Torinese e valli di Lanzo
La Cassa (TO): Municipio, affreschi duecenteschi staccati dalla demolita chiesa di S. Lorenzo
Storia del sito:
Edificata nel corso del secolo XI, apparteneva, insieme al borgo, all’Abbazia di San Michele della Chiusa. La chiesa di San Lorenzo, nata come parrocchiale, si trovò ben presto decentrata rispetto all’abitato e fu utilizzata come cappella cimiteriale.
Parzialmente crollata negli anni Trenta del XX secolo, fu demolita nel 1982 e durante i lavori furono scoperti, sulla parete superstite che costituiva il lato interno sinistro della chiesa, degli affreschi duecenteschi, che furono recuperati, restaurati e collocati nella sala consiliare del Municipio.
Descrizione del sito:
Il dipinto, molto deteriorato anche per essere rimasto a lungo esposto alle intemperie, ha tre registri sovrapposti: in basso un velario bianco; al centro una teoria di santi e sante inginocchiati e rivolti verso l’abside (tra essi s. Francesco e s. Domenico), immagine sopra; in alto un “Incontro dei tre vivi e dei tre morti” purtroppo frammentario. Questa iconografia rappresentava tre giovani cavalieri che, nel corso di una caccia, incontravano tre cadaveri quasi scheletriti, che li ammonivano ricordando la vanità di onori, potere e ricchezze. Nell’affresco di La Cassa le figure dei tre cavalieri sono scomparse, sopravvive l’immagine di un cagnolino bianco che corre tra le zampe dei cavalli che si fermano davanti a un edificio da cui si sporge l’eremita che addita il sarcofago da cui si levano i tre morti; del santo si vedono il volto ed una mano. Dei tre morti sono visibili solo il primo e parte del secondo, che tiene in mano il cartiglio su cui non è rimasta alcuna traccia del testo.
Informazioni:
Municipio, Piazza XXV Aprile, 6. Tel. 0119842918
Link:
Bibliografia:
Favro V., Gli affreschi superstiti della chiesa di San Lorenzo martire al cimitero di La Cassa, in G. Chiarle (a c. di), Boschi & castelli. Itinerari medievali nelle terre dei Visconti di Baratonia, Nichelino TO, Gruppo Archeologico Torinese-Ecomuseo Valceronda, 2007, pp. 89-91 e tavv. XIV-XV
Allegato FAVRO-LaCassa.pdf
Romano G. (a cura di), Pittura e miniatura del Trecento in Piemonte, Torino, Banca CRT Cassa di Risparmio di Torino, 1997, p. 53, no. 38 e p. 143, no. 8
Ramello L., Vie di pellegrinaggio e iconografia macabra: circolazione di idee e (corto)circuiti culturali in Piemonte, in “Memento mori” (a cura di Piccat M. e Ramello L.) Edizioni dell’Orso, Alessandria 2014, pp. 589-612
Fonti:
Immagini tratte dal testo edito dal GAT, sopra citato.
Data compilazione scheda:
3 settembre 2024
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese


Chieri – frazione Pessione (TO) : Castello di Fortemaggiore
Storia e descrizione del sito:
La concentrazione di castra in quest’area del Chierese meridionale (Fortemaggiore, Castelguelfo, Fontaneto, Mosi, Ponticelli e il castello di Mosetti, vedi schede relative) era indirizzata al controllo capillare e presidio di una zona agricola ricca di corsi d’acqua nella piana degradante verso il rio Banna. Tale processo prese avvio nel XII secolo e conobbe a cavallo di Duecento e Trecento una significativa accelerazione.
Il castrum Formagerii è già menzionato negli Statuti Civili di Chieri del 1313 ed è ancora menzionato con la stessa denominazione nel 1495.
Oltre al castrum vero e proprio caratterizzato dalla presenza di una torre rotonda, manufatto poco diffuso localmente, sopravvivono i muri perimetrali est e nord che racchiudevano una vasta corte centrale. Le cortine presentano un accurato apparecchio murario “testa-croce” con giunti di malta rigati e fascia decorativa a intonaco che mette in evidenza le mensole scalari. Non è possibile chiarire se e in che modo le cortine si collegassero all’edificio con torre. Sono ancora riconoscibili l’innesto di una cortina muraria che chiudeva il complesso a sud e tracce di una porta.
Informazioni:
Cascina di proprietà privata. Sito nella località di Fortemaggiore, poco discosto da Pessione a circa quattro chilometri da Chieri. (Chieri – Frazione Pessione -TO)
Fonti:
Fotografie 1, 2 e 3 GAT.
Bibliografia:
G. VANETTI, Chieri ed il suo territorio, Edizioni Corriere, 1995.
– Atlante castellano. Strutture fortificate della provincia di Torino, a cura di M. VIGLINO DAVICO, A. BRUNO JR., E. LUSSO, G. G. MASSARA, F. NOVELLI, Torino 2007, p. 95
A. A. SETTIA, L’incastellamento nel territorio chierese fra XI e XV secolo secondo le fonti scritte (cenni), in «Quaderni della sezione Piemonte Valle d’Aosta Istituto Italiano dei Castelli», I (1976), pp. 9-19.
Data compilazione scheda: settembre 2022
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza: Mauro Marnetto – GAT
Chieri – frazione Pessione (TO) : Castelguelfo
Storia e descrizione del sito:
La concentrazione di castra in quest’area del Chierese meridionale (Castelguelfo, Fortemaggiore, Fontaneto, Mosi, Ponticelli e il castello di Mosetti, vedi schede relative) era indirizzata al controllo capillare e presidio di una zona agricola ricca di corsi d’acqua.
Il castello fu dei Romagnano, degli Acaia e dei Provana e venne trasformato nel corso del XVIII secolo in residenza signorile dai Gautieri. Per l’impianto e l’apparato decorativo, l’edificio è stato datato alla metà del XIV secolo, anche se la prima traccia scritta compare in un documento del 1425.
La costruzione si presenta oggi come un massiccio parallelepipedo in laterizio, d’impianto regolare circondato da fossato. Le cortine murarie merlate sono difese da bertesche angolari decorate con fasce multiple di pseudo archetti in laterizio; l’ingresso è presidiato da una slanciata torre quadrata, che presenta una struttura muraria laterizia decorata, sotto il coronamento, da una fascia a mensole scalari. Tipologia comune a molte torri piemontesi.
Le trasformazioni del complesso ad uso residenziale, avvenute in epoca barocca, e soprattutto tra XIX e XX secolo con gusto neo gotico, hanno comportato l’inserimento di tre ordini di finestre in rottura di muro e altre modifiche nella divisione dei vani interni e nell’apparato murario, ma la struttura resta tuttora uno degli esempi più notevoli d’impianto fortificato regolare in territorio chierese.
Informazioni: Cascina di proprietà privata. Sito nella località omonima, poco discosto da Pessione a circa quattro chilometri da Chieri. (Via Castelguelfo – Chieri – Frazione Pessione -TO)
Fonti:
Fotografie 1, 2 e 3 GAT.
Bibliografia:
G. VANETTI, Chieri ed il suo territorio, Edizioni Corriere, 1995.
– Atlante castellano. Strutture fortificate della provincia di Torino, a cura di M. VIGLINO DAVICO, A. BRUNO JR., E. LUSSO, G. G. MASSARA, F. NOVELLI, Torino 2007, p. 96
A. A. SETTIA, L’incastellamento nel territorio chierese fra XI e XV secolo secondo le fonti scritte (cenni), in «Quaderni della sezione Piemonte Valle d’Aosta Istituto Italiano dei Castelli», I (1976), pp. 9-19.
Data compilazione scheda: settembre 2022
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza: Mauro Marnetto – GAT
Trofarello (TO) : Castel Rivera
Storia e descrizione del sito:
Il Castello di Rivera non nasce come episodio fortificato isolato, ma all’interno di un preciso programma di fortificazione del territorio adottato dal Comune di Chieri tra XI e XIV secolo per il controllo della produzione agricola. La prima menzione del “castrum seu domun Riperiae” risale al 1352. Recenti studi hanno dimostrato come, molto probabilmente in castel Rivera sia da vedersi il castello di Celle, che nel 1228 i signori di Revigliasco, nell’atto di dedizione a Chieri, si riservavano di “castellare”. Decisiva a questo proposito appare la dichiarazione di Giovanni Vagnone dei signori di Trofarello, che nel 1482 affermava “quod dictum castrum Riperiae fuit et erat castrum Cellarum”.Si può così fissare il breve arco di tempo in cui venne edificato il castello definito dalle due principali date di costruzione: quella relativa alla torre centrale (post 1228) e quella relativa alla corte (ante 1352).
Posizionato all’estremo meridionale del territorio di Trofarello in contesto agricolo pianeggiante e ricco di corsi d’acqua, la pianta del castello si sviluppa attorno a una corte quadrata con cortine di lunghezza regolare e intersecate nei loro vertici da tre, un tempo quattro, torri angolari a sezione circolare e un tozzo torrione cilindrico, che costituiva il nucleo originario dell’insediamento, a metà del fronte orientale a fianco dell’ingresso. Si trattava di una fabbrica eccezionalmente moderna che già registrava la traslazione sulla cortina della torre maestra.
Particolarmente interessante sono gli apparati decorativi realizzati con motivi di mattoni ferrioli distribuiti sulle apparecchiature murarie di torri e cortine, con rilevante concentrazione sulla torre nord-est. Caratterizzata dall’uso di mattoni stracotti disposti di testa a comporre nella tessitura muraria motivi geometrici, (losanghe, triangoli rovesciati e chevron) . Come nel caso del castello dei Mosetti, anche qui il coronamento al di sotto dell’antico passo di ronda è decorato da un fregio a mensole scalari con una fascia a denti di sega. La scelta di nobilitare, nel suo assetto tardomedievale, il baluardo militare con tali apparati denota una matura consapevolezza che esula dai soli scopi difensivi: la dominazione chierese esigeva una manifesta rappresentazione del proprio prestigio.
La seconda fase costruttiva dopo il 1352, vide la costruzione di tre maniche residenziali addossate alle cortine perimetrali sud, ovest e nord da parte del consortile chierese dei Simeone dei Balbo. Completavano l’insieme un fossato con controscarpa.
Le condizioni in cui versa attualmente il complesso sono assai precarie.
Informazioni:
Cascina di proprietà privata. Sorge a sud dell’abitato di Trofarello, su un territorio prevalentemente agricolo ai limiti dell’area industriale di Trofarello (Str. Rivera del Bocchetto, 9).
Fonti:
Fotografie 1, 2 e 3 GAT.
Bibliografia:
PIOLATTO E., Castel Rivera: il regesto di un’antica fabbrica. Proposte metodologiche per il restauro, Tesi di Laurea. Politecnico di Torino, Facoltà di Architettura, a.a. 1996-97
– Atlante castellano. Strutture fortificate della provincia di Torino, a cura di M. VIGLINO DAVICO, A. BRUNO JR., E. LUSSO, G. G. MASSARA, F. NOVELLI, Torino 2007, p. 105.
SETTIA A.A., L’incastellamento nel territorio chierese tra XI e XV secolo secondo le fonti scritte (cenni), in: Quaderni della Sezione Piemonte – Valle d’Aosta dell’Istituto Italiano dei Castelli”, I (1976).
Data compilazione scheda: settembre 2022
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza: Mauro Marnetto – GAT
Chieri (TO) : Cascina fortificata di Fontaneto
Storia e descrizione del sito:
Fontaneto con Mosi, Ponticelli e il castello di Mosetti, sorge sulla cosiddetta ‘via Alta’, che collega Chieri a Santena: la concentrazione di castra in quest’area del Chierese meridionale era indirizzata al controllo capillare di un territorio ricco di corsi d’acqua. Come gli altri nominati si tratta di edifici realizzati o riplasmati nel corso del XIV secolo, quando la base economica chierese era basata sulla coltivazione cerealicola e , dunque, dovevano fungere da castelli-deposito, forse di pertinenza comunale. Di certo sappiamo che se nel 1313 esisteva solo il toponimo Fontanetum, nel 1366 esisteva già qualche struttura, tanto che agli uomini locali al pari di quelli di altre località vicine, era ordinato dal vicario chierese di custodire il luogo giorno e notte.
Subì nel 1397 danneggiamenti anche gravi da parte delle truppe del condottiero di ventura Facino Cane. Nel 1495 è citata l’esistenza di un complesso piuttosto vasto, all’epoca posseduto da membri dell’hospicium dei Gribaudenghi. Nella seconda metà del XVI secolo è ripetutamente citato il castellum de Fontanè, parte del quale venduta nel 1591 da Gabriele Tana ai consignori di Santena. Nel 1748 i Savoia crearono la “contea di Fontaneto”, comprendente anche i Mosi, i Mosetti, Castelguelfo e Ponticelli per infeudarla dietro adeguato compenso a Giuseppe Levrotti e suoi successori.
Oggi si presenta come un massiccio corpo di fabbrica a due piani fuori terra separati da una cornice marcapiano in laterizi disposti a triangoli rovesciati sovrastati da una fascia “a denti di sega” sempre in mattoni con pochissime aperture (per di più moderne) al livello inferiore. Il fronte della casaforte si affaccia su una corte attorno alla quale si raccolgono le cascine, decorate con una semplice fascia marcapiano, che riprende quella dell’edificio principale. Se tale fascia delimitava la linea del tetto, è probabile che la sopraelevazione di tutti i fabbricati sia opera settecentesca dei Levrotti. Al centro della corte era presente un pozzo con tettuccio in coppi, ora non più esistente. Il complesso ha subito pesanti inserimenti di strutture moderne per l’adattamento alle esigenze del lavoro agricolo.
Informazioni: Cascina di proprietà privata. Seguendo la SS 29 Torino-Alba, immediatamente dopo l’ingresso dell’A21 TO-Piacenza deviare a sinistra in direzione di Chieri (Strada Vecchia di Chieri) fino alla località Fontaneto.
Fonti:
Le fotografie 1, 2 e 3 sono GAT.
Bibliografia:
G. VANETTI, Chieri ed il suo territorio, Edizioni Corriere, 1995.
Atlante castellano. Strutture fortificate della provincia di Torino, a cura di M. VIGLINO DAVICO, A. BRUNO JR., E. LUSSO, G. G. MASSARA, F. NOVELLI, Torino 2007, p. 102
Data compilazione scheda: settembre 2022
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza: Mauro Marnetto – GAT
Santena (TO) : Torre di Ponticelli
Storia e descrizione del sito:
Ponticelli, con Mosi, Fontaneto e il castello di Mosetti, sorge sulla cosiddetta ‘via Alta’, che collega Chieri a Santena: la concentrazione di castra in quest’area del Chierese meridionale era indirizzata al controllo capillare di un territorio ricco di corsi d’acqua. Il castrum de Ponticelli è menzionato per la prima volta nel 1260 quando entra a far parte della giurisdizione chierese. La torre, per i suoi caratteri architettonici è però successiva, forse realizzata non prima dell’inizio del XV secolo, dai Benso che, con altri consignori di Santena, già dal 1338 esercitavano giurisdizione sul luogo. La tradizione infatti indica tale castello come dimora estiva del ramo cadetto degli stessi marchesi Benso, divenuti in seguito conti di Cavour. In esso fecero testamento Manfrino Benso nel 1351 e Manfredo nel 1362. L’antica chiesa di Ponticelli viene anche nominata in una bolla di papa Alessandro III del 1176.
Si tratta di una torre a pianta circolare, oggi inglobata in una cascina, che spicca per l’elevato sviluppo verticale. Costituisce la sola parte rimasta di un complesso di maggiori dimensioni e si presenta integra ad eccezione della merlatura che doveva essere presente al di sopra della fascia di fregio laterizio che oggi la conclude. Tracce sul paramento indicano l’aggancio con muraglie non più esistenti. La balconata lignea che collega la torre alla cascina può suggerire interventi di restauro ottocenteschi. La torre ha svolto anche per un certo periodo il ruolo di campanile, documentato dalla presenza di una campana nella grande apertura presente nella parte superiore.
Informazioni:
Cascina di proprietà privata.
Seguendo la SS 29 Torino-Alba, immediatamente dopo l’ingresso dell’A21 TO-Piacenza deviare a sinistra in direzione di Chieri (Strada Vecchia di Chieri) dopo circa 100 metri svoltare a sinistra in via Longoria.
Bibliografia:
G. VANETTI, Chieri ed il suo territorio, 1989
Atlante castellano. Strutture fortificate della provincia di Torino, a cura di M. VIGLINO DAVICO, A. BRUNO JR., E. LUSSO, G. G. MASSARA, F. NOVELLI, Torino 2007, p. 99
Fonti:
Fotografie: Foto 1, 2 e 3 GAT.
Data compilazione scheda: settembre 2022
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza: Mauro Marnetto – GAT
Pancalieri (TO) : Cappella cimiteriale di Santa Maria della Pieve
Storia e descrizione del sito:
La Pieve fu citata per la prima volta nel diploma imperiale di Federico I del 26 gennaio 1159, nel quale si confermava al Vescovo di Torino la concessione delle donazioni fatte alla chiesa dai suoi predecessori. Dunque è stato ipotizzato che la piccola chiesa, in posizione soprelevata e strategica rispetto alle vie di comunicazione, potesse essere presente già nel IV-V secolo. L’antica Pieve di Pancalieri era situata con tutta probabilità nel luogo dell’attuale cimitero, perché il ponte che vi conduce si chiama ancora adesso “Punt d’la Piè” (Ponte della Pieve) e la Commenda che sorse in seguito era detta “Commenda della Plebe”.
Anticamente presso le Pievi sorgeva il cimitero, e probabilmente la Pieve di Pancalieri era già dedicata alla Madonna perché nella carta di donazione del 1157 del marchese Giacomo Romagnano e di sua moglie Agnese alla Chiesa di S. Giacomo dell’ospedale di Cortevecchia è nominata «una pezza di terra in cui si trova un cimitero dedicato a S. Maria con una casa situata in un luogo detto Rivoira che è in Pancalieri.» (Gabotto, Carte inedite e sparse del Pinerolese, S. S. S.)
Non si hanno successive notizie della Pieve di Santa Maria fino al 1364 quando compare fra le chiese della diocesi di Torino che pagavano il cattedratico al vescovo. Nella seconda metà Trecento la chiesa fu declassata a semplice ecclesia ed esclusa dalle dipendenze dirette del clero secolare legandola alla Commenda Gerosolimitana di Pancalieri, cui diede il nome.
“Commenda” era il termine usato dagli ordini cavallereschi per definire il capoluogo di una circoscrizione entro cui potevano essere incluse una o più case ed edifici, nel caso di Pancalieri, probabilmente anche una struttura ospedaliero-assistenziale.
La cappella rimase sotto il priorato generale dell’Ordine Gerosolimitano fino al 1956, poi passò al patrimonio del Comune di Pancalieri.
I lavori di restauro, conclusi nel 2019, hanno permesso di riportare alla luce un’ampia porzione dell’abside romanica all’esterno, celata da un muro di collegamento tra la cappella e l’adiacente fabbricato ad uso servizi, che nascondeva anche una monofora murata e la tipica decorazione ad archetti in laterizio
Così sono state restituite alla cappella le originarie cromie contrastando nello stesso tempo il processo di degrado che rischiava di portare alla perdita irreparabile degli elementi decorativi.
Durante il secondo lotto di interventi, dopo che fu rimosso un recente altare in muratura e l’intonaco dell’abside che era stata ridipinta con una velatura di un acceso color azzurro, è stato recuperato l’originario apparato murario in laterizio romanico, sono state riaperte le due splendide monofore simmetriche rispetto all’altare e restaurata la porzione riaffiorata di affresco della metà del XIV secolo, raffigurante una Madonna in trono con Bambino. Dell’affresco si è conservata solo la porzione inferiore, ma il ritrovamento è importantissimo poiché, per affinità stilistica, tecnica pittorica e materiali, potrebbe essere attribuito a Dux Aymo/Aimone Duce.
A questo pittore pavese, documentato tra il 1417 e il 1444, è anche attribuito, sulla parete sud, un piccolo ma preziosissimo frammento di affresco quattrocentesco raffigurante la “Messa di san Gregorio”. Si tratta di un’iconografia abbastanza rara in Piemonte, che rappresenta la miracolosa apparizione di Gesù Cristo a san Gregorio Magno mentre celebra la Messa.
Relativamente alle altre partiture architettoniche si è deciso, in accordo con la Soprintendenza, di recuperare la fase decorativa interna risalente al 1925. Si è così attuato un mutamento completo dell’aspetto estetico della chiesa, con la ridipintura totale di pareti e volta, ad esclusione dell’affresco della Messa di san Gregorio Magno e della porzione absidale.
Le pareti sono decorate con finti drappi trattenuti al centro delle campate da sorte di grandi bottoni o borchie, mentre l’elegante decorazione fitomorfa in volta concilia la vocazione terrena di Pancalieri dedita alla produzione di erbe officinali con la funzione di Cappella cimiteriale. Le essenze rappresentate hanno valenze simboliche religiose: la passiflora nel catino absidale, rimanda agli eventi della Passione Pasquale, al centro dei tondi in volta i soffioni del tarassaco simboleggiano la fugacità della vita umana, i fiori affascinanti, ma ingannevoli dello stramonio, perché velenosi, rappresentano l’erba del diavolo o delle streghe.
Informazioni:
A destra dell’ingresso del Cimitero, Via Circonvallazione.
Aperta per le festività dei Defunti e Ognissanti. Info Comune, tel. 011 9734102
https://artbonus.gov.it/1548-cappella-cimiteriale-santa-maria-della-pieve.html
http://www.comune.pancalieri.to.it/Home/Guida-al-paese?IDDettaglio=28090
Fonti:
Fotografie e notizie dai siti sopra elencati
Data compilazione scheda: 29-4-2022
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Casalborgone (TO): Chiese di San Siro e di Santa Maria di Trebea
Storia del sito:
CHIESA DI SAN SIRO Il colle ove, in epoca imprecisata, sorse la chiesa della parrocchia S. Siro era un’area strategica di transito; presumibilmente qui si incontravano i confini dei municipi romani di Industria e di Chieri, e si intersecavano i confini delle diocesi di Ivrea, di Torino e di Asti. Il colle era già collegato in epoca romana da un percorso stradale con Industria, Vercelli e Casale da un lato e dall’altro con Chieri e Torino e una diramazione da Cinzano e Moncucco immetteva nella via Fulvia, come confermano rinvenimenti di tratti di strada lastricata non lontano dalla chiesa. Il documento più antico ad oggi noto, che cita la chiesa di San Siro, è il testamento dell’anno 1320 di Isabella de Maloxellis, moglie di Enrico di Cocconato, figlio di Alemanno, signore di Casalborgone. Ella, chiedendo di essere sepolta accanto al marito già tumulato a Vezzolano, dispose un lascito ad alcune chiese fra cui quelle di Casalborgone: S.Maria Trebea e San Siro. Per secoli furono i vescovi, e poi gli arcivescovi, di Torino ad assegnare la tutela della parrocchia di San Siro, su proposta dei signori del luogo, che ne rivendicavano il patronato. Alterne fortune segnarono l’esistenza della chiesa, ove i sacerdoti non erano propensi ad accettare l’incarico, lasciando la parrocchia spesso vacante, per l’estrema povertà del beneficio che non ne consentiva il mantenimento. Nel 1630, morti di peste i membri della famiglia Cocconato, e molti parrocchiani, le sorti della chiesa, rimasta abbandonata, e dei suoi parroci furono temporaneamente risollevate dal nuovo signore del luogo, conte Pietro Luigi Broglia.
L’antica parrocchia di San Siro fu sottoposta alla diocesi di Torino sino al 1673, quando, nel tentativo di sanare le controversie fra i parroci, fu ceduta alla diocesi di Ivrea, dalla quale dipendeva l’altra parrocchia di Casalborgone intitolata a S. Maria Trebea che diverrà l’unica parrocchia di Casalborgone nel 1737.
Dopo la soppressione della parrocchia di San Siro nel 1737, la chiesa campestre, ove il tetto e un muro perimetrale erano crollati e mancava il pavimento, corse il rischio di venir demolita; così, nel 1771, un gruppo di famiglie l’acquistò per ricostruirla, prendersene cura e poter continuare a seppellirvi i defunti. Nel secolo scorso, venuti a mancare gli antichi protettori, la chiesa cadde nuovamente nell’abbandono.
Nel 2011 è stata restaurata, rifatto il tetto crollato nel 1985, e riaperta al culto grazie all’interessamento dell’Associazione Trebea, con il contributo della CRT, della popolazione e con l’assiduo lavoro di numerosi volontari di Casalborgone.
Descrizione del sito:
L’attuale chiesa di San Siro, a navata unica, è frutto della ricostruzione settecentesca di una precedente chiesa a tre navate descritta in una visita pastorale dell’anno 1669, a sua volta rifacimento della chiesa romanica.
Al fondo della chiesa resta l’abside semicircolare, unico residuo romanico, ma anch’essa è la probabile ricostruzione poco dopo l’anno Mille di una cappella precedente. Come scrisse Angelo Marzi, è composta da ciottoli, da scampoli di pietra alla rinfusa, derivanti dallo spietramento dei campi e da frammenti di mattoni e tegole di spoglio provenienti da qualche edificio o tomba romana che erano posti nei pressi. L’abside, per i suoi caratteri costruttivi, deve essere attribuita al secolo XI. È fra le più antiche murature romaniche fino ad oggi descritte nel Chierese e nell’Astigiano.
Al centro della navata, i recenti lavori di restauro hanno messo in luce un antico muro perimetrale della fossa murata, che è ora visibile al di sotto di una lastra di vetro.
Nella relazione della visita pastorale del 1584 viene detto che, sopra l’altar maggiore, vi era la volta affrescata; oggi restano solo tracce della sinopia dove si vede debolmente la mitra sul capo di san Siro.
Nel 1977, con l’intervento della Soprintendenza, l’affresco absidale è stato staccato e trasferito su un apposito supporto in fondo alla navata sinistra della chiesa parrocchiale S. Carlo. Sul catino, i simboli degli Evangelisti ed il Cristo in maestà, al centro la Vergine con il Bambino, attorniata dai santi Siro, Giovanni Battista e Bernardo. Sul lato sinistro del cilindro absidale, una pittura più antica raffigura san Bartolomeo e san Bernardo da Mentone (o d’Aosta, XI secolo), individuabile dalla scritta parzialmente leggibile, “S BERN […]” e dal demonio che, secondo la tradizione, tiene legato alla catena. Sulla parete destra, molto rovinata, sono visibili mura merlate di una città
Storia e descrizione del sito:
CHIESA DI SANTA MARIA DI TREBEA
L’antica chiesa cimiteriale di Casalborgone dedicata alla Vergine Maria, che fu parrocchia dai tempi più remoti e sino all’assegnazione del titolo parrocchiale alla chiesa di S. Carlo Borromeo nell’anno 1986, ha il toponimo – Trebea – tramandato nei soli documenti ecclesiastici secoli dopo che la località era scomparsa; era l’antica Trebledum, citata in un diploma dell’imperatore Ottone III alla fine del X secolo, e che sorgeva nelle vicinanze della chiesa. Ritrovamenti di epoca romana fanno supporre che già nel I secolo d.C. vi fosse un piccolo centro abitato sulle rive del Leona alla confluenza di strade che conducevano ad Industria. La chiesa stessa lo rivela nelle sue fondamenta ove furono utilizzati mattoni di epoca romana, probabile spoglio di preesistenti edifici.
L’abside conserva alcune caratteristiche romaniche, labili tracce della costruzione originaria. Nella seconda metà del ‘600 l’edificio venne prolungato di sedici passi ed allargato di altrettanti, prendendo l’aspetto che conserva tuttora.
Luogo di custodia dei materiali:
Gli affreschi staccati dalla chiesa di San Siro sono conservati nella chiesa parrocchiale di San Carlo, piazza Carlo Bruna, 5
Informazioni:
Chiesa di San Siro, Strada Mongallo, isolata su un poggio a sud ovest dell’abitato. Per accedere alla chiesa, ritirare le chiavi presso la casa canonica adiacente alla parrocchiale di San Carlo, piazza Carlo Bruna 5 a Casalborgone, dove è anche possibile ammirare gli affreschi staccati dalla chiesa di S. Siro, tel. Parrocchia 011 9174308
Chiesa di Santa Maria di Trebea, nel cimitero.
Links:
https://trebea.wordpress.com/home/
http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/risorse/territorio/dwd/urbanistica/schede_comunali/1060.pdf
Bibliografia:
MAISTRELLO MORGAGNI M.G, San Siro di Casalborgone. Storia di un’antica parrocchia e della sua chiesa, Unitre di Chivasso, Quaderni, Dicembre 2008
Depliant Chiesa San Siro, Casalborgone.pdf
Scheda comune Casalborgone
Fonti:
Notizie e fotografie tratte dai siti e documenti sopra indicati.
Data compilazione scheda:
14 ottobre 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Nichelino (TO): Castelvecchio di Stupinigi
Storia e descrizione del sito
Il castello detto “Castelvecchio” si trova in località Stupinigi, a lato della Palazzina di caccia juvarriana. E’ un grande edificio di fondazione basso medievale, pesantemente rimaneggiato nel Settecento a pianta vagamente quadrata, con al centro un ampio cortile, affiancato da una tettoia per il ricovero di attrezzi agricoli e animali, costruito in mattoni rossi e sormontato da tre torri dello stesso materiale. La muratura è decorata a rilievo con mensole scalari in laterizio.
Il primo nucleo del castello è già documentato nel 1288. Passò in diverse mani: la famiglia Sili, i cistercensi dell’Abbazia di Staffarda. Nel 1396 il castello e il territorio di pertinenza vennero venduti a Pietro de Caburreto. In seguito la proprietà fu acquisita dalla principessa Bona di Savoia e alla sua morte nel 1431, con gli altri beni degli Acaia, tornò al primo duca Amedeo VIII. Poi per più di un secolo resterà in feudo ai marchesi Pallavicino, subendo diverse modifiche e rifacimenti e assumendo le fattezze di fortezza quattrocentesca. Nel 1556 vi si insediò il governatore francese del Piemonte Carlo di Cossè, signore di Brissac. Dopo la vittoria di San Quintino il castello tornò brevemente ai Savoia, finché Emanuele Filiberto nel 1573 lo cedette all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro da lui appena fondato. Nel Settecento con la costruzione della Palazzina di Caccia il paesaggio di Stupinigi cambiò radicalmente: alcune case e la chiesa del borgo furono abbattute e il castello, decisamente ridimensionato, assunse il suffisso di “vecchio”. Di fatto per tutto l’Ottocento divenne un popolato condominio che ospitava decine di affittuari, personale, militari e guardiacaccia di servizio a Stupinigi. Mantenne però gli elementi del castello quattrocentesco: le torri quadrate, i cortili interni, gli spettacolari soffitti a botte e le tracce dell’impianto medievale.
Dal 2005 è in stato di completo abbandono.
Informazioni
L’immobile fa parte dei beni inalienabili della Fondazione Ordine Mauriziano, è sito nella frazione Stupinigi di Nichelino.
Links:
http://www.parchireali.gov.it/parco.stupinigi/punti-interesse-dettaglio.php?id_pun=1466
https://www.nichelino.com/news/index.php/come-eravamo/22-c-era-una-volta/2531-castelvecchio-degrado-irreversibile
Bibliografia:
Atlante castellano, Viglino Davico M., Bruno A., Lusso E., Massara G., Novelli F. a cura di, Torino, 2007.
“TORINOstoria“, Anno 4 n. 37 marzo 2019: Castelvecchio, Patrito P., a cura di.
Fonti:
Notizie e fotografie dai testi e dai siti web sopra indicati.
Data compilazione scheda:
1 ottobre 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G.A.Torinese
Rivalta (TO) : Cappella dei SS. Vittore e Corona
Storia del sito:
La cappella dei SS. Vittore e Corona è menzionata per la prima volta nel 1047, quando l’imperatore Enrico III la donò ai canonici di San Solutore di Torino. Nel corso del XII secolo, periodo al quale risale probabilmente l’attuale edificio, appartenne a San Giusto di Susa. Dal XIII secolo fece parte dei possedimenti del Monastero di Rivalta, al quale fu sottoposta sino alla sua soppressione, alla fine del XVIII secolo.
Pesanti rimaneggiamenti hanno alterato l’impianto medievale dell’edificio: intorno al 1681 furono aggiunti il portico di ingresso, le due cappelle laterali simmetriche, il campanile e un imponente altare barocco, che limita l’accesso all’abside. Nel 1833 fu destinata a lazzaretto in seguito ad una epidemia di colera e le pareti interne ricoperte da uno spesso intonaco di color rosa. A tali interventi si deve la perdita di una parte dei preziosi affreschi quattrocenteschi che decoravano la navata, riportati alla luce da un restauro nel 1998. I restauri degli affreschi dell’abside erano già stati eseguiti nel 1996-1997.
Descrizione del sito:
Rivelano l’originaria struttura romanica, a navata unica, la decorazione ad archetti pensili in facciata e l’abside semicircolare, spartita da lesene. Sulla parete esterna, sotto il portico, un affresco del 1709 con san Vittore a cavallo.
La decorazione dell’abside,che risale al XV secolo, segue il modello romanico con la rappresentazione, nel catino, di Dio Padre con la barba bianca, con la mano destra nel gesto della benedizione, racchiuso da una “mandorla” e dei simboli degli Evangelisti. Ai lati, nella parte inferiore, le figure di san Vittore con la spada, a sinistra, e di santa Corona con la palma del martirio, a destra.
Nel cilindro absidale, come di consueto, vi sono le figure degli Apostoli, contornate da una fascia decorativa a tessere alternate bianche e nere sullo sfondo bordeaux, della quale si trovano esempi analoghi in opere di Jaquerio e della sua scuola a Sant’Antonio di Ranverso, a Fénis, nel presbiterio di Pianezza e nel chiostro dell’Abbazia di Abondance (Donato G. in: Canavesio, 2000, pag.79-80). Gli Apostoli sono solo nove, i tre mancanti non furono mai dipinti.
L’inserimento del grande altare barocco distrusse l’affresco della “Messa di San Gregorio” di cui rimane solo un frammento.
Gli affreschi nella navata narrano le vicende e il martirio dei santi Vittore e Corona, culto nel Medioevo assai diffuso nel Monferrato e attestato a Rivalta anche dagli Statuti del 1247. Il ciclo è disposto sulla parete sud, su due registri, divisi in riquadri di diversa larghezza che si inseriscono, per la loro forza drammatica in un contesto pittorico di scuola jaqueriana. Notevole la crudezza della raffigurazione di alcune scene, come quella di alcune delle molte torture cui è sottoposto Vittore e dello smembramento di Corona. Per l’iconografia rimandiamo ai testi di Coden e di Gallo.
Sono raffigurati, sulla parete nord, mutili per l’apertura di una cappella, san Sebastiano, di cui si è conservato solo il bel volto, san Martino a cavallo, san Bernardino, san Grato e san Giovanni Battista.
Entrando nell’abside, a destra, sul piedritto dell’arco trionfale si trova una “Madonna del latte” di iconografia rara perché sta spruzzando il latte in bocca al Bambino che si agita e pare rifiutarlo, secondo Albrile, per probabile influsso gnostico; sullo sfondo è dipinta una struttura architettonica, con due alte bifore gotiche. Anche queste figure sono state attribuite da Augusta Lange ad un abile maestro ispirato ai modelli jaqueriani.
Nello sguancio sinistro della finestrella che si apre tra la figura di san Paolo e il gruppo di apostoli di destra, si trova una natura morta di carattere liturgico: due piccole ampolle per l’Eucarestia, un rotolo di pergamena, un aspersorio, il libro dei Vangeli ed una scatoletta per le ostie. Dietro le ampolle ci sono delle piccole candele e un cero votivo, riposto diagonalmente e dipinto ancora fumante con tutte le gocce della colatura della cera. Lungo l’asta del cero si vedono delle monete conficcate, poste in sequenza verticale. Osservandole con un forte ingrandimento risulta riconoscibile anche il loro conio […] Queste monete sono del tempo di Ludovico di Savoia (1434-1465)(Malafronte). Lo stesso motivo, leggermente variato, si ritrova nella cappella del castello di Fénis in Valle d’Aosta, che conserva opere di scuola jaqueriana (Gallo, 2003, pp. 68-69).
Sull’altare barocco è custodita in una nicchia, dietro la piccola pala, la statua del san Vittore che ogni anno viene portata in solenne processione alla chiesa parrocchiale.
Informazioni:
La chiesa dei Santi Vittore e Corona sorge fuori dal centro storico, a nord-est, su un’altura raggiungibile dalla strada che collega Rivalta e Rivoli.
Per le visite contattare l’Associazione Partita di San Vittore, tel. 011 9091186.
Links:
https://www.comune.rivalta.to.it/vivere-comune/luoghi/cappella-dei-santi-vittore-corona
http://www.jaquerio.afom.it/rivalta-di-torino-to-chiesa-ss-vittore-e-corona/
https://www.facebook.com/watch/?v=527292971508185
Bibliografia:
ALBRILE E., Maternità incestuose e Madri visionarie. Due rappresentazioni anomale di religiosità femminile, in: «Mediaeval Sophia». Studi e ricerche sui saperi medievali, E-Review semestrale dell’Officina di Studi Medievali n° 15-16, gennaio-dicembre 2014, pp. 1-21
CANAVESIO W. et alii (a cura di), Jaquerio e le arti del suo tempo, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Torino 2000
CODEN F. (a cura di), Il santuario dei Ss. Vittore e Corona a Feltre. Studi agiografici, storici e storico-artistici in memoria di mons. Vincenzo Savio, Belluno, Diocesi di Belluno-Feltre, Santuario dei Santi Vittore e Corona, 2004. (Gli affreschi di Rivalta sono trattati nelle pp. 229-49)
GALLO L., La chiesa dei Santi Vittore e Corona, in: Tesori del Piemonte – Rivalta di Torino. Guida-ritratto della città, Editris, Torino 2002, p. 89 ss.
GALLO L., Gli affreschi quattrocenteschi della Chiesa dei Santi Vittore e Corona di Rivalta di Torino, in «Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti» N.S. 54-55, 2003-2004, p. 69
GALLO L., I Santi Vittore e Corona. Un’antica tradizione cultuale a Rivalta di Torino, in : R. Comba-L. Patria (cur.), L’Abbazia di Rivalta di Torino nella storia monastica europea, Torino 2007, pp. 571-596.
LANGE A., Gli affreschi di San Vittore a Rivalta Torinese [S.l. : s.n., 1983?!. – 7 p. (Estr. da: Bollettino della Società piemontese di belle arti, n.s., 35-37, 1981-1983
MALAFRONTE P., Gli affreschi di San Vittore a Rivalta di Torino, Tesi di laurea rel. G. Romano, Università degli studi di Torino – Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2007-2008, pp. 83-84-85
PEDRANI G., La cappella dei santi Vittore e Corona. Rivalta di Torino, Alzani, Pinerolo TO 2012
CODEN-Agiografia-iconografiaSVittore.PDF
Crosta articolo-Taurasia_2020.PDF
Fonti:
Notizie e foto dai siti sopra citati.
Data compilazione scheda:
4 luglio 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese