Provincia di Torino

Avigliana (TO): Castello

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Storia del sito:
Costruito probabilmente nel X secolo per volontà dei marchesi Arduinici di Torino (in particolare ad Arduino il Glabro si fa risalire il primo nucleo del castrum Avilianae, il castello sorge sulla cima del monte Pezzulano, che domina l’intero paese di Avigliana e i suoi laghi. Ampliato e fortificato ulteriormente da Adelaide di Susa, il maniero fu sede di una corte regia e come tale venne utilizzato dai Savoia a partire dal 1137.
Nel 1173 il Barbarossa distrusse il castello e la città e ancora distruzione portò suo figlio Enrico VI sul finire del secolo. Tommaso I di Savoia riedificò entrambi a partire dal 1189 e il castello divenne da allora sede di un importante castellania sabauda.
Fu residenza privilegiata dei Savoia, tanto che vi nacquero Amedeo III, che ne ha incrementate le funzioni militari curandone l’ulteriore fortificazione, e Amedeo VII, il Conte Rosso.
La sua primitiva destinazione difensiva venne integrata successivamente da funzioni prettamente amministrative e residenziali, che nel Trecento appaiono in tutta evidenza nei documenti, che riferiscono di una magna sala, dell’aula castri, della camera domini comitis, della gardaroba retro cameram, della capella e della turris falsa versus foloniam. L’affresco della chiesa di San Pietro rappresenta il castello verso la fine del XV secolo, con all’interno un edificio residenziale con bifore, aspetto confermato dall’immagine del Theatrum Sabaudiae, dove appare una costruzione quadrata con due torri, una quadrata e una rotonda, il tutto merlato e difeso da fortificazioni.
Conquistato dai francesi nel 1536 e poi di nuovo nel 1630, il Castello è stato distrutto definitivamente nel 1691 dalle truppe del maresciallo Catinat che combattevano contro l’esercito di Vittorio Amedeo II di Savoia.

Vedi anche allegato  Castello_Avigliana

Descrizione del sito:
A testimoniare la sua antica importanza rimangono oggi solo le mura esterne.

Informazioni:
Sulla cina del monte Pezzulano.  Ufficio I.A.T. Avigliana , tel. 011 9366037

Links:
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Avigliana

http://www.vallesusa-tesori.it/it/luoghi/avigliana/il-castello

Fonti:
Testo tratto da pannello all’esterno del monumento.
Fotografia in alto dal sito www.vallesusa-tesori.it, in basso dall’allegato.

Data compilazione scheda:
14/11/2004 – aggiornam. luglio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G. A. Torinese

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Andezeno (TO) : Chiesa di San Giorgio al cimitero

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Storia del sito:
La cappella di San Giorgio al cimitero fu probabilmente la prima curia o parrocchia della curtis di Andisellum. La frequentazione della zona, almeno come luogo cimiteriale, è antichissima, da quanto si può dedurre dall’affioramento, nei terreni adiacenti, di resti laterizi o marmorei appartenenti a sepolture romane e paleocristiane. La chiesa attuale risale alla metà del XII secolo. Quando la popolazione locale si trasferì intorno al castrum, durante la signoria dei Biandrate, San Giorgio conservò il titolo di parrocchia e, soprattutto, gli abitanti di Andesellum mantennero la consuetudine di seppellirvi i loro morti. Solo nel Cinquecento la chiesa di san Pietro, nel recinto del castello, poté strappare all’antica cappella il titolo di parrocchia, ma si piegò dapprima a mutare la sua intitolazione in quella di “San Pietro e Giorgio”, per poi divenire, come è oggi, parrocchia di San Giorgio, rinunciando al suo titolo originale. Ridotta al rango di chiesa cimiteriale, la chiesa iniziò una lenta decadenza, che proseguì fino al 1774, allorché Monsignor Rorengo di Rorà, in occasione di una visita pastorale, avendone constatato il pessimo stato di conservazione, impose o un pronto restauro o la completa demolizione. Nel 1791 la comunità di Andezeno provvide ad un radicale intervento sulla chiesa, demolendola in parte e ricostruendola riutilizzando i materiali recuperati. Nel 1959 un nuovo cantiere di restauro eliminò le sovrastrutture barocche recuperando per quanto possibile la struttura romanica originaria. Elementi in cotto, materiale lapideo ed intonaci storici della facciata sono stati restaurati nel 2008-2009.

Descrizione del sito:
La chiesa si presenta come un edificio a pianta rettangolare, a navata unica absidata, con le pareti esterne in mattoni a vista ed un tessuto murario eterogeneo, in parte con laterizi settecenteschi regolarmente disposti, in parte con ricorsi alterni di blocchi di arenaria gialla e grigia e mattoni, in alcuni tratti con conci disposti a spina di pesce. Il riutilizzo del materiale preesistente (laterizi e marmi provenienti da un adiacente cimitero di origine romana) hanno fatto sì che nella muratura si evidenzino anche mattoni sesquipedali e frammenti di lapidi marmoree.
La facciata della chiesa è completamente rifatta nella parte superiore; in quella inferiore evidenzia ancora i blocchi di arenaria squadrata agli spigoli e una porta, con la cornice in conci di pietra alternati a laterizi, chiusa da un arco falcato. Frutto degli interventi moderni sono le due finestre laterali. La parete a sud si presenta con una muratura eterogenea su cui compaiono, tra l’altro, file di laterizi disposti a spina di pesce e frammenti di marmi, uno dei quali è probabilmente una parte dell’acrotilo di una stele funeraria romana, essendo presente il delfino, che è una figura ricorrente in questi monumenti. Una porticina permette l’accesso alla chiesa da questo lato.
L’abside, nella quale i conci in arenaria prevalgono sui laterizi, è semicircolare con tetto in coppi e si presenta divisa in cinque campiture da quattro colonnine chiuse da una cornice ad archetti semplici a tutto sesto, sostenuti, alternativamente, da colonnine e da mensole. La parte inferiore, ove era il basamento sul quale insistevano le colonnine, è andata distrutta. Due monofore strombate con l’arco formato da un monoblocco di arenaria danno luce all’interno.
La parete settentrionale è disordinata nel tessuto murario e conserva le tracce di monofore tamponate.
L’interno, che misura m 10 x 4,8 è molto semplice e presenta solo resti di due capitelli in corrispondenza dell’arco santo, che collega la navata con la zona absidale. Il tetto, a due falde, è in coppi con orditura in legno.

Informazioni:
All’interno del cimitero, Parrocchia tel. 011 9431104

Link:
https://it.wikipedia.org/wiki/Andezeno
http://www.comune.andezeno.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2874

Bibliografia:
VANETTI G., 1995, Chieri ed il suo territorio, Edizioni Corriere

Fonti:
Fotografie archivio  GAT.

Data compilazione scheda:
15 aprile 2004 – aggiorn. marzo 2014 e marzo 2019

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

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Alpignano (TO) : Torre campanaria ed epigrafe romana

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Storia del sito:
Il territorio di Alpignano era abitato in età preromana da popolazioni celto-liguri; dopo che nel 44 a.C. Torino divenne colonia, fu iscritta nella tribù Stellatina e furono assegnate delle terre a legionari provenienti da Faleri e Civita Castellana. Della Alpinianum romana, il cui nome potrebbe derivare da “Alpinius”, restano poche tracce dovute a scavi fortuiti del 1832 in regione San Marcello, dove vennero portate alla luce tombe con resti umani e suppellettili (lacrimatoi, piatti, lucerne) ed alcune epigrafi, citate dal Mommsen nel “Corpus inscriptionum latinarum” ai numeri 7081, 7091 e 7023. Quest’ultima, databile alla metà del I secolo d.C., è la più nota ed è conservata dal 1995 nella Biblioteca comunale; le altre due epigrafi, in pietra, sono conservate presso privati.
In altri scavi del 1891, per la costruzione della nuova strada per Pianezza, si rinvenne una piccola necropoli del I secolo d.C., composta da 15 sepolture con varie suppellettili. I ritrovamenti costituirono una piccola collezione presso la sede municipale, che però in parte andò dispersa nel 1932; il restante fu trasferito dopo il 1960 al museo di San Massimo di Collegno. Negli scavi della villa romana di Caselette (vedi scheda) e in altri siti sono stati trovati embrici con il bollo “ALP” a riprova dell’esistenza di attive fornaci in Alpignano.

La TORRE CAMPANARIA risale al XIV secolo ed era in origine una torre di avvistamento oppure la torre angolare dell’antico castello, citato nel “consignamento” dei beni agli Acaia nel 1356, divenuta poi torre civica. La torre fu in parte ricostruita e soprelevata nel 1728; assunse il significato di torre campanaria solo nel 1807, quando l’adiacente chiesa divenne la parrocchiale; successivamente vi fu installato un orologio.

Descrizione del sito e del reperto:
L’EPIGRAFE in marmo, misura cm 60 x 65 , citata dal Mommsen al n. 7023, recita “V F CORNELIA VENUSTA CLAVARIA SIBI ET P AEBUTIO M F STEL CLAVARIO AUG VIR ET CRESCENTI LIBERTAE ET MURONI DELICATA” (In vita Cornelia Venusta, liberta di Lucio, Clavaria, per sé e per Publio Ebuzio, figlio di Marco, della tribù Stellatina, Clavario e Augustale, per la liberta Crescente e per la delicata Mirone). La scritta ha consentito interessanti analisi sulla popolazione per quanto riguarda sia le classi sociali e la professione (l’indicazione di liberta e il termine clavarius, che fabbricava chiodi?), sia per la composizione etnica (romani, la tribù Stellatina).

La TORRE, forte e robusta, presenta quattro piani decorati con semplici cornici marcapiano. Vi sono una monofora per lato al secondo piano e due monofore per lato all’ultimo piano

Informazioni:
L’epigrafe è collocata nella Biblioteca Comunale in Via Matteotti 2; tel. 011 9671561; la Torre è a lato della Chiesa parrocchiale di S. Martino, in via della Parrocchia.

Link:
http://www.comune.alpignano.to.it

Fonti:
Le notizie e la foto in alto sono tratte dal sito del Comune. In basso foto GAT.

Data compilazione scheda:
08/05/2006 – aggiornam. marzo 2014 e dicembre 2024

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Almese (TO) : Villa romana

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Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
Nel giugno 1980 iniziarono i lavori di indagine in un’area segnalata già dal 1977 per il ritrovamento in superficie di abbondante materiale di I-II secolo d.C. (laterizi, tessere di mosaico bianco-nero, frammenti di terra sigillata sud gallica, di ceramica comune e di anfore), frutto di scavi eseguiti negli anni precedenti con mezzi meccanici dai proprietari del terreno. Si sono così individuati resti di una villa di cui si conservano, per un’altezza superiore ai 2 metri, strutture murarie realizzate in ciottoli e pietre spezzate, legate da buona malta e con intonaci dipinti ancora in situ. Gli scavi sono stati condotti dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte (sotto la direzione della dott. L. Brecciaroli Taborelli) in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Antropologiche, Archeologiche e Storico Territoriali dell’Università di Torino (direzione scientifica della Prof. G. Cantino Wataghin).
La villa sorge a mezza costa, in una posizione climaticamente favorevole e di notevole interesse panoramico. Il terreno, in declivio da NE a SW, è sistemato a terrazze digradanti, sostenute a valle da un muraglione: sulla terrazza più alta si trova il corpo principale della villa con i vani residenziali. Probabilmente di fronte al portico, lungo 30 metri, una spianata aveva la funzione di giardino. La villa è costituita da un basamento di m. 22 x 30 almeno, contenuto da muri di notevole spessore e formato in parte di terreno naturale, in parte di terreno di riporto, con un progressivo adeguarsi delle quote dei suoli al pendio naturale. Su questo basamento si disponevano gli ambienti, la cui articolazione è solo in parte ricostruibile dalle tracce dei muri di fondazione e dai materiali architettonici precipitati a valle nel crollo che ha distrutto la villa (elementi laterizi e blocchi in pietra che formavano il colonnato del primo piano: le colonne erano realizzate in laterizio, mentre basi e capitelli erano in pietra).
Lo scavo ha riguardato principalmente strati di macerie depositatisi nei vani della basis villae, prodotti dal disfacimento delle strutture del piano superiore. Si tratta di strati di spessore fino a 2 m, ricchi di frammenti di intonaci dipinti, pavimenti in signino, frammenti di mosaici a motivi geometrici bianchi e neri, ceramica databile fra il I e il III secolo d.C. Una piccola scala che termina in corrispondenza di una soglia raccordava il piano superiore con il livello inferiore, segnando anche, probabilmente, un accesso dall’esterno. Di alcuni muri divisori, non sollecitati dal punto di vista statico, si è ricostruita la consistenza originaria: argilla cruda su armatura lignea e fondazione in pietra.
Tutte le strutture erano intonacate: nel piano inferiore con intonaci grezzi, mentre al piano superiore con intonaci dipinti. Questa distinzione suggerisce una destinazione residenziale degli ambienti del primo piano, mentre la basis villae, di livello più modesto, sembra aver avuto un uso utilitario o abitativo. I pavimenti erano variamente realizzati da mosaici, cocciopesto a scaglie di pietra bianche e colorate, semplice malta su vespaio. Le coperture non sembrano essere state in muratura: al limite inferiore degli strati di crollo si trova infatti un consistente strato di bruciato in cui si riesce ad individuare l’incrocio di travi lignee. Rimangono in situ alcune soglie in pietra delle porte di comunicazione interne agli ambienti.
Fra i materiali laterizi rinvenuti, di particolare interesse sono gli elementi di condutture e di tubuli. La presenza di un focolare nell’angolo di un vano ne ha confermato la funzione di cucina, già supposta sulla base del materiale ceramico (contenitori e vasellame da fuoco) ritrovato in abbondanza. L’esistenza di nuclei di argilla concotta con impronte di incannucciata è da riferire forse alla canna fumaria. È stata anche individuata la parte inferiore di una macina a mano. Questo vano è attraversato da una canaletta in coppi, protetti da lastre di pietra, che proviene dalla zona del focolare e termina in una canaletta di dimensioni più ampie, realizzata in elementi laterizi, forse ad uso fognario. A N si apre un piccolo vano quadrangolare accessibile tramite un’apertura arcuata e coperto in origine da una volta a botte, realizzata in pietre piatte. Il vano è addossato per due lati al terreno, caratteristica che ne consentiva un certo controllo naturale della temperatura: esso appare funzionale alla cucina, destinato forse all’immagazzinamento e alla conservazione di derrate alimentari.
Tra il materiale rinvenuto si ricorda terra sigillata di produzione varia (sud-gallica, nord-italica, imitazione di sigillata chiara), ceramica comune, anfore, monete, metalli (chiodi da carpenteria, grappe da lastre di rivestimento), mosaici, intonaci, stucchi, materiali architettonici (elementi di colonne, lastre di rivestimento, elementi laterizi). La villa sembra essere stata costruita in età augustea e distrutta verso la fine del III secolo probabilmente in seguito a un crollo causato da un incendio, come sembrano indicare le consistenti tracce di bruciato individuate negli strati. La presenza di sigillata tarda di importazione sembra però fare estendere l’orizzonte cronologico della villa al pieno IV secolo.
Si tratta di un progetto architettonico unitario, con interventi successivi di scarsa entità. Un progetto costruttivo inusuale per le dimensioni e per l’estensione del settore residenziale: queste caratteristiche la pongono in relazione con il mondo centro italico. Ricordiamo che la zona era una località importante, all’imbocco della Valle di Susa, lungo la strada che da Augusta Taurinorum (Torino) portava a Segusio (Susa) e al Mons Matrona (Monginevro), come testimoniano anche gli altri ritrovamenti fatti in località Malatrait (un sepolcreto con numerosi resti di tombe di fattura differente e relativo corredo).

Luogo di custodia dei materiali:
Museo Archeologico di Torino.

Informazioni:
frazione Milanere, via Tetti Dora, Borgata Grange Tel. 011 9350201 (int. 5) ; oppure:
tel. 342/0601365.
e mail: cultura@comune.almese.to.it
arca.almese@gmail.com

Links:
https://www.vallesusa-tesori.it/it/luoghi/almese/villa-romana

http://archeo.piemonte.beniculturali.it/index.php/it/musei/aree-archeologiche/70-aree-arch-prov-di-torino/346-villa-romana-di-almese

Bibliografia:
LANZA E., MONZEGLIO G., 2001, I Romani in Val di Susa, Ed. Susa Libri, pp. 71-76; MERCANDO L. (a cura di), 1998, L’età romana, in Archeologia in Piemonte, Umberto Allemandi Ed.; CANTINO WATAGHIN G., 1995, Almese, loc. Grange di Rivera. Villa romana, in “Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte”, 13, pp. 366-370 (e articoli precedenti del 1982, 1984, 1985, 1986, 1988, 1991)
Schede_Introduttive_Villa_Romana_Almese.pdf

Fonti:
Foto in alto dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
13 ottobre 2002 – aggiornata  maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gabriella Monzeglio – Gruppo Archeologico Torinese

Aglié (TO) : Palazzo Ducale – sala Tuscolana

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Storia del Museo:
Alle falde delle colline di Macugnano (forse sede di una statio dal nome di Macugniacum) l’abitato di Agliè (Alliadus) prenderebbe il nome, secondo il glottologo Giovanni Domenico Serra, da un colono romano di nome Alliacus, per successive trasformazioni. Altri studiosi, come il Casalis (1883), ritengono Agliè di fondazione medievale. Il nucleo primitivo, di origine romana, era probabilmente situato sulle colline nella frazione di Santa Maria delle Grazie, già ricordato in documenti del 1019, ad opera dei Conti San Martino di Agliè.
Il Palazzo Ducale, sede del Museo, è opera dell’architetto Amedeo di Castellamonte che trasformò, tra il 1642 e il 1647, la precedente fortificazione medievale in un fastoso palazzo che, dopo essere passato ai Savoia, pervenne allo StatoAlle falde delle colline di Macugnano (sede di una statio dal nome di Macungiacum) l’abitato prende il nome, secondo il glottologo Giovanni Domenico Serra, dal nome di un colono romano Alliacus, per successive trasformazioni. Il nucleo primitivo, di origine romana, era probabilmente situato sulle colline nella frazione di Santa Maria delle Grazie, già ricordato in documenti del 1019, ad opera dei Conti San Martino di Agliè. Il Palazzo Ducale è una costruzione che condiziona l’intera vita del paese ed è pervenuto allo Stato dopo essere stato dei Savoia.

Descrizione delle collezioni:
Una delle 365 stanze del palazzo ospita una raccolta di reperti archeologici provenienti da Tuscolo e da Veio (Roma). Si tratta della cosiddetta “Sala Tuscolana”, arredata con statue, busti, frammenti di pitture parietali ed un sarcofago del II sec. d.C. con Apollo, Atena e le Muse. Gli oggetti sono stati rinvenuti negli scavi promossi da Maria Cristina di Borbone Napoli, moglie del re Carlo Felice, nella proprietà della “Ruffinella” (antica Tuscolo) e qui fatti collocare, verso il 1840. Essa aveva continuato le ricerche iniziate da Luciano Bonaparte all’inizio del secolo scorso.

Informazioni:
Tel. 0124 330102   Ufficio Informazioni Turistiche, tel. 0125 61813

Links:
http://www.ilcastellodiaglie.it/ita/index.htm

http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Agliè/Memorie_Storiche

Bibliografia:
M. BORDA, Monumenti archeologici tuscolani nel Castello di Agliè, Roma 1943

Fonti:
Fotografia dal sito www.castellodiaglie.it

Data compilazione scheda:
13/04/2006 – aggiornata maggio 2014 

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Feliciano Della Mora – Gruppo Archeologico Torinese

TORINO : Abbadia di San Giacomo di Stura

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Storia del sito:
L’origine del monastero-ospedale di S. Giacomo di Stura risale al 1146 quando Pietro Padisio, giureconsulto torinese, fondava l’abbazia assegnando a Vitale, monaco del monastero di Vallombrosa, numerose terre per farvi sorgere un ospedale con la duplice funzione di assistenza ai pellegrini e cura dei lebbrosi. Passati alcuni anni dalla fondazione i vescovi di Torino, i marchesi di Monferrato e i conti di Savoia arricchiscono l’abbazia con cospicue donazioni. Martino V, Papa nel 1420, interviene nella disputa fra i Savoia e i signori del Monferrato aggregando i beni e le proprietà dell’abbazia alla mensa arcivescovile di Torino. Dopo la sentenza papale i vescovi torinesi trasformano la chiesa dell’abbazia in parrocchia, dedicata a san Giacomo.
I monaci controllavano il traghetto sulla Stura: di qui il nome di “regione Barca”. Nel 1700 l’Abbadia divenne la parrocchia della piccola comunità della Barca e il Cardinal Roero, arcivescovo di Torino, fece costruire un bell’arco d’ingresso all’ Hortus Conclusus, rinnovando la chiesa secondo il gusto barocco dell’epoca, come si legge sopra la lapide marmorea, ornata dello stemma cardinalizio con tre ruote, che sovrasta tutt’oggi il portale. L’Abbadia ebbe anche un ruolo importante nella bonifica della zona: infatti si deve all’opera dei monaci la fitta rete di “bialere”, cioè canali, che caratterizzava questa zona, abitata in prevalenza da comunità di lavandai, ancora nell’ 800 e nei primi decenni del ‘900.
Nel 1954 venne dichiarata pericolante e furono sospese le funzioni religiose, nel 1960 fu sconsacrata. In stato di semiabbandono, con strutture fatiscenti, l’abbadia di Stura è oggi proprietà privata in parte adibita a civile abitazione. Dal 2017 sono iniziati i restauri, prima delle facciate e poi degli ambienti interni.

Descrizione del sito:
Le costruzioni cistercensi avevano un tipo di struttura fissato dalle regole dell’ordine: intorno alla chiesa vi era un insieme di chiostri, sale capitolari, dimore, foresterie, laboratori… Il complesso era formato da sette cascine , costituenti un solo corpo di fabbrica, dalla chiesa di S. Giacomo e dalla possente torre campanaria, che fungeva anche da torre di guardia e dalla quale si poteva comunicare con il campanile di Santa Maria Pulcherada a San Mauro. Alta circa 24 metri, è divisa in sei piani da decorazioni in cotto. Del nucleo medievale restano anche le tre absidi della chiesa ed il chiostro, che era a doppia profondità, diviso da una serie di colonne centrali. Qui sono ancora visibili i resti di una meridiana di tipo “canonico”, forse del XVI secolo, molto rara in Italia e probabilmente unica in Piemonte. Essa segnava soltanto le ore della preghiera, che scandivano la giornata della comunità dei religiosi.
Della ristrutturazione settecentesca rimangono la facciata e la navata della chiesa. Della parte ottocentesca restano il recinto con il portale neogotico e l’ampia corte.

Informazioni:

Links:
http://www.museotorino.it/view/s/b9340c48d4df429c877e0c43f33774b0

http://torino.repubblica.it/cronaca/2010/07/22/foto/abbadia_di_stura-5747186/1/

Bibliografia:
AA.VV. Guida Archeologica di Torino, volume II, Gruppo Archeologico Torinese, Torino, 2009, p. 144-145

Fonti:
Fotografia in alto tratta da archivio G.A.T. Fotografie in basso tratte dal sito del Comune di Torino.

Data compilazione scheda:
26/10/2009 – aggiornamento febbraio 2014 – maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo e Livio Lambarelli – G.A.Torinese

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Alpignano (TO) : Cappella dei Caduti (Antica parrocchiale di San Martino)

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Storia del sito:
La chiesa, intitolata a San Martino vescovo di Tours, esisteva già nel 1031, quando venne citata in un atto dell’abate di Breme, e dipendeva dall’abbazia della Novalesa (che a quel tempo era priorato dell’abbazia di Breme).

La chiesa ebbe una storia complessa e i documenti rimasti lasciano dubbi irrisolti: viene citata nel 1274, nel 1303 e nel 1318.
La chiesa, che nel 1386 risultava dipendere dalla Pieve di San Pietro di Pianezza, divenne la parrocchiale di Alpignano sicuramente dal 1450, come risulta da documenti dell’Archivio Arcivescovile di Torino.
Vi era annesso un cimitero che, nel tempo, subì un forte degrado; nel XVIII secolo era in cattive condizioni di conservazione tanto che il Vescovo, nella visita pastorale del 1772, ordinò di cingerlo con un muro e chiuderne gli ingressi.
Poiché la Chiesa era in un luogo che, nei secoli, era diventato lontano dal centro dell’abitato e poiché l’antico edificio era in cattive condizioni e necessitava di costose riparazioni, la popolazione decise di spostare la parrocchiale e di portarla nella piazza allora detta “del ballo”, nel luogo della chiesa di San Rocco, che era stata costruita tra il 1686 e il 1698 come chiesa della confraternita di Santa Croce. Lo spostamento avvenne nel 1807, quando, ingrandita e dedicata a san Martino, la preesistente chiesa divenne la parrocchiale di Alpignano.
Contemporaneamente, nel 1807, l’antica chiesa di San Martino venne ridotta a cappella dell’annesso cimitero e intitolata a Sant’Antonio.
Il cimitero venne soppresso nel 1868. Nel 1895 vennero demolite la volta e il solaio della chiesa e rimasero in piedi solo il campanile e la cappella laterale che vennero restaurati nel 1925; l’edificio fu trasformato in Monumento e Cappella ai Caduti.

Descrizione del sito:
La parte più antica dell’edificio è il campanile, in mattoni e pietre: mostra almeno due fasi costruttive individuabili nelle differenze delle tessiture murarie; la parte inferiore, forse dell’XI secolo, è anteriore alla parte più antica della chiesa. In alto mostra quattro monofore e una copertura piramidale.

La parte di edificio ancora esistente è la cappella laterale dell’antica chiesa, formata da arcate a sesto acuto su tozzi e bassi pilastri cilindrici con i relativi cordoni d’angolo che vanno a congiungersi in croce al sommo della volta. Attualmente coperta da un tetto a due spioventi e preceduta da una gradinata di accesso.

Informazioni:

Link:
http://www.comune.alpignano.to.it

Bibliografia:
CUPIA G.P., Alpignano com’era, Soc. Ital. di Pubblicità, Torino, 1970

CASIRAGHI G.P., Alpignano nel Medioevo e l’abbazia di san Michele della Chiusa, Pro manuscripto Ass. Culturale “Il Dialogo”, Alpignano (TO), 1991

Fonti:
Foto in alto di  blacksheep77 da http://rete.comuni-italiani.it/foto/2008/geo/001008

Data compilazione scheda:
08/05/2006 – aggiornata maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese