Torinese e valli di Lanzo

Mombello di Torino (TO): chiesa di San Lorenzo

Storia e descrizione del sito:
La chiesa di San Lorenzo rappresenta l’unica testimonianza materiale dell’antico insediamento di Ognanum, ancora esistente nel secolo XII ma probabilmente quasi del tutto scomparso nel ‘400.
La parte certamente originale della prima edificazione è l’abside, la cui muratura è composta da blocchi di arenaria e da mattoni, ascrivibile per confronto al secolo XII.
Il basamento dell’abside è stato oggetto di rifacimento e rinforzo, così come anche sarebbero da riferire ad un successivo intervento le ultime due campate, verso la facciata settentrionale, dove si ritrova una tessitura assai particolare, che non trova corrispondenze stilistiche con altre chiese romaniche del territorio.
All’interno, in corrispondenza dell’abside, vi è un lacerto di muratura con un accenno di curvatura, forse superstite della struttura originaria. Sulla superficie si è conservato un affresco, datato 1661, che rappresenta la Vergine e sant’Antonio Abate: è stato recentemente scoperto che proprio nel corso del Seicento il luogo era abitato da alcuni eremiti, probabilmente devoti al Santo.
La struttura interna è stata pesantemente modificata e potrebbe ricondursi al XVIII secolo. I rifacimenti hanno riguardato la creazione di una volta a botte e di un semicatino sull’abside, oltre alla formazione di alcune paraste segnate in sommità da una cornice.
Proprio lo sviluppo della volta absidale ed il venire a mancare la necessità funzionale dei contrafforti laterali tra il presbiterio e l’aula, potrebbero aver dato origine all’anomala conformazione della copertura, tamponata tra il tetto e la muratura romanica dell’abside, che ricorda la prua di una nave.
Dei contrafforti laterali ne rimane una parte sul lato nord, mentre risulta assente sul lato meridionale, dove è ritrovabile un intervento di raccordo e rabbercio tra la facciata e l’abside.
Nel corso degli anni Ottanta è stata consolidata la volta ed è stato ripassato il tetto, ripristinando come manto di copertura i coppi. Un consistente intervento di riqualificazione, che ha sostanzialmente rinnovato la chiesa, è stato infine operato negli anni 2014/2015, con la sistemazione della copertura, il restauro delle facciate esterne, il ripristino degli intonaci e delle tinteggiature interne, la revisione dei serramenti e la pulizia del pavimento in cotto.

Informazioni:
La cappella romanica sorge nei pressi del confine tra Mombello di Torino e Barbaso, frazione di Moncucco T.se. Info Comune tel. 0119925117 ; email: segreteria@comune.mombelloditorino.to; Parrocchia tel. 011 9925113

Links:
http://www.studiomaccagno.it/

Fonti:
Testo e foto in alto e in basso, affresco, tratti dal sito dello Studio Maccagno che ha eseguito gli ultimi restauri.
Ultima fotografia in basso di M. Actis Grosso 2018 dal sito
www.chieseromaniche.it.

Data compilazione scheda:
6 maggio 2019 – aggiorn. maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

 

 

 

 

 

 

Arignano (TO): La Rocca

Storia del sito:
Il primo documento certo che cita l’esistenza di una rocca ad Arignano è un diploma dell’imperatore Enrico III del 1047 nel quale si dichiara che Arignano è affidata ai Canonici torinesi del Convento di San Salvatore, in quel periodo molto potenti. In questo diploma si cita espressamente il castrum Alegnani ed una cappella dedicata a San Remigio. In questo periodo la rocca è molto probabilmente una torre quadrata addossata ad un piccolo palazzo e difesa da un muro di cinta.
Nel 1158 è assediata e quasi del tutto distrutta dall’esercito dell’imperatore Federico I di Hohenstaufen. In un diploma imperiale del 1159 firmato dallo stesso imperatore viene citata la curtem de aliniano e sappiamo che Anselmo e Oddone di Arignano cedono al vescovo di Torino tutto ciò che possiedono in questo luogo.
Nel 1231 il comune di Chieri dona la somma di quaranta libbre ai Bosio, signori di Arignano, per la costruzione di una torre per la quale hanno un anno di tempo per portare a termine i lavori. I Bosio, famiglia chierese signora di Arignano tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIV secolo, ne approfittano per realizzare parallelamente una generale ristrutturazione della rocca stessa. Nel 1341 c’è un atto di infeudazione nei confronti di Milone Gribaudo o Gribaldo. Non sappiamo quando i Gribaldo subentrano ai Bosio, ma Arignano e la rocca rimangono una proprietà di questa famiglia chierese per una sessantina d’anni.
Nel XIV secolo i Visconti di Milano, appoggiati dai marchesi di Saluzzo e dai marchesi di Monferrato, cercano di ampliare il proprio potere e dominio nella pianura del Po, scontrandosi con i Savoia-Acaja fiancheggiati dagli Angiò. Ed è in questo contesto che, nel 1396, la rocca subisce l’assedio del soldato di ventura Facino Cane che conquista Vernone, Vergnano e Tondonico mentre il marchese di Monferrato si impadronisce di Andezeno, Arignano, Marentino, Mombello e Moriondo.
La rocca è seriamente danneggiata tanto che è necessaria un’ampia e profonda ristrutturazione. Nel 1397 la famiglia Gribaldo inizia la realizzazione della ristrutturazione e ricostruzione del castello ma i lavori si interrompono quasi subito e non se ne conosce la ragione.
Il 2 aprile 1400 Giacomo Milone e Giovanni Milone vendono la rocca, per 1100 fiorini d’oro, a Giovanni Broglia dei Gribaldengis. La rocca rimane una proprietà dei Broglia per pochi anni perché nel 1407 è acquistata da Ludovico Costa degli Albussani. Dal momento che la rocca è non solo in pessimo stato manutentivo ma i gusti architettonici stanno cambiando, i Costa decidono di costruire un secondo castello, quello delle “Quattro Torri”, (vedi scheda) e non si preoccupano di risistemare la rocca tanto che in molti documenti dei secoli successivi è chiamato castello vecchio o castellasso. Vedi ultima foto in basso per l’insieme delle due costruzioni.

Descrizione del sito:
La rocca si erge in cima ad una collina e con la sua notevole mole domina la zona circostante. Gli interventi di ampliamento e ristrutturazione della fine del Trecento sono parzialmente leggibili ancora oggi. Il progetto, piuttosto ambizioso e costoso, prevede la costruzione di una cortina di difesa su tutti e quattro i lati con un terrapieno e un fossato pieno d’acquea; l’ampliamento del palazzo signorile di forma rettangolare; la risistemazione del massito posto nell’angolo di sud est; la realizzazione di tre torri quadrate sugli angoli di nord est, nord ovest e sud ovest.
A est del dongione si notato ancora i collegamenti murari fra l’antica struttura della rocca e le nuove strutture del palazzo, utili e necessari a legare l’opera già compiuta con quella ancora da compiere. È in questo punto dell’ampliamento centrale con la costruzione dell’ambiente a sud che è chiara l’ipotesi della ristrutturazione della rocca ipotizzata, ristrutturazione che però non venne terminata. Non si conosce la vera ragione per cui la e sua edificazione si interrompe, molto probabilmente per gli alti costi o probabilmente per la volontà del nuovo signore di Arignano di costruire un nuovo castello, quello delle quattro torri.
Per questo motivo non è possibile sapere come era stato ideato il collegamento del palazzo con il dongione e non è possibile capire quale sia la funzione del vano nel muro.
L’entrata alla rocca oggi come nel XV secolo, si trova nella manica di levante dove vengono realizzati due ponti levatoi. All’interno del palazzo si accede dalla manica di ponente, attraverso una scala, in parte all’esterno e in parte all’interno del basamento, che conduce all’interno del piano semi-interrato. La pianta del palazzo è rettangolare ed in tutti i tre piani è suddivisa in tre ambienti divisi da due muri di spina che hanno l’orientamento da est a ovest.
Interessante è, nel lato di levante del piano semi-interrato, la presenza di una piccola scala coperta da volta a botte rampante che conduce ad una apertura recentemente allargata ma anticamente molto angusta aperta a metà del terrapieno di levante. A metà della scala è stata realizzata una seconda scala anch’essa coperta da volta a botte rampante, che conduce non all’esterno ma ai piedi del lato del basamento orientato a mezzanotte sul quale, nella prima metà del XIX secolo, è stato addossato il lato sud delle scuderie neogotiche.
Una scala ad elica, che all’esterno ha la forma di una torretta rotonda, mette in comunicazione tra loro i tra piani del palazzo e il palazzo con la torre di sud-ovest, l’unica torre ancora oggi esistente.
Nel 2017 la rocca è stata venduta e i nuovi proprietari stanno portando avanti una serie e profonda ristrutturazione della stessa per riportarla al suo splendore originario.

Informazioni:
 via Gino Lisa, 6. (La via è senso unico a salire, da piazza Vittorio Veneto fino all’incrocio con via Garibaldi; la rocca si trova di fronte alla chiesa parrocchiale di Arignano.) Di proprietà privata, non visitabile.

Bibliografia:
Cavallari Murat,  A., Antologia monumentale di Chieri, 1968, Torino
De Bernardi, A., La rocca di Arignano, Politecnico di Torino, Facoltà di Architettura. Edizioni dell’Istituto di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti, 15 ottobre 1968
Fornaca, S., I Castelli della provincia di Torino, Edizioni Gribaudo, 2005
Viglino Davico, M., Bruno, A., Lusso, E., Massara, GG, Novelli, F., (a cura di), Atlante Castellano. Strutture fortificate della provincia di Torino, edizioni Celid, 2007

Fonti:
Fotografie e testi di Vittoria Zucca

Data compilazione scheda:
5 /03/2019

Nome del rilevatore:
Vittoria Zucca

 

 

Arignano (TO): Castello delle quattro torri

Storia del sito:
Questo castello è stato edificato a nord della rocca, in una posizione defilata e quasi invisibile a chi non ne conosce l’esistenza.  Vedi ultima foto in basso dei due edifici.
Non si conosce la data precisa della sua costruzione né si conosce l’architetto, ma sicuramente è opera di maestri locali. Costruito tra il 1407, anno in cui Arignano diventa feudo di Ludovico Costa degli Albussani, ed il 1430 ha una forma quadrangolare anche se inizialmente realizzato solo su tre lati: sud, ovest e nord. La manica di levante è costruita tra la fine del XVI e i primissimi anni del XVII secolo. Il castello diventa quadrato, con un cortile interno e quattro torri rotonde poste ai quattro angoli.

Descrizione del sito:
Quando, a inizio del XV secolo, il castello è costruito la manica ovest risulta essere la facciata principale perché l’ingresso alle quattro torri avviene attraverso la leja, un viale alberato che dall’attuale strada provinciale per Castelnuovo don Bosco, all’altezza dell’ingresso della rotonda, porta al cancello del “casino” l’ingresso principale alle quattro torri. Qui, verso la metà del XX secolo viene installato il primo telefono arignanese con il quale i dipendenti avvertivano i conti Costa dell’arrivo degli ospiti. Un vialetto interno, tuttora esistente, conduce al portone d’ingresso del castello posto nella manica sud e che è attualmente l’ingresso principale.
La manica est si differenzia dagli altri tre lati innanzitutto perché ha una larghezza inferiore rispetto agli altri tre lati ma anche per la presenza di un cordolo torico e da una serie di fori usati un tempo per la posa delle impalcature in legno necessarie alla costruzione di questo lato del castello.
La manica nord, assai deteriorata, è priva di interesse architettonico. Al piano terreno ci sono piccoli ambienti di servizio, mentre al primo piano vi è un grande salone probabilmente adibito ad uso della servitù. Un secondo portone, più piccolo rispetto a quello sud, apre sulla campagna. Numerosi interventi di adattamento nei secoli scorsi non ci permettono oggi una lettura dell’originaria struttura di questa manica. Gli unici decori presenti sono quelli di una grande finestra a croce vicino alla torre di nord-ovest e sopra il portone d’ingresso alle cantine. Il cortile interno è la parte centrale del castello. Sia il portico a piano terra che la loggia del primo piano sono coperti da volte a crociera non intonacate. Sotto la sporgenza del tetto, le maniche a sud e a ovest sono caratterizzate da una decorazione in cotto mentre quelle a nord e a est hanno una decorazione intonacata e squadrata. Nell’angolo di nord-ovest del cortile una scala piuttosto ampia permette l’accesso alle stanze del primo piano e al loggiato.Per tradizione in questo cortile annualmente, il giorno di Ognissanti e dopo aver celebrato una messa nella Cappella della Madonna della Visitazione a Tetti Chiaffredo, conosciuta in paese come La Capela, veniva consumato un pranzo cui intervenivano i dipendenti ed i mezzadri a servizio della famiglia Costa, cui la contessa serviva personalmente a tutti un piatto di minestra con pasta e fagioli. Tutto il castello è cantinato e i quattro lati sono tutto comunicanti fra loro. L’ingresso alle cantine avviene da due scale all’interno del cortile, una a est e l’altra a ovest, e da un portone situato nella manica di mezzanotte accanto alla torre di nord-ovest da cui era possibile accedere all’interno delle cantine con carri e trattori. Da un inventario legale del 1576 risulta che il castello è ancora abitato dai Costa ed in particolare da Caterina Roero vedova di Bongiovanni Costa conte di Arignano e dai loro figli. Dal consegnamento del 1615 sappiamo che il castello non è più dimora stabile della famiglia e in una sua parte sono state ricavate il fienile, le stalle e le scuderie. A partire dal XVII secolo, quindi, il castello non ha più un uso residenziale ed è trasformato in cascinale ed abitazione dei dipendenti dei Costa perché la famiglia risiede ormai abitualmente a Torino. Nello stesso periodo i conti Costa iniziano la costruzione di una villa barocca sullo stile delle “vigne” molto in uso presso la nobiltà sabauda di Torino.
Gli attuali proprietari hanno provveduto, tra il 1980 ed il 1995, ad una profonda ristrutturazione del castello con la supervisione della Sovrintendenza delle Belle Arti di Torino.

Informazioni:
Via Garibaldi, 4. Proprietà privata, non visitabile.

Bibliografia:
Cavallari Murat, A., Antologia monumentale di Chieri, 1968, Torino
De Bernardi, A., Il castello di Arignano, Politecnico di Torino, Facoltà di Architettura. Edizioni dell’Istituto di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti, 15 ottobre 1968
Fornaca, S., I Castello della provincia di Torino, Edizioni Gribaudo, 2005
Montanaro, M., Il castello delle quattro torri e le costruzioni neogotiche di Arignano, Politecnico di Torino, I Facoltà di Architettura, Corso di Laurea Triennale in Scienze dell’Architettura, Relatore Prof. Luciano Re, A.A. 2008/2009

Fonti:
Fotografie e testi di Vittoria Zucca

Data compilazione scheda:
5 /03/2019

Nome del rilevatore:
Vittoria Zucca

Rivalta (TO) : Castello degli Orsini

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Storia del sito:
vedi Comune di Rivalta

Descrizione del sito:
L’interno della corte mostra un’affascinante commistione tra gli elementi medievali autentici e quelle aggiunte, settecentesche prima e neogotiche poi, che hanno contribuito nel tempo a conferire all’insieme l’aspetto della villa di campagna: piccoli loggiati, finestre ad arco e la torre con bertesche aggettanti testimoniano della moda del tempo del Brayda e del D’Andrade.
A sud, il torrione rettangolare, rappresenta sicuramente la parte più antica del castello, precedente alla stessa cinta muraria. La sua struttura rispecchia le caratteristiche tipiche del “mastio” o “dongione”, posto normalmente in posizione dominante rispetto agli altri edifici del castello. Nonostante la prima menzione del Castello sia del 1062, gli elementi costruttivi del torrione orienterebbero verso una datazione leggermente più tarda: la tessitura muraria presenta infatti piani di posa regolari, realizzati prevalentemente in ciottoli di fiume posati a “spina di pesce”, con fasce marcapiano e decorazioni in cotto, secondo una tecnica costruttiva che si afferma meglio intorno al XII secolo.
Il castello, nato  con funzioni prevalentemente difensive, con asse maggiore est-ovest, in osservazione della strada verso Piossasco e verso la val Sangone, presenta ora caratteri più marcatamente residenziali, prevalsi probabilmente nel momento in cui gli furono addossate le mura e nella parte inferiore ricavata una elegante cappella.

La cappella del torrione, a pianta rettangolare,  ha due volte ogivali costolonate e chiavi di volta scolpite in pietra, divisa da un arco a tutto sesto che separa la zona presbiteriale dalla più ampia aula centrale. Le pareti conservano affreschi restaurati tra 2018 e inizio 2019, tra cui una Crocifissione sovrastante l’altare (parete est): a sinistra della croce Maria e a destra san Giovanni, in alto Sole e Luna e due angeli. Nella parete sud, la nascita della Vergine, rappresentata in fasce in una culla a fianco dei genitori sant’Anna e san Gioacchino, e l’annunciazione. Le caratteristiche delle aureole, realizzate in stucco a rilievo, orienterebbero verso una datazione intorno al XIII secolo, che troverebbe ulteriore conferma nella decorazione a stelle dorate su fondo blu delle lunette  della volta a crociera della zona presbiteriale, nota in ambito piemontese nello stesso periodo. Il committente potrebbe essere stato Guglielmo da Rivalta intorno alla metà del 1200. L’insieme rivela (come scrive E. Brezzi Rossetti ne La cappella di Guglielmo da Rivalta) “interessanti tratti stilistici, riferibili a modelli che in Val Padana andavano proponendo formule ancora mutuate dal repertorio bizantino, rinfrescati tuttavia da una maniera che già si stava elaborando in area transalpina”.
Nella seconda campata, figure di difficile interpretazione: un uomo con l’aureola disteso nudo sopra un carro trainato da un altro uomo, su cui aleggia un angelo ed una figura con aureola; una figura con corona affiancata da due uomini stanti; due figure ai lati dell’accesso occidentale, l’una con copricapo a due punte e l’altra velata, probabilmente una donna.

L’insieme degli ambienti della zona residenziale del castello conserva in alcuni casi volte a cassettoni, tappezzerie e decori di ispirazione neogotica, e testimonia l’evoluzione dell’edificio che oggi conta tre piani fuori terra e un piano sotterraneo con ghiacciaia, avvenuta per aggregazione intorno al corpo della torre settentrionale. Il complesso si dispone intorno ad un cortiletto interno che, nonostante le tracce di innumerevoli rifacimenti e l’aggiunta di una scala esterna, conserva un fascino tipicamente medievale, rafforzato dalla presenza di un pozzo centrale con vera decorata da una scritta in caratteri gotici.  Sulla parete occidentale si notano le tracce di una porta, ora tamponata, sormontata da un arco con decorazione in cotto a losanghe, tipica dell’architettura piemontese di XIII-XIV secolo.
Oltre a due dipinti in stile neogotico, raffiguranti san Giorgio e san Michele Arcangelo e ispirati a pitture presenti nel castello di Fénis (AO), il cortile conserva una lapide dedicata a Honoré De Balzac che ricorda il passaggio dello scrittore francese, che qui soggiornò nel 1836, ospite del conte Cesare Benevello, interessante figura di intellettuale e mecenate che acquistò il Castello dall’ultimo dei conti Orsini nel 1823 e ospitò anche Massimo d’Azeglio, che ricorderà Rivalta nelle lettere alla moglie, in alcuni quadri e nel suo libro I miei ricordi.
Uscendo nuovamente nel parco attraverso un corridoio con un’elegante pavimentazione in mosaico veneziano, si costeggia la manica occidentale, realizzata in una più recente fase di aggregazione costruttiva e addossata all’interno della cinta muraria medievale. La manica è conclusa sulla sua estremità meridionale dalla cappella settecentesca.  Sul retro della manica occidentale, si costeggia l’alto muro di contenimento che delimita la parte inferiore del parco e vicino all’accesso al cortiletto delle scuderie si nota l’attacco delle mura del ricetto, ancora oggi perfettamente leggibile nel tessuto urbano, costruito a protezione del borgo tra XIII e XIV secolo, quando ormai il castello rappresentava il fulcro della vita del paese e il suo riferimento politico e amministrativo era ormai consolidato, nonostante la concessione degli Statuti, avvenuta nel 1297.
Nel 2006 fu acquistato dal Comune di Rivalta; dopo un intervento di restauro degli edifici principali, dal dicembre 2017 ospita la biblioteca comunale.

Informazioni:
via Orsini, 7 – Tel. 0119045557/85/86

Link:
Comune di Rivalta
facebook -castello di Rivalta  (fotografie degli affreschi restaurati)

Bibliografia:
Gallo, L. e Martino, E., La «vie de château». Il castello di Rivalta tra Ottocento e Novecento, Comune di Rivalta di Torino, 2012
Brezzi Rossetti E., La cappella di Gugliemo di Rivalta, in:  Per Giovanni Romano scritti di amici a cura di Giovanni Agosti, L’Artistica, Savigliano CN 2009

Fonti:
Foto in alto da www.parcopotorinese.it,  foto in basso dal sito del Comune di Rivalta, seconda e terza foto in basso da  www.rivaltainforma.it.
Testo tratto dai siti sopra indicati.

Data compilazione scheda:
17 marzo 2016 – aggiornam. aprile 2019

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Druento (TO) – Parco Regionale La Mandria: Cappella di San Giuliano

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Storia del sito:
La cappella di San Giuliano si trova all’interno del Parco Regionale della Mandria, in territorio di Druento, in prossimità della cascina Rubbianetta. Qui esisteva un borgo eretto in comunità indipendente appartenente al viscontado di Baratonia con una popolazione dedita soprattutto all’agricoltura e al commercio del legname di cui erano ricchi i boschi circostanti.
Secondo Monsignor Della Chiesa, scrittore di Patrie Storie nonché vescovo di Saluzzo, il nome Rubbianetta deriverebbe da un’antichissima famiglia detta “Rubineta”, ma non è da escludere che possa derivare dal latino Robur – roboris, cioè rovere, e che quindi volesse indicare un territorio coperto da boschi di querce, gli stessi che ancora oggi crescono folti nei suoi pressi. Il borgo Rubbianetta fu posto sotto la protezione di San Giuliano martire in onore del quale fu edificata la Chiesa omonima. Nel 1594 la giurisdizione religiosa su San Giuliano fu affidata alla parrocchia di Druent: da allora il parroco di Druento ebbe la totale amministrazione della parrocchia di Rubbianetta e si chiamò Prevosto di Druent e Curato di Rubbianetta; la nuova parrocchia, unione delle due, si chiamò parrocchia di Santa Maria della Stella e S. Giuliano in Rubbianetta e portò questo nome fino al 1986, anno in cui l’Ordinario Diocesano di Torino decretò che si sarebbe chiamata solamente più Santa Maria della Stella.
Gli anni dal ‘500 all’inizio del ‘600 furono caratterizzati da liti e pendenze su questioni legate ai confini tra i territori di Druent e quelli di Rubbianetta; dopo la grave pestilenza del 1612 che decimò la popolazione e una lite con i signori Provana legata alla onerosità delle imposizioni fiscali iniziò una lenta e irreversibile decadenza della Comunità della Rubbianetta i cui abitanti si spostarono oltre il Ceronda per dare vita all’attuale paese di Druento. L’utilizzo stesso della chiesa diminuì ma si mantennero gli appuntamenti tradizionali del 28 agosto, giorno di San Giuliano, e del 18 aprile, annuario della consacrazione della chiesa.
Una piccola ma significativa ripresa dell’attività religiosa coincide con là costruzione della cascina Emanuella, l’attuale Rubbianetta, dedicata da Vittorio Emanuele II al figlio Emanuele Alberto avuto dalla Rosa Vercellana. In tale cascina si sviluppò una importante attività di allevamento dei cavalli finalizzata a rifornire l’esercito e successivamente a produrre cavalli di gran razza per competizioni di corse internazionali.

Descrizione del sito:
L’impianto tardoromanico originario della Cappella di San Giuliano, risalente alla fine del XII secolo, ha subìto trasformazioni ed ampliamenti a partire dalla metà del secolo tredicesimo.
In un periodo che si pone intorno al 1440 viene realizzata l’abside poligonale in laterizio contestualmente all’arco trionfale a sesto acuto che separa il transetto dalla navata e ai due tratti di muro che congiungono i punti di innesto dell’abside con le pareti laterali.
Gli interventi secenteschi riguardano l’erezione della facciata barocca, tripartita e cadenzata sull’impianto architettonico e il modesto controsoffitto ligneo a doghe di pioppo, poi ripreso nel Novecento, in sostituzione del soffitto a cassettoni che nel Quattrocento completava la navata.
Al secolo XV, firmati da Giovanni Marcheto, sono databili gli affreschi interni della Cappella, raffiguranti San Sebastiano, Sant’Antonio, San Francesco, Sant’Anna, Sant’Antonio Abate, il Beato Antonio Neirotti di Rivoli, San Pietro, San Giovanni Battista, San Giacomo Maggiore, San Grato. I resti, purtroppo molto rovinati, di affreschi presenti sulle pareti dell’abside risalgono alla seconda metà del 1600 e sostituiscono dipinti precedenti, forse cinquecenteschi.
La trave lignea porta un crocifisso dipinto su tavola di sapore iconografico bizantino (periodo Tre-Quattrocentesco, superstite di un trittico ligneo di cui le parti laterali sono state trafugate.
Gli interventi di restauro e consolidamento strutturale realizzati consistono nel ripristino delle parti ammalorate e nella sostituzione di alcune di esse dove si è reso necessario; in particolare si è proceduto al rifacimento del tetto, al risanamento statico-strutturale del fabbricato e delle sue pertinenze murarie (l’antico perimetro di Cinta del Ricetto), al restauro delle superfici murarie interne e alla revisione dei pavimenti. Sono stati inoltre restaurati gli arredi della cappella, la Pala dell’Icona (tela dipinta a olio della metà del XVII secolo), l’altare ligneo, l’acquasantiera in pietra, la trave lignea decorata, le panche e le superfici pittoriche affrescate con eliminazione parziale degli intonaci ottocenteschi in modo da valorizzare l’impianto pittorico quattrocentesco enucleandolo dal contesto circostante che ripropone l’originale superficie muraria in ciottoli e laterizi. L’impiego della luce artificiale debitamente indirizzata mira ad accentuare il risalto delle scene pittoriche facendole emergere con forte contrasto cromatico dall’intorno circostante mantenuto prevalentemente in oscurità.

Informazioni:
Ente di gestione delle Aree Protette dell’Area Metropolitana di Torino, V.le Carlo Emanuele II, 256 – 10078 Venaria Reale (TO) – www.parks.it/parco.mandria o www.parchireali.gov.it – Tel. 011/4993381 – 011/4993311 info@parcomandria.it

Link:
http://www.parks.it/parco.mandria/mappa.interattiva/14.html

http://www.parchireali.gov.it/parco.mandria/punti-interesse-dettaglio.php?id_pun=1066

Fonti:
Fotografia in alto archivio GAT, in basso da www.parchireali.gov.it

Data compilazione scheda:
20/02/2005 – aggiorn. febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G. A. Torinese

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Usseglio (TO) : Museo Civico Alpino Arnaldo Tazzetti

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Storia del Museo:
Il museo, sorto in via sperimentale nel 2002, oltre al lavoro di ricerca, valorizzazione e catalogazione, provvede alla manutenzione, alla sicurezza e all’integrità dei beni culturali e ambientali presenti sul territorio.
Il museo è sito in un antico complesso monumentale, che comprende vari edifici: l’antica parrocchia cimiteriale dell’Assunta, ricostruita nel 1635 e ampliata nel XVIII-XIX secolo; il campanile di origine romanica, che risale al secolo XI o XII e ha mantenuto solamente i due piani inferiori della costruzione originaria; il portico detto «Ala», del 1768, la cappella-oratorio della confraternita, già esistente nel 1547.
Museo consta di sei sezioni: archeologia rupestre; archeologia mineraria e storia delle risorse economiche; scienze naturali e ambientali; storico-artistica; vita, cultura, lavoro e tradizioni locali; didattica.

Descrizione delle collezioni:
Le collezioni del Museo comprendono attualmente una raccolta faunistica, una botanica, una di riproduzioni di funghi, una mineralogica e materiali e pannelli didattici su alcune delle attività tradizionali e sulla storia del territorio.
La sezione dedicata all’archeologia rupestre comprende alcune espressioni grafiche rupestri, su pietra o su legno, recuperate nel territorio comunale. Il Museo ospita inoltre due mostre documentarie permanenti sulla ”Archeologia mineraria a Usseglio» e sull’ «ARCHEOLOGIA RUPESTRE A USSEGLIO E NELLE VALLI DI LANZO».

Descrizione dei ritrovamenti:
Già pertinenza dell’omonima cappella di Malciaussìa almeno dal 1843, il BASSORILIEVO IN PIETRA ollare del sec. XV rappresentante s. Bernardo di Mentone (o d’Aosta) che tiene avvinto il diavolo, rappresentato come una piccola figura con i piedi palmati.

Incisioni preistoriche si trovano nel “Vallone delle lance”.

LOSONE GRAFFITO (in frazione Panetto): posto in una zona di probabile antichissimo insediamento, è un grande lastrone di pietra che sulla superficie presenta segni antropomorfi e cruciformi, coppelle, affilatoi e simboli rituali.

Collegamenti con altri Musei:
Nel Museo delle Genti delle Valli di Lanzo a Ceres si trovano calchi delle incisioni rupestri della zona, vedi scheda.

Informazioni:
Nel Complesso Monumentale; tel. 0123 83818 oppure 338 61.84.408 ; e-mail: museocivicoalpinousseglio@antropologiaalpina.it

Link:
https://www.beniculturali.it
http://www.vallediviu.it/museocivicotazzetti/

Bibliografia:
Sulle incisioni rupestri della zona: Usoei, Uxellos, Usseglio, a cura della Pro Loco Usseglio, Neos Edizioni 2003
DRAPPERO N. 1973. Usseglio, III: Incisioni rupestri. Cirié: Capella.
DRAPPERO N. 1974. La roccia dei giochi presso Andriera (m 1568) di Usseglio. Bulletin d’Études Préhistoriques Alpines VI: 179-184. Aosta: Société de Recherches et d’Études Préhistoriques Alpines
DRAPPERO N. 1977. Usseglio, IV: Altri segni sulle rocce. Torino: Scaravaglio
FEDELE F. 1977. Presentazione. N. Drappero, Usseglio, IV: Altri segni sulle rocce: 7-11. Torino: Scaravaglio

Fonti:
Fotografie e notizie tratte dal sito sopra indicato.

Data compilazione scheda:
16/07/2007 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

usseglio roccia

Usseglio archeologiarupestre0

usseglio malciaussia

Usseglio (TO) : Are Romane

usseglio lapide Ercole

Storia e descrizione del sito:
Il toponimo, presente nella forma Uxeillo in documenti del 1224, Uxello nel 1269, nonché Uxellis nel 1288, viene fatto risalire al celtico uxeilos, col significato di “alto”, “sublime”, L’origine di Usseglio è antica. A testimoniare il fatto che già in epoca imperiale romana esistevano insediamenti nella zona, di nome Ocelum, sono state ritrovate, oltre a numerose monete, due ARE VOTIVE.
La PRIMA ARA, che fu rinvenuta sopra Bellacomba, ai piedi del colle di Arnas, reca scritto : “HERCULI M. VIBIUS MARCELLUS”. La famiglia dei Vibi era illustre, la scritta probabilmente è il ringraziamento per un felice transito alpino. L’ara è databile al II secolo a.C.
La SECONDA ARA fu rinvenuta nel 1850 nei pressi della cappella di San Desiderio e reca inciso “..OVI OP(TIMO) M(AXIMO) CLODIUS CASTUS VECATI F(ILIUS) VETERANUS V(OTUM) S(OLVIT) L(AETUS) L(IBENS) M(ERITO) MIL(ITAVIT) AN(NOS) XXVI” che significa: A Giove Ottimo Massimo da parte di Claudio Casto figlio di Vecato e veterano, che scioglie il voto contento e soddisfatto, avendo servito nell’esercito per 26 anni. L’ara è databile tra la fine del I sec a.C. e l’inizio del I sec. d.C. Oggi è collocata sulla facciata della Cappella di San Vito.

CAPPELLA DI SAN DESIDERIO: situata su un’altura presso la frazione Piazzette, è la più antica della valle di Viù e forse la primitiva parrocchia di Usseglio. La sua presenza è testimoniata da un documento del 1168, quando fu ceduta dal vescovo di Torino Milone di Cardano, che teneva signoria sulle Valli, a Simeone, abate di s. Giacomo di Stura. Rimaneggiata nei secoli, è in corso di restauro.

Informazioni:
Un’ara dedicata a Ercole è murata sulla facciata dell’antica parrocchiale dell’Assunta, la seconda, dedicata a Giove, è oggi collocata davanti alla cappella di San Vito in borgata Piazzette.

Link:
http://www.antropologiaalpina.it/MCA/ARCHEOLOGIA%20RUPESTRE/poster15.htm

Bibliografia:
Usoei, Uxellos, Usseglio, a cura della Pro Loco Usseglio, Neos Edizioni, Usseglio TO, 2003

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito sopra citato.

Data compilazione scheda:
04/10/2007 -aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

usseglio lapide Giove1

Trofarello (TO) : Chiesa di San Pietro di Celle

san_pietro

Storia del sito:
L’esistenza di un edificio plebano è attestata per la prima volta nel documento con cui Federico I nel 1159 conferma al vescovo Carlo “curtem de Cellas cum castello, districto et plebe”. In questo periodo il vescovo di Torino esercitava la sua giurisdizione sulla corte, il castello e la pieve di San Pietro e probabilmente tali diritti erano già contenuti in un diploma ottoniano del 981, che concedeva alla chiesa torinese tra le altre corti anche quella di Celle. Il titolo dell’edificio plebano viene riportato solo più tardi in un documento dell’inizio del XIII secolo (1218), in cui viene citato un “dominus Saxel, plebanus ecclesie Sancti Petri de Cellis”. Non sembra, a differenza di quanto sostenuto da alcuni autori, che la pieve di San Pietro abbia subito interferenze monastiche. Essa rimase sempre soggetta alla giurisdizione del vescovo di Torino, il quale si limitò a concederla in avvocazia (protezione esercitata dal signore feudale nei confronti dei beni della pieve) ai signori di Trofarello. La facoltà più importante del patrono di una chiesa era quella di presentare all’autorità diocesana il chierico prescelto per ricoprire l’ufficio vacante. San Pietro di Celle era l’antica chiesa parrocchiale del borgo di Celle. Le lotte fra i Comuni di Chieri e Testona provocarono il progressivo abbandono di molti piccoli centri abitati indifesi sulla collina torinese, mentre i conti Vagnone aumentarono il loro potere politico e il loro territorio: così tra il XIII e il XIV secolo attorno al loro castello in Trofarello crebbero le case ed anche la chiesa che con il tempo sostituì la pieve di San Pietro di Celle. San Pietro mantenne il titolo plebano fino alla metà del XIV secolo, quando infatti venne sostituita dalla chiesa dei SS. Quirico e Giulitta di Trofarello. Nel cattedratico (elenco delle chiese che pagavano un tributo al vescovo) del 1386 S. Pietro è ridotta al rango di “ecclesia”, descritta come “antica sede di pieve” ed enumerata fra le chiese dipendenti da S. Maria di Chieri

Descrizione del sito:
L’edificio di San Pietro Celle sorge su un poggio a nord ovest della chiesa di Santa Maria di Celle. Della costruzione originaria restano solo, molto alterate, l’abside e l’absidiola sinistra, mentre la terza abside a sud venne asportata e ricostruita grazie all’interessamento di Alfredo d’Andrade,  ora è esposta a Palazzo Madama. La muratura originale è composta da filari di grossi conci di arenaria, alternati a file di mattoni disposte a spina di pesce. Annesso alla chiesa si trova ora un robusto corpo di fabbrica rettangolare, decorato con formelle gotiche in cotto. In base ai caratteri stilistici e soprattutto per la presenza del loggiato cieco dell’abside maggiore, che precede stilisticamente gli archetti pensili in cotto o in arenaria caratteristici del romanico lombardo, la chiesa, o meglio ciò che ne rimane, è stata datata all’inizio del XII secolo. Nell’alto dell’abside centrale si aprono per ogni campo tre fornici ciechi con piedritti formati da colonnette tozze di arenaria e cotto sormontate da capitelli scolpiti, che purtroppo l’inclemenza del tempo e degli uomini ha ormai irrimediabilmente sfigurato. Nel muro sottostante si aprono strette finestrelle arcate con forte strombatura. Nell’abside laterale di sinistra archetti ciechi sostituiscono i fornici di quella centrale. Del muro di facciata rimane solo un tratto ove è visibile una delle due mezze colonne, che la dividevano in tre parti.

Informazioni:
Sulla collina tra Moriondo (frazione di Moncalieri), Trofarello e Revigliasco – da Moriondo (frazione di Moncalieri) si dovrà percorrere Via San Pietro verso Revigliasco per circa 1,5 chilometri, seguendo la strada asfaltata e ignorando le deviazioni sterrate laterali fino a raggiungere cascina S. Pietro.

Trofarello-SPietro-Celle

Link:
http://www.archeogat.it/archivio/zindex/Mostra%20Collina/collina%20torinese/pag_html/celleSP.htm

Bibliografia:
G. CASIRAGHI, La Diocesi di Torino nel Medioevo, BSS 196, Torino 1979
A. A. SETTIA, Insediamenti abbandonati sulla collina torinese, in “Archeologia Medievale”, II (1975)
G. CASSANO, A proposito di San Pietro di Celle, in “Boll. SPABA” XVI (1930)

Fonti:
Fotografie archivio GAT.

Data compilazione scheda:
10 ottobre 2000 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

Abside San Pietro di Celle

Trofarello (TO) : Chiesa di S. Maria di Celle

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Storia del sito:
Il 5 dicembre 1318 Guglielmo di Revigliasco è nominato “rector ecclesie Sancte Marie de Cellis” dal prevosto del Capitolo della cattedrale di Torino, che aveva su di essa il diritto di collocazione (o collazione – diritto di nomina). Si tratta della più antica attestazione documentaria della chiesa di S. Maria. Non è certa l’epoca della prima costruzione dell’edificio. Dallo stile architettonico del campanile, che però presenta evidenti tracce di rifacimenti, può essere databile alla seconda metà del XII secolo o più verosimilmente al XIII secolo. Da recenti studi sarebbero stati i Vagnone, signori di Trofarello, a promuoverne la ricostruzione nel XIII secolo, dal momento che questa famiglia signorile parrebbe molto legata alla chiesa di Santa Maria. Rimane qualche perplessità a questo proposito poiché il documento citato evidenzia che se vi furono interferenze laiche, queste sono da attribuire ai signori di Revigliasco e non a quelli di Trofarello. Non si puó infatti pensare che i Vagnone di Trofarello avessero fatto erigere la chiesa, se già nella seconda metà del secolo XII i signori di Revigliasco ottennero dai marchesi di Romagnano la giurisdizione sul castello di Celle e se nel 1318 rettore della Chiesa di S. Maria, significativamente definita “prope Ruviglascum”, era Guglielmo “ex dominis de Ruvigliasco”.

Descrizione del sito:
La chiesa, ad una navata, ricoperta da una volta a botte a sesto molto ribassato, ha perso ogni interesse architettonico. Il campanile invece, nonostante evidentissime tracce di rifacimenti e restauri costituisce la parte di maggior interesse dal punto di vista artistico della chiesa. È a tre ordini, di cui i primi due separati fra loro da una fila di archetti di cotto a tutto sesto e da una fascia a denti di sega, mentre verticalmente sono separati da una lesena. L’ordine superiore presenta due aperture a sesto acuto, separate da un pilastrino. Fra il secondo ed il terzo ordine è chiaramente visibile una differenza di spessore nelle murature denunciata da una risega esterna la cui esecuzione deve ritenersi contemporanea al restauro della torre. Santa Maria appare di epoca successiva a San Pietro di Celle, sia dal punto di vista stilistico, sia dal punto di vista dei materiali impiegati per la costruzione, sia per la tecnica muraria (mattoni a spina di pesce alternati a conci di arenaria per la chiesa di San Pietro; filari regolari di mattoni di fattura accurata per quella di Santa Maria). Ad una attenta osservazione il campanile presenta un particolare interessante: una lettera “T”, incisa sul montante di un archetto del lato nord. Il “Tau” era il segno distintivo dei “Canonici regolari (Frati Ospedalieri) di S. Antonio eremita” detti anche semplicemente “Antoniani”. Questa congregazione, fondata in Francia intorno al 1090, si dedicava alla cura dei malati, in particolar modo delle persone colpite da ergotismo, un’affezione cutanea dovuta all’ingestione di sostanze alimentari inquinate da segala cornuta. Gli ospitalieri di Sant’Antonio crearono numerosi luoghi di cura in Piemonte, di cui certamente il più famoso è Sant’Antonio di Ranverso sulla strada di Francia. Alcune chiese dell’alta Val Susa portano scolpito sui capitelli un “tau”, come Santa Maria, e ciò permette di supporre che vi fossero annessi piccoli ospedali antoniani. Numerosi quadretti votivi erano stati appesi nel corso degli anni alle mura della Chiesa, ma di questi ex voto non ne rimane che una piccola parte.

Informazioni:
Da Trofarello dirigersi verso la chiesa parrocchiale SS. Quirico e Giulitta imboccando Viale della Resistenza; seguire quindi le indicazioni: Santuario S. Maria di Celle. Parrocchia tel. 011 6497162


Trofarello-MadonnaCelle

 Links:
http://www.archeogat.it/archivio/zindex/Mostra%20Collina/collina%20torinese/pag_html/celleSM.htm

Bibliografia:
FISSORE, I protocolli di Tedisio, docc. 209 e 210, pp.263-266, 5 dicembre 1318
G. CASIRAGHI, La Diocesi di Torino nel Medioevo, BSS 196, Torino 1979
A. CAVALLARI MURAT, Antologia monumentale di Chieri, Torino 1969, p. 20
A. A. SETTIA, Insediamenti abbandonati sulla collina torinese, in “Archeologia Medievale”, II (1975)
G. CASSANO, A proposito di San Pietro di Celle, in “Boll. SPABA” XVI (1930)

Fonti:
Foto archivio GAT.

Data compilazione scheda:
7 ottobre 2000 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

San Mauro Torinese (TO) : Chiesa di S. Maria in Pulcherada

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Storia del sito:
Nel 1420 la denominazione ufficiale della località nota come Pulchra Rada, che significa “bella spiaggia, porto (sul fiume Po)”, divenne “San Mauro”, in onore del Santo abate benedettino che, diretto in Francia, sostò presso l’abbazia nel VI secolo. L’attuale denominazione “San Mauro Torinese” risale al 1862.
L’abbazia benedettina sorse su un preesistente insediamento romano risalente al periodo di fondazione di Augusta Taurinorum (Torino) intorno all’VIII – IX secolo e divenne il nucleo centrale del primo centro abitato che si costituì intorno ad essa: a capo della comunità vi era l’abate che amministrava la vita religiosa e civile locale. ll primo documento che menziona l’Abbazia di Pulcherada è il diploma, in data 4 maggio 991, di fondazione del monastero benedettino di Spigno, ad opera di Anselmo I marchese di Saluzzo, e da esso risulterebbe che l’Abbazia di Pulcherada era stata precedentemente distrutta da “uomini cattivi” (i “Saraceni”), i quali nel 937, nel 951 e nel 954, scendendo dalla Valsusa, fecero incursioni nel Torinese, saccheggiando Susa e Torino e distruggendo l’antico monastero, coi suoi castelli di Pulcherada, Matingo, Albareto e Sambuceto (Sambuy). L’abbazia fu ricostruita in più fasi, sia su impulso del marchese Anselmo, che nel 991 la cita nel diploma ricordato, sia nei secoli undicesimo e dodicesimo. Il complesso subì rimaneggiamenti nei secoli tredicesimo e quattordicesimo. L’antico monastero medievale si estendeva sull’area ora occupata dagli attuali palazzo del municipio, giardino parrocchiale e chiesa di Santa Maria. Il monastero comprendeva nel suo recinto giardini, un mulino, un forno e attività artigianali varie. Intorno alla metà del 1500 la chiesa dell’abbazia si presentava ancora a tre navate. Nelle absidi delle navate laterali vi erano due cappelle, una delle quali dedicata alla Madonna.
A causa della posizione di confine tra Marchesato del Monferrato e Ducato di Savoia, i continui scontri armati tra le due casate provocarono un’inarrestabile decadenza e, nel 1474, l’abbazia venne soppressa e trasformata in “commenda”. Successivamente la chiesa cadde in stato di forte degrado, tanto che nel 1665 l’Abate Commendatario Petrino Aghemio, canonico della chiesa metropolitana di Torino, modificò radicalmente la forma primitiva della chiesa, rimpicciolendola e cancellando l’impianto basilicale della chiesa abbaziale, sopprimendo le due navate laterali. La navata destra fu distrutta per metà, mentre quella sinistra fu ridotta a corridoio. I due absidi terminali, con le loro finestrelle, furono conservati. Una di queste forma la cosiddetta sacrestia vecchia, mentre l’altra costituisce l’attuale sacrestia. Furono aperte grandi finestre rettangolari e fu costruito il voltone attuale, basso e pesante. Furono inoltre costruite le due attuali cappelle, una dedicata alla Madonna e l’altra a San Carlo. L’antica facciata medievale fu coperta dall’attuale facciata, che di pregevole ha soltanto il portale. Il campanile del XIII secolo, già mancante della cuspide terminale, non subì modifiche.
Il 20 giugno 1800 il Piemonte fu annesso da Napoleone alla Francia. Ciò comportò la confisca dei beni dell’Abbazia di Pulcherada: le cascine di Pescarito e della Braida e il palazzo abbaziale (l’attuale municipio) furono venduti. Ormai dipendente dall’Abbazia di S. Quintino di Spigno, l’abbazia di Pulcherada fu soppressa nel 1803 e la chiesa venne declassata a parrocchiale, i suoi beni confiscati e messi in vendita. Nel 1813 il prevosto dell’epoca, Bertoldo, sostituì l’altare di legno con uno in mattoni e marmo. Per far posto al nuovo altare fu abbassato il pavimento del presbiterio di quasi un metro, distruggendo la vecchia cripta medievale, dove si seppellivano i monaci, che fu riempita di macerie. In quella occasione fu anche realizzata l’attuale sacrestia nuova.
Della chiesa abbaziale primitiva, in origine dedicata a San Mauro ed ora a Santa Maria, rimangono pochi ma significativi resti: oltre al campanile protogotico (della prima metà del sec. XIII) e a una porzione della navata sinistra (sec. XI), si conserva l’interessante e antica abside centrale, costruita anche con mattoni romani.

Descrizione del sito:
L’attuale FACCIATA della chiesa è quella che risulta dopo i restauri del 1927, quando venne demolita quella del 1665. Durante i lavori tornò alla luce l’antica facciata romanica in pietre e mattoni, che presentava due finestre ogivali nelle parti laterali e una rotonda nel centro, con due lesene che si innalzavano per tutta la lunghezza della facciata. La vecchia facciata medievale fu tuttavia nuovamente coperta con una nuova e semplice facciata ad intonaco, che conserva tracce dell’antico nelle lesene e nelle finestre.
L’ABSIDE ROMANICA. Si rinvengono due fasi costruttive: la prima, forse carolingia, nella struttura muraria e nelle ampie finestre arcuate, e la seconda, della fine del secolo X, nelle lesene applicate e nella cornice di fornici a nicchie. Il muro esterno curvilineo dell’abside è diviso in sei campi da lesene, che nella loro parte inferiore, mediante risega, presentano maggior spessore. Sotto la cornice, formata da mattoni tagliati di sbieco, si aprono fornici o nicchie, tre per ogni campo limitato dalle lesene. Caratteristiche sono poi le grandi finestre arcate senza strombatura laterale, con armille di mattoni romani, che conferiscono alla parte inferiore dell’abside l’aspetto di una costruzione di epoca imperiale romana.
L’attuale sacrestia occupa ciò che rimane della navatella laterale sinistra, distrutta nel 1665 a seguito della trasformazione della chiesa voluta dall’abate Aghemio. Nel piccolo abside terminale si notano ancora alcune finestre a strombatura ed i muri perimetrali di grande spessore della chiesa.
IL CAMPANILE, alto e possente, è sproporzionato alla facciata della chiesa e alle esigenze di culto. Si ipotizza pertanto che esso sia stato eretto soprattutto con finalità belliche. Osservando la tessitura muraria si nota una fascia in cui il campanile romanico fu innestato sugli antichi ruderi del campanile distrutto dai Saraceni. La vecchia muratura è facilmente individuabile poiché più irregolare e ricca di grosse pietre. Sono particolarmente interessanti le decorazioni in mattoni che ne delimitano i piani ed il cornicione sommitale. L’arco di accesso all’originario monastero sostiene ora, a ridosso del campanile, una parte dell’edificio dell’attuale casa parrocchiale. Ai lati dell’arco, quasi nascosti nell’intonaco, si intravvedono i cardini del portone che un tempo separava il perimetro abbaziale dal centro abitato. Nelle pareti sono aperte alte monofore affiancate. Le cappelle interne sono del XVII secolo, altri arredi del XIX.

Descrizione dei ritrovamenti:
Nel Febbraio 2011, nel corso di restauri e scavi archeologici, sono state identificate diverse tombe con sepolture maschili longobarde; una cripta sotto l’abside; resti dell’antico monastero e, sotto uno stato di ridipinture del 1667 e del 1927, l’AFFRESCO del Cristo Pantocratore risalente a circa 900 anni fa, con una veste porpora entro una mandorla fra schiere di angeli: una scoperta di eccezionale valore.

Per aprofondire vedi allegato: Pulcherda-Storia-e-ciclo-pittorico_comune-sanmauro

Informazioni:
Tra via Municipio e via Matteotti. Parrocchia tel. 011 8221000

Link :
http://www.comune.sanmaurotorinese.to.it

http://www.areeprotettepotorinese.it/pun-dettaglio.php?id=993

http://www.consorziosanluca.eu/il-consorzio/portfolio/item/41-santa-maria-di-pulcherada.html

Bibliografia:
La chiesa di Santa Maria di Pulcherada in San Mauro Torinese / Ricerca storico-bibliografica ed elaborazione testi di Bruno Fattori ; revisione testi e coordinamento grafico di Marisa Gilla ; foto a cura del gruppo fotoamatori AVIS San Mauro : Lorella Bai … [et al.! ; disegni di Lorella Bai e Marisa Gilla, San Mauro : AVIS_Comunale di San Mauro, stampa 1991.
Chiapasco E.; Garelli S., L’Abbazia di Pulcherada in San Mauro Torinese: rilievo e indagini della Cappella della Madonnina. Rel. De Bernardi, Mauro and Chiabrando, Filiberto and Volinia, Monica. Politecnico di Torino, 2. Facoltà di Architettura, Corso di Laurea in Architettura (Restauro e Valorizzazione), 2010
Pantò G.; Bedini E., San Mauro Torinese – chiesa di Santa Maria in Pulcherada – Resti di età altomedievale, Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, 21 , 2006, pp. 280-83

Fonti:
Notizie dal sito al n° 2. Fotografie da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Santa_Maria_di_Pulcherada.jpg. Foto n°3  da http://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2011/3/107064.html

Data compilazione scheda:
21 dicembre 2011 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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SMAUROCristo-www.ilgiornaledellarte.com