un portone. Si tratta di una costruzione presumibilmente databile intorno al XIII secolo, anche se fu in seguito rinnovata, aggiungendovi la meridiana, successivamente l’orologio e ribassando l’originale arco ogivale.
La Torre ha un paramento murario in laterizi, molto compatto, con due sole piccole aperture verso l’esterno, due pareti ortogonali al muro frontale a fungere da quinte. Era aperta sul lato interno, per favorire l’opera dei difensori. Il tetto presenta orditura lignea e manto di copertura in coppi.

Informazioni:
su Via Compajre e Via Cavour, nel centro storico

Links:
http://parrocchiacambiano.it/storia-e-arte/torre-campanaria/

http://www.comune.cambiano.to.it

Fonti:
Fotografia dal sito www.parrocchia-cambiano.it

Data compilazione scheda:
20/06/2006 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Cambiano (TO) : “Castello” dei Mosi

Storia  e descrizione del sito:
Edificio di significativo interesse architettonico, che meriterebbe un’accorta opera di restauro. La sua origine parrebbe relativamente tarda, non precedente la metà del XIII secolo, quando già il Comune chierese si era affermato. Compare infatti solo a partire dai Catasti chieresi del 1275, come appartenente alla famiglia dei Gribaudi, quindi ritorna negli Statuti del 1311 (“Moxios”), nei catasti del 1327, nella richiesta del Comune di difendere castelli e casali del 1366 (“Moxos”), ed infine negli Estimi del 1425, dove viene elencato tra i “casales” con il toponimo “Mossios” ed è accatastato tra le proprietà dei Broglia.
Il castello di Mosi, con Castel Mosetti, Fontaneto e Ponticelli, sorge sulla cosiddetta ‘via Alta’, che collega Chieri a Santena: la concentrazione di castra in quest’area del Chierese meridionale era indirizzata al controllo capillare di un territorio ricco di corsi d’acqua. La sua funzione doveva essere quella di cascina-granaio, fortificata per impedire le razzie, e tale caratteristica mantenne nel tempo, sino al 1748, allorché entrò a far parte della “contea di Fontaneto”. Oggi i Mosi si presentano come un edificio monolitico, in pessimo stato di manutenzione, a quattro piani fuori terra serviti da due scale: la prima, sul retro, inglobata nel perimetro dell’edificio, è chiusa in alto da un abbaino settecentesco che ne denuncia il periodo di costruzione; la seconda, sul fronte verso la corte, è una tipica scala-torre che termina in un loggiato, anch’esso databile al XVIII secolo. Nulla sopravvive che possa testimoniare l’esistenza del casale medievale: tutte le luci sono di fattura moderna. Si deve dedurre che i Levrotto operarono sostanziali trasformazioni sul fabbricato per adattarlo alle loro esigenze. Interessante, addossato al muro del fronte posteriore, un pozzo ancora parzialmente coperto da un tettuccio in coppi.

Informazioni:
Cascina di proprietà privata. Seguendo la SS 29 Torino-Alba, immediatamente dopo l’ingresso dell’A21 TO-Piacenza deviare a sinistra in direzione di Chieri (Strada Vecchia di Chieri) dopo circa 1500 metri borgata i Mosi.

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Link:
https://www.parrocchiacambiano.it/storia-e-arte/castelli-dei-mosi-e-dei-mosetti/

Bibliografia:
G. VANETTI, Chieri ed il suo territorio, 1989
Atlante castellano. Strutture fortificate della provincia di Torino, a cura di M. VIGLINO DAVICO, A. BRUNO JR., E. LUSSO, G. G. MASSARA, F. NOVELLI, Torino 2007, p. 101
F. BERGAMINI, Architetture tardomedievali tra Chierese e Monferrato astigiano: un paesaggio culturale, Torino 2018, (BSBS CXVI) – Fascicolo II – Luglio – Dicembre

Data compilazione scheda:
18 febbraio 2001 – aggiornam. settembre 2022

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

Cambiano (TO) : “Castello” di Mosetti

Storia del sito:
Edificio di significativo interesse architettonico, che meriterebbe un’accorta opera di restauro. La sua origine parrebbe relativamente tarda, non precedente la metà del XIII secolo. Già nei Catasti chieresi del 1275 e del 1327 compare come compreso nei beni della famiglia Gribaldi. Tuttavia è significativo che negli Statuti del 1311 (riportanti norme emanate dal Comune nel secolo precedente), non compaia fra le cascine fortificate destinate a raccogliere il grano che deve essere inviato a Chieri. Solo dal 1366 – con il toponimo “Moxatos”, i Mosetti vengono regolarmente ricompresi in ogni elenco dei casali chieresi. Nel Quattrocento passano alla famiglia Broglia e nel 1748 ai Levrotto.

Descrizione del sito:
Castel Mosetti, con Mosi, Fontaneto e Ponticelli, sorge sulla cosiddetta ‘via Alta’, che collega Chieri a Santena: la concentrazione di castra in quest’area del Chierese meridionale era indirizzata al controllo capillare di un territorio ricco di corsi d’acqua. L’edificio si presenta come un edificio a corte chiusa in muratura laterizia, addossato ad un’originaria torre quadrangolare isolata (l’attuale mastio) posta a protezione dell’ingresso. Lo schema parrebbe derivato dalle torri-porta dei ricetti. La torre è coperta da un tetto ad un solo spiovente, rivolto verso l’esterno.
Le due ali che affiancano la torre sono ornate nella parte sommitale con fregi a mensole scalari e fasce a denti di sega a sottolineare il coronamento della torre e i passi di ronda delle cortine laterali. e si concludevano con una merlatura a coda di rondine ora chiusa superiormente da un tetto a falde. Il fabbricato retrostante ha una pianta quadrata con piccola corte centrale sulla quale si affacciano tre corpi di due piani fuori terra, ed un quarto corpo a tre piani sormontati da un passo di ronda che si apre all’esterno con un loggiato L’interno del cortile conserva, al centro, un pozzo in laterizi con copertura in coppi. Le pareti dell’edificio che si affacciano sul cortile hanno oggi un paramento in mattoni a vista ed una, in particolare, è arricchita da due fasce marcapiano formate da laterizi lavorati simili a quelli delle cornici delle finestre ogivali (un tempo “bifore”). La mancanza di decorazioni a figure geometriche o vegetali e la sola presenza di mattoni con il bordo arrotondato, alternativamente concavo o convesso, fanno pensare ad una costruzione tardo-trecentesca, frutto di un rinnovamento di parte della casa operato negli anni in cui anche Chieri iniziava la grande ricostruzione secondo il gusto gotico.

Informazioni:
seguendo la SS 29 Torino-Alba, immediatamente dopo l’ingresso dell’A21 TO-Piacenza deviare a sinistra in direzione di Chieri (Strada Vecchia di Chieri) dopo circa 1 chilometro Borgata dei Mosetti.
Cascina privata (visibile solo dall’esterno).

Link:
http://parrocchiacambiano.it/storia-e-arte/castelli-dei-mosi-e-dei-mosetti/

Bibliografia:
G. VANETTI, Chieri ed il suo territorio, 1989
Atlante castellano. Strutture fortificate della provincia di Torino, a cura di M. VIGLINO DAVICO, A. BRUNO JR., E. LUSSO, G. G. MASSARA, F. NOVELLI, Torino 2007, p. 100
F. BERGAMINI, Architetture tardomedievali tra Chierese e Monferrato astigiano: un paesaggio culturale, Torino 2018, (BSBS CXVI) – Fascicolo II – Luglio – Dicembre

Fonti:
Fotografie 1, 2 e 3 GAT.

Data compilazione scheda:
18 febbraio 2001 – aggiornam. settembre 2022

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

Brusasco (TO) : Chiesa di San Pietro Vecchio

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Storia del sito:
E’ la chiesa più antica di Brusasco, e può essere considerata una tra le più importanti costruzioni in stile Romanico esistenti in Piemonte. Costruita nell’XI secolo (forse su una precedente struttura) venne abbandonata più volte nel corso dei secoli fino all’Ottocento.
Nel 1889 divenne monumento nazionale e fu oggetto di decisi interventi di restauro nei decenni successivi. È da tener presente che intorno al 1720 iniziarono i lavori per la costruzione di una nuova Parrocchia dedicata allo stesso Santo ma con l’aggiunta dell’appellativo di Apostolo (San Pietro Apostolo).
Il conte Cotti, circa due anni dopo, fece interrompere i lavori avendo acquistato il feudo di Brusasco da Vittorio Amedeo II. Egli opponeva resistenza alla costruzione della nuova parrocchia in pianura, perché voleva mantenere la vecchia chiesa che sorgeva più vicino al castello. La lite durò almeno trent’anni ma nel 1752 ripresero i lavori, segnando così il definitivo accantonamento della chiesa di San Pietro Vecchio.

Descrizione del sito:
La chiesa e disposta su un’unica navata.
Si possono osservare affreschi del XV secolo nel catino absidale e sulle pareti, tra cui spicca una Madonna con Bambino. Di particolare interesse sono l’abside e i capitelli di epoca altomedievale, aventi decorazioni zoomorfe.
Nella verifica sul campo del giugno 2010 si è notato lo stato di degrado in cui versa l’edificio: vi sono abbondanti deiezioni di uccelli sul pavimento all’interno; la parete esterna a nord è in stato di grave abbandono e confinante con un’area cimiteriale che presenta materiali di rifiuto, frammenti di lapidi e resti ossei di esumazioni infantili.

Informazioni:
La chiesa si trova nel cimitero. Info Comune tel. 011 9151101

Links:
http://it.wikipedia.org

Bibliografia:
CARAMELLINO C., San Pietro di Brusasco, fotografia di un monumento, pubblicato a cura dell’Unione pro Brusasco, 1983
PITTARELLO L. (a cura di), Le chiese romaniche delle campagne astigiane: un repertorio per la loro conoscenza, conservazione, tutela, Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Piemonte, Asti, 1984; terza edizione aggiornata, Torino, 1998

Fonti:
Fotografie GAT.

Data compilazione scheda:
13 settembre 2003 – aggiornam. 2010 e giugno 2013

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Valter Bonello – Gruppo Archeologico Torinese

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Beinasco (TO) : Castello e Torre

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Storia del sito:
Le prime notizie certe su Beinasco si hanno verso la prima metà del sec. XIII. Il Vescovo di Torino, Arduino di Valperga, nominò Federico Piossasco primo signore di Beinasco attorno all’anno 1200. Federico diede origine al ramo Piossasco De’ Federici. In seguito a contese per i confini fra Torino e Beinasco, il vescovo di Torino, Ugo Cagnola, stabilì nel 1236 la delimitazione dei territori che fu confermata con atto pubblico del 1288. La città di Torino, che frattanto si era costituita in comune libero, si sentiva danneggiata dai mercanti che transitavano per Beinasco senza pagare il pedaggio e quindi decise di farsi cedere da Federico Piossasco il Castello mediante una ricompensa in denaro e l’investitura del Castello, villa e luogo di Beinasco per lui e per i suoi successori. L’atto venne stilato il 22 giugno 1239 ed il 16 luglio dello stesso anno, Giovanni, figlio di Federico, confermò la donazione fatta dal padre.
In quel periodo le città di Torino, Alessandria e Vercelli avevano formato una alleanza detta “Seconda Lega Lombarda” ed anche Federico di Piossasco, di parte guelfa, si unì nella lotta contro l’imperatore. Beinasco appartenne in seguito e in parte ai Bergiera; quindi passò ai Leoni di Saluzzo. Fu pure alle dipendenze della signoria dei marchesi di Monferrato, cosa di cui si fa menzione nel diploma di Carlo IV del 1355. Solo nel 1584 risulta che Beinasco era dominio feudale dei Signori Erminio Cesare e fratelli De’Federici di Piossasco. Nel 1753 Carlo, figlio di Giuseppe Antonio, sempre nel ramo De’Federici, ricevette l’investitura di Beinasco.

Descrizione del sito:
La costruzione del castello di Beinasco risale al XIII secolo. Nel corso dei secoli il castello, originariamente di architettura guelfa, subì incendi, devastazioni e profondi rimaneggiamenti. Attualmente sono originarie due bifore ad arco a tutto sesto, ripartite da colonnine con sovrastante arco acuto con decorazioni in cotto, sul lato verso il Sangone. Sulla facciata verso Piazza Alfieri si può notare un medaglione con ritratto in terracotta raffigurante, secondo la leggenda, l’imperatore Nerone.

Della CINTA MURARIA del castello si è conservata solo una porta d’ingresso, posta sull’attuale Corso Cavour, detta “TORRE”, che anticamente era cinta da fossato ed aveva un ponte levatoio. Costruita in laterizio, con apertura ad arco a tutto sesto, conserva le grandi caditoie.
Un AFFRESCO del XV secolo, deteriorato in molte sue parti, raffigurava presumibilmente la Fuga in Egitto, la Crocifissione di Cristo e il Martirio di S. Sebastiano. Un tempo era parte integrante del Castello, oggi è sull’attuale muro fiancheggiante Via Trucchi.

Descrizione dei ritrovamenti:
EPIGRAFE ROMANA Ritrovata nel 1945 nel giardino dell’attuale canonica di Beinasco e conservata nel Cortile della Chiesa Parrocchiale, Via Don Bertolino, 19 , viene fatta risalire al I – II secolo d.C. Si tratta di una lapide sepolcrale, scolpita su una lastra di marmo, mancante della parte superiore e di quella inferiore. La parte conservata reca inciso il nome della dedicataria (Tertullae Matri) e la formula TFI (testamento fieri iussit). L’ottima impaginazione, il tracciato delle lettere chiaro e preciso, la presenza di una formula standardizzata e la buona esecuzione della parte decorativa, fanno pensare che l’epigrafe sia opera di lapicidi professionali, e dunque commissionata da una famiglia di buon livello sociale ed economico, integrata nella civiltà romana.

Informazioni:
I resti delle mura, con la porta localmente detta “torre”, sono sul Corso Cavour; l’edificio del castello, di proprietà privata, è in Piazza Alfieri. Comune, tel. 011 39891

Links:
http://www.comune.beinasco.to.it

Bibliografia:
BERTOLINO don P., La storia di Beinasco, Edizioni SPE, Torino, 1960
MONGINI G.; ODDONE C., Municipi e Castellanie, storia di Beinasco dalle origini ad oggi, Ed. U. Allemandi & C., Torino, 1999
TALAIA A., Il castello di Beinasco, Selcom, Torino, 2006

Fonti:
Notizie e fotografie tratte nel 2008 dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
23/01/2008 – aggiorn. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Balme (TO) : Cappella della Sindone o della Vergine o del Cristo Pantocratore

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Storia del sito:
Si tratta di un piccolo edificio sacro, ricavato nella parte inferiore di una delle più antiche costruzioni di Balme, coevo perciò alla fondazione del primo villaggio. Sulla strada si apre un grande arco di ingresso coperto da un solaio in legno, ad esso segue un secondo ambiente, coperto anch’esso da solaio in legno, dal quale si accede alla cappella che ha pianta rettangolare con asse perpendicolare alla strada, ed è coperta da volta a botte. L’edificio è costruito con pietre di spacco di piccole dimensioni. Sulla volta, rivolto a nord, quindi all’opposto dell’attuale ingresso, vi è l’affresco che raffigura il Cristo nella mandorla; perciò si ritiene, anche in base ai dati ricavati da recenti restauri, che in origine la cappella fosse un vano aperto con l’entrata sul lato di fronte.
In epoca successiva, sopra la cappella, venne costruita una casa a più piani e, col tempo, l’edificio sacro perse la sua funzione e venne adibito a stalla con sopra spazi abitativi e magazzini, tanto che, nel Catasto Rabbini del 1866, viene indicato come “casone”, ambiente destinato alla produzione dei latticini; fino al 1970 i locali ebbero destinazione di legnaia e officina. Purtroppo manca la documentazione sulla fondazione e dedicazione della cappella e poi sul suo abbandono.
Quando la Sindone fu portata da Chambéry a Torino nel 1535, passò probabilmente per la valle in cui è situata Balme, e lì venne ricoverata, dato che era l’unica chiesa del luogo; per questo l’edificio è anche localmente noto come “cappella della Sindone”. La dedicazione alla Vergine è dovuta all’affresco sulla parete di fondo.
Una divisione di beni del 1643 parla di una “casa nova e camera sopra la capella”, quindi già si era verificato l’abbandono e la sconsacrazione dell’edificio di culto, accaduto forse nel 1617 quando, dopo che nel 1612 la parrocchia di Balme era stata separata da quella di Ala, era stata consacrata la nuova parrocchia dedicata alla SS. Trinità, edificata in un luogo riparato dalle valanghe anche se lontano dal centro.
Si sa che nella seconda metà del Seicento a Balme si insediò la ricca famiglia dei Castagneri, che costruì nuove cappelle come quella della Natività di Maria, che forse prese la titolazione dalla vecchia cappella sconsacrata. Una possibile conferma che l’edificio fosse stato acquisito e ristrutturato dai Castagneri, che esercitavano la metallurgia, è il fatto che nelle travi che sorreggono il tetto dell’edifico della cappella erano state impiegate, invece dei consueti e più economici pioli di legno, delle caviglie di ferro appositamente forgiate.
Quando la mulattiera per il Pian della Mussa, nel 1909, fu fatta passare al limite inferiore dell’abitato del borgo, l’edificio della cappella venne ampliato, con l’accesso a sud e la costruzione di un portico delimitato da murature laterali e da un arco in facciata. Il nuovo muro nascose sotto la malta parte dell’affresco di san Giorgio che uccide il drago, recentemente ritrovato, che forse è il medesimo che, come narra una leggenda locale, un cacciatore del XVII secolo fece dipingere sulla porta della chiesa di Balme in ringraziamento per essere scampato al diavolo in forma di camoscio.

Anche se la cappella è situata appena dopo i limiti del periodo oggetto dell’archeologia, tuttavia le caratteristiche architettoniche e soprattutto iconografiche sono tipicamente medievali.

Descrizione del sito:
Il locale della cappella presenta la raffigurazione del Cristo Pantocratore nella mandorla con la mano destra benedicente, mentre la sinistra è scomparsa. Intorno alla mandorla vi sono le figure dei simboli dei quattro evangelisti: il leone di san Marco, a destra l’aquila di san Giovanni, in basso a sinistra un angelo, mentre a destra è quasi illeggibile il bue alato di san Luca. Dei cartigli con versetti del vangelo è rimasta solo qualche lettera in quello di san Matteo. Probabilmente qui si ha una delle ultime raffigurazioni di questa antichissima iconografia, che è inoltre dipinta sulla volta, in posizione anomala rispetto alla consueta nel catino absidale.
La parte inferiore della volta, a sinistra, conserva le figure dei quattro santi: Giovanni Battista, Pietro, Sebastiano e Antonio abate. La raffigurazione è in una cornice a intrecci identica a quella della parete di fondo, sulla quale è stata recentemente ritrovata una lunetta con affreschi lacunosi: vi è la Vergine ed un’altra figura, forse sant’Anna, suggerendo la possibile iconografia di sant’Anna metterza; sulla sinistra un santo con la dalmatica e frammenti di un angelo. Nelle lacune si nota un precedente affresco di cui si è ben conservata la parte inferiore di una figura.
Sulla parete sinistra dell’ambiente che precede la cappella, sono dipinti san Giorgio a cavallo che sconfigge il drago e san Michele; sull’arco che divideva i due ambienti, i restauri hanno rivelato la figura di un Profeta.
Gli affreschi della cappella appartengono ad una medesima campagna pittorica e sono databili intorno al 1520, stilisticamente simili all’affresco del miracolo di sant’Eligio nella parrocchiale di Salbertrand, che risale agli inizi del XVI secolo; invece le figure nel locale antistante la cappella hanno una datazione alla seconda metà del XVI secolo.
Dell’avanzato Seicento sono le tracce del Battesimo di Cristo, sulla parete destra, dipinto con tecnica a secco e di modesta qualità.

Informazioni:
Sulla strada principale di Balme, Via Capoluogo, di fronte alla casaforte detta Rucias*.  Comune tel. 0123 82902

Link:
http://www.comune.balme.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=31385

Bibliografia:
BERTOLOTTO C.; FRULLI M.; INAUDI G.; SCALVA G., Presenze pittoriche rinascimentali nelle valli di Lanzo. La cappella della Vergine o del Cristo pantocratore a Balme, Società storica delle Valli di Lanzo, Lanzo Tor. TO, 2007, p. 48, 18 ill.

Note:
*Il Ruciass (Routhass) è un’abitazione fortificata costruita nel 1591, di tipologia collocabile tra la casaforte e il castello rupestre, con caratteristiche comuni ai ricetti e ad altre costruzioni medioevali, che domina la valle dall’alto di una rupe, proprio al centro del paese. L’enorme struttura difensiva, riconoscibile dall’unico stretto ingresso e dalle piccolissime aperture, ha una struttura complessa con scaloni di pietra, corridoi, locali ad uso abitazione e stalla, passaggi sotterranei, cantine scavate nella roccia. Il lato verso il fiume è inaccessibile dal basso e si apre in logge coperte, a picco sulla profonda gola del torrente sottostante. Il piano superiore ospitava un gigantesco granaio ed è sormontato da un enorme tetto retto da grosse travi e coperto da lose in pietra. In passato, prima delle demolizioni di inizio Novecento, necessarie alla costruzione della strada provinciale, la casaforte permetteva di raggiungere forno, lavatoio, fontana, cappella, senza mai uscire all’aperto. Su alcune pareti sono custoditi degli affreschi che potrebbero ricordare la sosta della Santa Sindone durante il suo trasporto da Chambéry. Le pitture sono state restaurate di recente, soprattutto la Deposizione, in cui il Sacro Lino è raffigurato con particolare realismo. Un altro affresco, raffigurante la Santa Sindone sostenuta da due angeli, si trovava sulla facciata della Cappella della Natività di Maria, distrutta nel 1909 per la costruzione della strada. Anche a Bessans, sul versante savoiardo, sono conservati degli affreschi sindonici all’interno della chiesa parrocchiale.

Fonti:
Foto in alto dal sito del Comune; in basso dal testo citato.

Data compilazione scheda:
30/12/2008 – aggiorn. luglio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A. Torinese

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Balangero (TO) : Castello e Cappella di San Vittore

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Storia e descrizione dei siti:
Il territorio dell’odierna Balangero era probabilmente in antico abitato da tribù celtiche; tuttavia i ritrovamenti della necropoli di Murassi, ora al Museo Archeologico di Torino, e la lapide in pietra murata nella scala d’accesso alla Chiesa parrocchiale indicano una chiara influenza romana e, secondo alcuni studiosi, la probabile origine romana dell’abitato.
Dopo l’invasione dei Longobardi si sarebbe costituito un nucleo di abitazioni conosciute sotto il nome barbarico di “Matingo” (attestato in un documento del 911) i cui abitanti, dopo le invasioni ungare e saracene, si dispersero e fondarono le attuali Balangero, Mathi e Lanzo.
Balangero prende nome, o da “Balantum Geruli” oppure dal nome di Berengario II (attraverso le varianti “Belengerium” e “Ballangerium”), il Longobardo Marchese di Ivrea, successivamente Re d’Italia, poi sconfitto ed esiliato dall’Imperatore Ottone I.

Il CASTELLO
Berengario II visse tra il 900 circa e il 966 e in quegli anni costruì, sulla cima del Truc dietro l’attuale Chiesa Parrocchiale di Balangero, in una zona che era strategicamente importante perché su una delle vie di collegamento tra pianura e valli alpine, un accampamento militare contro le invasioni degli Ungari: il “Castrum Berengarii”.
Questo Castrum viene citato in un documento del 1151. L’edificio fu molte volte danneggiato dalle guerre durante i sec. XIV (in particolare nel 1347) e XV, e più volte ricostruito.
Il Castello ebbe il massimo splendore durante il periodo di Amedeo VI di Savoia detto Conte Verde (1334-1383) che lo dotò di 4 torri dette la Bianca, la Nera, del Visconte (o di Donna Ambrosia) e la Turris Portae. Vi erano alte mura merlate, circondate da un fossato, sotterranei e passaggi che collegavano le torri. Il complesso fortificato era formato da due edifici a quota diversa: quello superiore era il Palazzo del Signore, in quello inferiore l’abitazione del castellano con granai, cucine, forno, mulino, alloggi e cappella.
Il Castello, trasformato in villa signorile, venne distrutto durante la guerra civile tra i Savoia “Madamisti” e “Principisti” nel XVII secolo; una ulteriore demolizione si ebbe in occasione della costruzione della Chiesa Parrocchiale di San Giacomo nel 1771.
Ormai non restano che ruderi, all’interno dei quali, tra giugno e luglio, avviene una rievocazione storica in costume medievale.

LA CAPPELLA DI SAN VITTORE
Non si hanno dati certi sulla data di costruzione, tuttavia la struttura romanica fa ipotizzare il secolo XI.
L’edificio è a pianta quadrata con un corpo centrale ed un pronao, che fungeva da cella campanaria, forse aggiunto nel secolo XV e aperto da una grande bifora.
La cappella viene aperta solo in occasione delle feste dei Coscritti di Balangero (il 1° sabato di Maggio) e di Corio.

Informazioni:
La Cappella si trova sulla cima del Bric Forcola quasi al confine con il comune di Corio, nella zona delle cave di amianto di S. Vittore. (per salire in auto occorre l’autorizzazione). Comune tel. 0123 345611

Links:
http://www.comune.balangero.to.it San Vittore

http://www.comune.balangero.to.it Castello

Fonti:
Fotografia dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
10/06/2005 – aggiornam. luglio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A.Torinese

Andezeno (TO) : Chiesa di San Giorgio al cimitero

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Storia del sito:
La cappella di San Giorgio al cimitero fu probabilmente la prima curia o parrocchia della curtis di Andisellum. La frequentazione della zona, almeno come luogo cimiteriale, è antichissima, da quanto si può dedurre dall’affioramento, nei terreni adiacenti, di resti laterizi o marmorei appartenenti a sepolture romane e paleocristiane. La chiesa attuale risale alla metà del XII secolo. Quando la popolazione locale si trasferì intorno al castrum, durante la signoria dei Biandrate, San Giorgio conservò il titolo di parrocchia e, soprattutto, gli abitanti di Andesellum mantennero la consuetudine di seppellirvi i loro morti. Solo nel Cinquecento la chiesa di san Pietro, nel recinto del castello, poté strappare all’antica cappella il titolo di parrocchia, ma si piegò dapprima a mutare la sua intitolazione in quella di “San Pietro e Giorgio”, per poi divenire, come è oggi, parrocchia di San Giorgio, rinunciando al suo titolo originale. Ridotta al rango di chiesa cimiteriale, la chiesa iniziò una lenta decadenza, che proseguì fino al 1774, allorché Monsignor Rorengo di Rorà, in occasione di una visita pastorale, avendone constatato il pessimo stato di conservazione, impose o un pronto restauro o la completa demolizione. Nel 1791 la comunità di Andezeno provvide ad un radicale intervento sulla chiesa, demolendola in parte e ricostruendola riutilizzando i materiali recuperati. Nel 1959 un nuovo cantiere di restauro eliminò le sovrastrutture barocche recuperando per quanto possibile la struttura romanica originaria. Elementi in cotto, materiale lapideo ed intonaci storici della facciata sono stati restaurati nel 2008-2009.

Descrizione del sito:
La chiesa si presenta come un edificio a pianta rettangolare, a navata unica absidata, con le pareti esterne in mattoni a vista ed un tessuto murario eterogeneo, in parte con laterizi settecenteschi regolarmente disposti, in parte con ricorsi alterni di blocchi di arenaria gialla e grigia e mattoni, in alcuni tratti con conci disposti a spina di pesce. Il riutilizzo del materiale preesistente (laterizi e marmi provenienti da un adiacente cimitero di origine romana) hanno fatto sì che nella muratura si evidenzino anche mattoni sesquipedali e frammenti di lapidi marmoree.
La facciata della chiesa è completamente rifatta nella parte superiore; in quella inferiore evidenzia ancora i blocchi di arenaria squadrata agli spigoli e una porta, con la cornice in conci di pietra alternati a laterizi, chiusa da un arco falcato. Frutto degli interventi moderni sono le due finestre laterali. La parete a sud si presenta con una muratura eterogenea su cui compaiono, tra l’altro, file di laterizi disposti a spina di pesce e frammenti di marmi, uno dei quali è probabilmente una parte dell’acrotilo di una stele funeraria romana, essendo presente il delfino, che è una figura ricorrente in questi monumenti. Una porticina permette l’accesso alla chiesa da questo lato.
L’abside, nella quale i conci in arenaria prevalgono sui laterizi, è semicircolare con tetto in coppi e si presenta divisa in cinque campiture da quattro colonnine chiuse da una cornice ad archetti semplici a tutto sesto, sostenuti, alternativamente, da colonnine e da mensole. La parte inferiore, ove era il basamento sul quale insistevano le colonnine, è andata distrutta. Due monofore strombate con l’arco formato da un monoblocco di arenaria danno luce all’interno.
La parete settentrionale è disordinata nel tessuto murario e conserva le tracce di monofore tamponate.
L’interno, che misura m 10 x 4,8 è molto semplice e presenta solo resti di due capitelli in corrispondenza dell’arco santo, che collega la navata con la zona absidale. Il tetto, a due falde, è in coppi con orditura in legno.

Informazioni:
All’interno del cimitero, Parrocchia tel. 011 9431104

Link:
https://it.wikipedia.org/wiki/Andezeno
http://www.comune.andezeno.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2874

Bibliografia:
VANETTI G., 1995, Chieri ed il suo territorio, Edizioni Corriere

Fonti:
Fotografie archivio  GAT.

Data compilazione scheda:
15 aprile 2004 – aggiorn. marzo 2014 e marzo 2019

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

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