Canavese

Favria (TO) : Chiesa di San Pietro Vecchio o del Cimitero, ora San Grato

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Storia del sito:
Nei secoli X – XI sorse una cappella campestre, ad unica navata; di essa rimangono la parte inferiore del campanile, che fu in seguito innalzato, e l’abside romanico che oggi è nascosto alla vista esterna dai locali della sacrestia e della camera mortuaria del cimitero. Un successivo ampliamento portò l’edificio ad assumere una struttura a tre navate e le consentì di fungere da chiesa parrocchiale. In un documento del 1329 redatto in occasione di una visita pastorale, viene citata come chiesa di San Pietro del “Peza” (nome che aveva la località in cui essa è sita), dipendente dalla dicesi di Ivrea. Alcuni frammenti di affreschi romanici emersi sotto le pitture quattrocentesche dell’abside testimoniano come la chiesa, nel XIII- XIV secolo, dovesse essere già ricca di affreschi che furono coperti da altri eseguiti nel XV secolo nell’abside e nella cappella della Madonna delle Grazie.

Descrizione del sito:
L’assetto architettonico attuale della chiesa, vista di fronte, deriva dai lavori eseguiti nel XVIII secolo, quando venne costruito, in mattoni a vista, il pronao a tre fornici sormontato da un elegante frontone, al centro del quale è posto un ovale che ospitava un dipinto ora non più visibile.
Nel catino absidale sono emersi frammenti di AFFRESCHI del XIII- XIV secolo: parti di una figura umana avente caratteri riconducibili alla pittura romanica (occhi dilatati, pomelli rossi sulle guance, ecc.). Forse risale allo stesso periodo anche il frammento di affresco, raffigurante una singolare figura demoniaca quadricefala, ora visibile solo nel sottotetto, sopra le coperture delle navate. Il dipinto probabilmente continuava sulla sinistra e verso il basso ed è andato perduto quando vennero abbassate le coperture delle navate, quindi non si sa quale fosse il soggetto raffigurato.
Gli affreschi dell’abside, riportati alla luce e restaurati nel 1999, recano la data di esecuzione: 1432. Raffigurano, secondo un’iconografia ancora assai diffusa all’epoca, un maestoso Cristo pantocratore, posto in una mandorla che occupa il catino dell’abside assieme ai simboli dei quattro evangelisti (il così detto Tetramorfo) e a cartigli in caratteri gotici nei quali si legge l’incipit dei quattro Vangeli. Nella fascia sottostante è rappresentata, in abiti suntuosi, la teoria degli Apostoli, riconoscibili attraverso i loro simboli usuali e le iscrizioni poste vicine alla loro testa. Tra gli apostoli Simone e Mattia è dipinto lo stemma araldico (con leone rampante) della famiglia committente locale: i Cortina di Favria. L’attribuzione non è concorde (forse “Pseudo Domenico della Marca d’Ancona”).
Nella navata destra, sopra il piccolo altare marmoreo della “cappella della Madonna delle Grazie”, protetto da una vetrinetta, è posto l’affresco più importate della chiesa; esso raffigura una “Adorazione del Bambino e Santi Vescovi”. Le mutilazioni apportate all’affresco ed i rimaneggiamenti compiuti quando venne costruito l’altare spostando più in alto la figura del Bambino, non impediscono di riconoscere in esso una copia piuttosto pregevole dell’ “Adorazione” eseguita nella vicina città di Rivarolo da Martino Spanzotti verso il 1485. Nella stessa cappella troviamo altri affreschi: una sant’Anna Metterza (cioè la raffigurazione di sant’Anna, la Vergine e il Bambino); poco più in basso è venuta recentemente alla luce, sotto lo scialbo che la ricopriva, una “prova d’autore” con il volto di sant’Anna. Sulla parete destra, le figure di san Michele e di san Pietro. Poco distante, sulla stessa parete destra, si trova un’altra coppia di santi, san Biagio e san Rocco. Si tratta verosimilmente di affreschi eseguiti ancora nell’ultima decade del XV secolo o agli inizi del secolo seguente, dallo stesso valente pittore di scuola spanzottiana (autore di un’altra notevole Adorazione, nel santuario di Monte Stella a Ivrea). È infine da segnalare un altro affresco riportato alla luce nel 2006 sul pilastro tra la navata centrale e la navatella di destra. Si tratta di una “Pietà”, dipinta con un linguaggio marcatamente nordico, che si fa ammirare per la drammaticità dei volti della Madonna e del Cristo. Il nuovo ritrovamento, che va ad aumentare l’interesse artistico di questa modesta chiesa cimiteriale, non è ancora stato accuratamente studiato e nessuna ipotesi, allo stato attuale, può esser fatta sul suo autore.

Informazioni:
Tel. 0124 34586; email: info@comitatosangrato.org

Links:
www.comitatosangrato.org

http://www.comune.favria.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2423

wikipedia

Bibliografia:
MORETTO A., “Indagine aperta sugli affreschi del Canavese”, Stabilimento tipo-litpgrafico G. Richard, Saluzzo, 1973, pag 170-172
FERRERO F.G.; Formica E., “Arte medievale nel Canavese”, Priuli & Verlucca Editori, 2003, pag 158-160

Fonti:
Fotografie 1, 2, 3 dal sito del Comune; foto 4, 5 dal sito www.comitatosangrato.org

Data compilazione scheda:
24 ottobre 2011 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Cuorgnè (TO) : Museo Archeologico del Canavese

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Storia del Museo:
Fondato nel 2004, il museo occupa un piano dell’ala sud dell’antica manifattura di Cuorgnè, restaurata per l’occasione. Il percorso museale presenta al pubblico la storia del Canavese dalle origini tardopaleolitiche al Medioevo.

Descrizione del materiale esposto:
L’esposizione si articola in una serie di sale disposte attorno a uno spazio centrale riservato alle mostre temporanee.
La prima sala presenta un plastico del Canavese riprodotto in scala 1:25.000 e raffigurante quello che doveva essere il territorio nella tarda età romana.
Segue la sezione dedicata al Mesolitico: in un’unica vetrina sono esposti un nucleo di materiali in selce grigia e alcuni microliti lavorati da cacciatori del Tardoglaciale (12.000-10.000 a.C.) provenienti dalla Boira Fusca. Significativi i resti di orsi probabilmente cacciati e macellati nella grotta.
Dell’epoca neolitica rimangono i resti di alcune collane in pietra, i resti di una sepoltura dell’età del Rame, un’ascia levigata e una fusaiola finemente decorata.
Tre vetrine conservano inoltre i reperti provenienti dai tre grandi siti di Montalto, Santa Maria di Pont e San Martino, più qualche materiale rinvenuto a Filia di Castellamonte e all’imbocco della valle Orco.
Spicca il bicchiere ritrovato intatto in una tomba del lago di Montalto, oltre alle ceramiche con excisioni meandro-spiraliche da Santa Maria, la testa femminile di una statuetta fittile e la lama di un pugnale in selce da San Martino. Meritano ancora di essere menzionate una pintadera per pitture su pelle e stoffa, i resti di una tomba ad inumazione e un discreto numero d’asce in pietra verde levigata.
La quarta sala, posta a raccordo tra le due maniche del museo, presenta i materiali dell’età del Bronzo, dai resti di ceramica provenienti da Boire (Pont) ai materiali di Uvera (Cuorgnè), tra i quali si riconosce uno stampo in pietra per la produzione di un pettine.
Sono conservati in questa sezione vasi decorati a coppelle e linee incise, grandi ciotole ad ansa lievemente carenate, una lastra incisa proveniente da Navetta (Cuorgnè) e due statue usate come steli in un complesso funerario rinvenuto a Tina (Vestignè).
Una saletta a parte contiene la ricostruzione della tomba del cimitero ad incinerazione del Bronzo finale di Santa Apollonia, a Valperga.
Si entra quindi in una grande sala d’angolo. In cinque vetrine sono raccolti i materiali del Bronzo finale e dell’età del Ferro rinvenuti nel Canavese. Si spazia dalle urne cinerarie di Santa Apollonia all’urna fittile di Santa Maria, dalla copia delle spade in bronzo ricavate dallo stampo scoperto nell’Ottocento a Piverone alle terrecotte transalpine riferibili alla cultura di Hallstatt, dai vasi decorati del Bronzo finale alle terrecotte della seconda età del Ferro.

Con la sala successiva si passa alla prima età romana.
Il visitatore può ammirare le ceramiche grezze di produzione locale, risalenti alla tarda età del Ferro, e le più raffinate ceramiche a vernice nera, diffuse nei primi ambienti urbanizzati.
Una vetrina è dedicata alle attività domestiche e raccoglie diverse fusaiole, i pesi di un grande telaio verticale e alcune macine manuali. Altre due vetrine sono riservate ai materiali provenienti dall’area di Valperga e dalla grande necropoli di strada Borelli. Un’altra, infine, contiene i reperti derivanti dallo scavo dell’abitato di strada Borelli, oltre ad un’anfora vinaria di provenienza incerta, ma sicuramente norditalica.
La sala successiva è riservata alla collezione di lapidi funerarie romane, ventuno delle quali relative ad un’unica necropoli, divise in tre nuclei e presentate in forma analoga alla loro sistemazione originale. Una vetrina centrale presenta le usanze legate al culto e contiene la daga sacrificale rinvenuta nel 1951 al cimitero di Cuorgnè.

L’ultima sala del museo presenta i materiali del tardo Impero e d’epoca ormai barbarica. Dalle fattezze più raffinate di piena epoca romana si passa via via a forme più grezze. Numerosi i vasi in pietra ollare provenienti da Vauda, Belmonte e Cuorgnè.
Di pregio, poi, i grandi bracieri fittili e i resti di uno scarico di fornace per ceramica scoperto negli anni Settanta in località Ronchi di Torre Canavese, che attesta l’origine dell’artigianato ceramico nell’area castellamontese.
La visita al museo si conclude con una vetrina in cui è conservato un tegolone con ogni probabilità proveniente da una tomba, recante inciso il nome del defunto Ursicinus, scoperto a Belmonte nel XIX secolo. La stessa sala espone alcuni capitelli altomedievali provenienti ancora da Belmonte e da Valperga.
In una sala del Museo è conservato il “ CICLO DEI PRODI DI VILLA CASTELNUOVO”, un’opera affrescata databile verso la metà del XV secolo, venuta alla luce nel 1980 nei ruderi di quella che doveva essere la sala di rappresentanza del castello di Villa Castelnuovo nel comune di Castelnuovo Nigra. I dipinti che compongono il ciclo sono stati staccati, trasportati su pannello e restaurati. Per la descrizione dell’opera vedi scheda su Castelnuovo Nigra.

Informazioni:
Tel. 0124 651799 ; email: info@cesmaonline.org

Link:
http://www.cesmaonline.org

http://it.wikipedia.org/wiki/Museo_archeologico_del_Canavese

Bibliografia:
SAPELLI RAGNI M. (a cura di), 2004, Tesori del Piemonte. Il Piemonte degli scavi. Siti e musei di antichità
MERCANDO L. (a cura di), 1998, Archeologia in Piemonte, Allemandi

Fonti:
Fotografia in alto da Wikipedia.

Data compilazione scheda:
02/07/2007 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Simona Vigo – G. A. Torinese

Cuorgnè (TO) : Borgo, torre rotonda e quadrata

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Storia del sito:
Il territorio di Cuorgnè fu frequentato dall’uomo già nel Paleolitico Superiore e abitato stabilmente nel Neolitico; una notevole quantità di reperti, sparsi su tutto il territorio, risale all’epoca romana. Negli immediati dintorni dell’attuale Cuorgnè sorse un importante centro medievale, quella “Curtis Canava” da cui prese il nome il territorio circostante, il Canavese. Fino a quando nei documenti medievali appaiono riferimenti alla Curtis Canava, ossia fino alla prima metà del secolo XI, non è mai attestata la presenza, nella regione, di una località il cui nome si possa collegare in qualche modo con Cuorgnè. Solo dopo la scomparsa del luogo di Canava, avvenuta secondo l’opinione di storici locali in seguito a grandi straripamenti del torrente Orco fra il 1028 e il 1030 ma in realtà mai provata, i documenti cominciano a riferire il nome di “Corgnato”. Il nuovo borgo medievale venne costruito su una collina al sicuro dalle inondazioni, intorno ad un castrum, cioè un recinto fortificato, che nel XII secolo era probabilmente di proprietà della famiglia dei Silvesco. Estintosi questa famiglia, il castello passò per via femminile ai Valperga. Di questo castello è rimasta solo la cosiddetta “Torre Rotonda”, secondo alcuni studiosi costruita sulle fondamenta di una torre di guardia tardo romana.
Il borgo di Cuorgnè ebbe un primo ampliamento con la suddivisione in sedimi regolari del terreno attorno alla Torre Rotonda; diede ampio spazio al mercato fornendo di una larga sede la via commerciale che attraversa l’abitato (anche quando sarà ristretta per la costruzione dei portici da ambo i lati continuerà ad essere chiamata “platea Burgi”); dotò il nuovo insediamento di una cinta di mura. Nelle mura si aprivano porte, dotate di torre e ponte levatoio. All’imbocco dell’attuale via Arduino sorgeva la porta principale, detta “Piè del Borgo”. Sul lato verso il torrente Orco lo stesso dislivello del terreno costituiva di per sé una protezione che fu integrata con opere in muratura o palizzate in legno; il lato verso la Villa e il tratto che dall’attuale Piazza Boetto conduce alla Via delle Fontane doveva essere invece circondato da un fossato, tratti del quale sono stati ritrovati durante lo scavo per l’acquedotto. Il secondo ampliamento, invece, si sarebbe sviluppato lungo la Via Arduino, come continuazione del precedente, dettato dalla necessità di nuovi spazi per il fiorente commercio che caratterizzò sin dall’origine il Borgo, strettamente connessa alle importanti vie di transito e al ponte sull’Orco. La suddivisione dell’abitato in due parti, la Villa, anticamente dominata dal castello Ardiciano, e il Borgo col castello della Torre Rotonda, si mantenne sino al 1700.
Il territorio di Cuorgnè, in periodo che non è possibile precisare per mancanza di documenti ma ipotizzabile attorno alla metà del secolo XIII, cadde in mano alla potente famiglia dei Valperga, comites de Canavise, i quali, partendo dal basso Canavese, erano riusciti a conquistare già dal 1170 il castello della Villa e iniziarono la lotta col castello del Borgo o della Torre Rotonda. Tra il 1330 e il 1380 fecero costruire una torre più alta della rotonda, detta oggi “Torre Quadrata”, a poca distanza da quella dei nemici (le torri costruite all’interno dell’abitato, segno delle lotte tra signori locali erano dette torri “di discordia”). I Valperga, lentamente, riuscirono a conquistare Cuorgnè e l’intero Canavese. Tutti i signori precedenti furono sopraffatti e i documenti relativi alle loro famiglie scomparvero e con questi tutte le notizie riguardanti il territorio e le comunità. Caduto il paese in mano ad una sola Famiglia, le due torri cessarono di avere importanza e la Torre Quadrata fu ceduta, nel 1469, al Comune che la utilizzo come torre di vedetta e più tardi vi collocò la campana civica e l’orologio.

Descrizione dei siti:
Gli elementi più caratteristici del BORGO dell’epoca medievale si trovano nell’attuale VIA ARDUINO, che forma ancora oggi un significativo esempio urbanistico e architettonico di antico borgo mercantile. I negozi si affacciavano sul portico e altri negozietti erano posti fra pilastro e pilastro verso la via carraia, “banchi fissi” con magazzino sottostante il portico cui si accedeva da botole in parte ancora ben visibili. Tutto il traffico doveva sempre transitare all’interno del Borgo. Quasi tutta la via è fiancheggiata da portici: quelli meglio conservati sono sulla sinistra con caratteristici archi slargati. Affiora ancora in qualche punto il caratteristico acciottolato che un tempo pavimentava tutta la via centrale.
L’EDIFICIO al n° 11 ha un bel soffitto tutto in legno sostenuto da robuste travature poggianti su un grande trave maestro; si noti anche la colonna cilindrica con capitello in legno. Anche la facciata è di notevole interesse, ad un piano solo con struttura in travetti lignei tamponati in laterizio, tipologia costruttiva diffusa al Nord ma rara in Piemonte. È l’edificio più antico del Borgo: di qui si può arguire come inizialmente le case non siano state subito progettate con il portico, ma questo sia venuto solo in un secondo tempo, come semplice tettoia in legno per riparare la merce posta in vendita; poi sulla tettoia venne costruita una stanza, divenuta parte integrante dell’abitazione.

In piazza Boetto, a sinistra sul fondo, si vede la facciata del Teatro Comunale, sul cui fianco si trova un’antica TORRE – PORTA, detta di “SAN GIOVANNI” appartenente alla più antica cinta muraria che separava i due rioni del Borgo e della Villa.

Sulla destra parte invece via Gorizia, stretta e tortuosa che in origine conduceva all’antico ponte sull’Orco. Proseguendo invece per la via porticata, sempre sul lato sinistro dopo un altro bel soffitto a cassettoni si trova la CASA al n° 27, impropriamente detta “del Re Arduino”, caratterizzata da arcate gotiche di tipologia tre-quattrocentesca con capitelli in pietra a motivi floreali; le porte e le finestre sono decorate da fregi in cotto a motivi floreali. Fu ricostruita nel Borgo Medievale di Torino.

Sorge al numero 26 l’alta TORRE QUADRATA, uno dei simboli di Cuorgnè, eretta dai Valperga.

Dall’altro lato della strada si innalza, al n° 37 di Via Arduino, la TORRE ROTONDA ben visibile dall’angolo della piazzetta di fronte alla chiesa seicentesca della Confraternita di San Giovanni. La robusta struttura è costruita in ciottoli di fiume posti a spina di pesce. La Torre rotonda è detta localmente anche TORRE DI CARLEVATO: una leggenda, frutto della fantasia popolare, racconta che intorno all’anno 1000 un giovane molto povero, ma con sogni di grandezza, veniva deriso dai suoi concittadini; andò all’estero, fece fortuna, ma ritornò vestito da mendicante e solo la famiglia di un vecchio amico lo accolse, mentre gli altri lo prendevano in giro col ritornello “Carlevato, Carlevato, povero partito, povero tornato”. Ma rapidamente un’alta torre venne costruita nel centro dell’abitato a mostrare la ricchezza del concittadino fortunato e deriso.

Informazioni:
Il Borgo medievale si sviluppa nel centro dell’abitato di Cuorgnè.  Comune tel. 0124 655111; Biblioteca Comunale tel.0124.655254

 

Links:
http://www.comune.cuorgne.to.it/ComGuidaTuristica.asp

Bibliografia:
BELTRAMO S.. GIANADA S., Cuorgnè: nascita e sviluppo di un borgo mercantile, CORSAC, 2000
BERTOTTI M., Documenti di storia canavesana, Fratelli Enrico Editori, Ivrea, 1979

Fonti:
Le notizie sono state tratte nel 2006 dal sito del Comune e fornite dalla Biblioteca Civica di Cuorgnè.
Immagine in alto da Wikipedia; in basso da www.internoquattro.org, sito non più attivo nel 2020.
Data compilazione scheda:
12/01/2006 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Ciriè (TO) : Edifici medievali

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Storia del sito:
La città ha origini romane e sorgeva in un territorio con grandi foreste: per questo forse ebbe il nome di “Castrum Cerretum” (o solo “Cerretum”) che, con l’avvento del cristianesimo, diventò “Ciriacum” seguendo l’uso di scegliere un santo protettore (San Ciriaco) con il nome più simile al proprio. Si hanno testimonianze a partire dal 1200, quando divenne feudo dei Marchesi di Monferrato; con la morte di Giovanni del Monferrato passò ai Savoia e fu assegnato alla sua vedova che era Margherita di Savoia. La città possedeva una cinta muraria con 14 torri.
Nel Medio Evo la via più importante di Ciriè era la Via Maestra, che divideva a metà il borgo e i suoi quartieri; nel XV secolo le famiglie nobili, importanti e abbienti vi costruirono le loro case e i loro “palazzi” con portici a piano terra, ove artigiani, mercanti e liberi professionisti, esercitavano le loro attività. Gli orti e i giardini vennero confinati all’esterno delle mura.

Descrizione del sito:
Nel corso la città dei secoli subì notevoli cambiamenti, conservando solo pochi esempi del passato medievale. L’antica via Maestra è oggi Via Vittorio Emanuele che attraversa longitudinalmente l’abitato e che conserva alcune facciate di palazzi medievali: ai numeri 85 e 87 due case quattrocentesche già della nobile famiglia dei Provana, con grandi monofore ogivali in terracotta e bei fregi floreali; al numero 91 una casa del secolo XVI a due piani divisi da fasce e con finestre crociate; a destra, quasi all’angolo con Via Cavour, una bella CASA-TORRE del 1300 con portico ad archi ogivali e volta a crociera cordonata.
Al di fuori della zona pedonale del centro storico, ormai circondata da alti palazzi, sorge una TORRE cilindrica, la sola superstite dell’antica cinta muraria: costruita in pietra e laterizi, presenta sulla cima aperture con arco a tutto sesto ed e conclusa da decorazioni in mattoni.

Informazioni:
Gli edifici medievali sono in Via Vittorio Emanuele, nella zona pedonale. La torre è oltre la circonvallazione, sulla via per Lanzo.  Comune di Ciriè tel. 011 9218111

Link:
http://www.comune.cirie.to.it

http://www.cirieturismo.it/cosa_vedere/index.htm

Fonti:
Fotografia n° 1 da www.comuniverso.it ; foto n° 2 archivio GAT

Data compilazione scheda:
21/11/2005 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Ciriè (TO) : Duomo di San Giovanni

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Storia del sito:
Nacque come semplice chiesa dipendente dalla pieve di san Maurizio; con la formazione del borgo di Ciriè nel XIV secolo, divenne la chiesa principale. Accanto ad essa, presso la Porta nuova, c’erano l’abitazione del curato, il Cimitero e la Cappella della Confraternita di santa Croce. La chiesa venne dedicata a San Giovanni Battista.
L’impianto non si discosta dal modello romanico-gotico piemontese del XIII-XIV secolo. La parte absidale fu rifatta nel 1750 con l’aggiunta del presbiterio, del coro e dell’altare opera di Bernardo Vittone.
Fu rimaneggiata e drasticamente restaurata sia all’esterno che all’interno con aggiunte neogotiche da Edoardo Antonio Mella e Carlo Ceppi nel 1870.

Descrizione del sito:
La facciata è tripartita e asimmetrica, con un portale formato da un arco acuto con base larga, una cuspide con decorazioni in cotto e stipiti, fasce e colonnine verticali con lavorazioni formate da mattoni sovrapposti, molti dei quali ornati da fiori. Al di sopra dell’ogiva vi è una lunetta con un dipinto raffigurante la Madonna con il Bambino, san Giovanni e san Ciriaco, Patrono della città. Sopra la porta vi è una finestra circolare con decorazioni in cotto. Sul lato destro della facciata un grande mosaico rappresenta la predicazione di san Giovanni Battista.
L’interno è basilicale a tre navate divise da pilastri cruciformi che reggono archi a sesto acuto e volte a crociera cordonate. I campi delle navate hanno dimensioni diverse fra di loro: quella di sinistra è più larga di quella di destra.
Nel secondo altare a destra vi è un pregevole CROCEFISSO LIGNEO di scuola bizantina, del XIII – XIV secolo.
Nell’abside vi è un polittico di Giuseppe Giovenone del 1531, rappresentante il Battesimo di Gesù, due Santi, Gabriele e Annunciata.
Sul primo altare a sinistra pala, un tempo rettangolare, oggi ovale, della bottega di Defendente Ferrari del 1519 detta la “Madonna del Popolo” perché reca l’epigrafe “ora pro populo”. Vi sono rappresentati la Vergine Maria con il Bambino e una corona di santi; ai suoi piedi vi è il popolo, tra il quale sono dipinte anche alte personalità civili ed ecclesiastiche, divise per sesso: le donne sulla sinistra e gli uomini sulla destra.
Nella cappella della Beata Vergine Maria, a destra dell’ingresso,  sono rimasti alcuni pregevoli affreschi del XIV e XV secolo. Per approfondire:
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A sinistra dell’edificio sorge il bel CAMPANILE con monofore ai primi due piani, poi bifore e ai due ultimi piani trifore inserite in archi trilobi. Un’alta cuspide, pinnacoli e un orologio recente concludono il campanile.

Informazioni:
Parrocchia tel. 011 9214551

Link:
https://it.wikipedia.org/wiki/Duomo_di_Ciri%C3%A9

Fonti:
Fotografia da http://www.cirieturismo.it/cosa_vedere/duomo.htm, sito non attivo nel 2020.

Data compilazione scheda:
03/12/2005 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

Ciriè (TO) : Chiesa di San Martino

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Storia del sito:
La chiesa di San Martino di Ciriè è indicata in alcuni testi come “di Liramo”, ma tale denominazione non è corretta, perché Liramo era una località posta tra Ciriè, Nole e Grosso, con una pieve-prevostura dedicata a S. Martino, di cui si hanno documenti dal 1185 e che oggi si trova nel territorio del comune di San Carlo Canavese. La confusione tra le due chiese risale alle errate conclusioni tratte dal canonico Giachetti nel testo del 1924 “Notizie storiche di Ciriè”.
La Chiesa di San Martino venne costruita tra la fine del secolo X e l’inizio dell’XI. Inizialmente venne edificata una chiesa ad una navata con un breve presbiterio coperto a botte, conclusa da un’abside.
Una seconda fase costruttiva si ebbe probabilmente tra la fine dell’XI e il XII secolo, quando alla prima chiesa, sul lato sud, si affiancò una seconda navata più bassa e poco più corta, anch’essa absidata. Le due navate vennero rese comunicanti con una grande arcata ottenuta abbattendo parte del muro perimetrale a mezzogiorno. Qualche decennio prima di questa modifica era stato costruito sul lato nord il campanile.
La chiesa, che fin dal 1158 fu affidata ai canonici di San Bernardo, non presentava decorazioni scultoree, ma era riccamente ornata di affreschi, spesso nel tempo sovrapposti e attualmente rovinati anche per cadute di intonaco.
L’edificio subì pesanti rimaneggiamenti nel 1754 quando venne costruita una strana abside sul lato occidentale al posto della facciata e si aprì una porta di ingresso demolendo parte dell’antica abside. In parte si rimediò a questi danni nei restauri eseguiti all’inizio del 1900, quando si riportò la costruzione alla situazione originale, con l’accesso dal lato meridionale. Fu dichiarata monumento nazionale nel 1910. Gli affreschi furono restaurati nel 1920; dal 1977 al 1999 è stato eseguito un nuovo intervento secondo gli attuali criteri di recupero.

Descrizione del sito:
La Chiesa sorge su una piazza dominata dal campanile, è priva di facciata e vi si accede da una porta sul lato sud.
La muratura delle pareti e dell’abside maggiore è in ciottoli e pietrame curato nella lavorazione, con alcune file di laterizio. L’abside maggiore esternamente è divisa in campi da lesene che sorreggono ampi archetti binati; vi si aprono tre strette monofore asimmetriche, spostate sulla sinistra rispetto al punto mediano. Il rivestimento dell’abside minore, in mattoni con lesene che sorreggono gruppi di tre archetti pensili, è frutto dei restauri.

Il CAMPANILE, cui si accede da una porta sul lato nord del presbiterio dalla navata maggiore, è costruito per la maggior parte di pietrame ben lavorato, con pochi ciottoli e mattoni, in alcuni tratti a spina di pesce, con muratura simile a quella della navata maggiore. Il campanile, molto ben conservato, si eleva per sette piani ornati da cornici di cinque archetti nella parte bassa e sei negli ultimi piani. Ogni piano è sormontato da un fregio di mattoni a dente di sega. Nei primi tre piani si aprono strette feritoie, nel quarto una larga monofora, nel quinto e sesto una bifora su colonna e capitello a stampella, nel settimo una trifora. La cuspide è moderna.

Gli AFFRESCHI più antichi si trovano nell’abside maggiore: risale ai secoli XI–XII il frammento nel sottarco a sinistra con Eva e a destra un mostro infernale che inghiotte i dannati; al di sopra di Eva una resurrezione dei morti del XIII–XIV secolo; nel catino absidale l’immagine, assai rovinata, di un grande “Cristo Pantocratore” in mandorla, attorniato dai simboli degli Evangelisti; sotto, nel cilindro absidale, figure frammentarie della teoria dei dodici Apostoli, una composizione simile a quella di San Ferreolo a Grosso Canavese (vedi scheda) databili al XIII–XIV secolo.
Nell’abside minore gli strati sovrapposti rendono la lettura poco agevole: vi è un ciclo dedicato a Maria (simile a quello cristologico dell’abside maggiore), databile al XIV secolo, che rappresenta nel sottarco l’assunzione e l’incoronazione della Vergine con al centro un Cristo in mandorla; nel catino absidale è rappresentata una Pietà (o Compianto del Cristo) con Maria che tiene in grembo il Cristo morto; in basso vi è una Sacra Famiglia. Più tardi sono i frammenti in stile gotico che raffigurano san Secondo, sant’Antonio abate, un personaggio inginocchiato e la data del 1481. Invece alla metà del 1400 appartiene la figura di san Martino. La figura frammentaria del santo monaco, sulla parete divisoria, è degli inizi del 1500. Nelle due absidi catino e cilindro sono separati da una fascia decorata che imita un fregio di mattoni a dente di sega.

All’interno della chiesa sono conservate cinque LAPIDI DI EPOCA ROMANA, una databile al I secolo, le altre più incerte, rinvenute alcune in terreni della zona, altre nel greto del fiume Stura, piuttosto rozze, con scritte frammentarie, presumibilmente opera di scalpellini locali.

Informazioni:
Comune tel. 011 9218111

Link:
https://www.cirie.net/it/point-of-interest/chiesa-san-martino

Bibliografia:
CAVALLARI MURAT A., Lungo la Stura di Lanzo, Torino, 1973
CHIERICI S., CITI D., Italia romanica: il Piemonte, la Val d’Aosta, la Liguria, Jaca Book, Milano, 1979
SISMONDA A., Notizie storiche di Cirié con note ed aggiunte del teol. Giachetti E., Bottega di Erasmo, Torino, 1972, facsimile dell’edizione di Ciriè del 1924.

Fonti:
Foto archivio GAT.

Data compilazione scheda:
21/11/2005 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Chivasso (TO) : Torre ottagonale

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Storia del sito:
Due colonne miliari fanno risalire l’esistenza di Chivasso al tempo dell’imperatore romano Costantino, nel 337 d.C. Il primo riferimento storico della comunità di Chivasso risale all’anno 843, ed è contenuto in un “privilegio” di Lotario I, in cui il nome risulta scritto come CLAVASIUM.
Nel 1164 il povero villaggio di pescatori fluviali, raccolto intorno alla primitiva chiesa collegiata di San Pietro, venne infeudato dall’imperatore Federico Barbarossa alla stirpe degli Aleramici, marchesi del Monferrato, che vi stabilirono la capitale del loro crescente marchesato e, nel 1178, vi eressero il castello, che era probabilmente di forma rettangolare con tre padiglioni, includendovi la torre ottagonale.
Non si conosce esattamente la data di erezione di questa torre, forse da collocare in epoca longobarda; sicuramente era già esistente nel 1019, quando Chivasso era possesso dell’Abbazia di Fruttuaria. Dopo il XII secolo la torre fu resa più alta di diversi metri con la costruzione di una parte in mattoni, demolita nel XIX secolo.
Chivasso continuò a essere sede della corte e capitale del Marchesato anche sotto la dinastia dei Paleologi sino al 1435, quando passò a casa Savoia. Alla fine del XV secolo a Chivasso fiorì l’arte della tipografia e l’attività di argentieri, intagliatori del legno e soprattutto di pittori; in particolare del casalese Giovan Martino Spanzotti, che qui tenne bottega dal 1502, e di Defendente Ferrari, chivassese di stirpe, attivo fino agli anni Quaranta del Cinquecento.
Nel corso dei secoli il castello di Chivasso subì vari assedi e danneggiamenti e, nel 1639, durante la lotta tra gli Acaja e Madama Reale, la costruzione cadde definitivamente in rovina e si salvò soltanto, grazie alle poderosa fondamenta in massi e ciottoli che la sostenevano, la torre ottagonale che era adibita a polveriera e a prigione.

Descrizione del sito:
La Torre ha pianta ottagonale, è alta più di venti metri e presenta all’esterno un rivestimento in blocchi di pietra calcarea grigia e ciottoli. È coperta da un tetto, frutto di un recente restauro.
L’interno ha un caratteristico paramento in mattoni che termina in una volta a padiglione a otto spicchi. L’entrata nella torre è consentita da due porte che si trovano sui lati Nord e Sud a circa otto metri dalla strada attuale; anticamente si accedeva tramite scale di legno che, in tempo di assedio, venivano rimosse. La torre era divisa in 3 piani pavimentati con legno, mentre attualmente è riempita per metà di detriti.

Informazioni:
Comune – Ufficio Turistico (tel. 011 9103591)

Links:
http://www.parks.it/parchi.po.collina/pun.chivassese.html

Fonti:
Fotografia dal sito www.parks.it

Data compilazione scheda:
10/01/2006- aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

Chivasso (TO) : “Lapis Longus”

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Storia del sito:
Nel 1499, per ordine del Viceclavario Giovanni di Rivara, una lunga pietra (lapis longus), ritrovata nei lavori di ristrutturazione della Piazza del Castello nei pressi della Chiesa di San Michele, venne modificata con l’aggiunta di catene in ferro fissate con piombo e trasformata in berlina con una pietra liscia collocata alla base per la punizione dei debitori insolventi: la sua collocazione era al centro della piazza del Castello, al bordo del fossato. I condannati, oltre al sequestro di tutti i loro beni, erano esposti al pubblico ludibrio semivestiti e costretti per dileggio a battere le natiche nude sulla pietra (cessio bonorum). La notizia viene fornita da B. Siccardi nel 1533 con l’esposizione della “iurium Municipalium… collectio”, la raccolta delle disposizioni giuridiche del Comune di Chivasso. Non si conoscono le circostanze del ritrovamento originario della stele: il fatto che essa fosse considerata un’antica pietra di confine tra Piemonte e Lombardia fa pensare che ne fosse ancora vivo il ricordo del ritrovamento al di fuori della cerchia cittadina. In effetti tra il 1398 ed il 1403 il marchese di Monferrato Teodoro II fa eseguire ai cittadini di Chivasso diversi lavori di scavo per la realizzazione di una roggia che prelevasse l’acqua dall’Orco a sud di Foglizzo e delle “cerche”, originariamente fossati difensivi intorno alla città, dall’Orco presso Montegiove al Po. È possibile che proprio in questi estesi lavori, che comportarono scavi e spianamenti, fosse rinvenuto il monumento e che l’identificazione come oggetto di culto pagano ed una comune cautela tra religione e superstizione ne consigliassero la collocazione presso la Chiesa di S. Michele (costruita poco dopo il 1000 nell’area tra il castello ed il Duomo e cancellata completamente nella risistemazione della piazza nel 1649). In via del tutto ipotetica potrebbe venire proprio dalla località di Montegiove, a nordovest della città, dove evidentemente nel tempo è stata spianata una piccola altura (un tumulo?), oppure dalla regione “La Pagana” presso la località Torassi, ad est di Chivasso, dove ancora alla fine dell’800 era stato rinvenuto un “massiccio idolo di pietra” di cui non è nota l’attuale collocazione. Dopo la metà del ‘600, con la sistemazione della piazza, la berlina fu spostata per ordine della Credenza (il consiglio dei reggitori comunali) ed appoggiata ai muri sul lato occidentale: qui ci viene mostrata ancora da un quadro della metà del ‘700, conservato nel Duomo, che mostra la facciata della chiesa e la parte settentrionale della Piazza al di sotto del trionfo del Beato Angelo Carletti, protettore della città. Con l’arrivo dei Francesi e delle idee rivoluzionarie nel 1798 la pietra venne rimossa come simbolo del passato regime e collocata alla periferia ovest di Chivasso, mentre nella piazza si innalzava l’albero della Libertà. La sistemazione dei giardini e della piazza d’Armi ai primi del ‘900 la trasformava in panchina, di fronte al Cinema Politeama. Riconosciuta come reperto d’interesse archeologico dalla Soprintendenza, veniva recuperata nel 1992 d’intesa con l’Amministrazione Comunale per essere sottoposto a studio e restauro.

Descrizione del ritrovamento:
Diversi elementi permettono di proporre come stele funeraria del VII-VI secolo a.C. la stele di Chivasso. Il monumento, pesante circa 1,5 tonnellate e ricavato da un grosso masso di gneiss di trasporto fluvioglaciale, doveva essere stato sbozzato sul posto e trasportato per una pur limitata distanza non senza difficoltà, probabilmente con rulli o slitte. Era in origine collocato eretto con un adeguato rinforzo alla base e tracce del limite di interramento sono visibili ancora oggi. Le grosse coppelle (incisioni circolari a profilo a conca), realizzate con strumenti metallici e rifinite con martelli di pietra sulla faccia anteriore (le due superiori sono state poi riempite di piombo nel 1499 per il fissaggio delle catene in ferro della berlina), si confrontano con analoghe incisioni su stele funerarie del VII-VI secolo, in particolare da Castelletto Ticino (NO). D’altra parte tutta la superficie appare accuratamente rifinita, con abbondanti tracce di bocciardatura che in alcuni punti sembrano seguire un andamento circolare o spiraliforme. Le dimensioni e la forma della stele, terminante a punta ed alta circa 4 m (per una sporgenza dal terreno di circa 12 piedi romani), richiamano analoghi reperti di Mazzè e di Lugnacco, a sottolineare una diffusione del tipo nell’area canavesana. La mancanza sinora di ritrovamenti in giacitura originaria obbliga a cercare al di fuori del Piemonte modelli interpretativi: nel Palatinato Renano (la regione di Heidelberg e Mannheim in Germania occidentale) stele identiche sono state rinvenute alla sommità di tumuli terragni rivestiti con grosse pietre databili a momenti avanzati della cultura di Hallstatt (VII-VI secolo a.C.). Tali tumuli risultano coprire sepolture plurime, a cremazione con spargimento delle ceneri o ad inumazione, caratterizzate da un corredo limitato per lo più ad oggetti metallici. Riferite a capi o a defunti eroizzati queste tombe rappresentavano un punto di riferimento ideale e culturale per tutta la comunità e ne marcavano il territorio come segno di prestigio e potere. In un certo senso l’interpretazione medievale della pietra di Chivasso come antico segno di confine tra diversi regni poteva reinterpretare uno dei significati di tali evidenze monumentali sul territorio, come appare dalla loro collocazione ricostruibile in posti eminenti ed in prossimità del corso dei fiumi. Il dato sembra confrontarsi con la presenza nel Piemonte nordoccidentale nell’età del Ferro della popolazione dei Salassi, che Catone riteneva affine al gruppo celtico nordalpino dei Taurisci: è probabile che questa popolazione sia penetrata in Canavese intorno al 600 a.C. dai valichi della Val d’Aosta, a partire dal Gran S. Bernardo, la cui importanza nella protostoria risulta ben documentata. Nel secolare spianamento delle ricche tombe monumentali dell’età del Ferro per lo sfruttamento agricolo del territorio, queste stele sembrano dunque costituire la principale testimonianza superstite della presenza di tombe a tumulo in Canavese prima dell’arrivo, dal V-VI secolo a.C., dei Galli e della diffusione dei modelli funerari tipici della cultura di La Tène.

Informazioni:
In un’aiuola tra Via Torino e Via Orti.

Links:
https://www.comune.chivasso.to.it/it/page/lapis-longus

Fonti:
Il testo è stato tratto nel 2004 da un depliant in distribuzione gratuita edito dal Lions Club Chivasso e redatto da F. M. GAMBARI della Soprintendenza Archeologica del Piemonte. Fotografia da www.ilmonferrato.info

Data compilazione scheda:
18 agosto 2004 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Federico Vigo – Gruppo Archeologico Torinese

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Chivasso (TO) : Duomo Collegiata di S. Maria Assunta

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Storia del sito:
Dopo che la parrocchia di San. Pietro e il borgo che sorgeva all’estremità occidentale del nucleo storico della città vennero danneggiati dalle guerre all’inizio del XV secolo, si iniziò, per volontà della Credenza (l’organismo rappresentativo della comunità cittadina), nel 1415, la costruzione della chiesa, destinata a divenire il duomo di Santa Maria Assunta.
Nel sito esisteva già una chiesa intitolata alla Vergine, dove si svolgevano le adunanze comunali. Il Marchese Teodoro del Monferrato offrì 150.000 mattoni confezionati dalle sue fornaci, la calce, l’arena e tutto il materiale necessario riservandosi il diritto di patronato della cappella maggiore dedicata all’Arcangelo. Quando nel 1425 morì Teodoro, le fondamenta della chiesa erano ancora incompiute. Il suo successore Gian Giacomo, impegnato nella guerra che stava svolgendo, si rese conto di non riuscire a occuparsi dell’avanzamento dei lavori di costruzione, che passarono nelle mani di don Giulio Isola. Secondo il progetto iniziale la nuova costruzione sarebbe dovuta essere in perfetto stile gotico quattrocentesco, a tre navate di quattro campate ciascuna, con volte a crociera. Quando però il duomo fu consacrato, l’11 novembre 1429, mancavano ancora le volte della navata sinistra, costruite negli anni successivi non più a crociera, ma a vela.
Nel 1475 il soffitto della chiesa venne sostituito con una volta più elevata nella navata maggiore e nel presbiterio, mentre il campanile venne terminato anni dopo, nel 1487.
La facciata fu restaurata più volte, in particolare nel 1666. Nel XIX secolo il Duomo fu allungato verso nord con la costruzione del presbiterio e dell’abside in stile neoclassico; tutte le strutture gotiche furono ricoperte da un rivestimento di stucchi in stile neoclassico, per creare grandi capitelli corinzi nella navata centrale e ionici nelle laterali, ad opera dell’architetto Andrea Cattaneo nel 1817-1826.
Alcune delle strutture gotiche in mattoni, visibili soprattutto nella navata destra, sono state rimesse in luce negli anni Trenta-Quaranta del Novecento e poi ridecorate.

Descrizione del sito:
La facciata è asimmetrica perché la navata destra è nascosta dal campanile; una doppia ghimberga in cotto incornicia il portale e il rosone sovrastante e si estende sino al tetto. La facciata dell’edificio si mostra ricca di notevolissimi fregi e figure in cotto di gusto tardogotico, databili forse, nelle parti più antiche, al terzo quarto del Quattrocento; altre sono invece rifacimenti successivi. Fra le immagini modellate si riconoscono i dodici Profeti (simboleggianti l’Antico Testamento) e i dodici Apostoli (simboleggianti la predicazione dell’Evangelo): queste ventiquattro effigi a figura intera, inserite fra eleganti baldacchini e peducci, incorniciano il portale – che reca le raffigurazioni della Madonna col Bambino in stile bizantineggiante, risalente al XV secolo. Nella cuspide del portale, inoltre, si scorge il Redentore, affiancato dalla Vergine Annunziata e dall’Arcangelo Gabriele; al di sopra del Cristo si apre il magnifico rosone, sormontato a sua volta dalla figura di un angelo che reca il sole raggiato con il monogramma del Nome di Gesù. Alcune formelle vennero sostituite nel 1750, altre, nella zona inferiore, di diversa tonalità per evidenziare gli interventi compiuti nel secolo XIX.
L’interno della chiesa è stilisticamente eterogeneo. A destra dell’ingresso vi è un Compianto sul Cristo Morto, composto di grandi figure in terracotta e databile al secondo Quattrocento: è un capolavoro di modellazione che si ispira ad esempi borgognoni. Al secondo altare della navata destra è conservata una tavola, dipinta nel primo quarto del Cinquecento: raffigura anch’essa il Compianto o deposizione, opera del pittore chivassese Defendente Ferrari. Il pulpito risale al sesto decennio del Seicento, il monumentale organo è del 1843.
Il massiccio CAMPANILE risale al 1457 ed è originale, salvo la parte sommitale; infatti culminava in un’alta guglia ottagonale coperta di lamiere di latta. La cuspide venne definitivamente abbattuta durante l’assedio del 1705 e sostituita – intorno al 1715 – dalla tozza cella campanaria che si vede ancor oggi. Il Campanile è stato restaurato nel 1987 ed è stata ripristinata la meridiana.

Informazioni:
Parrocchia Duomo, tel. 011 9101282

Link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_collegiata_di_Santa_Maria_Assunta

Bibliografia:
CARAMELLINO C., L’ insigne collegiata di Santa Maria, Chivasso / prefazione di Gianfranco Fiaccadori, Lions Club Chivasso Host, stampa 2010 (Torino : Scaravaglio & C.)
DONATO G., Le terrecotte piemontesi del 15° secolo e la facciata della parrocchia di Chivasso, Litografie artistiche faentine, Faenza, 1983
POLLINO P., Guida di Chivasso e del Basso Canavese orientale, SPE Fanton, Torino, 1988

Fonti:
Fotografia in alto tratta nel 2014 dal sito www.parcopotorinese.it, non più attivo nel 2020.

Data compilazione scheda:
05/01/2006 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

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Chiaverano (TO) : resti delle fortificazioni (forse ricetto)

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Storia e descrizione del sito:
Si hanno notizie di Chiaverano sin dal 1003, anno in cui Arduino d’Ivrea donò il feudo al Vescovo di Ivrea Varmondo. Nel 1251 gli uomini di Sessano, Bellerano e Chiaverano, villaggi della castellata alle dipendenze del Vescovo di Ivrea, ottennero di costruire un nuovo borgo attorno o vicino al castrum di Chiaverano, esistente dal X secolo.
Dalla metà del XIII secolo e per almeno due secoli, pare esistere un’unica struttura fortificata in cui era situata la rocca signorile ed il ricetto, di cui si ha notizia nel 1255.
Nel 1349 Giovanni II di Monferrato invase il Canavese e dopo aver preso Caluso continuò le scorrerie giungendo fino alle porte di Ivrea; arrivò ad assediare Chiaverano, ma la rocca, difesa da una guarnigione al comando del Castellano di Bard, Teobaldo di Challant, inviato da Amedeo VI di Savoia, si difese energicamente e resistette senza cedere.
La rocca risulta distrutta nel 1640 e di essa rimangono pochi ruderi a nord del borgo, in posizione dominante, su un picco roccioso alla cui base vi è la piazzetta dove sorge la parrocchiale del 1744, costruita su una precedente chiesa.
Nel borgo rimangono scarse tracce del ricetto (vedi mappa).

LA BASTIA.
Sin dal 1193 si accese la rivalità tra il Vescovo di Vercelli e il Vescovo di Ivrea per i possedimenti sul confine non ben delimitato sul versante della Serra Morenica. La “Bastia” è l’antica torre fortificata, con relativo fossato, adibita anche a prigione, che il Vescovo di Vercelli fece costruire nel 1296, dagli abitanti di Donato e Sala sul crinale della Serra tra Chiaverano e Andrate, dotandola di una guarnigione di quattro armati per controllare la località adibita a pascolo e zona di transito. La Bastia, alta circa 15 metri, controllava il territorio fino ad Ivrea, quindi fu una spina nel fianco per Andrate e Chiaverano che cercarono di eliminarla con mezzi legali prima e poi con le armi. Nel 1308, gli abitanti dei due borghi, stanchi di essere tartassati e addirittura carcerati se pascolavano nella zona, assalirono la Bastia e la distrussero con le case e la prigione. Seguirono vertenze legali ma, spalleggiati del Vescovo d’Ivrea, riuscirono a spuntarla e dietro pagamento di un indennizzo ottennero il controllo del territorio fino al torrente Viona sul versante Vercellese. Purtroppo oggi dell’antica torre rimangono solo le fondamenta.

Informazioni:
Nel centro storico. I resti della Bastia sono sul crinale tra Chiaverano e Andrate, frazione Scalveis. Comune, tel. 0125 54805

Links:
http://www.comune.chiaverano.to.it

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978

Fonti:
Info e fotografie 1 e 2 da pubblicazioni reperite in loco nel 2007. Foto 3 da archivio GAT.

Data compilazione scheda:
12/10/2007 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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