Torinese e valli di Lanzo
Chieri (TO) : Battistero della Collegiata di Santa Maria della Scala
Storia del sito:
Gli scavi effettuati tra il 1988 e il 1993 nel Battistero del Duomo, riprendendo ricerche effettuate negli anni ’60 dello scorso secolo, hanno definito una successione stratigrafica dall’età romana a quella medievale. Sono stati infatti scoperti i resti di una domus risalente alla fine del I sec. a.C., cui si sono sovrapposte strutture edilizie attribuibili al IV-V secolo d.C., mentre una diversa destinazione d’uso è attestata dalla presenza del cimitero paleocristiano che ebbe successive fasi di sviluppo, fino al X secolo.
Delle ventotto tombe individuate una sola è “alla cappuccina” ossia con la sepoltura poggiante direttamente sul fondo di terra e copertura costituita da sesquipedali accostati a doppio spiovente per il lato lungo con testata aperta. Quelle definite “alla cappuccina” nella relazione degli scopritori e negli studi che ne seguirono in realtà sono tombe a cassa di muratura con copertura a doppio spiovente e testate chiuse. Il cimitero perse la sua funzione con la costruzione di un edificio del quale resta unicamente uno spesso muro realizzato in ciottoli legati da malta sabbiosa e friabile di colore giallino ancora precedente l’impianto del battistero attuale. Successivamente per l’epoca romanica gli storici si sono, infatti, sempre arresi di fronte alla documentazione limitata a tre labili indizi cronologici, per altro risalenti solo al XIII secolo e in parte di dubbia pertinenza.
Lo scavo testimonia come il Battistero doveva presentare pianta ottagonale con nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari emergenti e abside orientata. Al centro dell’edificio si trovava il fonte probabilmente ottagonale come parrebbe suggerire l’allineamento di alcune pietre della base. La vasca era collegata al pozzo di raccolta delle acque mediante un tubulo in cotto posto in marcata pendenza verso quest’ultimo. La differenza di quota di circa 20 cm tra il pavimento e il fonte indica come questo fosse parzialmente interrato e vi si accedesse scendendo un gradino. La planimetria ottagonale si accosta a quella di numerosi battisteri sorti nella pianura padana occidentale a partire dal V secolo, modello poi riproposto in numerosi esempi di età romanica. Pertanto il Battistero di Chieri si inquadra in una corrente di gusto che si sviluppa nel corso dell’età romanica. Dopo le poco documentate origini, notizie più sicure e precise permettono di seguire le vicende costruttive del Battistero tra il XIV e il XV secolo.
La famiglia dei Simeoni de Balbi, che ne aveva il patronato dal 1365, trascurò l’edificio, al punto tale da renderlo inagibile e forse da portare alla sconsacrazione dell’altare. In conseguenza di ciò il Capitolo trasmise la concessione a Nicolao Tana, tra il 1432 e il 1436. Ottenutone il patronato, i Tana ristrutturarono il Battistero, rifacendone la volta, probabilmente crollata o in gravi condizioni di degrado e la sorressero con i pilastrini angolari, commissionarono un ciclo di affreschi che, attraverso la Passione di Cristo e non le vicende del Battista, richiamasse il tema della salvezza dell’anima operato dal battesimo. In questa fase è probabile che l’accesso all’edificio fosse ancora quello originale, parallelo al portale del Duomo, e l’altare principale risultasse a fronte dell’ingresso, orientato come già lo era nella preesistenza romanica; così si spiega il posizionamento sulla parete che sovrasta l’altare, oggi nella cappella sinistra, della scena principale del ciclo della Passione.
Purtroppo il crollo della volta, causato dal terremoto del 1829, e la successiva ricostruzione, avvenuta tra il 1835 e il 1837, non ci permettono di valutare l’importanza e le caratteristiche dell’intervento di Nicolao Tana, che, tuttavia, dovrebbe aver portato alla formazione di un edificio non dissimile dall’attuale, se si eccettua la probabile presenza di un lanternino cuspidato posto al colmo della cupola, quale appare nel Theatrum Sabaudiae del 1682 e che viene riconfermato da due disegni del Rovere datati, rispettivamente, 1839 e 1852. Un secondo intervento dei Tana è documentato negli ultimi anni del XV secolo, quando fu rialzata la quota del pavimento, forse per allinearlo a quello del Duomo con il quale venne collegato. In questa occasione, e precisamente il 4 giugno 1495, venne concesso a Maria Tana di fondarvi una cappella intitolata a “San Giovanni Battista”.
A partire dai primi decenni dell’Ottocento si susseguirono a brevi intervalli numerosi interventi. Nel 1837 annotava il Casalis questo antico tempio fu restaurato ed abbellito con lavori di consolidamento statico, di restauro decorativo (operato dal Ferrazino con la ridipintura totale degli affreschi della cupola) e di completamento stilistico. Negli anni 1876-1878, l’opera venne nuovamente interessata dal restauro gotico-storicista di Edoardo Antonio Mella. All’esterno venne rinnovata la decorazione ad archetti pensili con elementi in cotto. Venne eliminato il lanternino posto a coronamento del tetto della cupola e visibile nel Theatrum Sabaudiae. Internamente venne eseguita la volta a cielo stellato scandita da costoloni decorati, mentre le pareti vennero rivestite da fasce dicrome. Il programma decorativo fu attuato dall’ornatista Gabriele Ferreri. A metà del Novecento il manufatto si presentava in pessimo stato di conservazione, danneggiato e roso dall’umidità. Nel marzo del 1965 vennero condotti gli scavi non stratigrafici da parte del Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori, che raggiungendo i 3 metri di profondità portarono alla luce numerosi reperti, contestualmente si procedette alla stonacatura delle pareti sino alla fascia affrescata. Il Comune fece poi eseguire un solaio in cemento armato in corrispondenza della precedente quota pavimentale, creando un locale sotterraneo da allora chiamato “cripta”. Nel 1985 si procedette ad una leggera sabbiatura ed al restauro della muratura. Con l’intervento della Soprintendenza Archeologica del Piemonte (Dott.ssa G. Pantò) venne approfondita l’area di scavo scandagliata negli anni sessanta e realizzata una scala a chiocciola per renderla fruibile.
Descrizione del sito:
L’edificio è a pianta centrale, a croce greca, con due delle quattro braccia corrispondenti ad altrettante cappelle (una sola absidata) e le altre due rispettivamente alla porta d’accesso ed al passaggio che collega il Battistero con la chiesa. Quattro absidiole sono inoltre poste agli angoli della croce per dare al Battistero una forma vagamente ottagonale. Nel XV secolo, come abbiamo visto, il Battistero (su commissione dei Tana che ne ebbero il patronato e lo trasformarono in cappella di famiglia) fu sopraelevato e ciò per compensare la diminuita volumetria determinata dal sollevarsi del pavimento, ma anche per rispondere ai gusti del gotico. In questa occasione (circa 1435) Guglielmetto Fantini e la sua bottega dipinsero, lungo la fascia appena costruita, gli affreschi raffiguranti la Passione di Cristo, narrata sulla traccia del Vangelo di Giovanni. Alla famiglia Tana si deve anche il polittico posto sopra l’altare della cappella sinistra. Fu realizzato, secondo alcuni studiosi, da Francesco Berglandi, un pittore di Mombello, residente a Chieri, nei primi anni del XVI secolo, e dal fiammingo Gomar Daver (o d’Anver) per ricordare Tommaso Tana, “cavaliero hierosolimitano morto in Rodi 1503… contra i turchi in difensione de la fede catolica”, come recita tra l’altro una scritta ai piedi di san Giovanni Battista e di san Tommaso. Fra i due santi citati vi è una Sacra Famiglia, mentre nella parte alta del polittico a fianco di una Madonna con Bambino stanno san Gerolamo e san Giorgio. Nella predella Gesù e i dodici Apostoli. L’opera sente l’influsso della scuola vercellese (per molto tempo fu attribuita a Defendente Ferrari) e indirettamente dell’arte fiamminga.
Al 1503 e sempre sui commissione dei Tana si deve anche il fonte battesimale, un tempo al centro del locale. Nell’edificio sono anche esposti una Pietà lignea, opera del 1731 di G. Marocco, una “pia donna” frammento superstite di una Pietà in cotto di cui non si hanno più notizie e la Madonna del Melograno, in origine nella lunetta che sovrasta il portale principale ed oggi sostituita da una copia.
Informazioni:
Sulla piazza all’esterno al Duomo e, dal XV secolo, collegato a questo con un passaggio in corrispondenza della quarta campata laterale. Associazione Carreum Potentia tel. 345 446 32 01 oppure 388 356 25 72; email: info@carreumpotentia.it
Links:
http://www.duomodichieri.com/storia.php?id_storia=22
http://web.tiscali.it/margheritaronco/dipinti%20e%20affreschi.htm
Bibliografia:
MERCANDO L., 1994, in Il battistero di Chieri tra archeologia e restauro, I giornali di restauro, n. 3
VANETTI G., 2000, Chieri. Dieci itinerari tra Romanico e Liberty, Edizioni Corriere
PANTÒ G., 1994, Venti anni di interrogativi sulle testimonianze archeologiche del Battistero, in Il Battistero di Chieri tra archeologia e restauro, a cura di Pantò e D. Biancolini, Torino, pp. 49-77
Fonti:
Fotografie archivio GAT e n° 2 e 3 dal sito sopra indicato web.tiscali.it/
Data compilazione scheda:
6 maggio 2004 – aggiornam. giugno 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese
Chieri (TO) : Acquedotto romano
Descrizione del sito:
Resti dell’acquedotto, unica struttura pubblica nota della città romana di Chieri (Carreum Potentia), furono rinvenuti negli anni ’30 del Novecento grazie alle ricerche dello studioso di storia locale Riccardo Ghivarello, dopo che nel tempo se ne persero quasi completamente le tracce.
Le caratteristiche tecniche e costruttive molto semplici dei pochi resti dell’acquedotto oggi visibili fanno propendere per l’esclusione di tratti in galleria o in elevato. L’acquedotto, molto probabilmente, consisteva in un semplice condotto poggiato al pendio che collegava la collina di Pino Torinese con Chieri per un tratto di cinque chilometri compreso tra i 363 ed i 312 m s.l.m.: l’acqua che veniva convogliata dalle sorgenti collinari della Commenda (località Tetti Miglioretti) scendeva correndo parallela all’attuale SS 10 ed entrava a Chieri all’imbocco della strada di Roaschia con il viale Fasano, dove è stato portato alla luce un tratto dell’acquedotto.
Per la costruzione si è fatto uso di un conglomerato di ciottoli di pietra serpentina spaccati ed impastati con cemento bianco durissimo ottenuto forse con calce pregiata proveniente dalle antiche cave di Superga, mentre il rivestimento interno appare in “opus signinum” realizzato con calce, sabbia e cocciopesto, cui sembra sia sovrapposta una spalmatura rossa e liscia, forse lo strato di mastice che serviva ad evitare le infiltrazioni di acqua. La sezione, di forma rettangolare, misura circa 20 x 35 cm, la “substructio” 35 cm ed i fianchi 30 cm. È ipotizzabile una parziale copertura dall’esistenza di frammenti laterizi lungo il percorso e dal rinvenimento di tambelloni di 44 x 34 x 7 cm recanti un incavo con la tipica impugnatura.
L’acquedotto, la cui portata media giornaliera è stata calcolata in 4.000 mq d’acqua, era servito da tre canali ausiliari che erano convogliati, presso Tetto Rio, in una piccolo vasca in calcestruzzo con funzioni di collettore e terminava in città dove, nel corso di recenti scavi presso Palazzo Bruni, è stata ritrovata una vasca di raccolta, collocata all’interno di un grande piazza pubblica porticata, probabilmente termine ultimo delle acque convogliate dall’acquedotto.
Informazioni:
Link:
http://www.archeogat.it
Bibliografia:
LUONGO M., 2003, L’acquedotto romano di Chieri, in La collina torinese, quattro passi tra storia e archeologia, Gruppo Archeologico Torinese, Torino, pp.12-13
AA.VV., 1987, Museo Archeologico di Chieri – Contributi alla conoscenza del territorio in età romana, Torino
BETTALE D., MONETTI M., TAMAGNONE P., 1973, Relazione sull’attività archeologica della Sez. GEI di Chieri, anni 1957/70, Chieri
GHIVARELLO R., 1932, L’acquedotto romano di Chieri, “Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti” XVI, pp. 156-157
GHIVARELLO R., 1962-1963, Nuovi ritrovamenti dell’acquedotto romano di Chieri, “Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti” XVI-XVII, pp.137-139
ROCCATI L., 1959, I ritrovamenti romani – Regione Maddalena – Scavi 1958-1959, in “Il Chierese”, XV, nn.30-35
ZANDA E., da “Il battistero di Chieri tra archeologia e restauro – Lo sviluppo della città in età romana”, a cura di D. Biancolini e G. Pantò, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte – I giornali di restauro n.3, 1994
G. PANTÒ (a cura di), Archeologia a Chieri : da Carreum Potentia al comune basso medievale, Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte e del museo antichità egizie, Torino 2011
Fonti:
Immagine GAT
Data compilazione scheda:
27 ottobre 2003 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Maurizio Belardini – Gruppo Archeologico Torinese
Ceres (TO) : Museo delle genti delle Valli di Lanzo
Storia del Museo:
Il museo venne costituito intorno al 1974 a seguito di una mostra del 1973, e riorganizzato strutturalmente nel 1980 con lo scopo di conservare materiale di interesse etnografico, storico, archeologico e naturalistico. I temi dell’esposizione fissa riguardano il territorio, le sue trasformazioni, l’uomo e le sue attività e si riferiscono all’intera area della Comunità Montana Valli di Lanzo.
La struttura fu inaugurata ufficialmente il 23 luglio 1982. Oggi i temi dell’esposizione permanente riguardano il territorio e le sue trasformazioni, l’uomo e le sue attività, riferendosi nello specifico all’intera area compresa nella Comunità Montana Valli di Lanzo.
Descrizione delle collezioni:
Il museo è articolato su due percorsi tematici principali. Il primo è dedicato alle attività familiari: agricoltura, allevamento, pastorizia e attività di trasformazione del latte. Il secondo si occupa delle attività sociali e dei mestieri specifici di servizio alla comunità quali la filatura di lana e canapa, con produzione di indumenti, le attività legate al forno ed al mulino, la produzione di chiodi, di zoccoli di legno, di canestri, ecc. Oltre agli oggetti vi si conservano vecchie fotografie e riproduzioni di antiche mappe.
Una sezione presenta CALCHI DELLE INCISIONI RUPESTRI DI ETÀ PROTOSTORICA DELLA ZONA.
Le incisioni rupestri sono frequenti nelle Valli di Lanzo: nel comune di Ceres, in frazione Chiampernotto c’è la Roccia del Bric del Selvatico; in località Cernesio vi sono una stele di pietra alta circa m 5 liscia e appuntita alla sommità e rocce incise con pugnali, databile all’età del Rame (III millennio a.C.); altre rocce incise in frazione Bracchiello, sulla montagna di San Giacomo, all’Airetta, a Monastero di Lanzo. A Cantoira sul Rio Combin vi è un piccolo dolmen costruito con lastroni, risalente al III millennio a.C.
Collegamenti con altri Musei:
Il Civico Museo Alpino “A.Tazzetti” di Usseglio, ha una sezione dedicata all’archeologia rupestre. Vedi scheda.
Informazioni:
Comune di Ceres tel. 0123 53316 oppure tel. 333 4825771; email: d.genta@csptorino.it. Il Museo è aperto in estate o su prenotazione.
Links:
http://www.comune.ceres.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=6766
http://www.provincia.torino.it/culturamateriale/musei/m_cer02.htm
Fonti:
Notizie dai siti sopra indicati
Data compilazione scheda:
17/07/2007 – aggiornamento novembre 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Ceres (TO) : Campanile di Santa Marcellina
Storia del sito:
Due diverse tradizioni popolari fanno derivare il toponimo Ceres l’una dalla dea Cerere e l’altra dai ciliegi che anticamente abbondavano nel territorio del comune. Altri lo considerano derivato dal nome personale Cirrus, mentre la documentazione medioevale conserva la dizione Cerex. Il paese fu fondato probabilmente da monaci Benedettini che, intorno al secolo XI, partirono da Mathi verso le semi abbandonate Valli di Lanzo. Si sa per certo che alla fine del XIV risultavano sotto la giurisdizione di Ceres le chiese di Cantoira, Pessinetto, Mezzenile, Gisola, Groscavallo, Ala e Germagnano; da questo si può dedurre che Ceres avesse una posizione di preminenza rispetto agli altri paesi. Si ritiene che anticamente il capoluogo non si trovasse nella posizione attuale in quanto, il pianoro su cui oggi sorge Ceres, era paludoso, ma forse in località Pian di Ceres. Dalle cronache del comune si apprende che nel 1318 il curato della parrocchia si poneva sotto la protezione del conte di Savoia. Le vicende storiche di Ceres furono strettamente legate a quelle di Lanzo.
Il campanile romanico, risalente al secolo XII, è l’unica testimonianza del complesso religioso chiesa-campanile-cimitero dedicato a Santa Marcellina. L’antica chiesa crollò in seguito a una frana. Sul luogo dell’antica parrocchiale, all’inizio del 1600, ne venne edificata un’altra, ora perduta. Il coro dell’antica chiesa, che fu in seguito convertito in cappella, venne abbattuto all’inizio del 1900.
La nuova Parrocchiale è una chiesa barocca edificata più in basso, in Via Cesali, tra il 1733 e il 1754 con bel portale ligneo. Attiguo è l’Oratorio di Santa Croce eretto nel 1755, nel cui interno si conservano la porta maggiore dell’antica chiesa. Tutto il territorio di Ceres è disseminato di cappelle campestri affrescate e costruite tra il XVI e il XVIII secolo.
Descrizione del sito:
Il campanile dell’antica parrocchiale di Santa Marcellina è costruito in stile gotico lombardo e viene considerato il migliore esempio di architettura romanica delle Valli di Lanzo.
Ha una base quadrata ed è alto circa m 21. Presenta nella parte più elevata due piani di bifore incorniciate da sei archetti pensili. Il campanile è stato realizzato completamente in pietra ed è concluso da una cuspide esagonale.
Informazioni:
Nella parte alta del paese, al fondo di Via Roma. Comune di Ceres, tel. 0123 53316
Link:
http://www.comune.ceres.to.it/
Fonti:
Fotografia da http://www.3bmeteo.com/community/fotogallery/vecchio+campanile/10027#webcam_main
Data compilazione scheda:
21/2/2007 – aggiornamento giugno 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Cavagnolo (TO) : Chiesa di Santa Fede
Storia del sito:
Il più antico documento che lo riguardi risale al 1281. Nel XIII secolo il prioratus sancte Fidis de Cavagnolio, situato nei territori controllati dai Marchesi di Monferrato, risulta essere soggetto all’Abbazia di Sainte-Foy de Conques (diocesi di Rodez, Francia meridionale) e gode di una buona condizione economica, derivante da numerose donazioni di terreni e fattorie della zona da parte dei marchesi e di altri nobili. Nel 1477 passa dalla giurisdizione del vescovo di Vercelli a quella del vescovo di Casale. Già nella seconda metà del Cinquecento era ormai scaduto da tempo a chiesa campestre e cappella cimiteriale in uno stato di abbandono quasi totale. Tra il 1728 e il 1797 il priorato fu incamerato dalla diocesi di Acqui, con l’utilizzo da parte di monsignor Roero di Cortanze della parte abitativa come residenza estiva. Con papa Pio VI il priorato viene restituito alla diocesi di Casale. Durante lavori di restauro vengono costruiti altri edifici che insistono sulla parte sud della chiesa, compromettendo la vista della parte absidale. Con la soppressione degli ordini religiosi a metà Ottocento il sito diventa proprietà dello stato, in seguito viene messo all’asta e, acquistato da privati, per un certo tempo viene usato come ricovero per animali e magazzino. Si deve a don Frattini, sacerdote del Cottolengo, il primo parziale restauro. Nel 1895 la Congregazione dei Padri Maristi acquista la chiesa e tutto il comprensorio, adibendolo a centro di accoglienza fino al 2010. Attualmente il complesso religioso è della parrocchia di Cavagnolo della diocesi di Casale. La Comunità Siloe ne garantisce l’apertura.
Descrizione del sito:
L’edificio è a forma di rettangolo regolare, orientato, a tre navate, con transetto non sporgente dal perimetro e torre campanaria a pianta quadrangolare impostata all’incrocio di questo con la navata centrale. E’ conservato solo l’abside centrale semicircolare. La tessitura muraria è costituita da blocchi di pietra arenaria e mattoni, ancora visibile nel prospetto nord, mentre il prospetto sud è completamente occultato dalle costruzioni addossate. L’analisi della muratura fa sospettare due fasi distinte: la prima con l’utilizzo come materiale costruttivo di pietra tagliata in blocchi regolari, la seconda con l’utilizzo del laterizio.
La facciata è a salienti. Il portale d’ingresso è sovrastato da un arco a tutto sesto a forte strombatura, impostato su semicolonne. Negli sguinci vi è una serie di colonnine con capitelli scolpiti. L’archivolto è riccamente decorato con fasce di cui quella più esterna è costituita da billettes. La seconda fascia è ad intrecci che creano dodici campi in cui sono scolpite figure zoomorfe, mostruose e geometriche con una croce al colmo dell’arco. Segue una stretta fascia ad intrecci che racchiude, assieme ad un’altra simile, una ghiera più ampia con al colmo un mascherone da cui si dipartono tralci sinuosi che racchiudono elementi fitomorfi e volatili. Altre tre ghiere sono decorate a caulicoli, a fune ritorta e a foglie. L’architrave scolpito a girali è di recupero. Nella lunetta è raffigurato un Cristo pantocratore inserito in una mandorla sorretta da angeli con ali spiegate. Sopra i capitelli delle semicolonne vi sono sculture zoomorfe e ai fianchi dell’arco due busti antropomorfi che alcuni studiosi identificarono con Adamo ed Eva. Sopra questi due grifoni. Il coronamento della facciata è ad archetti pensili in cotto. Nelle zone di facciata corrispondenti ai salienti laterali vi sono una per parte due semicolonne, con capitello scolpito e basamento modanato. Sulle lastre del paramento vi sono diverse iscrizioni, in particolare sul lato sinistro della facciata si riesce ancora a decifrare un nome “ROLANDUS PR(IOR)”.
L’interno. Le elevazioni del transetto e del tiburio della navata principale sono occultate da volte a botte. Le tre navate sono divise in sei campate da pilastri con nucleo quadrangolare su cui si innestano semicolonne con capitelli scolpiti con soggetti a tema vegetale, figure animale e teste umane. L’ambiente è reso particolarmente suggestivo dall’alternanza del bianco della pietra e del rosso del mattone e dalle cornici modanate a billettes o damier.
Informazioni:
Via Santa Fede 92. Si trova a circa 2 Km in direzione sud ovest dall’abitato di Brusasco su una propaggine collinare (195 m. s.l.m.) dai fianchi scoscesi, che si inserisce nella Valle dei Gobbi. Aperta la prima domenica di ogni mese nel periodo da aprile a ottobre, a cura di Rete Romanica di Collina, tel. 3469749680/3478959936.
Comune: www.comune.cavagnolo.to.it
Links:
http://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Santa_Fede
https://www.comune.cavagnolo.to.it/463.html
Bibliografia:
APT, pieghevole, a cura di Elena Pianea e M. Sara Inzerra Bracco
Rete Romanica di Collina, pieghevole
PITTARELLO L. (a cura di), 1984, Le chiese romaniche delle campagne astigiane, Asti, pp. 226-231
P. BARTOLOMEO BARDESSONO, Santa Fede di Cavagnolo (Torino): arte, storia, presenza marista, T.L.S., Cavagnolo 1995
Correggia Franco, Alla scoperta del Romanico astigiano, 2017
Fonti:
Fotografie GAT.
Data compilazione scheda:
12 settembre 2001 – aggiornamento maggio 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto e Valter Bonello – Gruppo Archeologico Torinese
Castagneto Po (TO) : Chiesa di San Genesio
Storia del sito:
La chiesa fu edificata, probabilmente in più riprese tra il 1019 e il 1150, dai Benedettini dell’abbazia di Fruttuaria sul sito di una precedente cappella. Secondo la tradizione nella chiesa si conservano reliquie di due santi con lo stesso nome: San Genesio, di professione scrittore, martire nel 303 sotto Diocleziano, patrono dei notai, e un altro Genesio comico e attore alla corte di Diocleziano, patrono degli attori. Molto probabilmente, anche se sono discordi i pareri circa la sua origine, il nucleo abbaziale esisteva già verso la fine del secolo X e richiamava i pellegrini che percorrevano la sottostante Via Romea.
La chiesa venne pesantemente rimaneggiata e ampliata agli inizi del 1900 dell’architetto Ceriana con la costruzione dell’attuale facciata e la rettifica dei fianchi, in stile romanico ispirato alle caratteristiche del vecchio campanile.
Dell’edificio originario più recente (XII secolo) rimangono il coro e l’abside centrale; di quello più antico, risalente al secolo XI, rimangono l’abside sinistra con la cripta sottostante ed il campanile, che è la parte più importante e significativa di tutto il complesso.
Descrizione del sito:
La facciata, opera del Ceriana, in stile romanico, con la parte centrale più alta della laterali, presenta un portale con la cornice molto strombata, sormontato da una fascia con cinque colonnine che incorniciano una bifora; al di sopra vi sono sei colonnine che reggono archetti paralleli alle due falde del tetto. Sui fianchi archetti, trifore e monofore movimentano la costruzione.
L’interno è a tre navate, di cui la centrale con tre campate alte il doppio delle laterali; la navata nord è composta da cinque campate e quella a sud di sei campate. L’interno è intonacato e presenta affreschi e arredi degli inizi del 1900.
Le ABSIDI romaniche superstiti sono quella maggiore e quella a nord dietro il campanile, costruite in pietra, semicircolari, coperte da volte a semicatino. Nella centrale vi sono tre monofore con arco a tutto sesto e stipiti a doppia strombatura; sotto l’absidiola una cripta. Il coro è a pianta rettangolare, coperto da una volta a crociera, separato dal presbiterio da un arcone a tutto sesto.
Nella navata a nord è inserito il CAMPANILE a base quadrata con paraste angolari che si innalza per sette piani marcati da cornici con archetti pensili. I primi tre piani sono senza aperture e inglobati nella chiesa, escluso il lato nord che presenta una stretta feritoia al primo piano. Una monofora è presente su ogni lato del quarto piano, analogamente una bifora con capitello a stampella al quinto e al sesto piano. Al settimo piano sui lati ovest e sud vi sono due bifore incorniciate da uno sfondato rettangolare e i tre archetti poggiano su capitelli a stampella sistemati su due colonnine; sul lato nord gli archetti sono sostituiti da un architrave; sul lato est l’apertura è rettangolare senza colonne.
FONTE DI S. GENESIO: si trova nel piazzale antistante la chiesa ed è una sorgente d’acqua termale contenente sostanze apprezzate in idroterapia, come bromo, iodio e idrogeno solforato. Citata nell’antichità, fu studiata già dal 1725 per le sue virtù curative, nel 1825 denominata “regia” perché il re stanziò una somma per il suo restauro.
Informazioni:
A mezza costa del colle nella frazione San Genesio di Castagneto Po. Parrocchia di Castagneto Po, tel. 011 912916
Links:
www.parrocchiecastagnetosanraffaele.it
http://www.comune.castagnetopo.it
I simboli e i misteri del Santuario di San Genesio – Torino Oggi
Bibliografia:
“La chiesa di San Genesio”, opuscolo edito dal Lions Club Chivasso, Chivasso, s.d.
Fonti:
Fotografie dal sito www.parcopotorinese.it. Piantina tratta nel 2006 da www.comunecastagnetopo.com, sito non attivo nel 2014.
Data compilazione scheda:
09/03/2006 – aggiornam. maggio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese
Carmagnola (TO) : Chiesa di S. Agostino e Collegiata dei SS. Pietro e Paolo
Storia e descrizione dei siti:
CHIESA DI SANT’AGOSTINO (SEC. XIV-XVII- XIX)
Fondata dagli Agostiniani nel 1337, edificata tra il 1406 ed il 1437, con abside, lato est e campanile di marcata connotazione gotica. All’interno sono evidenti le sovrapposizioni barocche. L’attuale facciata, pesantemente neoclassica, originariamente in mattoni a vista e con il portale in marmo realizzato nel 1496 da Meo del Caprino, è quella ridisegnata dai restauri nel 1835. Il convento venne rifatto nel XVIII secolo. Abbandonato dagli Agostiniani nel 1858, il complesso venne acquistato dal Comune.
Della fabbrica originale si sono conservati l’abside pentagonale e il campanile a monofore, alto 45 m, diviso in sei piani e concluso da una cuspide ottagonale alta 13 m, rivestita da mattoni a unghia di cavallo e ornata alla base da quattro pinnacoli.
Anche l’interno venne alterato dai rimaneggiamenti del XVII e XIX secolo quando fu aggiunta una quarta navata sulla destra e allestite una serie di cappelle; però é ancora leggibile la struttura gotica a tre navate su colonne a fascio. L’abside reca affreschi quattrocenteschi tardo gotici (s. Agostino, s. Beticuda, s. Sebastiano), nascosti dal coro ligneo del 1457 rimaneggiato nel XVI e XVII secolo; sul secondo altare a sinistra l’affresco della Crocifissione è del XV secolo.
CHIESA COLLEGIATA DEI SS. PIETRO E PAOLO (Sec. XV-XIX)
Chiesa costruita dall’architetto Giorgino Costanza di Costigliole tra il 1492 e il 1514; il campanile fu alzato nel 1694. La facciata, un tempo in mattoni a vista, è stata riplasmata nel 1894. Restaurata nel 1955-58. L’interno a tre navate ha coro, pulpito e altari del XVI–XVII secolo ed è attualmente parrocchia.
Informazioni:
La Chiesa di Sant’Agostino è in piazza Sant’Agostino ed è attualmente chiusa.
La Collegiata dei Santi Pietro e Paolo è in Via Verdi. Parrocchia tel. 0119725749
Links:
http://www.comune.carmagnola.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2560
http://www.comune.carmagnola.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=21609
Fonti:
Fotografie dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
06/03/2007 – aggiornamento maggio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Carmagnola (TO) : Castello ed edifici medievali
Storia e descrizione dei siti:
CASA CAVASSA è situata in Via Valobra angolo Via Benso.
Palazzo nobiliare del XV sec., fu fatto costruire da Enrico Cavassa, la cui famiglia si innalzò alle prime cariche politiche del marchesato di Saluzzo. Ricco il suo apparato decorativo, sia a livello architettonico che ornamentale. Resti di affreschi sulla facciata. Il cortile presenta un bel loggiato e al primo piano soffitti lignei a cassettoni (XVI–XVII sec.). Resti di affreschi cinquecenteschi si trovano nella fascia più alta della facciata, con decorazione a grisaglia e sul fianco il cosiddetto Corteo degli elefanti, recentemente restaurato, con cavalieri ed elefanti, probabilmente con significati simbolici, eseguito per la venuta a Carmagnola del duca di Nevers nel 1567.
CASA DELLE MERIDIANE (CASA PIANO), in P.zza Sant’Agostino
Palazzotto signorile edificato nel 1499 e dal 1551 appartenuto alla famiglia Cavassa. La facciata presenta uno straordinario complesso di affreschi realizzati negli anni 1555-1557, concepito in funzione dei quadranti solari che vi sono inseriti.
CASA BORIOLI, in P.zza S. Agostino n.1 ang. Via Valobra
Fu edificata nel XV secolo, ma sottoposta negli anni a diversi interventi edilizi che ne hanno compromesso l’aspetto originario. Memorie gotiche sono le due grandi cornici di finestre ad arco acuto, realizzate con formelle in cotto di raffinatissima fattura ad arco acuto, l’una sulla facciata verso piazza S. Agostino, l’altra su via Valobra, entrambe all’altezza del primo piano. Al piano terra, la Casa Borioli è aperta da un portico a quattro campate con volta a botte e gli archi dei portici, a sesto acuto, che poggiano su robusti pilastri. Meno rilevante, in termini storico-artistici, la porzione di isolato rimanente, anch’esso tuttavia aperto, al piano terreno, da due arcate di portici.
CASTELLO in piazza Manzoni
Il nome di Carmagnola viene citato per la prima volta nel 1034 in un documento col quale Rodolfo, abate della potente abbazia benedettina di Nonantola, nel Modenese, si accordò con i conti di Pombia, famiglia arduinica del Novarese, per uno scambio di beni e di terre, fra cui anche il territorio di Carmagnola. I marchesi di Romagnano e i discendenti di Bonifacio del Vasto – poi Marchesi di Saluzzo – si contesero la signoria di Carmagnola e delle sue terre, con alterne vicende sino all’inizio del XIII secolo quando Manfredo II si assicurò l’intero potere politico e giurisdizionale. Manfredo II, consapevole dell’importanza strategica del sito di Carmagnola, come avamposto del marchesato verso la pianura padana, nel 1203, diede inizio alla costruzione del castello con un primo sistema di difesa esterno con fossati e palizzate. Nel 1226 il castello fu collegato alla cerchia di mura di forma quadrangolare che racchiudeva l’odierno centro storico ed era dotata di tre porte sui tre lati, essendo il quarto occupato dal castello.
Dall’inizio del XIII secolo e sino alla metà del Cinquecento (fatto salvo il periodo fra il 1375 e il 1410 di dominazione francese) Carmagnola, pur vivendo nel clima culturale e internazionale della raffinata corte del Marchesato di Saluzzo, fu soprattutto una roccaforte militare e perciò venne coinvolta nelle guerre e scontri armati con gli Acaja, i Savoia, i marchesi del Monferrato, i Visconti di Milano, gli Spagnoli e i Francesi che, intorno alla metà del ‘500 distrussero parte del castello.
Nel 1588 fu conquistata dalle truppe di Carlo Emanuele I e Carmagnola entrò nell’orbita del Ducato di Savoia seguendone le vicende. Era stata costruita una seconda cerchia di mura, a poca distanza da quella medievale, con bastioni e fossato, ma fu poi completamente smantellata nel 1692.
Il castello nel 1682 aveva una pianta quadrangolare con quattro corpi di fabbrica a due piani fuori terra disposti intorno ad un cortile interno, circondato da una cortina muraria, con quattro bastioni angolari e fossato.
Buona parte delle fortificazioni del castello fu messa all’asta e venduta nel 1701 ai Padri Filippini che costruirono la chiesa di San Filippo con parte dei materiali ricavati dalle strutture; trasformarono la parte residua del castello in convento: abbatterono un lato delle fortificazioni, aprirono grandi finestre al piano terra e porte-finestre con balconi al primo piano e trasformarono la torre di guardia in campanile. Nel 1863 l’intero complesso fu acquistato dal Comune che, in seguito ad altre trasformazioni, adibì il Castello a Palazzo Comunale.
L’edificio conserva ancora dell’originario impianto medievale il paramento murario visibile soprattutto sul lato verso i giardini pubblici: sono visibili cornici in cotto, fascia marcapiano a dentelli e la merlatura in parte tamponata. Un porticato con grandi archi a sesto acuto si affaccia sul cortile interno. La quattrocentesca torre di guardia a base quadrata, termina con una piccola cella campanaria di epoca successiva. All’interno della torre, visitabile in particolari occasioni, una piccola cella un tempo adibita a prigione. Una bassa torre circolare, coperta da un tetto, sorge verso l’asilo Ronco, di poco staccata dal castello; probabilmente aveva funzioni difensive complementari.
Informazioni:
Link:
http://www.comune.carmagnola.to.it
Fonti:
Le notizie sono state tratte dal sito del Comune e dagli opuscoli editi dall’Assessorato alla Cultura di Carmagnola e dal Centro Studi Carmagnolesi. Fotografia in alto del Castello da: https://www.comune.carmagnola.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-carmagnola-sec-xiii-2558-1-86e26205ae7446b69aaada5937fb1769.
Fotografie in basso di Casa Cavassa da: https://www.comune.carmagnola.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/casa-cavassa-sec-xv-2569-1-286c1c2d9aca402382f07450322eb9ce?immagini
Data compilazione scheda:
06/03/2007 – aggiornamento maggio 2014 e marzo 2024
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Carmagnola (TO) : antica Abbazia di S. Maria di Casanova
Storia del sito:
La chiesa abbaziale di S. Maria a Casanova appartiene al gruppo delle prime chiese cistercensi costruite in Piemonte nel secolo XII. Fu fondata, insieme con il suo monastero, nel 1150 e trasformata nelle attuali forme a partire dal 1680. Le vicende dell’Abbazia di Casanova hanno inizio verso la metà del XII secolo, allorché i primi marchesi di Saluzzo donarono queste terre ai monaci cistercensi. Essi vi si stabilirono e presero a dissodare e bonificare il luogo, in origine ricoperto di paludi e fitti boschi. A questa prima donazione ne seguirono molte altre, unitamente ad esenzioni e privilegi da parte di Papi e Imperatori, che in breve tempo aumentarono grandemente le proprietà del monastero e insieme ne accrebbero il prestigio e il potere. Il sistema adottato dai monaci di Casanova per amministrare tale imponente patrimonio di terre era quello, tipicamente cistercense, delle “grange”, centri autonomi di direzione e organizzazione del lavoro contadino e di raccolta della produzione locale: grandi cascine generalmente disposte su forma quadrilatera, secondo il modello stesso dell’Abbazia, con un ampio cortile centrale.
Già dal XV secolo Casanova era diventato un importante punto di riferimento per la vita religiosa e politica di una vasta zona all’intorno e i suoi possedimenti costituivano all’epoca una delle più cospicue prebende prelatizie di tutto il Piemonte. Nel 1567 Emanuele Filiberto volle mettere freno all’invadenza della proprietà del clero, abolendo di fatto l’inalienabilità del patrimonio ecclesiastico; col risultato che una buona parte delle ricchezze dell’Abbazia prese ad essere stornata in favore dell’abate commendatario di turno. Questo il motivo di continue dispute che cominciarono a sorgere tra casa Savoia ed il Papa, specie ogniqualvolta la carica di Abate restava vacante. E questo spiega anche la schiera di personaggi illustri che, proprio a partire da quegli anni, vollero legare il proprio nome all’Abbazia, dal cardinale Marco Sittico di Altemps, vescovo di Costanza (e abate di Casanova dal 1569 al 1581), al cardinale Maurizio di Savoia, figlio secondogenito di Carlo Emanuele I (e abate dal 1618 al 1642). Il più illustre di tutti resta comunque il principe Eugenio di Savoia, maresciallo d’Austria e celebrato eroe della battaglia di Torino del 1706, che divenne abate di Casanova dal 1688, e tale restò fino al 1730.
Superati indenne, grazie anche a queste protezioni importanti, anni spesso difficili per il resto del Piemonte, i guai per l’Abbazia cominciarono nel 1642, quando fu soggetta ad un primo saccheggio da parte dei soldati calvinisti, che portò alla distruzione di tutti i libri ecclesiastici. Poi vennero un nuovo saccheggio da parte dei Francesi, nel 1693, ed infine la soppressione decretata il 3 aprile del 1792 da Papa Pio VI. La chiesa divenne parrocchia e i 14 monaci che ancora ospitava furono secolarizzati.
Le TRASFORMAZIONI BAROCCHE.
Intorno al 1680, l’abate Innocenzo Migliavacca prese a trasformare completamente l’INTERNO DELLA CHIESA, sovrapponendo alle severe linee gotiche originarie una lussuosa veste barocca. Tutti i pilastri furono rivestiti in muratura; i capitelli in cotto, che in origine erano di forma cubica e molto semplici, furono trasformati in sontuosi capitelli corinzi, così come appaiono oggi. Anche sui fregi delle trabeazioni, sopra i capitelli, furono posti stucchi a grossi fogliami e testine di putti. Furono eseguiti tali lavori dagli stuccatori luganesi Antonio e Francesco Maria Scala di Cadapiano. Nell’arco di quindici anni, tra il 1681 e il 1695, la chiesa abbaziale di Casanova si arricchì delle grandi tele del pittore veneto Federico Cervelli; nell’abside la grandiosa pala dell’Assunta dipinta nel 1685. La volta e le pareti laterali furono affrescate da Bartolomeo Guidobono (1654-1709) e, nel 1792, quando la chiesa venne eretta in parrocchia, vennero collocate le 14 stazioni della Via Crucis donate da Casa Savoia e dipinte da Vittorio Amedeo Rapous, Giovenale Bongiovanni e Giovanni Giovenale.
Il coro ligneo, ispirato a motivi tardo-manieristici di gusto pedemontano, è opera di Giacomo Braeri, maestro intagliatore che lo realizzò nel 1685. Ai lati estremi del transetto vi sono due tribune: quella di sinistra ospita l’organo ottocentesco costruito da Carlo Vittino. Sulla destra si trova la sacrestia grande, di pianta rettangolare e con stucchi al soffitto. Vi sono conservati gli arredi sacri e due pregevoli statue lignee della Vergine. Nel transetto vi sono quattro delle grandi tele del Cervelli, poste al disopra delle cappelle e dell’imbocco delle navate laterali.
Anche le quattro cappelle che si aprono ai lati dell’Altare Maggiore vennero decorate: gli stucchi di cui sono interamente rivestite quelle più esterne, dedicate a San Bernardo e San Benedetto, fanno da cornice a scene ispirate alla vita dei due santi. Gli affreschi sono attribuiti alla cerchia di Bartolomeo Guidobono e databili attorno al 1685. Di mano del Guidobono sono le decorazioni delle due cappelle intermedie, quelle attigue alla zona absidale, dedicate rispettivamente alla Vergine del Rosario quella di sinistra e a San Giuseppe quella di destra. Non presentano stucchi, ma notevoli prospettive architettoniche dipinte.
Tutti gli affreschi e gli stucchi vennero restaurati nel 1992.
Il MONASTERO, lasciato dai monaci nel 1792, passò ai Savoia e fu completamente demolito anche perché devastato da un incendio e fu edificato quello attuale, più vasto, su progetto di Giovanni Tomaso Prunotto, allievo dello Juvarra. Nel 1999 venne acquistato dall’Associazione Cenacolo Eucaristico della Trasfigurazione che lo ristrutturò e lo adibì a “centro di spiritualità”.
Il CAMPANILE. Quello attualmente visibile a lato della chiesa fu fatto costruire nel 1825, su progetto di D. Berruto, in sostituzione di uno precedente che risaliva ai tempi dell’Abate Migliavacca, il quale nel 1690 aveva a sua volta fatto demolire la torre-lanterna originaria.
Descrizione del sito:
L’ARCHITETTURA della chiesa abbaziale, nonostante il pesante rimaneggiamento subito in epoca barocca, denota chiaramente la struttura originale nello stile gotico primitivo, o cosiddetto di transizione, con le forme romaniche che prevalgono all’esterno e quelle gotiche all’interno.
La forma planimetrica è del tipo cistercense, con lo schema basilicale a tre navate a croce latina, orientata quasi perfettamente con l’abside verso est. La navata centrale, larga quasi il doppio di quelle laterali, è composta da quattro campate di pianta quasi quadrata, mentre quelle laterali contano ciascuna otto campate. Ogni campata è coperta da un’unica volta gotica a crociera poggiante su pilastri polistili collegati longitudinalmente da archi acuti. Lungo i due lati orientali del transetto si aprono due cappelle per ogni lato, con pianta rettangolare. Sia le quattro cappelle che il coro sono coperti da volte a botte a sezione acuta. Complessivamente, la chiesa è lunga circa 52 metri e larga 17, cioè un terzo della lunghezza.
L’altezza fino alla volta è di 11 metri ed è uguale per tutte le campate, salvo per quella dell’incrocio tra navata centrale e transetto, che risulta più alta di circa un metro. In origine tale campata fungeva da sostegno per la piccola torre-lanterna soprastante (la cui base è tuttora visibile nel sottotetto).
La FACCIATA originaria, di cui resta una labile traccia in una tavola del Theatrum Sabaudiae (disegno del 1666), è stata rifatta completamente tra il 1680 e il 1712 a causa di un crollo della volta della campata corrispondente, dovuto alla precedente demolizione di due contrafforti. La facciata attuale, in stile barocco sobrio ed elegante, è probabilmente opera di Francesco Gallo.
La CRIPTA dell’abbazia di Casanova, probabilmente risalente alla primavera del 1688 e sigillata da più di duecento anni, è stata ritrovata, dopo diversi infruttuosi tentativi, il 10 ottobre 1995. Della sua esistenza si ipotizzava per analogia con altre abbazie e per un paio di fugaci accenni nei documenti.
La cripta è costituita da un ampio vano con volta a botte ribassata, con una parete sul fondo e la volta interamente dipinte opera del giovane Domenico Guidobono e in un ottimo stato di conservazione. Sulla parete di fronte all’apertura di accesso è raffigurato, con stile che si rifà al Correggio, il Cristo deposto ai piedi della Croce e compianto dalla Vergine e da Maria Maddalena. La scena è racchiusa in una ricca cornice dipinta e presenta ai lati allegorie della morte in forma di scheletri; il tutto sormontato da cartigli con scritte in latino. La volta presenta il simbolismo della risurrezione attraverso le due figure di angeli che suonano le trombe; in mezzo, affacciati a una specie di finestrella, i quattro venti in forma di testine alate, che soffiano sui defunti per farli ritornare alla vita.
Informazioni:
In frazione Casanova, a 8 Km da Carmagnola, ora è la Parrocchia intitolata all’ Assunzione di Maria Vergine, tel. 011 9795082 . Monastero, tel. 011 9795290
Links:
http://www.parrocchie.it/carmagnola/casanova/home.htm
Fonti:
Le notizie, la piantina e la fotografia in basso sono state tratte dal sito sopra indicato. Foto in alto da Wikipedia.
Data compilazione scheda:
14/04/2006 – aggiornamento maggio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Carignano (TO) : Torre civica e resti medievali
Storia del sito:
Carignano (Carnianum) secondo la tradizione venne fondata all’incirca nell’anno 281 d.C., da un figlio dell’imperatore romano Caro. Vi sono stati, all’inizio del XX secolo, ritrovamenti delle necropoli di età classica e longobarda e dei resti della strada romana Pollenzo-Torino.
Alla fine del X secolo fu feudo dei Vescovi di Torino e nel 1243 passò a Tommaso di Savoia e divenne feudo dei principi di Acaja. Purtroppo l’antico Castello, presente nel XII secolo, che ospitò re di Francia e vari conti e duchi di Casa Savoia (vi nacque Carlo I e a lungo fu dimora di Bianca di Monferrato), fu abbattuto nel 1821 perché pericolante.
Accanto al Castello nel XIV secolo sorgeva il Borgo fortificato.
Con l’abbattimento delle mura, ordinato dai Francesi a partire dal 1555, Carignano cessò di essere un borgo chiuso, consentendo l’espansione delle abitazioni nella zona delle braide e degli airali, aree rurali poste a ridosso delle fortificazioni. Dopo la riconquista degli Stati Sabaudi da parte del Duca Emanuele Filiberto, l’importanza strategica della città non venne meno, essendo posta sul confine che delimitava il territorio dei Savoia e quello sotto controllo francese. Nel 1621 Carlo Emanuele I Duca di Savoia, concesse Carignano in appannaggio al figlio Tommaso Francesco, capostipite dei principi di Savoia-Carignano, che saliranno poi al trono di Sardegna con Carlo Alberto (1831).
Il processo di rinnovamento dello spazio urbano continuò nel XVII e XVIII secolo e portò a realizzare notevoli opere barocche, come la cattedrale, di Benedetto Alfieri.
Descrizione del sito:
La Torre, oggi detta TORRE CIVICA, fu fatta erigere dai marchesi di Romagnano nel 1229.
È un massiccio edificio, costruito in laterizio, di forma quadrata.
Il BORGO MEDIEVALE è ben documentato da un tessuto urbano in massima parte ben conservato, sviluppatosi lungo due direttrici viarie interne e attorno all’antica Piazza del Mercato, oggi Piazza S. Giovanni. L’isolato di S. Giovanni è il nucleo principale dell’antico abitato: di questa età lontana conserva alcune finestre gotiche, le belle terrecotte della Casa Portoneri (che appartenne a una nobile famiglia cittadina) e il Palazzo Depinto, che la tradizione vuole sede del Senato Sabaudo nel 1563-64 ed è ancora oggi ornato da affreschi monocromi.
In via Borgovecchio e via Vittorio Veneto si possono ammirare alcune case porticate con decorazioni in terracotta, risalenti al XIII-XVI secolo, e la interessante Casa attribuita a Renato di Savoia (XV-XVI sec.); in quello che resta del quartiere dei Romagnano, si conservano i resti delle fortificazioni erette nel ‘500 su progetto dell’architetto militare Ascanio Vittozzi.
In via Fricchieri, l’antica Ruata dei Provana, vi sono alcune belle case porticate (con resti di gocciolatoi, stenditoi, pregevoli terrecotte, affreschi). In via Savoia, oltre a case porticate e a una Casaforte, si può ammirare un balcone tardogotico in legno.
Scarica allegato: Fortificazioni di Carignano
Informazioni:
Torre civica o del Po Morto, situata in Via Cara de Canonica. Ufficio Cultura Comune di Carignano 011.9698442
Link:
http://www.comune.carignano.to.it
Fonti:
Notizie in parte tratte dal sito del Comune. Foto archivio GAT.
Data compilazione scheda:
14/11/2006 – aggiornam. maggio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Livio Lambarelli – Gruppo Archeologico Torinese
- ← Previous
- 1
- …
- 6
- 7
- 8
- Next →