Provincia di Torino

Settimo Vittone (TO) : Battistero e Pieve di San Lorenzo

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Storia del sito:
Per datare l’edificio all’VIII secolo il Verzone ha proposto un confronto con il battistero di Lomello, non tenendo in gran conto – se non come termine “post quem” – la lapide barocca che ricorda come qui avesse dovuto trovare sepoltura, nell’879, Ansgarda, moglie del re Ludovico il Balbo. Il Kingsley Porter e la critica più recente (Pantò) datano invece l’edificio al IX secolo, soprattutto in base alla citata iscrizione. Il Chierici propone il X e cita il Perogalli che lo vorrebbe addirittura contemporaneo alla chiesa (XI secolo). La Pantò scrive che l’iconografia richiama edifici di età ambrosiana, anche se nessuno dei superstiti è molto vicino a questo e conclude: “La datazione ad età paleocristiana o altomedievale, per quanto riguarda la fase più antica, può essere confermata”.

Descrizione del sito:
L’edificio è costituito da una chiesetta rettangolare e da un battistero ottagonale congiunti da un vano intermedio. Il battistero ha pianta ottagonale con nicchie rettangolari, scavate nello spessore dei muri su ogni lato. Quella orientale più profonda e più larga serve da abside quadrata.
Pianta_1La porta originaria si trovava sul muro occidentale ed era architravata, attualmente è chiusa (forse dall’età romanica) e l’entrata principale è sul lato settentrionale; dalla parte opposta il muro è stato completamente abbattuto per permettere la costruzione di un passaggio diretto con la chiesa. La parte superiore dell’edificio è stata rifatta in età romanica.
Nel tamburo in corrispondenza delle nicchie sono visibili quattro finestre a spalle dritte archivoltate. Originariamente più larghe e più basse delle attuali. La muratura altomedievale è spessa fino a 1,15 m ed è costruita di ciottoli e pietrame a opus incertum. Internamente ha volta a spicchi e l’abside presenta una volta a crociera di età romanica. A quell’epoca risalgono anche la monofora a doppio strombo sulla stessa nicchia e il campaniletto che sorge sopra la cupola; questo è diviso in due piani, ciascuno dei quali presenta sui lati una coppia di archetti ciechi; nel primo piano si aprono quattro feritoie, nel secondo quattro bifore. Manca qualunque tipo di decorazione, così come manca anche nella chiesa.
Quest’ultima è unita al battistero da un passaggio, ma in origine i due edifici erano separati. Oggetto di alcuni interventi di restauro, che hanno comportato fra l’altro la ricostruzione delle finestre, offre i maggiori motivi di interesse nella pianta a croce, frutto di un’aula rettangolare alla quale sono addossate tre cappelle rettangolari più basse, e nel tipo di copertura a botte su tutti e quattro gli ambienti.

All’interno pregevoli AFFRESCHI, vedi descrizione e immagini sui siti sotto indicati.

Nel corso dell’intervento di scavo, attuato nel 2014 all’interno del battistero, sono emerse evidenze relative ad un edificio precedente che hanno imposto l’indagine integrale del vano. Gli scavi archeologici, ancora in corso sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie, stanno rivelando l’esistenza di un edificio battesimale, la cui datazione è al momento oggetto di approfondimenti, precedente a quello esistente in elevato. Solo il completamento delle indagini archeologiche e lo studio integrale dei reperti rinvenuti durante lo scavo permetteranno la definizione puntuale della planimetria del complesso più antico e della cronologia dello stesso.

Informazioni:
Si deve salire al castello arroccato sopra il borgo vecchio. Nella corte interna si trova il complesso architettonico composto dal battistero e dalla chiesa di San Lorenzo. Piazza Conte Rinaldo, 7
Proloco e FAI  tel. 0125 48744  oppure 349 559 1345

Links:
http://it.wikipedia.org/wiki/Pieve_di_San_Lorenzo_%28Settimo_Vittone%29

https://www.chieseromaniche.it/Schede/360-Settimo-Vittone-San-Lorenzo.htm

Bibliografia:
PANTÒ G., Settimo Vittone. Pieve di san Lorenzo e Battistero, in Atti del V Convegno Nazionale di Archeologia Cristiana, Roma 1979, pp.157-161
G. ROMANO (a cura di), Piemonte romanico, Torino 1994
CHIERICI S., CITI D., Italia Romanica. La Val d’Aosta, la Liguria, il Piemonte, 1994
Mattalucci-Note_su_due_affreschi_tardo_medievali_.pdf

Fonti:
Info e piantina dal sito www.prolocosettimovittone e pagine successive cui si rimanda per approfondimenti. Foto in alto da:
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Settimo_Vittone_Pieve_San_Lorenzo_3.JPG .
Foto in basso archivio GAT.

Data compilazione scheda:
20/08/2004 – aggiornam. giugno 2014 – gennaio 2025

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G. A. Torinese

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Bifora

Settimo Vittone (TO) : Ruderi del castello di Cesnola

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Storia del sito:
I primi riferimenti a “Cisnolis” (probabile diminutivo di Cesinola da Cesina che significa “bosco tagliato”) si trovano in un documento datato 1042, la dote dell’abbazia di Santo Stefano di Ivrea, in cui si fa menzione di un “massaritium unum cum sedimine, casis, cascinis, campis, vineis, pratis, boschis, buscaleis, cum omne onore et integritate in Cisnolis”. Questo territorio fu sottoposto ai signori di Settimo Vittone.
Nel 1180 Vercelli infeudò Roberto di San Martino del cosiddetto Castelletto, con l’obiettivo di evitare la tassa sulle macine da mulino che imponeva Ivrea, facendo passare quelle destinate al suo territorio attraverso questo castello e poi direttamente a Bollengo, dove si trovava un altro castello di proprietà dei vercellesi. Ma l’espediente non ebbe fortuna per molto tempo e la questione delle “molarie” ritornerà a pesare negativamente sui rapporti dei due comuni.
La parte più antica della struttura è il grande torrione di pietra (dongione), risalente all’XI secolo circa. Attorno a questa torre si formò il primo nucleo del castello, che poi venne ampliato e fortificato durante i tre secoli successivi, sino a raggiungere un perimetro di 175 metri.
I feudatari del castello avevano diritto di esigere il pedaggio da chi transitava per le loro terre, diritto che venne revocato da un editto imperiale nel XIII secolo. Questo fatto potrebbe aver costretto i signori del luogo ad estorcere denaro in modo meno legale; la rapina divenne poi nuovamente diritto, quando nel 1313 una commissione inviata dai Savoia – che avevano allargato il loro dominio fino alla Marca d’Ivrea – appurò lo stato di bisogno del feudo e la conseguente necessità di esigere pedaggio.
Gli ultimi signori di Cesnola furono i Palma, tra cui il conte Luigi (1832-1904) che fu console statunitense a Cipro, archeologo e direttore del Metropolitan Museum of Art di New York. Infine le rovine passarono di proprietà del beneficio parrocchiale della pievania di Settimo Vittone.

Descrizione del sito:
Del castello è rimasto parte del dongione a pianta quadrata, di cinque metri di lato ed oltre un metro di spessore, la cui porta d’accesso, voltata a tutto sesto, si trova a diversi metri dal suolo.
Si nota ancora la trasformazione dei merli da ghibellini a guelfi, mediante il riempimento della ‘coda di rondine’ con sassi che appaiono disposti in modo meno preciso, almeno a paragone del resto dell’opera.

Informazioni:
I ruderi del castello, detto anche Castelletto, sono nella frazione  Cesnola; dalla piazzetta con la fontana parte un sentiero che, in circa 20 minuti di cammino, sale alle rovine.  Comune di Settimo Vittone, tel. 0125 658409

Link:
http://www.comune.settimovittone.to.it

Fonti:
Fotografia in alto di Luciano Bertolo.
Notizie e fotografie in basso tratte nel 2007 dal sito http://www.ncc1701a.polito.it/trekking/castelli/scheda.asp?id=13&car=1&cnt=1 , non più attivo nel 2014.

Data compilazione scheda:
05/09/2007 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Settimo Vittone – Montestrutto (TO) : Chiesa di San Giacomo

Storia e descrizione del sito:
La chiesa romanica, che risale al secolo XI, molto visibile perché posta sulla rupe, era una tappa importante per i pellegrini che percorrevano la via francigena: di ciò è indizio il campanile in facciata che s’incorpora con il lato meridionale, seguendo così i dettami dell’architettura itinerante europea.
Vicino ad essa, nel XII secolo, sorse il castello vescovile, di cui si conservano scarsi resti nell’edificio ricostruito nell’ottocento in stile neogotico.
La chiesa di San Giacomo conserva la facciata originale e gli antichi affreschi che ornano la prima parte della navata interna. La chiesa subì, infatti, un’opera di ampliamento nel corso del XV secolo, alla quale si devono l’innalzamento del campanile e il prolungamento della navata.

Informazioni:
Via Vittorio Emanuele, 34.   Comune, tel. 0125 658409

Fonti:
Fotografia da http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Settimo_Vittone_Montestrutto_Chiesa_SanGiacomo.JPG

Data compilazione scheda:
5/9/2007 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Scarmagno (TO) : Resti della Cappella di San Giacomo

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Storia del sito:
Costruita prima del 1000, dai ruderi esistenti tutt’ora si vede che furono riutilizzati materiali di un più antico edificio. Probabilmente era una chiesa plebana, anche perché era in parte circondata da un cimitero. La porta di ingresso, alla quale si accedeva per mezzo di una scala o di una rampa, si trovava sulla parete nord.

Descrizione del sito:
L’edificio, in parte crollato, si presenta a pianta rettangolare ad una sola navata, in testa alla quale era l’abside semicircolare di 2,20 m di raggio. L’orientamento della chiesa è sull’asse est-ovest. La muratura è molto rozza, con grossi blocchi di pietra squadrata e pietre disposte a spina di pesce intervallate da corsi di embrici che formano strisce orizzontali sulle pareti esterne. L’apparato murario dell’abside, su cui si aprivano probabilmente tre monofore a doppia strombatura, di cui quella nord-occidentale ancora visibile, non presenta alcun ornamento anche se, da un disegno eseguito nel 1913 da Alfredo D’Andrade, sembra che ci fosse un coronamento a cornice sostenuta da dentelli.
Essendo la chiesa situata quasi totalmente su un pendio, con il piano di calpestio a livello del terreno a occidente, ora pianeggiante, è ancora possibile notare parte dello zoccolo rinforzato di fondazione che fuoriesce consunto e sbrecciato in corrispondenza dell’abside e dei lati nord e sud. Internamente la copertura era a nude tegole.
Una particolarità di questa chiesa è la presenza all’interno, nei muri laterali, di piccole cavità quadrate rivestite di embrici. La loro funzione, confermata dalla visita pastorale di mons. Asinai del 1652, era quella di servire da supporto alle lucerne che illuminavano la chiesa. Le nicchie nel presbiterio (presenti anche in S. Pietro in castro a Pavone, S. Lorenzo a Settimo Vittone, nel Gesion di Piverone e in altre) dovevano avere anche altri utilizzi, particolarmente se poste sulla sinistra (“in cornu Evangelii”) per riporre le ampolline, il campanello e a volte anche il calice.
Un frammento di affresco, ormai illeggibile, si trova ancora sulla parete sud, a sinistra della finestrella a feritoia.

Descrizione dei ritrovamenti:
Una pietra, collocata nello stipite della porta, reca le lettere “ROMAVAV”; un piccolo frammento di cippo funerario romano con incise le lettere “L • COR///”, che il Cavaglià ha attribuito al I sec. d.C.
L’altro stipite della porta era formato anche da un frammento (menzionato dal Boggio e disegnato dal D’Andrade nei suoi appunti) su cui era incisa la scritta “RIMIGAV”. Questo reperto col tempo era scomparso dal suo posto originario a causa del crollo del muro e venne ritrovato nel 1974 tra le macerie della chiesa; subito dopo venne trasferito nel lapidario del palazzo vescovile di Ivrea. Presumibilmente risale ai secoli VIII-X.

Informazioni:
I resti dell’edificio, nascosti dalla vegetazione, sono su terreno di proprietà privata, all’ingresso sud del paese, nei pressi di via Màsero, non lontano dal Municipio. Comune, tel. 0125 739153

Link:
http://www.comune.scarmagno.to.it

Fonti:
Notizie e fotografie tratte nel 2007 dalla pagina del sito del Comune di Scarmagno.

Data compilazione scheda:
16/05/2007 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Scarmagno (TO) : Cappella di Sant’Eusebio al Màsero

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Storia del sito:
La chiesa di Sant’Eusebio venne costruita tra la fine del X secolo e i primi anni dell’XI. Secondo alcune testimonianze orali, vicino alla chiesa furono rinvenuti delle sepolture con grossi mattoni o lastre di cotto, che farebbero pensare un antico cimitero, forse anche altomedievale; non lontano dalla chiesa, a ovest, è stato rinvenuto recentemente un insediamento rustico con attività metallurgica datato ad un periodo compreso tra l’avanzata età imperiale e il IV-V secolo d.C. Controverso è il motivo della dedicazione a sant’Eusebio.
Esternamente fu rifatta la facciata, mentre sui due lati e nell’abside sono conservate le forme romaniche.
La chiesa conserva un pregevole affresco del 1424.

Descrizione del sito:
La chiesa è abbastanza ben conservata. Ha una sola navata rettangolare con al fondo l’abside semicircolare e si presenta ancora con il soffitto a capriate, anche se fu sopraelevato successivamente. L’abside è scompartita in tre campi divisi a paraste e con una coppia di archetti pensili per ciascun campo. I due lati della chiesa sono decorati dalla successione di cinque coppie di archetti pensili separati da lesene. Al centro della navata sul lato sud, in corrispondenza esterna della mancanza della specchiatura con archetti, si trovava in origine una porta; lo prova la lunga e spessa soglia in pietra rimasta ancor oggi murata nel suo luogo originale. Inoltre sulla specchiatura alla sua sinistra è possibile intravedere attraverso l’intonaco il tamponamento di una monofora.
Internamente l’abside era affrescata e, attraverso il bianco della calce, si notano macchie di affreschi dove al centro vi potrebbe essere la figura di un vescovo.
Un AFFRESCO opera del “Maestro del chirurgo Domenico della Marca d’Ancona” vedi scheda, ben conservato e delle dimensioni di m 2,68 x 1,56 è dipinto sulla parete destra: composto da cinque riquadri, è contornato da una cornice sulla quale si possono leggere alcuni nomi dei santi raffigurati e la data in cui fu eseguito (MCCCCXXIIII). Nel riquadro centrale è la Madonna che allatta il Figlio, in quelli a sinistra si trovano un Santo martire (san Defendente?) il cui nome è indecifrabile e san Sebastiano, nei due a destra sant’Eusebio e sant’Antonio abate. L’opera presenta elementi tipici della pittura gotica.

Informazioni:
Provenendo da Scarmagno, prima di entrare nella borgata Màsero. Comune di Scarmagno, tel. 0125 739153

Links:
http://www.comune.scarmagno.to.it

http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_sant%27Eusebio_al_Masero

Bibliografia:
FERERO F.; FORMICA E., Arte medievale in Canavese, Priuli e Verlucca, Torino, 2003
BONICATTO Simone, Il Maestro del chirurgo Domenico della Marca d’Ancona e il contesto pittorico del Canavese, Editris, Torino 2022
C. Boggio, Ivrea 1910, p. 11; R D’Andrade, Lisbona 1957, p. 274; G. Forneris, Ivrea 1969; D. Brancolini Fea, Milano 1975, p. 382; P. Ramella, Pavone C. 1980, p. 242; C. Caramellino, Lyon, p. 187-191; C. Caramellino, 1981-83, p. 15 sgg.; P. Venesia, Ivrea 1989, p. 249-250; M. Baldi, Turbigo 1991, p. 143; L. Brecciaroli Taborelli – M. Cima, Torino 1998, p. 245-248; G. Cavaglià, Chivasso 1998, p. 139, 219; C. Tosco, Roma 1998, p. 672, 684; A. Diano, Treviso 1999, p. 263.

Fonti:
Fotografie in alto e in basso  da Wikipedia, ultima in basso dal sito del Comune .

Data compilazione scheda:
16/5/2007 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sauze di Cesana (TO) : Chiesa di San Restituto

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Storia del sito:
Il sito è del XII secolo. La chiesa venne ampliata più volte nel corso dei secoli successivi, e svolse anche le funzioni di fortilizio durante le guerre di religione che ebbero come teatro la val Chisone e, nella seconda metà del XVI secolo, la val di Susa.
Nel 1996 sono stati avviati lavori di restauro e ristrutturazione.

Descrizione del sito:
La chiesa è lunga 40 metri e larga 12, poggia su un terreno molto franoso e ricco di falde d’acqua sorgiva. La chiesa è formata da un’unica navata. Degli antichi addobbi e dei mobili non rimane praticamente nulla. All’esterno si possono ammirare le bifore del campanile e gli archetti che corrono (in una piccola parte) lungo i lati dell’edificio, nella sua parte più antica. Altre notizie nei siti sotto indicati.

Informazioni:
La strada che porta alla chiesa, a circa 1 km dall’abitato, è sterrata e molto stretta.
Comune tel. 0122 755955

Links:
https://www.comune.sauzedicesana.to.it/it

http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/sit-cartografico/beni-culturali/beni/vsusamed/vsusamed-sauzecesana1

Fonti:
Fotografie archivio GAT.

Data compilazione scheda:
18 novembre 2003 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Valter Bonello – Gruppo Archeologico Torinese

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Sauze d’Oulx (TO) : Chiesa di San Giovanni Battista

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Storia del sito:
Nelle vicinanze di Sauze, in frazione Richiardette, nel 1933 furono rinvenuti 462 vasi in ceramica, due coppe in bronzo e alcune monete, il tutto facente parte di un deposito votivo databile tra il I e il IV secolo d.C.
Nel Medioevo Sauze entrò a far parte dei territori legati all’Abbazia di Novalesa ed in seguito passò sotto la prevostura di Oulx.
Tra il XIV e il XV secolo venne eretta la chiesa dedicata a San Giovanni Battista, ma l’edificio non venne consacrato fino al 1538. Inizialmente fu eretta soltanto la navata centrale.

Descrizione del sito:
L’edificio ha una navata centrale (la più antica) e lateralmente due vani delimitati da due ampie arcate. All’esterno si può notare il CAMPANILE a pianta quadrata, costruito con blocchi di pietra locale e sormontato da un’altissima cuspide a sezione ottagonale e da quattro guglie triangolari. Le finestre sono delle bifore e al piano superiore delle trifore.

Informazioni:
Via della Chiesa, 8 .  Parrocchia tel. 0122 858014 .

Link:
https://www.comune.sauzedoulx.to.it

Fonti:
Fotografie archivio GAT.

Data compilazione scheda:
24 giugno 2004 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Valter Bonello  – Gruppo Archeologico Torinese

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Sauze d’Oulx – Jouvenceaux (TO) : Cappella di Sant’Antonio abate

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Storia del sito:
La costruzione della cappella di Jouvenceaux risale al XV secolo ed è decorata con affreschi datati tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 ed attribuiti alla scuola pittorica dei fratelli Serra di Pinerolo.
Molte sono le cappelle della valle dedicate a sant’Antonio abate, che nell’iconografia è spesso rappresentato con un maiale ai piedi. A partire dal XII secolo, i frati Antoniani con il grasso di questo animale curavano varie malattie tra cui una forma di ergotismo (intossicazione da segale cornuta) e soprattutto le piaghe dovute all’herpes zoster, detto appunto “fuoco di sant’Antonio”.
La grossa T di “TAU”, che i frati portavano al collo, compare nei luoghi e nelle chiese dove essi prestarono la loro opera e si trovava anche sopra la porta principale della Cappella di Sant’Antonio. La Cappella possiede una bolla papale del 1498 in cui si promettono grazie speciali, “nel caso minacciasse ruine”, a chi l’avesse restaurata.
Un restauro, avviato a primavera 2000, ha permesso lo scoprimento di una splendida Crocifissione e di un ciclo con storie di sant’Antonio abate.

Descrizione del sito:
La cappella presenta una facciata a capanna nella quale, in alto, è aperta una finestrella a tutto sesto mentre più in basso, sulla sinistra, c’è l’ingresso centrale, identico a quello della parete laterale destra. Sormonta l’edificio il tetto in lose ed in fondo sulla sinistra il campanile in pietra.
All’ESTERNO dell’edificio si trovano degli AFFRESCHI, risalenti agli inizi degli anni ‘80 del Quattrocento, testimonianza della ricerca dei valori cristiani nell’inquietudine del Medioevo. Sulla facciata campeggia il Giudizio Universale, mentre sulla parete sinistra vediamo sei riquadri di diverse dimensioni raffiguranti – osservando da sinistra verso destra – l’Arcangelo Michele, l’Annunciazione, sant’Antonio abate, san Cristoforo, la Comunione e la Confessione.
All’INTERNO l’edificio è molto semplice: a destra della porta d’ingresso una scaletta permette l’accesso alla cantoria con balaustra lignea, dove un tempo gli uomini ascoltavano la messa; del resto la chiesetta presenta una sola navata rettangolare, sormontata da soffitto a travi e terminante nell’abside ricoperta da volta a crociera.
Sulle pareti della navata i recenti restauri hanno portato alla luce un ciclo di affreschi con le storie di sant’Antonio abate, analogo a quelli di Ranverso, di Savoulx e di Salbertrand. Gli episodi, su due registri, hanno inizio dalla parete sinistra della navata, continuavano sulla parete di fondo, poi demolita per far posto al presbiterio, e terminavano sulla parete destra. Nel primo riquadro del registro superiore della parete sinistra Antonio, ascoltando l’omelia della messa, decide di abbracciare la vita monastica; nel secondo episodio affida la sorella a un convento di monache; nel riquadro successivo distribuisce i suoi beni ai poveri. La prima scena del registro inferiore rappresenta sant’Antonio assalito dai diavoli; il riquadro seguente mostra il sogno del Santo, che apprende da un angelo l’esistenza di Paolo, un eremita più anziano di lui, e quindi decide di andarlo a trovare, come è narrato nell’episodio successivo, in cui sant’Antonio è guidato da un centauro.
I riquadri del registro superiore della parete destra, molto lacunosi, rappresentano le tentazioni a cui sant’Antonio è sottoposto da parte del demonio. Nel registro inferiore della medesima parete destra, dopo alcuni riquadri molto frammentari, l’ultima scena rappresenta le esequie del Santo.
Nell’ultimo registro in basso della stessa parete, accanto al frammento di una Deposizione, è raffigurata una Madonna con il Bambino e san Biagio; in alto vi è la scritta “hoc opus fecit fieri Johannes Martin [?] ad honorem V[…]”.
Nello spazio triangolare dell’arco santo è affrescata una Crocifissione.

Informazioni:
Rivolgersi alla chiesa di San Giovanni Battista, tel. 0122 858014. UFFICIO I.A.T., tel. 0122 858009

Links:
http://www.comune.sauzedoulx.to.it

http://www.santantonioabate.afom.it/sauze-doulx-fraz-jouvenceaux-to-cappella-di-s-antonio-abate-immagini/

http://it.wikipedia.org/wiki/Cappella_di_Sant%27Antonio_abate_%28Jouvenceaux%29

Bibliografia:
Associazione Amici di Jouvenceaux (a cura di), Cappella di S. Antonio Abate in Jouvenceaux, Nicolodi Editore, Rovereto 2005
FENELLI L., Dall’eremo alla stalla. Storia di sant’Antonio abate e del suo culto, Laterza, Bari 2011

Fonti:
Fotografia in altro di Laurom da http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Jouvenceaux_Cappella_Sant_Antonio_Abate.jpg, in basso da www.santantonioabate.info.

Data compilazione scheda:
12 Maggio 2006 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Salerano Canavese (TO) : Complesso di Sant’Urbano

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Storia del sito:
Il paese è citato – come “Salerana”- nel diploma del 999 di Ottone III a favore della chiesa di Vercelli.
La TORRE circolare è di stile preromanico – carolingio e, per le dimensioni ridotte, si suppone fosse un posto di segnalazione o di vedetta, annesso al complesso del castello, costruito intorno al mille nel luogo dove esisteva già una comunità di Monaci Ambrosiani.
Il maniero fu acquistato nel 1142 dalla Città di Ivrea per poi farne omaggio nel 1181 al comune di Vercelli, creando così secolari rivalità. Ogni decennio i Signori di Mercenasco e Valperga prima, i Consoli di Ivrea poi, dovevano prestare giuramento di fedeltà a Vercelli. Il maniero venne distrutto molto probabilmente nel periodo del tuchinaggio, verso la fine del secolo XIV, e si salvò solo la torre che subì poi alcuni restauri. Poco si sa della Torre nei secoli successivi, tranne che sicuramente fu adibita a torre campanaria probabilmente nel 1200, epoca in cui venne eretta la chiesa presso le rovine del castello. Restaurata nel 1935; nel 1961 il Genio Civile dichiarò la Torre pericolante, invitando a non suonare le campane. Nel luglio del 1976 un fulmine provocò gravi lesioni alla torre, richiamando l’attenzione della Soprintendenza che, a seguito di sopralluogo, ne constatò il valore storico-artistico e paesaggistico e rilevò la necessità di provvedere con opportune opere di consolidamento e di restauro, che furono realizzate nel 1987.

CHIESA: si hanno notizie di un primo edificio realizzato intorno al 1200 in onore di Sant’Urbano Papa. Una sommaria descrizione è contenuta in una relazione presentata da Monsignor Asinai nel 1652: “In luogo alto et claro ai confini di Banchette, Samone e Salerano, fu costruita questa cappella sotto il titolo di Sant’Urbano Papa”. La chiesetta nel 1699 fu visitata da Monsignor Le Sorier che la descrisse minuziosamente rivelando che “aveva la facciata rivolta verso mattina e un’unica navata lunga 14 passi e larga 8”. Nel 1788 Salerano entrò a far parte della Parrocchia di Banchette, e la chiesetta venne intitolata a San Defendente, ma continuò ad avere molta importanza presso la popolazione. Essa fu definitivamente posta in secondo piano nel 1844 quando venne eretta la Chiesa Parrocchiale. A partire dal Settecento, nella Chiesa furono celebrate le messe solo in rare circostanze e fu amministrata da monaci eremiti che alloggiavano nel romitorio. Ma è solo nel XIX secolo che si parla della chiesetta dedicata alla Madonna delle Nevi costruita (o ristrutturata?) “… per voto e dalla popolazione su proprietà comunale…” come attesta una lettera al Pretore di Ivrea datata 1931.
Non si sa con certezza quando venne eretto il ROMITORIO tra la chiesa e la torre, ma si sa che, nella visita pastorale del 1730, si precisa che la casa dell’eremita è distribuita su sei stanze, di cui due adibite a cucina e camera e le altre a magazzino, deposito e cantina.
Solo recentemente è stato avviato il progetto di restauro e risanamento conservativo del complesso di Sant’Urbano.

Descrizione del sito:
La TORRE di SANT’URBANO è a base circolare, originariamente presentava una copertura a volta di cupola, in mattoni pieni e calce, alla sommità della quale si accedeva mediante una scala di legno interna, ancorata al muro. La torre presenta una incorniciatura alla sommità alta circa due metri e, in origine, era completata da una corona di merli. La muratura è di pietrame di varia pezzatura e calce, alternata da due legamenti circolari simmetrici, costituiti da mattoni pieni. Essa ora è inaccessibile perché le aperture sono state murate, la struttura rinforzata esternamente mediante cinture di ferro che ne contengono l’intera circonferenza; la sua copertura è stata rifatta utilizzando coppi ed eliminando anche i due merli superstiti su cui poggiava la campana.

Su una piccola altura, quasi a dominare l’unica piazza del paese, si erge una TORRE QUADRATA di epoca medioevale di cui mancano notizie precise. Si sa che esisteva già nel 1338, ma non si conoscono le vicende della torre nei secoli seguenti; comunque si è mantenuta in discreto stato di conservazione.

Informazioni:
Sopra l’abitato si erge un rilievo collinare detto colle di Sant’Urbano, al quale si accede per mezzo di una stretta strada. Sulla sua sommità sorge l’omonimo complesso di Sant’Urbano costituito dalla cappella della Madonna della neve, dalla Torre di Sant’Urbano e dal Romitorio.

Links:
http://www.comune.saleranocanavese.to.it

http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/geo/001233  (Fotografie della torre quadrata)

Fonti:
Notizie e fotografia tratta dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
03/02/2008 – aggiornamento maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Sant’Ambrogio di Torino (TO) : Sacra di San Michele della Chiusa

Sacra

Storia del sito:
Alla fine del X secolo, più precisamente tra il 983 e il 987, un aristocratico dell’Alvernia, Ugo di Montboissier, stava tornando da un pellegrinaggio a Roma quando, per incitamento del papa Silvestro, fondò una nuova abbazia che dedicò all’arcangelo Michele, e scelse per essa un luogo straordinario sia dal punto di vista strategico che da quello simbolico, il monte Porcariano in Val Susa.
Il sito prescelto infatti sovrasta e domina la strada di Francia, importantissima via di transito di merci e pellegrini
Il toponimo, come quello del Caprasio, sull’altro lato della valle si riferiva agli animali che vi vivevano e fu presto modificato e nobilitato in quello di Pirchiriano, la cui pretesa radice greca pyr (fuoco) faceva riferimento ad una leggenda relativa ad un fuoco celeste che avrebbe avvolto la cima del monte indicando il luogo da scegliere per il nuovo edificio.
La collocazione sul monte ha poi un significato simbolico sul piano spirituale. Spesso il tema della montagna, del cammino in salita è stato assimilato al concetto di ascensione spirituale e/o ascesi mistica e a questo scopo spesso, come qui, la vetta del monte viene inglobata intatta nelle strutture del complesso architettonico come a Mont Saint Michel e a Saint Michel d’Aiguilhe (Le Puy). Inoltre la sua collocazione a metà strada fra gli altri due santuari dedicati in Occidente all’arcangelo, Mont Saint Michel sulla Manica e Monte Sant’Angelo sul Gargano, ne fa automaticamente l’ombelico, il centro del culto.
Nel primo secolo di vita, grazie ai lasciti di pellegrini facoltosi e agli interventi della curia pontificia, la nuova abbazia benedettina aumentò enormemente la propria potenza e le proprie ricchezze specialmente nella Francia centrale e meridionale. Si mostrò sempre fedele a Cluny e acerrima sostenitrice delle proprie autonomie contro i vescovi di Torino territorialmente competenti. Dalla Francia giunsero religiosi e un abate, Benedetto II, che fu tra i più accesi sostenitori del movimento riformatore, favorevole al centralismo papale e contrario ai vescovi di Torino, antiriformatori e filoimperiali. Nell’XI secolo San Michele della Chiusa era una leggenda culturale e spirituale. La sua biblioteca e la sua scuola di grammatica avevano una reputazione europea. L’aristocrazia di passaggio vi sostava spesso, lasciando ad ogni passaggio ricchissimi oboli, donando terreni e costruzioni. All’alba del 1200 San Michele era al massimo del suo splendore e si alleò con i Savoia in espansione al di qua delle Alpi. Il declino cominciò sul finire del XIV secolo. Nel 1375 l’abate Pietro si rifiutò di versare la sua quota per il sussidio straordinario richiesto dalla sede pontificia al vescovo di Torino. Quel rifiuto determinò un’inchiesta, avvelenata dallo scontro di potere in atto, che portò ad un’accusa di corruzione e lascivia. L’abate e i monaci a lui più legati vennero scomunicati. L’interdetto papale venne applicato nel 1379. Dopo due anni l’abbazia fu costituita in commenda ed affidata alla protezione di Amedeo VI di Savoia. Con la nomina dei commendatari, estranei alla vita monastica e talora laici, cominciò la lenta agonia dell’abbazia. Le guerre tra Spagna e Francia la videro spesso trasformata in fortezza e destinata a subire guasti e devastazioni. Nel 1622 restarono soltanto tre monaci e papa Gregorio XV ordinò la sospensione della vita monastica in san Michele. Fu Carlo Alberto nel 1836 a tentare di far risorgere a nuova vita il monastero. Vi furono trasportate ventiquattro salme di principi di Casa Savoia già tumulate nel Duomo di Torino e venne affidata in perpetuo ai Padri Rosminiani che vi rimangono tuttora.

Descrizione del sito:
Dal piazzale del parcheggio la prima costruzione che si incontra è il cosiddetto “sepolcro dei monaci”. Si tratta dei resti di un’antica costruzione che si riteneva fosse una cappella cimiteriale, ma appare più realistica oggi l’ipotesi che vede in questo edificio a forma ottagonale la riproduzione del Santo Sepolcro, quasi un anticipo ai pellegrini del Sepolcro di Gerusalemme; un luogo quindi di forte evocazione della morte e resurrezione di Cristo, ma anche un richiamo alla Gerusalemme celeste più ancora che a quella terrestre. Oltrepassata la foresteria, fabbricato coronato da merli ghibellini, e destinato ad ospitare i pellegrini in visita all’abbazia, ci troviamo di fronte la maestosa mole del monastero “vecchio”, un primo ampliamento di quello fatto costruire dal fondatore Ugo di Montboissier. Di antico rimangono solo le pareti esterne.
Al termine del viale ci troviamo di fronte un complesso di fortificazioni, che costituivano il baluardo avanzato di difesa dell’abbazia. E che attraversiamo passando per un portale difeso da una torretta. Siamo di fronte ora alla parte più imponente dell’abbazia. Belle pietre squadrate formano l’altissimo basamento grigio-ferrigno che sostiene le absidi verdognole della chiesa, con l’abside centrale coronata da una galleria ad archetti che è fra i migliori esempi di logge absidali romaniche. I monaci di San Benedetto intrapresero il ciclopico lavoro nella prima metà del XII secolo, proprio per creare lo spazio per ingrandire la preesistente chiesa.

Varcato il portone di accesso, che si apre nell’alto basamento, ci troviamo alla base dell’arditissimo scalone, che sale ripidissimo alla chiesa sovrastante, aggirando il pilastro colossale (m 18,36) che sostiene con i suoi quattro archi in croce la sovrastante chiesa. Un tempo questo atrio era assai sfruttato come sepoltura di uomini illustri: abati e benemeriti del monastero, per cui prese il nome di “scalone dei morti”. In cima all’ultima rampa, a metà strada tra l’ingresso e il portale della chiesa si apre il PORTALE DELLO ZODIACO. E’ così denominato, perché gli stipiti nella loro facciata rivolta verso lo scalone, sono scolpiti a destra con i dodici segni zodiacali e a sinistra con le costellazioni australi e boreali. Sosta di meditazione, stimolata dalla forza delle sue immagini e delle sue scritte epigrafiche prima di compiere l’ultimo sforzo ed accedere al portale della chiesa, privo a causa del rifacimento gotico, dell’iconografia tipica dei programmi apocalittici degli imponenti portali romanici. La sequenza è incentrata sulla meditazione dei frutti della giustizia e della malvagità. Le sculture sono accompagnate da una serie di iscrizioni il cui significato va ben al di là del generico “carattere didascalico moraleggiante” e mostrano chiaramente modi e mani diverse:
­ Nicholaus: autore oltre che dei due pilastri di alcuni capitelli (capitello con Caino ed Abele, capitello con figure di litiganti) e delle due basi figurate (una con leoni, l’altra con grifoni);
­ Maestro di Rivalta: tagliapietre anonimo di estrazione lombarda operoso altrove in Piemonte (capitello con la lussuria, capitello con sirene e di quello con Sansone che abbatte il tempio);
­ Pietro da Lione, raffinatissimo artista che ha lasciato la sua firma su un altare marmoreo della cattedrale di Susa.
A destra salendo l’ammonizione a compiere il bene per essere apparentati allo “iustus Abel” nella salvezza e non essere travolti dall’ira del Signore.
A. Quattro colonnine: due interne e due esterne di cui due elegantissime tortili sostenute da quattro piedistalli marmorei, due senza decorazioni, uno floreale e uno ornato da leoni dalla coda fogliata che stanno prendendo in bocca una palmetta, simbolo della vittoria in generale e, in questa accezione, simbolo della vittoria di Cristo sulla morte (Leone = Cristo che vince la morte = resurrezione. Già Isidoro da Siviglia aveva indicato nel leone una rappresentazione di Cristo e/o ruolo di difensore del sacro. Il leone infatti è sì un animale che dà la morte, ma la morte è un passaggio ineliminabile per accedere alla seconda vita).
B. Stipite: Nel mezzo fra le quattro colonnine è rappresentata la totalità del cosmo organizzato.
­Lato verso lo scalone: Le figure delle dodici costellazioni zodiacali sono effigiate in undici cerchi formati da due rami intrecciantisi. I cerchi sono undici perché il terz’ultimo verso il basso porta due segni. Ogni figura ha il suo nome a fianco, inciso a stampatello con minuscoli fregi. Ecco i nomi letti dall’alto in basso e corrispondenti ai dodici mesi dell’anno da gennaio a dicembre: Aquarius, Pisces, Aries, Taurus, Gemini, Cancer, Leo, Virgo, Libra, Scorpio, Sagitarius, Chapricornus.
­ Lato interno: cosiddetto “tralcio abitato”, in realtà, un albero che affonda le sue radici nella bocca di un mascherone rovesciato, simbolo del mondo sotterraneo, così come la chioma esprime quello superiore o celeste, segno di perpetua rigenerazione e quindi ancora una volta della costante vittoria sulla morte. Inerpicati tra i rami esseri umani e animali alati e non ma soprattutto in alto un piccolo bambino nudo, l’unico in posizione frontale che pare sovrintendere a tutto quell’affannarsi in salita. Esso ci riporta in mente la profezia della nascita di Cristo in Isaia 11: “et egredietur virga de radice Jesse, et flos de radice eiusascendet, et requiescet super eumspiritum Domini…” ai bordi stanno questi due versi che terminano con il nome dell’autore: “Vos qui transitissursumvel forte reditis/voslegite versus quosdescripsit Nicholaus” (Voi che andate in su o forse scendete, /leggete i versi che descrisse Nicolao).
C. Sette capitelli. Dall’interno 1. Floreale fantastico. 2. Simbolico. Scolpito su due soli lati. Contrapposizione fra lo “iustus Abel” ed il malvagio Caino. Lato 1 : Caino ed Abele indicato come il favorito dalla mano che sostituisce la figura di Jahvè fanno a Dio la loro offerta, come appunto dice la scritta che sta sopra “Munus Abel gratumconstatqueCainreprobatum (Il dono di Abele è gradito, ma quello di Caino viene respinto). Lato 2: Caino uccide Abele (violenza) per suggestione di una figura demoniaca alle sue spalle che si afferra con ambedue le mani una lingua smisurata tentando di strapparsela (menzogna) “Justus Abel moriturcumfratris fuste feritur” (Il giusto Abele muore ucciso dal bastone del fratello) 3. Floreale fantastico 4. Classicheggiante 5. Classicheggiante. 6. Simbolico. Capitello con personaggi nudi accosciati che si afferrano reciprocamente per i capelli (ira). scolpito su due lati assai corroso dal tempo, mostra tre persone furibonde che si strappano i capelli a vicenda. Rappresentazione dell’ira. La frase scritta sull’abaco recita “Hic locus est pacis causas deponite litium” (Questo è il luogo della pace – deponete ogni cagione di litigio) 7. Simbolico – scolpito su due lati – avventure di Sansone (tradizionale prefigurazione di Cristo). Lato 1: Sansone viene arrestato e ubriacato da Dalila. Lato 2: Sansone scuote le colonne del tempio dei Filistei.

A sinistra salendo l’invito alla meditazione sul peccato che non solo impedisce la salita al monte, cioè il processo di ascesi, ma scatena inevitabilmente la collera divina.
A. Tre colonnine: una sfaccettata e due cilindriche, sostenute da tre piedistalli. Due senza decorazioni, uno formato da due grifoni affrontati che appoggiano il becco d’aquila su una testa umana.
B. Stipite:
­ Lato verso lo scalone: è ornato di 16 costellazioni, racchiuse in dodici riquadri ciascuna con il suo nome scritto sul lato destro. Si susseguono dall’alto in basso , e cioè dalle prime, boreali, alle successive, australi. Rovinata la prima in alto mancante anche del nome, ecco i nomi delle altre 15: “Aquila, Delfinus – Pegasus, Deltoton, Orion, Lepus – Canis – Anticanis, Pistrix, Eridanus, Centaurus, cetus, Nothius – Ara, Hidra” Sul lato sinistro si legge questo verso “Hoc opus ortatursepius ut auspiciatur” (Questo lavoro invita ad essere guardato più volte). Il primo verso della serie, proprio di fronte a chi sale, gli altri versi sugli stipiti interni.
­ Lato interno: al centro cd. “tralcio abitato”, in realtà, un albero che affonda le sue radici nella bocca di un mascherone rovesciato, simbolo del mondo sotterraneo, così come la chioma esprime quello superiore o celeste, segno di perpetua rigenerazione e quindi ancora una volta della costante vittoria sulla morte. Sulla cornice superiore “Hoc opus intendat, quisquis bonus exi(t et intrat) – Questo lavoro lo interpreti chi è capace. Sulla cornice inferiore “Florescumbeluiscomixtos ce(rnite)” – Si vedono fiori mescolati a belve. Con riferimento alla profezia di Isaia.
C. Sei Capitelli: Dall’interno: 1.Nel lato centrale figure femminili tormentate da enormi serpenti che, strisciando sul loro corpo, addentano loro i seni e i piedi (la lussuria) ovvero due donne che allattano quattro serpenti, le code dei quali si mutano in teste che mordono i piedi delle donne stesse. Sulle facce laterali del capitello vi sono scolpiti un uomo venerando, forse sacerdote e un angelo (ovvero libera rappresentazione della Madre Terra). 2.Quattro falconi in cerchio (raffigurazione simile nel pulpito di S. Ambrogio a Milano) 3. Classicheggiante 4. Classicheggiante: rovinato da un fulmine 5. Leone con testa di drago e occhio feroce, in marmo bianco roseo 6. Tre tritoni: busti umani che s’innestano in code di pesce o sirene (raffigurazione simile nel pulpito di S. Ambrogio a Milano)
La trabeazione che incornicia ambo i lati è formata da tre pezzi marmorei, disuguali e mal connessi.

Oltrepassata la Porta dello Zodiaco ci troviamo allo scoperto sotto il gioco di quattro imponenti contrafforti e archi rampanti, ultimati negli anni 1935-1937, allo scopo di sostenere la parete meridionale della chiesa che dava pericolosi segnali di cedimento. Una lunga scala di pietra conduce alla porta d’ingresso della chiesa. Alla chiesa si accede attraverso un grandioso portale romanico, incorniciato da un gocciolatoio che termina a destra con la testa di un monaco incappucciato. Chiaramente gotici e aggiunti tardivamente sono ai lati gli archetti gotici trilobati. I battenti della porta furono fatti eseguire dal re Carlo Felice nel 1826. Incastrata in alto, a sinistra del portale, una lapide funeraria romana del I secolo d.C. Appena entrati all’interno della chiesa, in fondo alla navata destra, campeggia un grande affresco, attribuibile a Secondo del Bosco da Poirino (1505) che raffigura in tre scene distinte la sepoltura di Gesù, la Madonna morta (soggetto piuttosto raro) e la Madonna assunta. La chiesa attuale, iniziata all’incirca a metà del XII secolo per ingrandire la primitiva chiesa eretta da Ugo, fu ridotta in cattive condizioni dalle frequenti incursioni nei secoli di soldati piemontesi, francesi e spagnoli e subì numerosi restauri. Le absidi e la prima campata di archi, sostenuta da due enormi pilastri rotondi, tutti in serpentino verde, furono costruite per prime sopra l’atrio dei Morti, quando ancora si usava la chiesa di Ugo. Al fondo dell’abside centrale campeggia un colossale San Cristoforo del primo Cinquecento. Gli stipiti del grande finestrone dell’abside centrale sono ornati da sei statue, rappresentanti l’arcangelo Gabriele, la Madonna e i quattro Evangelisti. Nei capitelli viene rappresentato in tutta la sua varietà il fantasioso bestiario medievale. Sotto il pavimento della chiesa vi sono i resti della primitiva chiesa di San Michele. Contemporaneo alle costruzioni dell’ultima parte della chiesa (sec. XIII) è il massiccio campanile. Una torre alta fino al tetto della chiesa con gli angoli listate di lesene e le facce ornate di pilastrini pentagonali. La parte verso nord ovest è tutta occupato dai resti del c.d. monastero nuovo che si elevava per 5 piani ed era destinato ad ospitare i monaci nel periodo di maggior splendore dell’abbazia. Fu il primo a rovinare, tanto che una stampa del 1682 lo mostra già rovinato quasi come noi ora lo vediamo.

Informazioni:
Consultare il sito www.sacradisanmichele.com ; tel. 011 939130 ; e mail: info@sacradisanmichele.com

Links:
http://www.sacradisanmichele.com

http://it.wikipedia.org/wiki/Sacra_di_San_Michele

Bibliografia:
ROMANO G. (a cura di), La Sacra di san Michele. Storia, arte, restauri, Torino, 1990
A.SOLARO FISSORE, Simbolismi ascensionali in una meta di pellegrinaggio: il caso di San Michele della Chiusa, in SERGI (a cura di), Luoghi di strada nel Medioevo, Scriptorium, 1996
Per saperne di più, vedere l’ampia bibliografia nel sito www.sacradisanmichele.com.

Fonti:
Fotografie 1 e 2 da wikimedia; foto 3 e 4 da archivio GAT.

Data compilazione scheda:
15 aprile 2002 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

02_Sepolcro_dei_monaci .wikimedia

capitello 7 a dx salendo lato2_Sansone

leone