Canavese

Chiaverano (TO) : Chiesa di Santo Stefano di Sessano

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Storia del sito:
L’antico abitato di Sessano trasse il suo nome dalle caratteristiche naturali della zona: “saxeus, saxetum, saxsosum” (sasso, sassoso) indicavano il masso dioritico su cui sorgeva. Il borgo, essendo un paese di confine nella guerra fra Vercelli ed Ivrea, vide i propri abitanti costretti, nel 1251, a trasferirsi nella villa nova di Chiaverano, che era fortificata.
Unica testimonianza dell’insediamento rimane la chiesa romanica di Santo Stefano, risalente all’XI secolo, un tempo tappa per i pellegrini della via Francigena Canavesana.
La diversità nella muratura della terza campata rispetto al campanile e al resto della chiesa ha fatto ipotizzare un crollo con ricostruzione della campata, oppure una costruzione successiva (XII secolo) per unire il campanile alla chiesa, cui era prima collegato da una tettoia in legno. Dai resoconti delle visite pastorali si sa che nel XVIII secolo la navata era coperta da un tetto a capriate; l’abside da lose (lastre di pietra). In epoca imprecisata venne coperta con una crociera la prima campata. Nel 1766 le antiche pitture erano in cattive condizioni, intorno alla chiesa vi era un cimitero; nel 1782 la copertura era crollata e si procedette a restauri. Di epoca barocca è la costruzione della sagrestia sul fianco sud e dell’arco centrale nella navata, la intonacatura delle pareti e la decorazione dell’abside con rozzi motivi geometrici. Nel corso del XX secolo, per atti vandalici e per la rimozione del tetto, crollò la volta; negli anni ’60 del 1900 le infiltrazioni di acqua fecero cadere lo strato d’intonaco rivelando parte degli affreschi.
I lavori di recupero edilizio, iniziati nel 1973, portarono alla scoperta, nell’abside della chiesa, di un duplice strato di affreschi romanici ancora ben conservati e raffiguranti lo stesso soggetto: il Cristo in maestà circondato dai simboli dei quattro evangelisti. Venne staccato l’affresco più recente e collocato presso il Museo Garda di Ivrea. Gli affreschi più antichi vennero restaurati e lasciati in loco.
Nel 1985 il Comune acquistò l’edificio dalla Curia. Successivamente vennero realizzata una copertura in coppi, la posa di gronde, il rifacimento degli infissi e del pavimento e della scala interna che porta ad un locale sopra la sagrestia. Nel 1996 la chiesa venne riaperta al pubblico ed utilizzata anche per concerti, mostre, spettacoli.

Descrizione del sito:
Al centro della facciata della chiesa sorge il campanile che si alza per due piani su cui si aprono monofore. La parete nord è decorata da quattro lesene ed archetti pensili. Esternamente l’abside presenta archetti pensili e dodici nicchie a fornice, suddivise in gruppi di quattro da due lesene. Nei tre campi sottostanti i fornici si aprono tre monofore a doppia strombatura.
L’edificio è a navata unica con tre campate, largo m 6 a lungo m 15, dimensioni ragguardevoli per l’epoca.
Nell’abside vi sono preziosi affreschi risalenti alla seconda metà del secolo XI, ritenuti tra i più importanti documenti della pittura romanica nel Canavese e rappresentano, nel catino, il Cristo circondato dai simboli dei quattro evangelisti; nel cilindro sono dipinte quattordici figure di Apostoli e di Santi. Nella crociera e nello zoccolo absidale si conservano decorazioni geometriche.

IL GIARDINO MEDIOEVALE. Nell’area a nord della Chiesa è stato realizzato un giardino officinale, disegnato secondo le caratteristiche che avrebbe potuto avere nei primi anni del Mille. Due dossi dioritici, un muretto secco ed una quinta di alberi da frutto racchiudono l’Hortus Conclusus dove sono ospitate e classificate in base all’uso piante spontanee e coltivate prima della scoperta delle Americhe: i semplici, le piante alimentari, le piante curative delle malattie da raffreddamento e per mal di pancia, le aromatiche e le vulnerarie. Un pergolato ospita rampicanti e tre antichi vitigni tipici del Canavese: Erbaluce, Nebbiolo e Luglienga. All’ingresso del giardino medioevale vi sono molte varietà naturali ed alcune cultivar di “rosmarino”.

Informazioni:
La chiesa è situata sullo sperone che sovrasta il paese, dove sorgeva l’antico abitato di Sessano.  Comune, tel. 0125 54805


Links:

https://comune.chiaverano.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/l-area-e-la-chiesa-di-santo-stefano-2331-1-39b5a741ae1b32521d01fb59f6ab88ba

https://www.ecomuseoami.it/l-ecomuseo/gli-enti-associati/comuni/item/35-comune-di-chiaverano

http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Santo_Stefano_di_Sessano

Bibliografia:
AA.VV, Santo Stefano in Sessano, Quaderni della Biblioteca editi a cura del Comune di Chiaverano, s.d.

Fonti:
Le notizie sono state tratte dal sito e dalle pubblicazioni del Comune. Fotografie 1 e 2 da Wikipedia, le altre dall’archivio GAT.

Data compilazione scheda:
12/10/2006 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Castelnuovo Nigra (TO) : Castello di San Martino a Villa Castelnuovo e il “Ciclo dei Prodi”

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Storia del sito:
La denominazione di Castelnuovo Nigra è legata a Costantino Nigra, diplomatico, statista, scrittore e poeta, che qui nacque nel 1828. Il comune è costituito da due distinti centri urbani: Villa Castelnuovo e Sale Castelnuovo. Villa sorge sulle pendici del Bric Filia alto 680 m; di origine pre-romana, deve l’attuale nome, assunto nel XIII secolo, al castello ricostruito dalla famiglia San Martino.
Nell’anno 1120 Guglielmo I di San Martino acquisì il titolo di conte di San Martino e Castelnuovo. II figlio Guala, divenne conte di San Martino Castelnuovo, Loranzè, valle di Bairo e Salto, nel 1202 acquistò il diritto della decima di Castelnuovo. Pertanto, dai pochi elementi conosciuti, si può affermare che il castello può essere datato a questo periodo. L’edificio fu costruito nella zona in cui erano già preesistenti i resti di un’antichissima fortificazione o torre di segnalazione, di cui si individuano ancora tracce sulle fondamenta, e per questo alla nuova costruzione venne assegnato il nome bene augurante di Castelnuovo.
Il castello fu coinvolto nella rivolta del Turchinaggio tra il 1386 e il 1391, ma non si hanno dati precisi.
Uberto, figlio secondogenito di Pietro di San Martino e Castelnuovo, divenne capostipite della nuova dinastia dei San Martino di Castelnuovo ricevendone investitura nel 1408. Dopo la morte di Giovanni (figlio di Uberto), con un documento datato 1485, il castello venne diviso tra i suoi due figli Bernardino e Gio Maria. Nella metà del 1500, durante le lunghe guerre franco-spagnole di Francesco I e di Carlo V, il castello affrancato agli spagnoli, venne posto sotto assedio dalle truppe francesi che lo occuparono, ma dopo soli 15 giorni venne nuovamente riconquistato dagli spagnoli, che riuscirono a conservarlo in loro possesso nonostante ulteriori tentativi di assedio. Tali azioni di guerra procurarono grave danno alla struttura dell’edificio principale del castello, tanto da costringere il proprietario conte Pompeo I di Castelnuovo, nell’anno 1611, ad acquistare un palazzo in Castellamonte e ivi trasferirsi con la famiglia poiché il castello di Castelnuovo risultava ormai poco confortevole. A questo punto si perdono le tracce del castello nella storia ed esso rimase affidato ai mezzadri e al contado del Signore che continuavano ad abitarlo e coltivare le terre intorno. È certo che ancora agli albori del XX secolo una parte di esso era ancora abitabile sebbene in condizioni di estremo disagio.
Parte del castello e una buona porzione dei terreni intorno vennero acquistati da Ludovico Nigra, padre di Costantino, cerusico, che riattò una parte dell’edificio più piccolo del vecchio rudere. Nelle vicinanze venne poi costruita la Villa, mentre il castello abbandonato andò in rovina.

Nel 1980 venne casualmente scoperto, per la caduta dell’intonacatura sovrapposta nei secoli successivi, il cosiddetto “ciclo dei Prodi di Villa Castelnuovo”, un affresco databile verso il secondo quarto del XV secolo, che era nei ruderi di quella che doveva essere la sala di rappresentanza del castello. A causa della condizioni di degrado dell’edificio, per salvaguardare l’opera, nel 2004-2005, i dipinti che compongono il ciclo furono staccati, trasportati su pannello e restaurati; essi vengono ora conservati presso il Museo Archeologico del Canavese.

Descrizione del sito:
IL CASTELLO. I ruderi si possono osservare dal sagrato della chiesa dedicata all’Assunta. La chiesa stessa certamente era inclusa nelle mura del piccolo maniero e nonostante i molti riattamenti subiti nel tempo, si possono osservare ancora tracce dello stile originale romanico. Alle spalle della chiesetta vi è l’antico portone dell’ingresso al castello, attualmente murato, e la spianata costruita sul contrafforte che era la lizza, tutto ora invaso dalla fitta vegetazione.
castelnuovo_piantinaDal documento del 1485 si sa che il castello era costituito da due edifici separati, il primo di modeste dimensioni era a lato dell’ingresso e comprendeva le stalle e locali per le normali attività della vita quotidiana, mentre nei piani superiori trovavano abitazione i difensori del castello, la servitù e forestieri. Due cortili di ridotte dimensioni separavano l’edificio principale, tutto circondato da cinta con mura merlate. Un altro cortile di dimensioni più grandi era posto sul lato nord-est e spaziava fino all’area dove oggi sorge la Villa. Era il cortile principale e lo troviamo denominato nel documento del 1485 come il cortile del pozzo perché al centro di esso era collocato un pozzo di rilevanti dimensioni. L’edificio principale era costituito da diverse sale e dalle camere, queste ultime poste a ponente e arricchite da un impianto balconata diposto a lobbie, secondo l’architettura tipica canavesana. Si ritiene che queste lobbie siano state aggiunte in un tempo successivo alla costruzione del castello, datandole al tardo `500, costruite forse per rimediare i danni prodotti dagli assedi. Le sale erano molto ampie e finemente affrescate con decorazioni medioevali e riscaldate da grandi camini. Una grande scala a chiocciola costruita di mattoni e pietre collegava i vari piani dai sotterranei al sottotetto ed era dotata di soffitto arcuato e appariva decorata sulle pareti.
Dell’antico edificio esistono oggi vaghe tracce: privo di tetto, colmo di macerie e con mura pericolanti, è infestato da arbusti e piante. Esistevano i sotterranei, utilizzati in parte ancora durante la seconda guerra mondiale come rifugio e nascondiglio.
A ponente, distaccato di una decina di metri dal castello e ad esso collegato da un passaggio sotterraneo, sorge il mastio, ora diroccato.

GLI AFFRESCHI di Villa Castelnuovo, costituiscono un’importante testimonianza di quella cultura cavalleresca che ancora verso la metà del XV secolo doveva essere assai viva presso le corti piemontesi. Il tema dell’affresco è tra quelli più cari alla cultura cortese del tempo: si tratta delle raffigurazione dei nove Prodi, cioè di eroi – tre pagani, tre ebrei, tre cristiani – attinti dalla tradizione letteraria antica. È dunque lo stesso soggetto iconografico trattato (con una ben maggiore consapevolezza del raffinato linguaggio stilistico del gotico internazionale) nel castello della Manta nei pressi di Saluzzo.
Gli eroi antichi sono ritratti a grandezza naturale, come cavalieri che hanno appena vestito l’armatura e sono pronti al combattimento. Quel che rimane dell’affresco recuperato mostra in maniera pressoché integrale quattro dei nove Prodi: si tratta di Giuda Maccabeo, re Davide e Giulio Cesare e un quarto eroe di cui non si è conservato il cartiglio, ma che può forse essere identificato (per le tre corone che compaiono sul suo scudo) con re Artù. Di un quinto e di un sesto personaggio sono visibili solo parti delle armature e dello scudo: uno porta l’emblema del sole (cosa che potrebbe far pensare che si tratti di Giosuè), l’altro quello delle tre frecce. Nulla è rimasto degli altri tre Prodi che erano dipinti sulle stessa parete.
Gli eroi si ergono dagli spalti merlati di un castello, indossano realistiche armature che erano in uso a quel tempo e, attraverso la visiera alzata dell’elmo, lasciano vedere il loro volto. L’attenzione alle insegne, cara alla cultura cavalleresca, si esprime nella cura con la quale sono dipinti i grandi scudi colorati. Ad impreziosire la parata dei Prodi, compaiono in mezzo a loro alcuni alberi di melograno, mentre dalle aperture ad arco poste sotto i merli del castello, fanno capolino le teste di alcuni cani di razza. La scena è delimitata in basso da falsi tendaggi e in alto da un ampio motivo decorativo composto da forme geometriche intrecciate, di colore rosso e giallo ocra.
In riferimento all’autore del ciclo pittorico di Villa Castelnuovo, databile nel secondo quarto del XV secolo, la critica ha proposto, sulla base di considerazioni storiche e stilistiche che appaiono sufficientemente provanti, una sua identificazione con Giacomino da Ivrea.

Luogo di custodia dei materiali:
Gli affreschi del “ciclo dei Prodi di Villa Castelnuovo” sono conservati a Cuorgnè presso il Museo Archeologico del Canavese. (vedi scheda)

Informazioni:
In frazione Villa Castelnuovo.  Comune tel. 0124 659660

Links:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ciclo_dei_Prodi_di_Villa_Castelnuovo

http://web.tiscalinet.it/Nigra/articolo_villa/articolo_villa_1.html

http://mefrm.revues.org/601

Bibliografia:
C. BERTOLOTTO, M. CIMA, L. GHEDIN, F. GUALANO, G. SCALVA, Il ciclo gotico di Villa Castelnuovo. Intervento di salvataggio e valorizzazione, Ed. Nautilus, Torino, 2006

Fonti:
Fotografia in alto da Wikipedia;  Piantina da http://mefrm.revues.org/601; fotografia in basso GAT.

Data compilazione scheda:
29/06/2007 – aggiornam. maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Carema (TO) : Edifici medievali

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Storia del sito:
Di origine romana, la sua nascita è legata alla Via delle Gallie. Il borgo romano, sede di una guarnigione militare, era una dogana, dove veniva versato un pedaggio sul valore delle merci in transito dalle Gallie all’Italia; nei pressi si trovavano un sito minerario per l’estrazione del rame e un magazzino appartenenti a Caio Sallustio Crispo, nipote dello storico Sallustio.
In epoca medioevale Carema fu assegnato con diploma imperiale al Vescovo d’Ivrea, che investì del feudo gli Ugoni da Brescia, signori anche del castello di Castruzzone (probabilmente da Castrum Ugonis), un tipico castello di strada, posto a guardia dell’imbocco della Valle d’Aosta e a protezione del commercio delle pietre da macina, che dalla Valle d’Aosta giungevano in pianura. Gli Ugoni fondarono il loro potere sul diritto all’esazione del pedaggio, distinguendosi però per le spoliazioni e le vessazioni.
Nel 1171 i marchesi del Monferrato riuscirono ad estendervi la loro influenza e ad amministrare il diritto di pedaggio, nonostante l’opposizione del vescovo eporiedese. Nel 1313 i Savoia ampliarono il loro controllo su Ivrea e parte del Canavese; nel 1357 Amedeo VI ricevette in feudo perpetuo dal Vescovo di Ivrea le terre e i castelli della Valle Dora Baltea, tra cui Carema e Castruzzone. Da questo momento la storia di Carema è legata ai Savoia, che nel corso dei secoli, ne cedettero la proprietà a famiglie nobili locali fino al 1797, quando Carlo Emanuele IV abolì i diritti feudali.

Descrizione del sito:
Del castello di CASTRUZZONE rimangono solo i ruderi.

La GRAND MAISON o GRAN MASUN è una massiccia ed imponente casaforte ritenuta di epoca altomedioevale, la cui presenza rivela l’importanza del borgo di Carema. E’ una costruzione in pietra che rispecchia un’architettura di tipo comacino-ticinese. Secondo la tradizione vi aveva sede il presidio militare, vi si amministrava la giustizia e il sotterraneo fu forse l’antica prigione. Sull’edificio domina una torre, alta cinque piani. Le finestre, piccole, munite di inferriate e architrave a cuspide, sono sostenute soltanto da pietre squadrate e senza cemento. Sulla facciata, sotto l’ultima finestra in alto, è visibile uno stemma sabaudo con quattro diversi fregi; sotto la cornice si notano resti di sculture e di altri stemmi.

IL PALAZZOTTO UGONETI era la sede “urbana” della potente famiglia nobiliare degli Ugoni o Hugoneti, feudatari di Carema. Alla massiccia costruzione in pietra, probabilmente di impostazione tardo-romana, si accede da un oscuro portico ad arco e attraverso un portone in legno; all’interno una scala a chiocciola in pietra collega i piani fino al solaio; sul tetto vi è una torre, forse di vedetta poiché il palazzo fu anche sede di guarnigione.

Per altri edifici storici, vedi l’allegato:  Scheda_Carema-Provincia di Torino.

Informazioni:
Per raggiungere i ruderi del castello di Castruzzone da Carema, seguire una carrareccia, contraddistinta da segni bianchi e rossi, che poi si inoltra nel bosco divenendo mulattiera selciata che in breve conduce sullo sperone roccioso che domina la valle della Dora Baltea.
La Gran Mesun è in Carema, via Bottero, 2.   Comune, tel. 0125 811168

Links:
https://www.comune.carema.to.it

Bibliografia:
SETTIA A. Proteggere e dominare. Fortificazioni e popolamento nell’Italia medievale, Viella, Roma 1998t

Fonti:
Foto in alto di Blin 1950 da  http://www.gulliver.it/itinerario/47649
foto in basso da http://www.comune.carema.to.it

Data compilazione scheda:
02/09/2007 – aggiornam. maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Caravino (TO) : Castello di Masino

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Storia del sito:
Il castello, che sorge su un’altura proprio di fronte alla Serra d’Ivrea, fu per circa dieci secoli dimora gentilizia dei conti Valperga, discendenti di Arduino marchese di Ivrea e re d’Italia, e fu il cuore del più vasto feudo canavesano. Le origini di questo maniero risalgono all’XI secolo, come dimostra un atto notarile del 1070, anno in cui venne acquistato da Pietro Masino. L’edificio, costituito da una struttura quadrangolare, caratterizzata da un grande mastio decorato dall’albero genealogico dei Valperga, è frutto delle numerose trasformazioni subite nel corso dei secoli. Infatti questo castello fu più volte messo sotto assedio e danneggiato gravemente, nel Quattrocento dai Savoia, nel Cinquecento dai francesi e infine nel Seicento dagli spagnoli. Gli interventi architettonici più importanti risalgono però al secolo XVIII, quando Carlo Francesco II, viceré di Sardegna, e il fratello Tommaso Valperga, abate di Caluso, ampliarono la residenza dotandola di un ricco apparato decorativo, di ambienti ammobiliati con tappezzerie e oggetti preziosi. Secondo la tradizione in questo periodo furono portate a Masino dalla marchesa Cristina di Saluzzo Miolans le ceneri del re Arduino, che fino a quel momento erano custodite ad Agliè. L’ultima proprietaria del castello fu la marchesa Leumann che qui visse fino alla sua morte.
Qualche anno dopo, nel 1987, Masino entrò a far parte del patrimonio del Fondo per l’Ambiente Italiano (FAI) che immediatamente avviò importanti lavori di restauro e di catalogazione degli arredi e delle opere d’arte.

Descrizione del sito:
Il castello è in buona parte aperto al pubblico e tra gli ambienti più significativi del percorso di visita vi sono il grande torrione circolare, che ospita la sala da ballo, la Galleria dei poeti, affrescata per volere dell’abate Tommaso Valperga Caluso con i ritratti dei principali letterati antichi, la grande biblioteca costituita da più di dodicimila volumi, che testimoniano aspetti della vita delle famiglie comitali, ma anche delle condizioni della comunità contadina di quest’area per un periodo compreso fra X e XX secolo, la sala dei Gobelins, decorata nel Seicento con figure mitologiche. Gli interni, con i saloni affrescati e riccamente arredati tra Seicento e Settecento, gli appartamenti di Madama Reale, le camere per gli ambasciatori e gli appartati salotti, sono documento delle vicende di una famiglia che fu protagonista della storia piemontese e italiana.
Nel vicino Palazzo delle Carrozze si può ammirare la ricca collezione di carrozze del XVIII e XIX secolo.
All’interno dell’edificio vi è la cappella di San Carlo Borromeo con il sacello contenente le ceneri di Arduino di Ivrea.
Il castello è immerso in un monumentale parco che subì nel corso dei secoli numerosi interventi; nel Settecento, infatti, i giardini erano concepiti secondo uno schema geometrico che univa il modello all’italiana e quello francese; successivamente fu allestita una nuova sistemazione, detta all’inglese, che portò alla realizzazione della «strada dei 22 giri» che scende, in mezzo ai boschi in direzione di Strambino. Oggi vi è un parco all’inglese di circa 20 ettari, un piccolo giardino all’italiana, 18 ettari di boschi e una grande cascina in cui sono conservate antiche carrozze.

A Caravino esisteva un RICETTO su un colle a nord del borgo. La zona del ricetto è oggi libera e coltivata a orti e rimane solo parte delle mura nel tratto a nord: una muratura a doppia cortina di ciottoli posti a spina di pesce, spessa m 0,85.

Informazioni:
Tel. 0125 778100 ; email:  faimasino@fondoambiente.it


Links:

http://www.fondoambiente.it/

http://www.comune.caravino.to.it

Bibliografia:
AA.VV., Le stanze delle meraviglie: viaggio fra collezioni, curiosita e stranezze alla scoperta di un’epoca consacrata al culto della bellezza, della conoscenza e del piacere di vivere : Castello di Masino, Caravino (TO), 22 giugno-8 dicembre 2002, FAI-Fondo per l’ambiente italiano, Milano, 2002

Fonti:
Fotografia in alto tratte dal sito del FAI. Foto in basso da http://www.turismotorino.org

Data compilazione scheda:
7 luglio 2010 – aggiornamento maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Caravino (TO) : Cappella di San Giacomo in Carpeneto

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Storia del sito:
La chiesa dipendeva, nel Medioevo, da Santa Maria Maggiore della Cella Benedettina di Vestignè, a sua volta emanazione dell’Abbazia di Fruttuaria. La dedicazione a San Giacomo potrebbe indicare che era una tappa sulla via dei pellegrinaggi diretti a Santiago de Compostela. All’interno si può ammirare un affresco datato 1465 di Giacomino da Ivrea.  Il nome Carpeneto o Carpaneto deriva dal bosco di carpini che circonda l’edificio.

Descrizione del sito:
All’interno della rustica chiesetta l’affresco (cm 140 x 145) raffigurante San Giacomo che presenta Henriello alla Madonna in trono e con il Bambino in braccio.

Informazioni:
Dalla vecchia strada per il castello di Masino, parte una sterrata sulla destra che porta alla chiesetta che sorge isolata nel bosco. Di proprietà privata e chiusa al culto.  Comune, tel. 0125 778107


Links:
http://www.comune.caravino.to.it/

Bibliografia:
MORETTO A., Indagine aperta sugli affreschi del Canavese, Stabilimento tipo-litografico G. Richard, Saluzzo CN 1973

Fonti:
Fotografia in alto da http://web.tiscalinet.it/jovishome/bici/2001/cam_b.htm

Data compilazione scheda:
27/1/2007 – aggiornamento maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Canischio (TO) : Cappella di San Grato

Storia del sito:
Il paese è l’antica Cannicia, località ricca di giunchi che vegetavano rigogliosi nella zona anticamente ricca di paludi. La cappella campestre è intitolata a San Grato, vescovo ausiliare di Aosta nel 776, il cui culto era al tempo assai popolare in Alto Canavese.
La piccola cappella è decorata da affreschi della fine del XV secolo, opera di un pittore noto come “Maestro di Canischio”, che mostra evidenti influssi Jaqueriani.
Il restauro pittorico della cappelletta è stato eseguito recentemente a cura della comunità Montana Alto Canavese.

Descrizione del sito:
L’edificio è architettonicamente molto semplice, con un piccolo portichetto sorretto da colonne sulla facciata intonacata.
L’interno è ad aula unica conclusa da abside; abside e pareti si raccordano direttamente alla volta a botte, caratteristica dell’architettura preromanica.
Gli AFFRESCHI. L’affresco più importante si trova sulla parete absidale ed è una Pietà con una Maria Addolorata con le braccia aperte che tiene sulle ginocchia il corpo irrigidito del Cristo morto, iconografia ricorrente nell’Europa del 1400. Ai lati san Sebastiano e un santo Vescovo.
Sulle pareti laterali sono raffigurati i santi Rocco, Antonio, Bernardo da Mentone e Grato. Qui risulta più formale il modo di comporre le figure dei santi inquadrate da edicole con archi a tutto sesto che formano come delle nicchie. Prevale l’intento decorativo: i volti sono atteggiati a grande serenità e vi è molta cura nelle vesti minutamente indagate nei particolari decorativi.

Nell’abitato di Canischio rimane il CAMPANILE della chiesa parrocchiale, di stile romanico, del X-XI secolo, con monofore.

Informazioni:
In località Ruà inferiore; Info Comune, tel. 0124 659998

Link:
http://www.comune.canischio.to.it

Bibliografia:
Comune Canischio, Canischio – Cappella di San Grato , sd

Fonti:
Fotografie dal sito del Comune

Data compilazione scheda:
21/1/2007 – aggiornamento maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Candia Canavese (TO) : Chiesa priorato di S. Stefano al Monte

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Storia del sito:
La chiesa, purtroppo poco conosciuta e studiata, sorge nel sito di un luogo di culto preromano, successivamente romano e poi cristiano. Alcuni storici concordano con l’ipotesi che verso il 1100 questa chiesa fosse un priorato benedettino dipendente dall’Abbazia di Fruttuaria, ma occorre attendere l’ultimo quarto di secolo per avere la prima notizia certa sul complesso; in questo periodo la chiesa, con annesso priorato, dai Benedettini passò ai canonici dell’Ospizio dei Santi Nicolao e Bernardo di Monte Giove (Gran San Bernardo) e venne citata nell’elenco delle proprietà di questo ospizio che il papa Alessandro III prese sotto la sua protezione con bolla del 18 giugno 1177 che confermava la precedente volontà di Eugenio III. Santo Stefano diventava così uno dei tanti priorati attivi lungo le vie francigene.
La parte più antica dell’attuale edificio, databile all’inizio del secolo XI, è la zona centrale della facciata, dove si sviluppava anche la torre campanaria che, fino al XVII secolo, anche se in condizioni fatiscenti, era ancora presente.
Probabilmente la primitiva struttura romanica fu ad unica navata e, successivamente, fu ampliata sui lati e convertita a tre navate con pilastri a sezione quadrangolare.
Non si sa con certezza il periodo di costruzione della CRIPTA che presenta una continuità architettonica con l’aula della chiesa e ne asseconda l’inclinazione, ma è formata da capitelli e colonne di epoca molto precedente, quindi di reimpiego. Probabilmente la cripta venne inserita quando fu ricostruito l’abside centrale utilizzando materiali provenienti da una preesistente cripta o dall’edificio battesimale della pieve. La cripta, che in origine doveva avere il pavimento allo stesso livello di tutta la chiesa, è sempre stata dedicata a Santa Maria e dal XV secolo fino al 1970 (data dell’ultimo restauro) in essa si venerò una statua della Vergine che ora è nella chiesa Parrochiale.
Nella relazione della visita pastorale di Mons. Asinari del 1651 si riferisce che all’epoca le tre navate erano ancora a capriate e vi erano moltissimi affreschi eseguiti tra il XVI e il XVII secolo. In epoca barocca il vecchio campanile venne eliminato e la chiesa venne in parte rimaneggiata.

Nella Chiesa di S. Stefano al monte, fino ai primi decenni del ‘900, venivano condotte le persone morse da cani rabbiosi e si applicava sulla ferita una chiave resa incandescente. Questo metodo di cauterizzazione era ritenuto un’antichissima forma di culto.

Descrizione del sito:
La facciata in pietra, molto semplice ma di effetto, reca la traccia del campanile originario, collocato in posizione disassata rispetto all’impianto longitudinale.
Il fianco settentrionale conserva in alto frammenti di una lunga striscia ad affresco che rappresenta una “danza macabra”, soggetto raro in Piemonte.
Il fianco meridionale è impreziosito da ornamentazioni ritmate di archetti pensili in rossi mattoni che raggiungono il circuito absidale; contrastante risulta l’inserimento di un campaniletto triangolare barocco.
L’interno dell’edifico, a tre navate con presbiterio sopraelevato, conserva tracce di affreschi raffiguranti la Via Crucis e la Passione. Suggestiva è la fuga prospettica della duplice sequenza degli archi a tutto sesto della navata centrale con i varchi sulle navatelle d’altezza digradante, perché assecondano la pendenza del suolo fino alla piccola cripta.
I capitelli presenti nella cripta sono decorati con motivi formati soltanto da linee curve, rozzamente incise sulla pietra: archetti e piccoli cerchi che ricordano le tipologie presenti nella produzione degli avori di età longobarda.

Informazioni:
La Chiesa di Santo Stefano al Monte si trova su un colle nei pressi dell’abitato, all’interno del Parco naturale. Parrocchia di Candia. tel. 011 9834627

Links:
http://www.comune.candia.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2531

http://www.chiesasantostefano.it/index.htm

Bibliografia:
La Chiesa priorato di Santo Stefano del Monte a Candia un linguaggio artistico internazionale in Canavese: atti del convegno organizzato della storica Abbadia della comunità di Candia e del Canavese: Candia – Pieve di San Michele – 26 marzo 1980, Ed. P. Broglia, Ivrea, 1980

Fonti:
Fotografie dal sito www.chiesasantostefano.it.

Data compilazione scheda:
09/11/2005 – aggiornamento maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Candia Canavese (TO) : Chiesa di San Michele e Torre di Castiglione

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Storia e descrizione dei siti:
La CHIESA PARROCCHIALE PIEVE DI SAN MICHELE ARCANGELO, è un edificio tardo manierista, il cui CAMPANILE conserva parte della fase romanica e materiali lapidei romani di reimpiego.
La Chiesa ospita una STATUA in marmo bianco o alabastro dipinto, raffigurante la Madonna con il Bambino che mangia un grappolo d’uva che fino ala 1970 era nel Santuario di Santo Stefano. È ritenuta una scultura franco-fiamminga, forse di Jean de Prindall, realizzata nel 1410-1420, che misura cm 66x23x20,5.
In questa Chiesa sono stati trovati interessanti reperti nel 2000, durante i lavori di risistemazione del pavimento. Venne realizzato uno spazio di visita sotterraneo, accessibile da una scala ricavata tra i pilastri della navatella sinistra con botole vetrate calpestabili, aperto al pubblico nel 2004.
TORRE DI CASTIGLIONE: emerge dal folto di un boschetto ed è tutto ciò che resta dell’omonimo castello originario del Duecento. Il castello sorgeva sulla cima di un monticello a panettone, parzialmente scavato artificialmente nella retrostante collina, tale da lasciar supporre l’esistenza di un antico tumulo funerario.
L’atto di infeudazione del castello di Castiglione è datato 28 febbraio 1205 e si conserva nel libro rosso del Comune di Ivrea. Il Castello venne danneggiato durante le guerre del Canavese del XIV secolo, successivamente smantellato. Attualmente la Torre superstite è di proprietà della famiglia Pachié ed è stata restaurata agli inizi degli anni Settanta. Si presenta con la parte inferiore in pietra e quella superiore in mattoni. Si accede all’interno attraverso una porta che si trova a parecchi metri dal suolo. La parte più elevata della torre venne rimaneggiata nel XIV secolo, ricavandone una stanza e al di sopra una terrazza. L’antica torre e il lago sono rappresentati nello stemma ufficiale del Comune di Candia.

Descrizione dei ritrovamenti:
Nella Chiesa parrocchiale, pieve di San Michele arcangelo, venne eseguito uno scavo archeologico stratigrafico cha ha portato alla luce le tracce degli impianti romanici dell’edificio che sono tre: uno di epoca romanica tarda; uno di epoca ottoniana, uno di epoca altomedievale.
Tra i reperti più significativi ricordiamo: una base di un muro datato tra il V e il VI secolo; la base del fonte battesimale datato tra VI e VII secolo, tagliato a livello del pavimento dalle costruzioni successive; i resti di un velario del XIII secolo.

Informazioni:
Parrocchia di Candia Canavese, tel. 011 9834627, Comune tel. 011 9834645/9834400).

Links:
http://www.comune.candia.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=31222

http://www.chiesasantostefano.it/Documenti/statua%20della%20BVM.pdf

Fonti:
Fotografia in alto da Wikimedia commons.

Data compilazione scheda:
15/11/2005 – aggiornam. maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

Candia statua

Caluso (TO) : Porta Crealis e “Castlas”

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Storia dei siti:
La PORTA CREALIS o DELLA FRETA (“LE PURTASSE”) è la porta a levante, unica superstite delle quattro che consentivano l’accesso al borgo medievale, risalente al XII secolo. Poiché risulta che nel 1224 Guido di Biandrate abbia fatto costruire la “Rocca o Castellazzo”, si pensa che abbia, nella stessa occasione, restaurato e reso funzionale anche la cerchia di mura e le porte. Filippo d’Acaja, che nel 1316 acquistò dai Biandrate il feudo di Caluso permutandolo con i feudi di Corio e Rocca, nel 1324 fece costruire, tutto intorno al borgo, seguendo in parte il primitivo tracciato, un poderoso circuito di mura costeggiato da un profondo fossato e modificò le porte (probabilmente al suo intervento è dovuta la parte gotica delle medesime), munendole di ponte levatoio. L’arco romanico innalzato agli inizi del 1300, è citato nel “De Bello Canapiciano” da Pietro Azario, vissuto nel sec. XVI e cronista del suo tempo. L’imponente opera venne costruita secondo il progetto e sotto la direzione di Martino di Agliè, architetto ed esperto di fortificazioni, cui si deve anche il castello di Malgrate di Rivarolo.
L’ultimo restauro risale al 1976, quando il passaggio di un autocarro causò ingenti danni e il Comune provvide ai lavori per ripristinare l’aspetto originale. Le restanti tre porte sono andate tutte distrutte, in occasioni ed epoche diverse; l’ultima, la porta Faniania all’imbocco di via Guala, venne abbattuta verso la metà del 1800 per consentire l’ampliamento e la sistemazione della piazza Ubertini.

IL CASTELLAZZO (“CASTLASS”), anticamente dipendente dal vescovo di Ivrea, passò a Guido di Biandrate nel 1224. La struttura fortificata, menzionata come castellacium in un atto del 1257 fu poi trasformata in castrum secondo quanto indicato in un altro del 1297; non si tratta di un vero e proprio castello, come quello della vicina Mazzè, ma piuttosto di una costruzione militare edificata per controllare le strade che si sviluppavano ai piedi della collina e che portavano a Ivrea e a Vische verso il Vercellese
Nel 1316 Filippo d’Acaja subentrò al Biandrate nel possesso del feudo di Caluso e, nel 1324, fece di Caluso un importante caposaldo del partito guelfo in Canavese. Anche il castellazzo venne rafforzato, tanto da potervi alloggiare una guarnigione di 200 soldati, fatta venire appositamente da Ivrea.
Nelle guerre tra guelfi e ghibellini Caluso giocò un ruolo di primo piano; con la sua poderosa roccaforte e le robuste mura, era una spina nel fianco di Giovanni II Paleologo marchese del Monferrato, ghibellino, impegnato in una lunga e sanguinosa guerra (detta del Canavese) contro Giacomo d’Acaja, figlio di Filippo. Giovanni II tentò più volte di espugnare Caluso, inviando i suoi mercenari guidati da Facino Cane e dal Malerba, ma vi fu sempre respinto. Nel giugno del 1349 (la data più accreditata), dopo vari tentativi, alla testa delle sue truppe e accompagnato da suo cugino Ottone di Brunswick, riuscì ad entrare nel borgo e a porre l’assedio alla rocca. Caluso diventò feudo di Ottone di Brunswick, a cui Giovanni II l’aveva assegnato. Nel 1376 passò ai Valperga di Rivara, che poi presero il nome di Valperga di Caluso, che lo mantennero fino al 1537, anno in cui si insediarono gli Spagnoli, comandati dal generale Cesare Maggi, che smantellò il castellazzo temendo che cadesse in mano ai francesi. Da allora la struttura non venne più riedificata.
Nel 1951 il Comune di Caluso divenne proprietario dei resti del castlas, avendolo acquistato dai Mattirolo, eredi degli Spurgazzi. Iniziò un periodo di totale abbandono e ben presto tutta l’area si ricoprì di una fitta vegetazione selvatica. Nel 1980 furono compiuti lavori di disboscamento e di consolidamento del muraglione di Ponente.

Storia e descrizione dei siti:
LA PORTA CREALIS è una costruzione in laterizio e pietra, ad arco ogivale verso l’interno, e ad arco a tutto sesto verso l’esterno. Nella porta sono ancora visibili gli anelli in cui scorrevano i tiranti del ponte levatoio.

Del “CASTLAS” rimangono resti delle mura, un tempo alte circa dieci metri.
Sullo spiazzo antistante la rocca vi sono i ruderi del coro dell’ANTICA CHIESA DI SAN CALOCERO, la primitiva parrocchia di Caluso, risalente agli ultimi anni del XII secolo; menzionata in una bolla del 18 giugno 1177 di papa Alessandro III. La stessa chiesa venne citata da papa Innocenzo III, in una bolla datata 4 gennaio 1204. La chiesa, ancora esistente nel 1522, anche se in disuso, crollò definitivamente nel 1880.

Informazioni:
La porta Crealis o Della Freta, è in via Diaz 7, nei pressi della chiesa Parrocchiale.

Da Piazza Ubertini, a lato del Palazzo Civico, vi è una stradina che porta in località Castello sulla cima della collina che sovrasta l’abitato, il Colle di san Calocero o Monte Rotondo, ove sono i ruderi del “castlas”.



Links:

http://www.youtube.com/watch?v=LFRTl_7fyuc

Fonti:
Fotografia in alto da www.localport.it, in basso fotografie GAT.

Data compilazione scheda:
13/03/2006 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Caluso porta interno 1

Caluso porta esterno 1

Busano (TO) : Ricetto e chiesa di San Tommaso

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Storia del sito:
Secondo la “Cronaca dell’Abbazia di Fruttuaria”, nel 1019 il Conte Emerico (o Eimerico o Armerico) signore di Barbania, di Corio, Busano, Rocca e Rivara fondò un convento femminile a Busano. Il conte dotò il monastero di vari beni tratti dal suo feudo e rese consignora di Rivara sua figlia Libania che venne eletta prima badessa del nuovo monastero.
In seguito, per l’impossibilità di difendere il monastero da ingerenze esterne, nel 1114, la famiglia fondatrice rinunciò ad ogni prerogativa e lo pose sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Fruttuaria.
I conti di Valperga successivamente si impossessarono di Rivara ed estesero la loro influenza anche sul monastero e sul borgo di Busano: mentre alcune dame della famiglia assunsero la guida del monastero, i Conti inglobarono il borgo nel feudo di Rivara. Pare che i feudatari di Rivara fossero soggetti al marchese del Monferrato e in un documento del 1164 l’imperatore Federico confermava loro, fra varie terre, anche Rivara.
Nei secoli tra il XIII e il XIV intorno al monastero si sviluppò un borgo fortificato o ricetto, costituito da parecchie “celle” costruite su zona rialzata e due torri-porta. Queste caratteristiche, anomale per i ricetti canavesani, fanno pensare ad un’origine abitativa consortile e rurale attorno ad una casa-forte.
Guglielmo, conte di Rivara e di Valperga, dal 1232 al 1240 fu in lite col monastero di Fruttuaria e di Belmonte per il possesso di beni del monastero di Busano; fu condannato e dovette restituire ai Busanesi quanto aveva loro sequestrato. Il territorio di Busano nei secoli seguenti seguì le vicende di Rivara e passò ai Savoia.
Oggi dell’antico monastero rimane solo la chiesa che vi era annessa, dedicata a san Tommaso apostolo e ora, dopo ampliamenti e rifacimenti, parrocchiale del paese.

Descrizione del sito:
RICETTO: il nucleo difensivo del borgo, sviluppatosi tra il XIII e il XIV secolo, presentava forma ellittica irregolare; fu edificato su una zona rialzata di 2,5 metri rispetto al piano ed era costituito da 2 torri-porta a sud e ad est e da 2 fasce di celle alte ben 8,6 metri, costruite in muratura compatta di blocchi di pietra e ciottoli di fiume. Oggi la forma del ricetto è riconoscibile percorrendo a piedi il suo perimetro. Rimangono i resti di alcune celle; la torre sud ora è inglobata in un altro edificio.

TORRE-PORTA: sul lato est del ricetto, vicino alla chiesa parrocchiale, si è conservata la massiccia torre, alta 19 metri, formata da pietre squadrate angolari e pietrame; era munita di ponte levatoio di cui rimangono le aperture dei bolzoni sul lato esterno (dal lato interno si apriva a circa 8 metri una porta (ora murata) per l’accesso al cammino di ronda. Sulla torre vi era anche un affresco tardo-gotico oggi non più leggibile. In tempi più recenti alla torre vennero aggiunte una cella campanaria e l’orologio.

La CHIESA PARROCCHIALE DI SAN TOMMASO: della iniziale costruzione annessa al convento, iniziata verso il 1040, sono conservate esternamente le tre absidi in stile romanico, con archetti pensili e nicchie cieche o fornici; la muratura venne purtroppo ricoperta da intonaco. Secondo la tradizione vi fu sepolta nel 1064, in luogo ignoto, la santa badessa Libania.
Nel 1630 venne sostituita la copertura a capriata con volte in muratura; il lavoro richiese un adeguamento dei muri perimetrali con conseguente alterazione dei volumi originari. L’interno e la facciata della chiesa vennero rifatte in stile barocco.

Informazioni:
Comune, tel. 0124 48000; Parrocchia tel. 0124 48088


Link:
http://www.comune.busano.to.it

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I Ricetti, Edialbra, Torino, 1978
OLIVERO E., La millenaria Parrocchia di Busano, Tip. G. Anfossi, Torino, 1929
TOSCO C., Architettura e riforma ecclesiastica nel secolo XI: il San Tommaso di Busano, in “Bollettino della Soc. Piemontese di archeologia e belle arti”, 47/1995, Torino, 1995

Fonti:
Fotografie GAT.

Data compilazione scheda:
08/05/2006 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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