Pinerolese
Roure (TO) : Riparo di Balm’ Chanto
Storia del sito:
Nel territorio del comune di Roure, chiamato dal 1939 al 1975 Roreto Chisone, si trova il riparo di Balm’ Chanto che risulta frequentato in tre epoche ben distinte: nell’Epigravettiano finale, nell’Età del Rame finale ed in epoca Protostorica. Veniva evidentemente utilizzato nella bella stagione per attività di pastorizia e di caccia e doveva servire anche come punto d’appoggio per lo sfruttamento delle fasce montane superiori. L’agricoltura, che non doveva peraltro essere praticata in situ, è provata dal ritrovamento di chicchi carbonizzati di orzo e frumento; ma l’attività prevalentemente documentata è quella pastorale, attestata dai resti faunistici caprovini; i resti di fauna selvatica testimoniano l’importanza ancora notevole della caccia. Per quanto riguarda l’attività pastorale è probabile che si trattasse di una transumanza estiva su scala ridotta, fra valle versante e pascoli elevati.
Descrizione del sito:
Scoperto nel 1978 da Franco Bronzat, collaboratore del CeSMAP. Gli scavi iniziarono nel 1981 e proseguirono per i due anni successivi. Situato a quota 1.400 metri, il riparo sotto roccia di Balm’ Chanto ha fornito indizi di frequentazione umana sin dall’epoca glaciale (14.000 anni fa), ma il periodo di più intensa frequentazione preistorica è collocabile nell’Eneolitico (2100 a.C. secondo i dati della datazione al radiocarbonio C14).
Descrizione dei ritrovamenti:
Il complesso dei materiali venuti alla luce nel corso degli scavi comprende ceramica, utensili di selce scheggiata, pietra verde levigata, ossa e corno. Oltre ai più di 3.000 reperti in ceramica, una particolare importanza rivestono gli utensili litici, in selce e non.
Informazioni:
Dall’abitato di Villaretto si sale verso la borgata Seleiraut, superate le case di Champ dâ Fill si prosegue fino al secondo tornante, si lascia l’auto e si prosegue lungo una traccia di sentiero sulla sinistra che percorre una cengia rocciosa fino a raggiungere il sito, a quota 1400 m. Oppure appena sotto l’abitato di Seleiraut, dal vero e proprio terrazzo morfologico denominato Belregard si scende verso il riparo che costituisce il sito.
Links:
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/balm.htm
Bibliografia:
NISBET R.; SEGLIE D., Balm Chanto, archeologia in Val Chisone, Centro studi d’arte preistorica, Pinerolo 1983
NISBET R.; BIAGI P., Balm’ Chanto: un riparo sottoroccia dell’età del rame nelle Alpi Cozie, New Press, 1987
MERCANDO L. (a cura di), Archeologia in Piemonte, Allemandi Editore, 1998
Fonti:
Fotografia dal sito del CesMap.
Data compilazione scheda:
25 settembre 2003 – aggiornamento maggio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Federico Vigo – Gruppo Archeologico Torinese
Roletto (TO) : Chiesa della Natività di Maria Vergine
Storia del sito:
Il primo documento che cita Roletto, indicato come Rovereto, è del 1096 ed è un elenco di donazioni a favore di Santa Maria di Pinerolo. Risulta appartenere alla contea di Frossasco fino al 1721 e ha seguìto sempre da vicino le vicende storiche della città di Pinerolo. Il centro storico è caratterizzato dalla Chiesa Parrocchiale della Natività di Maria Vergine, opera di particolare interesse artistico poiché al suo interno si conservano un ciclo di AFFRESCHI degli inizi del XV secolo che raccontano le Storie di Maria. Non è noto per quale motivo la chiesa intitolata a Santa Maria Assunta in Cielo, venne poi dedicata alla Natività di Maria Vergine.
Non si hanno notizie certe sull’origine della chiesa (storici locali la farebbero risalire ad una cappella dell’880); sicuramente nel 1386 esisteva un tempio intitolato a Santa Maria di Roreto. La chiesa fu un antico patronato dei conti Montbel di Frossasco (lo stemma dei quali è riscontrabile in numerosi dipinti).
L’edificio fu sottoposto a massicci interventi realizzati tra i XIX ed il XX secolo e conclusi nel 1905; nel 1886 fu riparato e intonacato il campanile (presumibilmente anche innalzato, in quanto sulla parete della casa parrocchiale vi è una meridiana, la quale non riceve più la luce del sole perché coperta dal campanile); nel 1892 fu rifatto il pavimento del presbiterio in graniglia; nel 1896 fu ampliata la chiesa di mq 72 portando in avanti la facciata e costruendo la sacrestia nuova (quell’antica si trova in una piccola stanzetta in fronte al campanile). La Chiesa fu restaurata nel 2003.
Descrizione del sito:
La facciata ottocentesca presenta un coronamento ad archetti, un portale centrale, tre rosoni e una torre campanaria. L’interno è a tre navate con alle pareti tele settecentesche e dipinti del 1905.
L’abside, bassa e rettangolare, ha volta a crociera adorna di AFFRESCHI del XV secolo che raffigurano le Storie della Vergine e rappresentano la Natività, la Purificazione, l’Assunzione e l’Incoronazione di Maria. L’affresco della nascita di Maria Vergine è curioso: un medico o più probabilmente san Gioacchino, che dovrebbe stare dall’altra parte del letto, se ne esce invece ingenuamente ed impossibilmente dalla metà di questo per porgere dei dolci o una medicina a ant’Anna; mentre in primo piano la nutrice si prende cura della neonata. Gli affreschi sono bordati da una fascia a foglie verdi su fondo rosso. Il resto del coro presenta una decorazione tardo-ottocentesca, per la realizzazione della quale l’autore si ispirò probabilmente a motivi originari oggi non più visibili.
Gli affreschi sono una importante testimonianza del tardo-gotico piemontese, pur non essendo noto il nome dell’autore. Alcuni studiosi lo hanno identificato in Giovanni Franzini (un pittore pinerolese attivo nei primi anni del 1400), ma tale ipotesi non è mai stata confermata. Secondo Giovanna Galante-Garrone, “il linguaggio di questi affreschi è senza dubbio fortemente (e precocemente) jaqueriano” e il loro autore “appare strettamente collegato con quello degli affreschi del Castello della Manta”.
Un altro pregevole affresco di epoca tardo-gotica – forse dello stesso autore – raffigurante l’Annunciazione, si trova all’interno della CAPPELLA DI SAN GRATO (detta anche Cappella dei Danesi), situata sulla collina verso Costagrande.
Informazioni:
Parrocchia, tel. 0121 542418
Links:
http://www.comune.roletto.to.it/?p=15
Fonti:
Fotografia in alto tratta dal sito sopra indicato www.beweb; foto in basso da http://www.stpauls.it/vita/1305vp/editoriale.htm
Data compilazione scheda:
08/07/2007 -aggiornamento maggio 2014 – maggio 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Pramollo (TO) : Roccio Veglio (Roccho Vélho)
Storia del sito:
Il monolito è alto oltre 5 m sul piano di campagna ed è noto con il toponimo di “Roccio Veglio” che significa “la vecchia roccia”. Il masso è costituito da gneiss con inclusioni di quarzite. La parte sommitale del roccione forma una piattaforma pianeggiante con buona visibilità fino alla pianura pinerolese che si apre allo sbocco della Val Chisone. Gli altri lati della rupe sono a strapiombo dalla sommità al terreno. Il lato Sud digrada verso la valle formando una sorta di piano inclinato roccioso su cui si trova una zona levigata: si tratta di uno “scivolo” usato ancora in tempi recenti dalla popolazione locale a scopo propiziatorio, terapeutico-profilattico e per vincere la sterilità. Il cerimoniale è ampiamente attestato.
Descrizione del sito:
Le incisioni di Roccio Veglio sono raggruppate sulla tavola sommitaria dei monumento, pianeggiante ed alquanto levigata, su una superficie lunga 170 cm e larga 90 cm. Esse occupano quindi un’area allungata e l’asse maggiore attorno al quale sono distribuite le istoriazioni è orientato Est-Ovest.
Sulla superficie rocciosa sono scolpiti 116 segni: oltre cento sono coppelle emisferiche mediamente profonde 1,5 cm e con un diametro di 3-4 cm, quindi un cerchio di cui è incisa la circonferenza e due diametri perpendicolari tra loro ed intersecanti otto coppelle (tipo “ruota solare a raggi interni”) un segno cruciforme isolato ed aderente ad una coppella, un segno cruciforme doppio (tipo “a salamandra”), alcuni segni indefiniti.
Si notano tre categorie di coppelle: con diametro medio di 3 cm, con diametro medio di 6 cm e coppelle gemellate, doppie. Il “simbolo solare”, 18 cm di diametro, è situato sull’estremità dell’asse longitudinale della composizione in direzione Est.
Sull’opposta direzione Ovest dell’asse maggiore dei monumento si trova una spirale, formazione di coppelle che si sviluppa con movimento antiorario partendo da una coppella centrale più grande. Tra questi due simboli sono collocate schiere di coppelle che con un movimento leggermente sinuoso seguono l’asse EM congiungendoli. Le coppelle appaiono variamente raggruppate con qualche intenzionalità, anche se difficile da stabilire. Si può rilevare una certa tendenza a disporsi su linee curve con la convessità rivolta ad Est, e la presenza di due formazioni intermedie ammassate in forma subcircolare. Il segno cruciforme e quello “a salamandra” si collocano in posizione marginale rispetto all’area di maggiore addensamento: la loro localizzazione è vicina alla zona di accesso alla tavola sommitaria attraverso lo “scivolo”.
ALTRE ROCCE che affiorano nei prati e nei boschi che si estendono nella zona di Roccio Veglio sono sovente segnate dalle incisioni; due sono le più significative. La prima roccia, piuttosto limitata, quanto a dimensioni (2×1 m), affiora di pochissimo dal terreno e presenta un gruppo di incisioni che ne interessano la parte prominente sviluppandosi in senso longitudinale: esse consistono in brevi canaletti, in coppelle e simboli cruciformi. L’elemento più interessante sono 4 simboli cruciformi legati tra di loro a formare quasi una catena; rappresentazione probabile di una cerimonia di carattere sacrale.
Più a valle trovasi la ROCCIA DI “SARET ‘DLE LOSE”, toponimo che sta ad indicare come la località fosse fino a poco tempo fa una cava di pietre (lose). Il tipo di incisione dominante è rappresentato dal simbolo cruciforme che in alcuni casi assume un carattere più spiccatamente antropomorfo o per l’aggiunta di qualche elemento estraneo all’impianto di base o per il movimento che anima la figura. Due di questi cruciformi recano sul “capo” una corona di 3 coppelline. Nella parte alta della piccola roccia vi sono 11 coppelline disposte con un allineamento ed un andamento orizzontale ben precisi.
Informazioni:
Il monolito si eleva isolato sulla destra orografica della Val Risagliardo, solco vallivo laterale della Val Chisone, ad una quota di 1500 m al centro di una grande prateria in declivio di fronte al Roccio Clapier (vedi scheda). Comune, tel. 0121 58619
Links:
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/vegli.htm
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/vegli2.htm
Quaderni Soprintendenza Archeologica Piemonte-29-2014.pdf
Bibliografia:
MANDOLESI A, Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle d’Aosta, Antichità e arti Subalpine e Fondazione CRT, Torino, 2007(e relativa bibliografia)
Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito www.cesmap.it.
Data compilazione scheda:
03/07/2007 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Pramollo (TO) : Roccio Clapier
Storia del sito:
Il Roccio Clapier è il monumento più imponente, il più ricco di incisioni e quello delle Alpi Occidentali che ha fornito più dati di studio. Vari fattori hanno contribuito alla sua importanza: la collocazione dei masso nel contesto paesaggistico, l’aspetto imponente e singolare, la posizione sopraelevata e dominante sul fondovalle, la presenza alle sue spalle di uno spiazzo ampio, il fatto che si trova proprio nel punto di intersezione di tre sentieri che percorrono diversi itinerari lungo i quali è possibile rinvenire stazioni minori di incisioni rupestri.
Sulle pareti scoscese vi sono i segni evidenti delle erosioni idriche ed eoliche che hanno scavato nella roccia cavità ed anfratti di cui uno, centrale, richiama una figura umana cornuta (detto localmente «pertus dei diau», buco dei diavolo).
Sono state individuate varie fasi successive di incisioni eseguite dall’uomo. La prima e più arcaica è di difficile individuazione essendo stata la roccia lisciata dagli artefici della fase successiva: appartengono a questa il simbolo solare a raggi esterni situato nella parte bassa della tavola sommitaria principale, in prossimità di un segno cruciforme interpuntato relativo a una fase successiva, i gruppi di coppelle piccole ed erose, le asce a lama obliqua, ed alcuni cruciformi. Gli scavi archeologici condotti a Baim’Chanto e a Roc dei Coi in Val Chisone hanno recentemente confermato, con le loro industrie litiche su pietra verde, la validità dei rapporti a suo tempo proposti per l’attribuzione di determinate fasi di istoriazione rupestre all’Età del Rame e del Bronzo.
La fase successiva, a cui risale la maggior parte delle incisioni di Roccio Clapier, è rappresentata dalle schiere di coppelle che impegnano l’area Nord della tavola principale ed il culmine della superficie inclinata: gli allineamenti di coppelle, i segni cruciformi, le asce a lama perpendicolare, le composizioni delle due tavole sommitarie laterali che ricordano similari figurazioni monumentali di altri siti di arte preistorica.
Ad una fase più tarda possono appartenere il cruciforme interpuntato, alcuni cruciformi nettamente e profondamente incisi ed infine, di particolare posizione e definizione, le croci di cristianizzazione.
Descrizione del sito:
Il complesso delle incisioni di Roccio Clapier è ripartito su quattro superfici, naturalmente distinte, del masso: la tavola sommitaria principale che si protende nel vuoto, pianeggiante e levigata, due tavole laterali minori collocate su piani diversi, ed infine un’altra grande superficie inclinata che dall’intersezione dei roccione con il fianco della montagna sale ripidamente per circa 8 metri fino a collegarsi con la tavola.
La tavola sommitaria principale è la più ampia, piana e levigata; la superficie presenta scarsissime discontinuità naturali: su di essa si trova il 79% delle 710 incisioni di Roccio Ciapier. Il segno prevalente è la coppella emisferica con diametro medio di 4-5 cm. Queste coppelle sono organizzate in schiere, a gruppi o in formazioni geometriche; poche quelle isolate. Quindi si trovano dei cruciformi, più o meno antropomorfizzati; rappresentazioni di asce e di attrezzi, un simbolo solare a nove raggi esterni, una croce interpuntata; canaletti, segni rettilinei; alcune croci di cristianizzazione.
Le due tavole sommitarie minori sono poste lateralmente, verso Ovest, riportano entrambe uno stesso simbolo: un cruciforme situato all’interno di un recinto sub-ovale accompagnato da una raffigurazione di ascia e da alcune coppelle. Su una delle tavole, quella che confina con la superficie principale, si trova anche un segno a doppia croce.
La superficie inclinata presenta nella parte alta, prominente e convessa, uno schieramento di coppelle: nell’ammasso alcune sono unite due a due; al centro c’è un cruciforme. Sotto, dove la roccia diventa più ripida, si localizzano alcune schiere di segni cruciformi che da due direzioni principali convergono al complesso di coppelle sommitario. Più in basso si incontrano, oltre a coppelle e cruciformi, alcune raffigurazioni di asce ed attrezzi: in particolare evidenza, alla base di questa superficie rocciosa, c’è un ascia associata ad un disco interamente campito.
Informazioni:
Roccio Clapier è una imponente rupe sita sulla destra orografica della Val Risagliardo (Gran Cumba-Vallone di Pramollo, valle laterale dei Chisone) pressoché di fronte a Roccio Veglio, analogo monumento che si erge sull’altro versante. Il roccione strapiomba per oltre 30 metri verso il fondovalle. Lo si raggiunge da Borgata Sapiatti. Comune, tel. 0121 58619
Links:
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/clapie.htm
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/clapie2.htm
Bibliografia:
MANDOLESI A, Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle d’Aosta, Antichità e arti Subalpine e Fondazione CRT, Torino, 2007 (e la relativa bibliografia)
Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito www.cesmap.it
Data compilazione scheda:
03/07/2007 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Piossasco (TO) : Chiesa di San Vito
Storia del sito:
Piazza San Vito, o semplicemente “Piazza”, fu il primo nucleo abitato sorto sotto il ricetto del castello ed è attorno ad esso che si sviluppò il paese. All’abitato si accedeva attraverso una grande porta, detta PORTA DEL BORGO PIAZZA, di sui si ha notizia per la prima volta in un documento del 1387 da cui si deduce che la porta era incorporata tra gli edifici e abitata anche sopra l’arco di volta com’è tutt’oggi. La porta, identificabile nell’arco di via San Domenico Savio, era uno dei tre accessi al borgo antico attraverso quella che era la via Tupinaria, oggi ridotta a viottolo dismesso detto “Strà dei Babi” (rospi). Per chi nel Medioevo arrivasse attraverso questa via alla porta, si trovava di fronte l’abside e il campanile dell’originaria chiesa romanica di San Vito, a destra di questa il monastero, a sinistra un piccolo cimitero e una maggiore spazialità rispetto a oggi. Non c’era il terrapieno che conduce alla piccola porta sul lato di levante.
La chiesa parrocchiale intitolata a San Vito, cui si aggiunsero i santi Modesto e Crescenza, compare in un documento del 1222 in cui viene ricordato Vito Pereto, primo Priore conosciuto. La chiesa con il monastero annesso fu tenuta prima dai Benedettini e poi dai Cistercensi, come dimostrano i primi sette parroci conosciuti a cui era attribuito il titolo di Priore. Divenne bene secolare nel 1452 quando l’ultimo Priore, Gabriele de Buri, monaco cistercense, si fece ridurre al secolo. Nel periodo compreso tra il 1692 e il 1699, la chiesa subì, al pari di altri edifici religiosi la profanazione da parte di diversi eserciti di passaggio. L’ampliamento della chiesa avvenne gradualmente attraverso i secoli, prolungando in avanti le navate. L’assetto quasi definitivo della costruzione, corrispondente nella planimetria a quello odierno, venne raggiunto tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. Nel XVIII secolo venne costruita l’attuale grande sacrestia; la facciata venne eretta nel 1886.
Del primitivo impianto romanico della chiesa, che si fa risalire all’XI secolo, si conservano l’abside e la parte inferiore del campanile.
Al secondo piano dell’antica canonica, già sede del monastero annesso alla chiesa, in un ambiente trasformato in corridoio, si trova un AFFRESCO di pregevole fattura risalente a metà del XV secolo, venuto alla luce negli anni intorno al 1960.
Descrizione del sito:
Il BORGO ha mantenuto solo parzialmente la struttura urbanistica, i palazzi sono stati nei secoli molto rimaneggiati. Della PORTA si conserva il mattonato a lisca di pesce della volta; probabilmente aveva elementi di chiusura o difensivi di cui non rimane traccia.
LA CHIESA DI SAN VITO presenta l’abside, rivolta a levante e direttamente sulla strada, costruita con pietre di dimensioni varie, parti in gneiss grigio e verdognolo, strisce di mattoni. La cornice superiore è lavorata in cotto con modanature semplici; sotto corre una fila di mattoni disposti a dente di sega e poi archetti pensili su piccole mensole.
Il campanile, nella sua parte inferiore, più antica, è romanico. La sua muratura in pietrame appare rozza; si vedono ancora due cornici orizzontali in cotto. Nella parte superiore compaiono tre cornici gotiche costituite da una fila di losanghette e di archetti trilobati, chiusi al di sotto da una striscia di mattoni a dente di sega. Il campanile è coronato da una cuspide ottagonale, fiancheggiata da quattro pinnacoli.
All’esterno, su una lesena sul fianco destro della chiesa, vi è un affresco quattrocentesco raffigurante sant’Antonio abate.
La chiesa, a pianta longitudinale con pavimento in pietra di Barge costruito nel 1833, è suddivisa in tre navate. Conserva tele e affreschi del XVIII e XIX secolo. L’oggetto più antico della chiesa è la vasca battesimale, di pietra bianca, scurita dal tempo, di forma ottagonale. Sull’orlo della vasca corre un’iscrizione in caratteri gotici che riporta il nome del donatore, Gabriele de Buri e la data del 1461. Sotto l’orlo della vasca, quattro lati dell’ottagono sono ornati dallo stemma della famiglia De Buri.
Nell’ANTICA CANONICA di San Vito l’AFFRESCO raffigurante la Crocifissione è scandita dalla figura del Cristo attorno a cui si raccolgono, in alto, i due ladroni e, in basso, il gruppo delle pie donne e la coorte di soldati e dignitari. L’ombra indugia con chiaroscuro lieve; le figure sono espressive e l’abbigliamento dipinto con ricchezza di dettagli. Di influsso maggiormente jaqueriano è il gruppo delle Marie, che con Giovanni si stringono alla Madonna; bellissima la figura della Maddalena. L’immagine cortese della donna astante, ridotta per la caduta del colore al disegno della sinopia, ricorda una delle eroine della sala baronale del castello della Manta. Nella fascia sottostante campeggiano quattro Santi: da sinistra s. Cristoforo, s. Vito giovinetto, s. Sebastiano in abito da cavaliere e sant’Antonio abate.
Tra i santi compare lo stemma di Gabriele De Buri, frate cistercense e poi parroco di Piossasco dal 1452 al 1486. Gli studiosi concordano, seppur con diverse sfumature, nell’ascrivere quest’opera ad ambito jaqueriano collocandola intorno al 1460. Studi più recenti anticipano la datazione di circa un decennio.
Informazioni:
Sulla Piazza San Vito, alla base della salita ai castelli. Parrocchia tel. 011 9064151
Link:
https://www.comune.piossasco.to.it/it/page/i-beni-artistici
Bibliografia:
MORELLO G. ; MARTINATTO G:, MOTTURA F., Piossasco: storia e beni artistici, Comune Piossasco, Compagnia San Paolo, Pro Loco Piossasco, Piossaco TO, 2001
Fonti:
Notizie tratte dal sito del Comune di Piossasco. Fotografie 1, 2, 3 GAT. Foto 4 da www.jaquerio.org.
Data compilazione scheda:
9/7/2007 – aggiorn. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Piossasco (TO) : Chiesa di San Giorgio
Storia del sito:
Il documento più antico che parla della chiesa risale al 999: una transazione di beni tra il vescovo di Torino Gezone e il monastero di San Solutore; poi in una conferma degli stessi beni del 1018. Nel 1064 la chiesa viene ricordata nella donazione della contessa Adelaide, marchesa di Torino, all’abbazia di Santa Maria di Pinerolo; la donazione è poi confermata nel 1122 da Papa Callisto II. A questo periodo riportano i caratteri costruttivi e stilistici dell’edificio attuale.
Nel 1654 la chiesa era ancora dell’abbazia di Pinerolo e tale restò fino al 1802 quando venne consegnata al governo francese.
Una campagna di scavi archeologici, organizzata nel 1979 in collaborazione con l’Università di Torino, ha portato alla luce i resti e le strutture di una costruzione adiacente alla chiesa: probabilmente quel piccolo cenobio benedettino di cui la chiesa era parte e che viene nominato in alcuni documenti. Ora del cenobio, che sorgeva nello spazio in modesta pendenza che si apre ad ovest della chiesa, non resta praticamente traccia.
Descrizione del sito:
La chiesa, costruita in pietra, è a tre piccole navate con absidi semicircolari e porticato.
Il catino dell’abside centrale presentava affreschi del XIV secolo, manomessi da un furto intorno al 1980.
Informazioni:
L’edificio sorge in posizione dominante sulla sommità del Monte San Giorgio, a quota 837 m, entro il Parco Naturale del Monte San Giorgio ed è raggiungibile a piedi in circa 2 ore.
Link:
https://www.comune.piossasco.to.it/it/page/i-beni-artistici
Bibliografia:
MORELLO G. ; MARTINATTO G:, MOTTURA F., Piossasco: storia e beni artistici, Comune Piossasco, Compagnia San Paolo, Pro Loco Piossasco, Piossaco TO, 2001
Fonti:
Notizie e fotografie dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
04/05/2007 – aggiorn. luglio 2014 – maggio 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Piossasco (TO) : Cappella di Santa Elisabetta (Confraternita)
Storia del sito:
L’edificio attuale che comprende la cappella è la risultanza della fusione, avvenuta nei secoli, di tre cappelle contigue, legate a diverse confraternite religiose: la cappella dello Spirito Santo, quella del SS. Nome di Gesù e quella di Sant’Elisabetta. Della Cappella Dello Spirito Santo, che sorgeva a destra della scalinata d’ingresso, rimangono soltanto un piccolo spiazzo e la parete laterale, che attualmente forma un tutt’uno con la facciata. Il fatto che si trattasse di una parete interna è testimoniato dall’acquasantiera infissa nel muro, da resti di affreschi quattrocenteschi. La Cappella del SS. Nome di Gesù è la più grande, con il portale su via S.Vito. Venne restaurata nel 1778. La decorazione degli interni venne fatta nel 1825.
La CAPPELLA DI SANTA ELISABETTA si apre all’interno a destra del portale e conserva AFFRESCHI quattrocenteschi.
Descrizione del sito:
La cappella di Sant’Elisabetta presenta una pianta quadrata con volte a crociera. L’ingresso e il limite anteriore di questa cappella sono sottolineati da un ampio arco poggiante su due colonnine in stile romanico.
La decorazione pittorica, che un tempo occupava tutta la parete di fondo della cappella, è ridotta ad alcuni frammenti: la figura del Padre Eterno che presenta il Cristo Crocifisso; sul braccio della croce la colomba dello Spirito Santo. A destra della Trinità si erge una bellissima figura, purtroppo senza volto, che colpisce per i colori e la morbidezza del panneggio. Potrebbe trattarsi di san Giacomo Maggiore.
Nella parte sovrastante, si può leggere, sulla destra, un altro affresco, venuto a sovrapporsi al precedente, che raffigura una Dormitio Virginis. Sulla sinistra, i pochi frammenti rimasti fanno pensare alla scena dell’Assunzione.
All’esterno, a destra della facciata, esistono residui di affreschi: una Annunciazione con le figure dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine verso cui vola una bianca colomba. Sulla lesena sinistra compare una decorazione con motivi vegetali fra cui si legge, in lettere gotiche, il motto “De bien en mieux” (appartenente alla famiglia dei Tana di Chieri) sotto il quale si collocano lo stemma scolpito in marmo della famiglia De Buri e al di sotto ancora l’immagine di un giovane santo martire recante la palma.
Gli affreschi interni sono databili alla prima metà del Quattrocento, probabilmente di scuola Jaqueriana; quelli esterni e la Dormitio Virginis sono più tardi.
Per approfondire: S_BONICATTO_La_cappella_di_Sant_Elisabet-PIOSSASCO.pdf
Informazioni:
L’edificio è detto anche Chiesa della Confraternita. Coro LA BAITA di Piossasco, tel. 011 9067158
Links:
https://www.comune.piossasco.to.it/it/page/i-beni-artistici
https://www.comune.piossasco.to.it/it/page/la-storia-116da999-f3fb-4b07-b9ec-063cefbc98aa
http://www.3confini.it/Foto%20Piossasco%201/Documenti%2026.htm
Bibliografia:
MORELLO G. ; MARTINATTO G:, MOTTURA F., Piossasco: storia e beni artistici, Comune Piossasco, Compagnia San Paolo, Pro Loco Piossasco, Piossaco TO, 2001
Fonti:
Fotografia in alto dal sito del Comune; in basso da www.3confini.it
Data compilazione scheda:
05/05/2007 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Piossasco (TO) : Castelli e chiesa di San Pietro
Storia del sito:
Sul colle che, dal Monte San Giorgio, si protende verso sud fino alla pianura, sorgono tre castelli che, insieme ad altri edifici di epoca moderna, sono all’interno delle MURA di fortificazione di forma ovoidale e ancora in parte leggibili.
Il castello che sorge più in alto, a 457 m s m è anche il più antico e risale al X-XI secolo: viene detto CASTELLACCIO o “Gran Merlone”, con riferimento all’appellativo “Merlo”, frequente nella famiglia Piossasco, attestata dall’XI secolo. Secondo alcuni studiosi la parte più antica (muro ovest) potrebbe avere origini longobarde. Il castello fu distrutto nel 1693 dal generale francese Catinat, in lotta contro il Duca di Savoia Vittorio Amedeo II.
Il secondo castello non fu mai terminato e risale al XVII-XVIII secolo, detto castello Piossasco-DeRossi, ed è oggi in rovina.
Il terzo castello, quasi in pianura, è detto “DEI NOVE MERLI”, per ricordare lo stemma dei Conti di Piossasco ed è stato costruito tra il 1300 ed il 1400, rimaneggiato nei secoli seguenti. Fu posseduto indiviso dal consortile della famiglia Piossasco, formata da quattro rami: i de Feys, i de Rubeis (Rossi), i de Federicis e i de Folgore. Nel 1775 uno dei proprietari fu il conte di Bardassano, mentre dal 1834 l’edificio fu di proprietà del conte Luigi Piossasco-None, padre dell’ultima discendente della casata. Nel XX secolo il castello subì delle trasformazioni: fu adibito a ristorante e successivamente a discoteca, piano bar e ancora ristorante.
Nei pressi di quest’ultimo castello sorge la CAPPELLA DI SAN PIETRO, ricordata la prima volta in un documento del 1226, una transazione tra i Signori di Piossasco e la certosa di Monte Benedetto (Val di Susa). Anticamente munita di portico, aveva annesso un piccolo cimitero e conservava un affresco ora perduto dedicato a san Pietro. La cappella fu anche sacello dei signori di Piossasco fino al 1933.
Un recente restauro ha portato alla luce un ciclo di affreschi della seconda metà del XIV secolo.
Descrizione del sito:
Le rovine del CASTELLACCIO si vanno degradando con il passare del tempo. Dagli antichi rilevamenti catastali, annotazioni e uno schizzo del secolo scorso frutto della ricognizione dell’architetto portoghese D’Andrade, si sa che vi era sulla sommità una torre e un fabbricato quadrangolare con in cima delle finestrelle a feritoia strettissime; inoltre esisteva una porta alta, a cui in un secondo tempo era stata appoggiata una scala a due rampe. La porta sopraelevata, secondo l’architetto, doveva condurre all’interno del castello. La parte dell’edificio più vetusta si presentava cinta da mura; all’interno, a sud-est, i resti di una torre-abitazione, mentre a nord, verso il colle della Croce, un campo quadrangolare recintato e poco più sotto in direzione di San Vito, un accesso pedonale, la cui esatta individuazione era impossibile già lo scorso secolo, perché l’antico muro era stato sostituito in epoca più recente da uno a secco. All’interno dell’angusto spazio recintato viene ricordata la presenza di una cisterna per l’acqua di forma rettangolare con volta a sesto acuto.
Il ripido degradare del lato ovest e sud-ovest, le fortificazioni sul versante opposto, l’aspetto impervio e selvatico con presenza di folta vegetazione, la mancanza di strade dalla parte di San Vito erano una buona garanzia contro improvvise aggressioni, mancando fossati e ponti levatoi impossibili da attivare per la scarsa presenza di corsi d’acqua nelle vicinanza. La capacità abitativa, visto lo sviluppo della costruzione, sembra via via essersi adeguata alle mutate esigenze e condizioni storiche. La struttura più elevata, che fa pensare ad una torre-abitazione, non doveva essere molto capiente, mentre l’altra costruzione racchiusa nelle mura doveva avere una discreta ampiezza tale da ospitare, come risulta da documenti, alcuni dei signori di Piossasco con largo seguito di familiari e servi, fino al XVI secolo.
Il CASTELLO DEI NOVE MERLI è l’unico edificio superstite nella sua interezza, anche se evidenti sono i notevoli rimaneggiamenti, gli aggiustamenti tardivi, neomedievali, romantici come nel caso del camino interno e della torre merlata, sopraelevazione della seconda metà del XX secolo di un antico vano scala. La ristrutturazione in chiave moderna può essere fatta risalire intorno al 1847 quando il proprietario, il conte Luigi Piossasco-None, fece eseguire sostanziali lavori di rifacimento in quella che oggi è la facciata della galleria con i suoi archi a sesto acuto. L’edificio può in qualche modo presentare elementi tardomedievali riconducibili al periodo della costruzione, oggi difficilmente individuabili. Alcuni elementi rinascimentali sono evidenti negli aspetti decorativi e altri neogotici sono il frutto dei rifacimenti ottocenteschi.
Nella struttura si individuano diversi piani: seminterrato, terra, primo, secondo e terzo. Il primo presenta il soffitto a botte, forse dell’originaria costruzione medievale, il piano terra conta 14 vani di diversa dimensione, il primo piano ha 9 vani tra cui il vestibolo; il salone del camino e la galleria della vetrata; le sale dei cartigli, delle mensole, verde e azzurra. Sono su questo piano i decori di epoca rinascimentale. Al secondo piano si trova la cosiddetta stanza dei frati, adibita all’accoglienza dei religiosi che venivano al castello. L’arredo antico è andato disperso nel tempo a causa dei saccheggi e delle vendite.
La CAPPELLA DI S. PIETRO, situata all’interno dell’area fortificata, a breve distanza dal castello dei Nove Merli. Gli affreschi, della seconda metà del XIV secolo, raffigurano una Madonna con Bambino e alcuni volti di santi fra cui Cosma, Damiano, Antonio Abate e Caterina.
Dal Castellaccio scendono i RESTI DELLE MURA, ben conservati soprattutto lungo via del Campetto, seguono sul versante sud-ovest il degradare della collina, poi volgono quasi ad angolo verso sud-est disegnando una sacca ovoidale. In passato avevano forse il loro punto di svolta a un livello molto superiore rispetto all’attuale, che invece costeggia la strada panoramica: probabilmente le mura piegavano a est tra l’attuale castello dei Nove Merli e il palazzo detto della contessa Palma, dove si apriva una porta. A rafforzare questa ipotesi, si segnalano le pretese dei rustici che rivendicavano come proprietà comune i terreni su questo pendio, nonché la presenza di nuove aperture, abbattimenti, ricostruzioni e ridotte a sud. Sembra dunque avvalorata l’ipotesi che l’angolo di sud-ovest della cinta muraria abbia subito nel tempo un graduale slittamento verso il basso, quando non era più prevalente l’interesse a consolidare le difese del castello, piuttosto quello di racchiudere e circoscrivere in un unico ambito le vecchie e nuove edificazioni signorili, sorte a scapito di terreni della comunità. Sul versante che guarda San Vito le mura risalivano verso il Castello dei Nove Merli, con un tracciato visibile solo in minima parte. Non è quindi agevole ricostruirne il tracciato, ma si può supporre che non abbiano mai inglobato il villaggio e che solo con alcune ridotte raggiungessero le case del borgo antico.
Il castello che domina il luogo da questo rilievo sembra dunque volgersi più verso ovest e sud ovest piuttosto che verso il borgo di San Vito. Questa considerazione è suggerita anche dal fatto che la più antica porta d’accesso attraverso il ricetto si apriva sul lato ovest: tale porta ora perduta, si chiamava di “Testafer”. Invece la porta situata ad est, attraverso la quale ancor oggi si passa provenendo da San Vito, è detta Porta Nuova o d’Oriente.
Poco più a valle della chiesa di San Pietro esisteva fino alla fine del XVIII sec. una cappella dedicata a Sant’Anna, ricordata nella visita pastorale del 1775. Fu probabilmente sacrificata alle esigenze della costruzione di un giardino all’italiana voluto dal conte Vittorio Piossasco: oggi ne rimane traccia in un’apertura, forse una porta, nel terrapieno del giardino che costeggia la rampa di accesso al castello dei Nove Merli.
Informazioni:
Il castello dei Nove Merli è adibito a ristorante. La cappella di San Pietro è visitabile su prenotazione rivolgendosi al ristorante, tel. 011 9041388
Links:
https://www.comune.piossasco.to.it/it/page/i-beni-artistici
https://www.comune.piossasco.to.it/it/page/la-storia-116da999-f3fb-4b07-b9ec-063cefbc98aa
Bibliografia:
MORELLO G.; MARTINATTO G:, MOTTURA F., Piossasco: storia e beni artistici, Comune Piossasco, Compagnia San Paolo, Pro Loco Piossasco, Piossaco TO, 2001.
Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
30 luglio 2010 – aggiornam. luglio 2014 – maggio 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Pinerolo (Val Chisone) (TO) : Roc del Col
Storia del sito:
Gli scavi, eseguiti nel 1983 dal CeSMAP, sotto l’egida della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, hanno messo in luce un insediamento stagionale di pastori-agricoltori della Media Età del Bronzo (1.500 a.C.), che avevano conquistato gli alti versanti alpini.
Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
Tra i reperti rinvenuti sono degne di nota alcune forma vascolari, come le olle alle quali era applicato a ditate un cordone, le ciotole globose con ansa a nastro impostata sull’orlo, le tazze carenate ad orlo estroflesso. Tra gli altri materiali si annoverano asce levigate in pietra verde, uno scalpello, anch’esso in pietra verde, una fusaiola litica piatta, con foro cilindrico e decorata da linee raggiate sulle due facce. Infine sono state rinvenute numerose macine in pietra e migliaia di semi di cereali carbonizzati, conservati in un largo pozzetto all’estremità occidentale dello scavo.
Informazioni:
Sito non visitabile. L ‘insediamento preistorico di Roc del Col occupava la sommità della cresta rocciosa a quota 2083 m che divide, all’altezza di Pourrieres, il versante orografico sinistro della Val Chisone dal vallone glaciale di Cerögne.
Link:
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/roc_col.htm
Bibliografia:
MERCANDO L., 1998, Archeologia in Piemonte, Allemandi Ed.
Fonti:
Fotografia da www.cesmap.it
Data compilazione scheda:
23 settembre 2003 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Federico Vigo – Gruppo Archeologico Torinese
Pinerolo (TO) : Palazzo dei Principi d’Acaja
Storia del sito:
Il Palazzo dei principi d’Acaja rappresenta la storia della città, una storia che inizia molto prima rispetto al suo anno di edificazione in quanto esso fu costruito come abitazione dei Principi a fianco dell’antico Castello, di cui oggi non rimane quasi più nulla. Già nel 1064, anno a cui risalgono le prime notizie certe sull’esistenza di Pinerolo, esisteva il Castello, situato sulla collina di fianco a quella di San Maurizio. Si trattava probabilmente di un piccolo edificio nato per contrastare i saraceni, ma venne ampliato e fortificato dai Savoia che vi abitano fino al 1300.
Nel 1318 Filippo, primo dei principi Acaja a governare Pinerolo, fece costruire il Palazzo, così al vecchio Castello restò la funzione di sola difesa e non più di abitazione. Nel 1330 lo stesso Filippo fece ampliare le opere murarie della Cittadella che include il Castello, lavori che vennero terminati solo 28 anni dopo.
Durante la prima dominazione francese (metà del 1500) vennero aggiunti quattro bastioni alla cinta delle mura che fino ad allora erano solo merlate; a questo scopo si abbatterono diverse case del borgo superiore o di San Maurizio. Nel 1630, Pinerolo venne nuovamente conquistata dai francesi agli ordini del Cardinale Richelieu, che, per trasformare Pinerolo in città-fortezza, affidò i lavori al famoso architetto militare Vauban: a partire dal 1632, si restaurarono le vecchie fortificazioni e il Castello, venne ampliata la cittadella e si scavò un ampio fossato fra la Cittadella e San Maurizio. Il castello divenne la famigerata prigione di stato nota in tutta Europa con il nome di “Donjon”. Nel 1696 i piemontesi con altri alleati assediarono Pinerolo e nel 1698, in seguito ad accordi con Luigi XIV, la città ritornò sabauda; in cambio della cessione il Re di Francia chiese l’abbattimento della Cittadella, che scomparve così insieme alle sue mura: l’antica fortezza restò castello di difesa in parte adibita a prigione.
Attualmente in attesa di restauri.
Descrizione del sito:
PALAZZO DEI PRINCIPI D’ACAJA : attualmente nel cortile è ancora presente un piccolo loggiato, mentre nei saloni interni, manomessi da usi impropri, sono andati in parte distrutti gli affreschi monocromi risalenti agli ultimi anni del XV secolo, che rappresentano episodi della Casa Savoia e del beato Amedeo IX.
CASA DEL VICARIO. Fu la residenza del vicario abbaziale di Santa Maria in Borgo di San Verano ed è il perno d’angolo di un complesso di edifici nei quali si coglie ancora la tipica caratteristica difensiva degli agglomerati medioevali. La casa, profondamente rimaneggiata all’interno, conserva ancora i fregi in cotto delle facciate, mentre sull’angolo smussato è visibile la cosiddetta “pietra della berlina” (pejra dla rajson), alla quale venivano costretti i debitori.
Informazioni:
Tra v. Principi d’Acaja e v. al Castello. Biblioteca, tel. 0121 374505 o ufficio del Turismo 0121 795589; email: info.pinerolo@turismotorino.org. Il Palazzo dei Principi d’Acaja è attualmente chiuso per restauri.
Links:
http://pignerol.altervista.org/palazzo_Acaia.pdf
Fonti:
Fotografia da www.scopripinerolo.it
Data compilazione scheda:
07/09/2008 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
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