Provincia di Vercelli

Crescentino (VC) : Torre civica e chiesa di San Pietro

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Storia del sito:
Nel 1242, al tempo delle lotte tra guelfi e ghibellini, l’abbazia benedettina di San Genuario era sotto il dominio della chiesa; mentre la città di Vercelli aveva prestato giuramento di fedeltà all’imperatore Federico II di Svevia. I terreni dell’abbazia di San Genuario, si estendevano su di una zona di importanza strategica per il controllo dei flussi di persone e merci tra Vercelli, Ivrea, Asti e Alessandria. Il comune di Vercelli scelse, così, di edificare un nuovo centro sui terreni dell’abbazia e di dotarlo dello status di borgo franco. L’affrancamento dei servi da ogni onere feudale fu certamente il frutto di un’accorta politica, mirata a sottrarre la popolazione dal controllo abbaziale. Ma solamente dopo il 1262, attenuata la vertenza con l’abbazia di San Genuario, Crescentino riuscì ad affermarsi autonomamente.
Il tracciato originario del nuovo borgofranco aveva la forma di un quadrilatero irregolare, diviso a metà da una via principale, a sua volta intersecata da tre contrade minori che ne caratterizzarono l’impianto urbanistico del centro storico. Tale assetto è ancora evidente in una pianta del 1682. Caduta nel 1315 in potere della famiglia filo-imperiale dei Tizzoni, Crescentino ebbe un ruolo importante nello scacchiere del Po, fra Chivasso e Casale, come zona di confine tra il marchesato di Monferrato ed il Piemonte, soprattutto dopo il 1427, quando passò sotto i duchi di Savoia, i quali introdussero nuove fortificazioni e migliorarono il collegamento con la fortezza di Verrua, a difesa del transito fluviale e delle vie di comunicazione con Asti, Vercelli e Torino.
Nel 1529, durante il conflitto franco-spagnolo, un gruppo di crescentinesi segretamente collegati con alcuni abitanti di Vische, paese del Canavese, insorsero contro la famiglia dei Tizzoni, sterminandola e dando alle fiamme il loro palazzo, ubicato fra la torre civica, di cui è l’unico resto, e l’attuale Municipio. Ma il definitivo affrancamento dal dominio signorile avvenne solo nel 1613, quando Carlo Emanuele I di Savoia mosse guerra al Monferrato, scegliendo Crescentino come base delle sue operazioni militari. Il borgo subì poi gravi devastazioni in seguito agli assedi del 1625 e 1704 posti alla fortezza di Verrua. Le occupazioni militari paralizzarono l’economia e solo dopo il 1715 il comune iniziò la ricostruzione degli edifici civili e religiosi danneggiati.

Descrizione del sito:
L’imponente TORRE CIVICA domina la piazza: ha base quadrata su un’area di 50,41 mq. ed è alta 30,70 metri. È stata costruita alla fine del 1300. Possiede otto grandi finestre sulla sommità e alcune monofore nella parte inferiore. Vi è una porticina di ingresso sul lato nord. Nell’Ottocento la struttura fu in parte rimaneggiata.
Anticamente sulla sommità vi era posta una campana, fusa nel 1420 e attualmente conservata nel palazzo comunale. Attraverso una scala lignea realizzata nel 1879 si può accedere alla sommità della torre, dove si trova la nuova campana, donata alla città nel 1958.
La Torre fino al 1613 era dedicata ai conti Tizzoni ed è tutto ciò che è rimasto del loro palazzo distrutto nell’incendio del 1529. Su questo episodio fiorirono leggende, come quella che narra che una giovane fanciulla si ribellò contro la prepotenza del conte Tizzoni tagliandogli la testa. Dopo il gesto coraggioso iniziò la rivoluzione del popolo che incendiò il palazzo. Questo episodio è ricordato ancora oggi nel carnevale crescentinese.

La CHIESA DI SAN PIETRO, a navata unica, è stata costruita in stile romanico, tra l’XI e il XII secolo, dai monaci benedettini dell’abbazia di San Genuario per le funzioni religiose del vicino villaggio Casalis Archoati, una corte abbaziale abitata da servi e coloni. Oggi è di proprietà comunale.
Si accede all’interno attraverso un portico sorretto da un contrafforte e costituito da due archi, uno dei quali colmato in un periodo successivo. Le pareti laterali in mattoni e pietre sono forate da finestre decorate da archetti romanici in cotto. Nel ‘600 è stata sottoposta a interventi di restauro resi necessari dai danni arrecati dalle dominazioni francesi e spagnole; ulteriori migliorie sono state apportate nel ‘700 con il rifacimento del tetto, la sostituzione di alcune vetrate e la costruzione di un altare.

Dell’antico borgo di Crescentino è rimasta CASA GRAZIANO VERA, la più antica abitazione della città, costruita nel XIV secolo. Recentemente restaurata, spicca per il cromatismo formato dai mattoni in funzione decorativa. L’aspetto complessivo, semplice ed elegante, è arricchito dalla sequenza delle precedenti finestre ogivali. L’interno conserva colonne in pietra che servivano probabilmente da sostegno di un corridoio laterale, tipico degli edifici signorili o religiosi.

Informazioni:
La Torre Civica è in Piazza Vische, o Piazza della Torre.

La chiesa di San Pietro è in Viale Rimembranza, presso il cimitero.  Info Comune di Crescentino, tel. 800546171

Links:
http://www.comune.crescentino.vc.it/

http://www.archeovercelli.it/fortifah.html

Bibliografia:
P. BOSSO, M. OGLIARO, Crescentino nella storia e nell’arte, Libreria Mongiano editrice, Crescentino VC, 1998

Fonti:
Notizie tratte dai siti sopra indicati.
Foto della torre da www.parks.it
Foto in basso da http://www.chieseitaliane.chiesacattolica.it
Foto delle absidi da https://www.fondoambiente.it/il-fai/scuola

Data compilazione scheda:
18/2/2007 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Crescentino (VC) : Castello e chiesa di San Genuario

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Storia del sito:
Il territorio di San Genuario, oggi frazione di Crescentino, ebbe grande importanza strategica per la sua posizione di confine tra i possedimenti dei Marchesi di Monferrato e quelli della diocesi vercellese. Gauderio (o Gaudenzio o Gauderi), generale di Ariperto II, sedicesimo re dei Longobardi, secondo un diploma del 9 ottobre 707, fondò un monastero benedettino e ne fu creato abate dal vescovo di Vercelli Emiliano II. Il monastero era intitolato a San Michele di Lucedio e fu il più antico insediamento monastico in quelle terre, seguito dall’abbazia di Santa Maria di Lucedio fondata nel 1123. L’imperatore Lotario I, nell’843, donò all’abbazia il corpo di San Genuario e da allora l’abbazia, con la chiesa ed il villaggio, presero il suo nome.
Dopo diverse controversie con gli abitanti del borgofranco di Crescentino, sorto nella seconda metà del 1200, e le guerre tra guelfi (S. Genuario) e ghibellini (Crescentino), i monaci si ritirarono a Verrua fino al 1364, anno in cui, per mezzo dell’abate Bartolomeo, si riappacificarono con i Crescentinesi. Per intercessione del cugino, l’abate Antonio Tizzoni, Giacomo Tizzoni, conte di Crescentino, il 5 settembre 1419 ottenne da papa Martino V la cessione di metà del territorio di San Genuario a condizione che vi edificasse un castello per la difesa del monastero. L’investitura avvenne il 23 aprile 1422. Il Tizzoni fece costruire il castello, circondato da fossato, probabilmente sulle rovine di un’antica fortezza distrutta nel 1319 da Riccardo Tizzoni e dai Crescentinesi.
La casata Tizzoni dominò fino al 1592, anno in cui il duca Carlo Emanuele I di Savoia ricondusse il feudo in mano regia; nel 1601 il feudo passò alla signoria del procuratore generale Molino di S. Marco, nobile veneziano, poi al marchese Ascanio Bobba; nel 1722 al marchese Morozzo Della Rocca. Agli inizi del XIX secolo i beni del Morozzo, compreso il castello, passarono al banchiere Giani e da questo al cavalier Gonella. Nei primi decenni del 1900 la famiglia Garella, proprietaria del castello, lo adibì a moderna azienda agricola, facendo edificare nel suo ampio cortile alcuni fabbricati tuttora esistenti che mostrano un forte contrasto con il resto del castello. Dopo ulteriori passaggi di proprietà, negli anni 1980 il castello passò all’attuale proprietario. Apparentemente il complesso sembra ben conservato: in passato non deve aver subito gravi attacchi e quindi, a differenza di altri castelli, ha mantenuto praticamente intatta la struttura esterna; la stessa cosa non si può dire della struttura interna. I grandi saloni, sparsi sui tre piani, furono tramezzati per ricavarne delle stanze, adibite, durante la seconda guerra mondiale, ad alloggi per gli sfollati.

Descrizione del sito:
La tenuta agricola, un tempo sede dell’antica abbazia di San Genuario, purtroppo conserva ben poco dell’antico complesso e tutto ciò che è rimasto a testimonianza dell’originaria struttura è stato inglobato all’interno di Cascina Badia.
L’originaria CHIESA abbaziale di San Genuario è stata sostituita dall’attuale chiesa parrocchiale, risalente al XVII secolo, la quale ha comunque conservato abside e campanile della prima chiesa. È un edificio a pianta basilicale a tre navate, con abside e campanile romanici decorati da archetti pensili e dall’alternanza di pietre fluviali e tufacee. L’impianto originario era sicuramente costituito da una navata centrale e due laterali più basse e strette. All’interno gli arredi sono sei-ottocenteschi.
Il CASTELLO è una costruzione fortificata di modeste dimensioni che si presenta come un massiccio parallelepipedo con addossata un’unica torre cilindrica, il tutto coronato da apparato a sporgere.
Su di un muro esterno è ancora distinguibile un’apertura, in seguito murata, molto alta e larga circa un metro, che potrebbe costituire un ingresso. La torre cilindrica, ben conservata, è unita alla rocca da un breve tratto di cortina e presenta una ininterrotta serie di beccatelli. I merli della torre sono stati murati e il camminamento che unisce la rocca alla torre è stato tramezzato. In un cascinale all’esterno del castello, su di una parete, si può vedere un affresco ormai quasi completamente rovinato da alcune finestre aperte successivamente. L’affresco è stato fissato, il tetto del castello rifatto e i solai, che stavano crollando, sono stati restaurati.

Descrizione dei ritrovamenti:
L’antichità del luogo sarebbe attestata dalle sei pietre miliari che erano sul sagrato della chiesa, oggi conservate al Museo Leone di Vercelli. Sulla porta d’entrata della fortificazione, inoltre, è murato un frammento di lapide romana in cui sono leggibili, con ottima grafia, le lettere “AULIO”.

Informazioni:
Il castello è di proprietà privata, non visitabile. La chiesa è aperta la domenica mattina per le funzioni. Info Comune di Crescentino, tel. 800546171

Links:
http://www.comune.crescentino.vc.it

http://www.archeovercelli.it/fortifah.html

Fonti:
Notizie tratte dai siti sopra indicati.
Immagine in alto da http://commons.wikimedia.org/wiki/
La foto della chiesa da http://it.wikipedia.org

Data compilazione scheda:
17/2/2007 -aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Carisio (VC) : resti medievali

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Storia del sito:
Il comune di Carisio, attestato con certezza almeno a partire dal 1134 quando era divenuto già da circa 8 anni un feudo della famiglia Avogadro, deriverebbe il suo nome dalla gens romana Carisia, che fu proprietaria del fondo in epoca romana.
Nel Medioevo fece parte del comitato di Vercelli e il feudo appartenne ai de Carisio. All’inizio dell’XI secolo Roberto di Carisio subì la confisca dei beni da parte dell’imperatore Enrico II per aver parteggiato per Arduino d’Ivrea; nel 1014 l’imperatore diede questi beni alla chiesa di Vercelli e il vescovo infeudò il Castello ai Soleri (o Solaro), che poi mantennero il feudo coi Ratari e gli Avogadro. Dopo il 1373 i signori di Carisio si sottomisero al conte di Savoia e il luogo entrò a fare parte del capitanato di Santhià.
Il castello di Carisio era un “castello consortile”, cioè un complesso di palazzi fortificati, con un ricetto attestato in una investitura del 1533. Il ricetto era situato tangente alla rocca, di cui costituiva il confine nord-orientale. Quanto rimane oggi risale alla ricostruzione del castello dopo l’occupazione e la distruzione ad opera delle milizie viscontee di Facino Cane, tra il 1399 e il 1402.
Dopo vari passaggi il feudo passò ai Caresana, conti di Nebbione, che lo mantennero fino alla fine del Settecento.

CASTELLO DI NEBBIONE. La località di NEBBIONE nel Medioevo fu feudo degli Avogadro di Carisio, un ramo dei quali ne prese il nome. Essi nel 1404 si sottomisero ai Savoia: nel 1568 il feudo fu alienato alla famiglia Caresana. Del castello, attestato sin dal 1100, restano rilevanti strutture: un fabbricato risale all’epoca barocca ed è essenzialmente una residenza patrizia di campagna; al di là di un cortile un altro fabbricato ha origini più antiche, come è provato da una torricella, dai resti del fossato, dalle tracce del vecchio ponte levatoio e dalle mura scarpate.

COMPLESSO FORTIFICATO DI SAN DAMIANO. Nella frazione San Damiano è presente un’altra rocca dei Valperga Masino, attualmente di proprietà privata e adibita a cascinale. Sulla data di costruzione delle fortificazioni non esistono fonti che diano attestazioni certe, ma presumibilmente si aggirerebbe attorno al XIV secolo per le due torri poste a ovest e ad un periodo successivo al 1429 per le costruzioni nella parte est.
Nella frazione sorge la CHIESA DEI SANTI COSMA E DAMIANO, già parrocchiale, di origine medioevale, ma il primo documento che la menziona risale solo al 1580. La chiesa è a una navata con tre altari, campanile e sacrestia.

Descrizione del sito:
Del CASTELLO DI CARISIO, situato sull’altura ai margini dell’abitato, aveva una doppia cerchia di mura. Rimane solo qualche tratto di muro in ciottoloni.
I resti del RICETTO si trovano in due fasce di cellule parallele affacciate su di un asse viario centrale (via Castello), sicuramente affiancatosi alla rocca in epoca tarda; conservano ancora parecchi elementi di interesse: il più importante è la TORRE-PORTA all’estremo sud, che mostra ancora le aperture dell’ingresso carraio e pedonale, un tempo servite da ponti levatoi. A fianco, in direzione nord ovest, si sviluppa una parte delle poderose mura del XV secolo che costituirono la cinta esterna del ricetto, con una torre quadrata di cortina.

La Parrocchiale di San Lorenzo a Carisio, in via S. Giuseppe 2, fu ricostruita nel XIV secolo, ma di quel periodo resta solo il CAMPANILE gotico con bifore ogivali. La chiesa è a un’unica navata con due altari laterali, in stile neoclassico e risale al secolo scorso. Nel 1937 subì radicali restauri.

Informazioni:
Comune, tel. 0161.971014

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978

Fonti:
Foto da: http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/geo/002032

Data compilazione scheda:
21/10/2006 -aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Buronzo (VC) : Castello

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Storia del sito:
La località di Buronzo appartenne ai signori di Casalvolone dal 1039; solo verso la metà del XII secolo un ramo della famiglia prese denominazione dal luogo e alle sue numerose discendenze (Agacia, Bastia, Berzetti, Bucino, Delle Donne, Gottofredo, Plebano e Signori, ognuno dei quali mantenne il diritto ad una parte del feudo originario) si deve la particolare struttura di “Castello consortile” della fortificazione; esempio unico in Italia di tale portata e complessità urbanistica.
Un edificio, probabilmente il più antico del complesso corrispondente alla parte signorile del recinto originario (forse XIII secolo), la rocca, denominata “palacium” in un documento del 1303, occupa lo spigolo settentrionale di un ampio perimetro racchiudente un’altura dotata di splendida posizione difensiva e di controllo, dove la chiesa di S. Abbondio, (menzionata in documenti del secolo XIII) e alcune caseforti di impianto quattrocentesco formano una piazza, inserita nel tessuto urbanistico della fortificazione; infatti ogni ramo della famiglia, in tempi diversi, XIV-XV secolo, fece costruire la propria casaforte, con il lato difensivo all’esterno e l’altro verso la piazza.

Coeva al nucleo delle caseforti, dovette esistere in Buronzo anche la struttura fortificata del RICETTO. Sulla sua posizione sono da registrare due interpretazioni divergenti: quella della Viglino Davico, che ritiene che il ricetto fosse situato a nord, ai piedi del castello, nei pressi dell’attuale piazza del mercato, dove sono visibili tuttora alcuni edifici medievali; e quella dell’Avonto che, in base ad un documento del 1370, suppone che il ricetto si trovasse nella zona alta, in prossimità della chiesa di S. Abbondio. Comunque la presenza di un castello contenente la chiesa e di un ricetto adiacente è chiaramente espressa nel documento del 1370.

Descrizione del sito:
La parte più antica, la “rocca”, è così chiamata ancor oggi per distinguerla dal resto del castello (le caseforti), denominato “castellone”. Di essa rimangono rovine, in particolare una parte di muro perimetrale dotato di belle bifore. Non lontano dalla piazza si affaccia la torre d’ingresso alla rocca; più a sud altri edifici medievali e una casaforte con ampio loggiato e torre d’ingresso suggeriscono la prosecuzione del “castellone” che doveva contenere ben otto caseforti.
La complessità del tessuto urbanistico conservato e il degrado di alcune parti rendono auspicabile lo studio accurato dell’esistente e un progetto di recupero globale. L’attuale sistemazione della piazza sottostante il castello e le costruzioni recenti che si affiancano alla fortificazione costituiscono esempi negativi dal punto di vista della conservazione di un complesso unico.

Informazioni:
Sull’altura che delimita il centro storico; Info Comune, tel. 0161.851134

Link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Buronzo
http://archeo.piemonte.beniculturali.it/

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978
AVONTO L., Da Vercelli, da Biella tutto intorno (testi originali di Luigi Avonto), prefazione di Francesco Rosso, consulenza di Rosaldo Ordano e Giuseppe Sergi, Torino, 1980

Fonti:
Fotografia tratta da Wikipedia.

Data compilazione scheda:
21/10/2006 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Borgosesia (VC) : Museo di Archeologia e Paleontologia Carlo Conti

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Storia del Museo:
Il Museo è dedicato allo scultore ed Ispettore Onorario della Soprintendenza alla Antichità, Carlo Conti, che nel 1931 con la sua opera “Valsesia Archeologica”, già prefigurava in modo organico un vero e proprio museo archeologico di valle. L’allestimento concreto di un museo doveva essere avviato già dall’autunno del 1932, ma una serie di vicende, anche politiche, determinarono l’accantonamento del progetto, nonostante il fatto che negli anni ’50 ampi scavi fossero condotti dal Conti per la Soprintendenza, soprattutto al Ciutarun, e poi nel 1976 da Alice Freschi alla Ciota Ciara. Dalla metà degli anni ’60 l’azione di sensibilizzazione, protezione e indagine delle grotte del Fenera da parte di Federico Strobino con i volontari del Gruppo Archeo-Speleologico di Borgosesia determinava importanti scoperte, stimolando e sostenendo l’attività di ricerca dagli scavi di Giuseppe Isetti, Francesco Fedele, agli studi di Alberto Mottura e soprattutto di Giacomo Giacobini, agli interventi di sondaggio nella Ciota Ciara della Soprintendenza (diretti da F. M. Gambari). Lo stesso Strobino curava diverse pubblicazioni che rendevano noto il Monte Fenera anche al di fuori dell’ambito locale e realizzava con l’autorizzazione della Soprintendenza e l’appoggio del Comune proprio sopra l’attuale Biblioteca una prima piccola struttura museale didattica, rivolta alle scuole e mantenuta vitale dall’impegno dei volontari.
Il 29 settembre 2007 è stato inaugurato il Museo, nel quadro della definizione di una strutturata rete museale dedicata nella provincia proprio all’archeologia ed in collegamento con altre raccolte minori anche in valle, a partire dal museo di Rimella di prossima riapertura, anche con lo scopo di un rilancio della divulgazione e dell’informazione e per una ripresa delle attività di ricerca al Fenera e nella valle, stimolando le segnalazioni e le consegne di reperti da parte dei cittadini occasionali scopritori e costituendo un punto di riferimento per l’attività dei gruppi di volontariato. Imprescindibili appaiono poi la collaborazione con l’Ente Parco del Monte Fenera (Monfenera) per la valorizzazione di questo eccezionale complesso archeologico e paleontologico ed uno stretto rapporto con Soprintendenza ed Università, che già hanno da tempo in programma una nuova fase di ricerche, scavi, scoperte.

Descrizione del materiale esposto:
Il percorso espositivo, progettato dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici del Piemonte – che ha destinato al museo praticamente la quasi totalità dei reperti di proprietà statale provenienti dall’area – con la collaborazione del Laboratorio di Paleontologia Umana dell’Università degli Studi di Torino (Prof. G. Giacobini), punta ad una esposizione semplice e rivolta soprattutto alle scuole, che permette di conoscere l’abbondante repertorio di fauna pleistocenica proveniente dalle caverne del Fenera (con particolare approfondimento per i resti di orso speleo) oltre alle eccezionali tracce ossee e materiali della presenza dell’uomo di Neandertal in questo angolo di Piemonte.
Il Museo di Borgosesia diventa una importante struttura per la conoscenza del paleolitico in Piemonte tra circa 60.000 e 10.000 anni a.C., del neolitico (6.000-3.500 a.C.), con particolare riguardo alla attestazione della Cultura del Vaso a Bocca Quadrata ed alla impressionante testina in pietra raffigurante una divinità femminile, la più antica statua in pietra in Piemonte. Attraverso i ritrovamenti dell’età del Rame (3.500-2.200 a.C.), con punte di freccia e lame di pugnale in selce ed osso, e dell’età del Bronzo (2.200-900 a.C.), in particolare i resti ceramici di offerte per il culto delle acque di stillicidio nella Grottina del Laghetto al Fenera.
Con la Cultura di Golasecca e la prima età del Ferro (900-400 a.C.) emerge la concentrazione demografica nell’attuale Borgosesia, con gli abitati nella zona dell’Ospedale e con le prime tombe nella fascia occidentale della città, a controllo dell’accesso alle importanti risorse minerarie dell’alta valle. Nella seconda età del Ferro (400-89 a.C.) eloquenti corredi tombali femminili mostrano la ricchezza dei gioielli in bronzo e la caratterizzazione prima insubre e poi vallesana della popolazione dell’antica “Seso” fino al progressivo inserimento anche giuridico nel mondo romano, in particolare dall’89 a.C. con la fondazione del centro urbano di riferimento di “Novaria”.
Le tombe da via N. Sottile, i resti dall’insediamento e le epigrafi esemplificano bene la cultura materiale e gli stessi nomi degli abitanti del vicus di Seso in età romana, collocato lungo un primario itinerario stradale (ricordato anche da Tolomeo) che congiungeva Ivrea a Domodossola ed a Locarno, finché a partire dal V sec. d.C. il progressivo disfacimento dell’organizzazione pubblica dell’impero romano porta un piccolo nucleo di abitanti a considerare più sicura una rioccupazione delle grotte del Fenera, ed in particolare del Riparo Belvedere e della Ciota Ciara, che ha restituito importanti reperti tra cui i resti di una fucina del ferro e ad una eccezionale patera con figura di angelo impressa. Completano il percorso museale i reperti delle probabili aree sacre del centro preromano e romano di Borgosesia e le articolate attestazioni medievali dal circondario, a partire da un valido repertorio di vasellame in pietra ollare.

Informazioni:
Info e prenotazioni: tel: +39 0163 020051 ; museocarloconti@gmail.com

Links:
www.museocarloconti.it

https://www.facebook.com/MuseoCarloConti/

Fonti:
Aggiornamento scheda del 23/12/2007 con notizie tratte dal sito del Comune di Borgosesia. Fotografie da materiale illustrativo del Museo.
Una nuova guida del Museo è stata pubblicata nel 2012.

Data compilazione scheda:
16 luglio 2004 – aggiorn. febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – Gruppo Archeologico Torinese

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Borgosesia (VC) : Il Monfenera

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Storia del sito:
La storia delle ricerche sul rilievo del Monfenera è piuttosto complessa. Scavi o scassi più o meno regolari iniziano nel 1953 ad opera del Gruppo Archeo-speleologico Borgosesia e dello scultore Carlo Conti. Questi hanno interessato essenzialmente la grotta Ciutarun proseguendo fino al 1957. Sempre nel 1953 C. Socin, dell’Istituto di Geologia dell’Università di Torino, esegue un saggio di scavo, dei cui risultati non si hanno notizie, nella grotta Ciota Ciara. Dal 1964 le ricerche sono state sostenute dall’Istituto e Museo di Antropologia di Torino e dirette da F. Fedele.

Una nuova campagna di scavo si è svolta nel 2010 nei siti della Ciota Ciara e del Riparo Belvedere sul Monfenera ed ha permesso, anche grazie ai dati raccolti durante le indagini preventive del 2009, di tracciare un primo quadro dei comportamenti tecnici e di sussistenza dell’Homo Neandertalensis che ha occupato l’area durante il Pleistocene superiore, circa 60 mila anni fa. Lo scavo è stato condotto dall’Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e grazie al costante supporto del Comune di Borgosesia, del Museo Archeologico Paleontologico C. Conti, del Parco Naturale del Monte Fenera e dei gestori del Rifugio GASB.

Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
I materiali provenienti dalle ricerche effettuate nelle cavità del Monfenera sono i più importanti attribuibili al Paleolitico medio. Vi sono tre cavità d’interesse archeologico che presentano ampie sequenze stratigrafiche che interessano tutto il Wurmiano. Si tratta della grotta Ciutarun, della grotta Ciota Ciara e del riparo Belvedere.

La grotta Ciutarun si apre a quota 650 m e a 320 m dal fondo della valle del Sesia. Ha uno sviluppo di circa 70 m con un dislivello positivo di circa 10. Si presenta con una grande imboccatura triangolare, esposta a sud/ovest, e continua con una grande sala allungata che prosegue con un corridoio incurvato che si restringe in maniera progressiva. La parte più interna è umida e presenta residui di stalattiti e stalagmiti. La grotta è stata oggetto di numerose «attenzioni» da parte di scavatori abusivi; a queste seguirono gli scavi di C. Conti il quale, secondo la ricostruzione di F. Fedele, avrebbe asportato una rilevante quantità di deposito da parete a parete, senza lasciare un’adeguata relazione di scavo. Nel 1971, venne svuotato e rilevato lo scavo Conti e il Prof. Fedele intraprese nel 1973 uno scavo nella parte interna della grotta in quanto nella parte esterna non era più possibile trovare la sequenza stratigrafica completa. Le ricerche del 1973 hanno messo in luce una stratigrafia della profondità di 5 m suddivisa in tre complessi: Complesso R (recente) da 0 a -25 cm; Complesso A (antico) da -25 a -370 cm; Complesso B (antico B) da -3 70 a -505. In tutta la sequenza è segnalata la presenza di attività umana: nel complesso R di età olocenica, nei complessi A e B di età pleistocenica. La sequenza stratigrafica è indubbiamente imponente ed anche i dati paleontologici; i dati antropici sono invece deludenti. In tutto sono stati raccolti 45 manufatti, tra cui una dozzina fra strumenti e nuclei. In questa sequenza che, secondo Fedele, comprenderebbe gran parte del Wurm, sarebbe rappresentato il Musteriano «antico macrolitico» di litologia variata, seguito da un Musteriano pure «macrolitico» su quarzite, ricco di raschiatoi denticolati, cui succederebbero un Musteriano di tendenza «microlitica», quindi una lacuna e infine una serie d’insiemi inclassificabili. Diversi reperti sembrano essere stati scheggiati con la tecnica levallois. Alcuni reperti provenienti dagli strati più alti sembrerebbero attribuibili al Paleolitico superiore.

La grotta Ciota Ciara si apre a circa 665/670 m di quota e a circa 335 m rispetto al fondo della valle del Sesia. Ha uno sviluppo sul ramo principale di 80 m con un dislivello positivo di circa 15. Presenta un’imboccatura triangolare, orientata a sud-ovest, che si apre a quota 665 m ed una grande apertura secondaria volta a ovest, conosciuta come «finestra», che si apre a quota 670 m. Si compone di un lungo corridoio principale rettilineo, impostato su una diaclasi, sul quale si innesta un breve diverticolo che sbocca nella «finestra». La sigla MF2 indica il deposito di riempimento interno e il talus antistante all’imboccatura, il giacimento esterno alla «finestra» della grotta. In questa grotta il primo saggio è stato effettuato sotto la direzione di G. Isetti nel 1964. Successivamente le ricerche sono proseguite sotto la direzione di F. Fedele nel 1966. La sequenza stratigrafica messa in evidenza nello scavo maggiore (scavo II), della potenza di circa 3 m, sembra abbracciare tutta la glaciazione wurmiana; i resti faunistici sono abbondanti mentre quelli di origine antropica sono molto scarsi. Se si esclude il saggio Isetti che ha restituito 48 manufatti, lo scavo II ha dato 7 pezzi mentre lo scavo I ha dato 4 pezzi. La maggior parte dei materiali è in quarzite e questo fatto rende non facile la lettura dei pezzi stessi. L’esame di questi non può dare delle risposte sicure sull’attribuzione cronologica dei manufatti; è possibile parlare solo di Paleolitico generico, mentre la più abbondante raccolta Isetti sembra attribuibile all’insieme culturale del Paleolitico medio chiamato Musteriano.
Nel 2021 la tredicesima campagna di scavi condotta dall’Università di Ferrara ha prodotto ulteriori reperti; vedi https://www.archeomedia.net/borgosesia-vc-grotta-della-ciota-ciara-nuovi-resti-umani-di-300mila-anni-fa/

Il riparo sotto roccia del Belvedere si apre a circa 675 m di quota e a circa 345 m rispetto al fondo della valle del Sesia. È lungo circa 15 m, presenta un’altezza variabile intorno ai 5 e termina verso sud con una piccola grotta profonda circa 14 m. Si sono rinvenuti 71 manufatti di cui solo la metà sono ritoccati: dominano gli strumenti denticolati di piccole dimensioni e, secondo F. Fedele, potrebbe trattarsi di un Musteriano tipico di facies denticolata. Il materiale litologico è piuttosto vario. Le popolazioni che abitarono queste grotte vivevano di caccia e raccolta, in siti, forse stagionali, localizzati sia all’aperto che all’entrata delle grotte o sotto pareti rocciose. In un momento non definibile in termini cronologici precisi, ma localizzabile nel Wurm medio e che possiamo considerare compreso tra il 40.000 e il 30.000 a.C., l’uomo di tipo «moderno» {Homo sapiens sapiens) sostituisce l’uomo di Neandertal {Homo sapiens neanderthalensis). Le modalità e le cause di questa sostituzione non sono ancora determinabili, comunque sembra sia stato un processo abbastanza rapido. In seguito a questo, compaiono in Europa, ma con cronologia diversa nelle vane aree, le culture conosciute nel loro insieme come Paleolitico superiore. Le differenze culturali si possono riassumere a grandi linee in un nuovo modo di scheggiare la selce, predeterminando la forma del manufatto in modo che sia stretto e allungato (lama) e quindi la trasposizione di strumenti già conosciuti da forme su scheggia a forme su lama e la creazione di nuovi strumenti, nell’apparizione della lavorazione sistematica dell’osso, di abitati molto organizzati anche di lunga durata, di sepolture con corredo funerario e di manifestazioni artistiche. Continua il modo di vita precedente basato sulla caccia e raccolta, cui si deve aggiungere lo sviluppo della pesca. La prima scoperta del Paleolitico superiore in posizione stratigrafica è avvenuta proprio al riparo Belvedere. Negli strati A6/A1 si è infatti rinvenuta una serie di manufatti litici attribuibile, nonostante la scarsità numerica, all’Epigravettiano finale. Fedele suddivide i reperti (50) in due insiemi: Insieme Microlitico Inferiore (EMI), e Insieme Microlitico Superiore (EMS). L’EMI è composto da una quindicina di manufatti tra i quali vi sono strumenti a dorso e, forse, un nucleo. L’EMS è composto da una trentina di manufatti tra i quali, secondo F. Fedele, vi sono 809 strumenti o frammenti di tali. Si tratta nella quasi totalità di frammenti di strumenti a ritocco erto.
Nel Monfenera sono venuti alla luce anche reperti di età neolitica. I ritrovamenti di spicco sono un frammento di bacile a bocca quadrata in terracotta e frammenti di ceramica fine con decorazioni impresse a stecca. Alcuni di essi sono venuti alla luce entro una buca di palo, che penetrava gli scavi più antichi. Tale buca – insieme ad altre 40 – è la prova della presenza di un’antica struttura adibita a ricovero. Sono riferibili a questo livello alcuni manufatti in cristallo di rocca e di selce, un frammento di accetta levigata in pietra verde oltre a schegge e lame silicee di vario tipo. Altri reperti appartengono all’età del Ferro e all’Alto Medioevo.

Informazioni:
Il Monfenera, o Monte Fenera, è un rilievo isolato di 899 m di altitudine, situato allo sbocco della Valsesia, in provincia di Vercelli, al confine con la provincia di Biella, raggiungibile dai diversi Comuni che lo delimitano.

Bibliografia:
FEDELE F.,1973, Una stazione Vaso a bocca quadrata sul Monfenera, in Valsesia preistoria alpina, 9, Trento
MERCANDO L. 1998, (a cura di), Archeologia in Piemonte, Allemandi Ed.
MUSEO DI ANTROPOLOGIA DI TORINO (a cura di), Monfenera 50.000 anni di Preistoria in Piemonte
RADMILLI (a cura di), 1974, Piemonte, Piccola guida della preistoria italiana
GIACOBINI, GUERRESCHI, 1998, Il Paleolitico e il Mesolitico in Piemonte
RIVISTA DI STUDI LIGURI, numeri 1-2, gennaio-giugno 1966. F. Fedele, La stazione paleolitica del Monfenera (Borgosesia), Ist internaz. studi Liguri, Bordighiera IM

Fonti:
Il testo è tratto dall’articolo GIACOBINI, GUERRESCHI, Il Paleolitico e il Mesolitico in Piemonte.

Data compilazione scheda:
23 settembre 2003 – aggiornamento marzo 2014 – luglio 2021

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Federico Vigo – Gruppo Archeologico Torinese

Borgo d’Ale (VC) : Necropoli longobarda

 Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
Una delle necropoli più famose in Piemonte è quella di Borgo d’Ale, dove fu scoperto nel 1960 un tipico esempio di tomba di guerriero longobardo della metà del VII secolo. Costruita con mattoni e ciottoli legati a calce, era coperta da un lastrone di granito, probabilmente romano reimpiegato; il pavimento era rivestito di tegole ed embrici. Tra i reperti: diverse armi in ferro, fibbie bronzee e placche di una cintura, frammenti di una forbice in ferro e di un bicchiere di vetro forse a calice, chiodi di ferro, uno sperone. Nel 1980 si rinvenne inoltre, in seguito a lavori agricoli, una seconda tomba di cavaliere longobardo, poco distante dalla prima; questa scoperta è importante perché si tratta del primo scavo sistematico di una tomba longobarda in Piemonte. L’orientamento è il solito EW, la pianta rettangolare, le pareti in muratura di mattoni sesquipedali romani di reimpiego, disposti in filari legati da calce con rinzeppature di ciottoli di fiume negli interstizi maggiori; il fondo era pavimentato con mattoni analoghi; pareti e fondo erano intonacati; la copertura era costituita da un lastrone di granito grigio; il ritrovamento di più di venti grossi chiodi sul perimetro del fondo e di tracce di legno induce a credere che il defunto fosse stato sepolto in una barella o in una cassa lignea. Il corredo indica chiaramente che egli rivestiva un alto grado nella scala sociale. Il corpo era deposto supino con le braccia distese lungo i fianchi; il volto era coperto con un velo, sul quale era cucita una crocetta d’oro. Si rinvennero inoltre: alcune guarnizioni della cintura con fibbia; un sax e frammenti del suo fodero di cuoio; una spatha con fodero con puntale in lamina di bronzo dorato e due staffe a ponticello; una cuspide di lancia; un umbone e l’impugnatura di uno scudo; un paio di cesoie riposte insieme ad un altro coltello in un’unica custodia lignea; due speroni di ferro ageminato con guarnizioni di aggancio, che permettono di identificare il defunto con un cavaliere; un calice di vetro di finissima fattura. Le due tombe dimostrano che, in linea generale, tombe eminenti per corredo hanno anche una struttura curata e di prestigio: una grande cassa in muratura di ciottoli e laterizi romani di reimpiego, rivestita, in origine, sull’interno con intonaco biancastro e chiusa da un imponente lastrone lapideo.
Il sito non è visitabile.

Fase cronologica:
Metà del VII sec. d.C.

Luogo di custodia dei materiali:
Museo Archeologico di Torino.

Bibliografia:
MERCANDO L., MICHELETTO E. (a cura di), 1998, Archeologia in Piemonte – Il Medioevo, Allemandi Ed.

TestoAA.VV., 1998, I Longobardi a Torino e in Piemonte, Ed. Gruppo Archeologico Torinese

 Data compilazione scheda:
2 novembre 2003 – agg. febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gabriella Monzeglio – Gruppo Archeologico Torinese

Borgo d’Ale (VC) : ruderi della chiesa di Santa Maria in Areglio

Storia e descrizione del sito:
Ai piedi del Bric Mezzacosta restano i ruderi della chiesa di SANTA MARIA IN AREGLIO, detta anche localmente “Gesiassa”, fondata tra il 1025 e il 1050. La pianta è a tre navate senza campanile. Rimangono parte della facciata, il muro di divisione tra navata centrale e destra, con archi; parte del muro esterno destro e avanzi di una parte dell’abside della navata centrale nel cui catino i resti frammentari di una Vergine, stilisticamente assai simile agli affreschi di San Michele in Clivolo, quindi della fine del sec. XI.
La costruzione è formata in prevalenza di ciottoli di fiume (abbondanti nella zona) di circa 10-15 cm di diametro, disposti in taluni punti a spina di pesce, e di pochi mattoni.

Informazioni:
Da Borgo D’Ale lungo SP 80 per Areglio, a circa km 3,7 e poi, nei pressi di una cascina, a sinistra (cartello Ruderi chiesa romanica) su una carrareccia percorribile in auto per 200 metri verso Nord Est, ai piedi del Bric Mezzacosta.

Link:
https://chieseromaniche.it

Fonti:
Immagine dal sito sopra indicato, foto di  M. Actis Grosso

Data compilazione scheda:
08/06/2005 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A.Torinese

Borgo d’Ale (VC) : Chiesa di San Michele in Clivolo

clivolo

Storia del sito:
Intorno all’anno 1270 gli abitanti di quattro borghi dell’area vercellese, tra la Serra di Ivrea e Biella, cioè Erbario, Clivolo, Meoglio e Areglio, abbandonarono i loro insediamenti per fondare una “villa nuova” o “borgo franco” cui dettero il nome di “Borgo d’Ale (Alice)”. I siti precedentemente abitati decaddero e nei secoli seguenti a segnare il luogo di due antichi borghi sopravvissero due chiese: quella di San Michele nella località Clivolo (che significa piccolo pendio, colle) e i ruderi della Chiesa di Santa Maria in Areglio, distanti pochi chilometri una dall’altra.
San Michele in Clivolo era già esistente nel secolo VIII, in un insediamento longobardo; venne riedificata nelle forme romaniche sino ad oggi conservate, nella metà del secolo XI. Venne alterata nel periodo barocco, e fu poi restaurata nel 1897 e nel 1970.

Descrizione del sito:
San Michele in Clivolo è oggi una cappella campestre a due navate; originariamente era a tre navate ma di quella crollata si conservano solo le fondamenta.
Non è presente il campanile.
Nella parte absidale conserva raffinati affreschi eseguiti prima del 1070. Nella calotta sono ridotte a frammenti una figura della Vergine, fregi vegetali, un Santo, due pavoni.
Nel cilindro absidale, su un fondo a bande bianche, gialle e azzurre restano le figure incomplete di quattro Apostoli, raffigurati inconsuetamente seduti che recano nelle mani un rotolo o un libro a simboleggiare l’antico e il Nuovo Testamento.
Nell’ultimo sottarco a sinistra tre medaglioni con figure di diaconi e la mano destra benedicente del Signore (vedi foto). Altri frammenti sono emersi durante i restauri sull’arco trionfale, sulla parete sinistra della navata centrale e su un tratto di quella destra.
Gli autori degli affreschi sembrano essere almeno due, anche se ignoti, appartenenti probabilmente ad un’unica bottega; uno è più raffinato e preparato e lavorò nell’abside, l’altro nel sottarco. Le pitture mostrano una vena popolaresca con chiare influenze della scuola di Ratisbona e Reichenau, che avevano dato ben più pregevoli frutti a Grosso Canavese in San Ferriolo.
Vedi articolo di Paolo Mattalucci sugli affreschi.

Informazioni:
In località Clivolo, a circa 2 km dall’abitato, in direzione di Cigliano.
La chiesa è visitabile solo su prenotazione, rivolgersi alla sig.ra Maria Grazia cell. 3479363487  (eventuali  info Comune  tel. 0161 46132 ; info@comuneborgodale.info ;  oppure Parrocchia tel. 0161 46161). Gli allievi del liceo Botta di Ivrea hanno dal 2017 studiato la chiesa e fanno da cicerone in alcune aperture.

Links:
https://chieseromaniche.it/

Bibliografia:
ROMANO G. (a cura di), Piemonte romanico, Torino 1994
CARESIO F., Romanico in Piemonte, Ed. Di Camillo, Moncalieri 1998
ORDANO R., San Michele di Clivolo: le più antiche pitture murali vercellesi, 2001
RICCIARDONE S., Gli affreschi della chiesa di San Michele in Clivolo a Borgo d’Ale, Quaderni del Botta,  Liceo Botta, Ivrea 2019

Fonti:
Foto di testa eseguita da Fabrizio Accatino.  Fotografie in basso da Caresio 1998.

Data compilazione scheda:
08/06/2005 – aggiornamento febbraio 2014 – giugno 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A.Torinese

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Boccioleto – Fervento (VC) : Chiesa di Sant’Antonio abate e Cappella della Madonna del Ponte

boccioletofervento parrocchiale

Storia dei siti:
Il comune di Boccioleto conserva molte cappelle di antica origine, purtroppo talora rifatte in epoca post-medievale. Altre invece hanno conservato maggiormente caratteristiche e affreschi del XV secolo.
PARROCCHIALE DI SANT’ANTONIO ABATE
L’edificio della Parrocchiale fu profondamente trasformato tra il 1594 e il 1617: fu ampliato verso il coro e progressivamente furono costruite tre cappelle prospicienti la navata. Fu inoltre elevato, nella posizione attuale, il campanile (una lapide in esso murata reca la data 1600) che, in seguito, fu più volte ristrutturato.  Un secondo intervento iniziò nel 1685 (lapide murata all’esterno) e riguardò soprattutto la ricostruzione del coro, inclinato rispetto alla navata per lasciare il passaggio alla strada (oggi carrozzabile) considerata l’esiguità dell’area. Fino agli interventi del XIX secolo (quarto decennio circa) solo il coro e le cappelle avevano le volte, mentre la navata, di ridotta altezza, aveva un soffitto di assi di legno colorate.

CAPPELLA DELLA MADONNA DEL PONTE
Era dotata di portico del quale resta solo una colonna, a seguito del crollo nel 1903. Aveva, in origine, due aperture ad arco, una in facciata, l’altra sul lato nord della quale è chiaramente visibile il tamponamento all’esterno. La cappella risale probabilmente al XV secolo e ad una data prossima alla decorazione pittorica del 1462. Gli elementi attestati alla fine del XVI – inizio XVII secolo sono probabilmente quelli della struttura originaria: un portico antistante la facciata, l’assenza di pavimento, due aperture ad arco, una in facciata l’altra sul lato nord, chiuse da cancelli lignei che risultano rotti e inadeguati secondo le visite pastorali del 1596 e 1617. Probabilmente entro il quarto decennio del Settecento, la cappella fu ristrutturata con la chiusura dell’apertura a nord e con la costruzione di due muretti a sostegno di una nuova cancellata lignea nella facciata. Restauri solo nelle murature e non sui dipinti furono autorizzati nel 1906 dall’Ufficio Regionale competente e attuati nel 1907, ma la prevista ricostruzione del portico non fu compiuta. L’ultimo intervento sulla struttura (rifacimento del tetto) è del 1993. La dedicazione a Santa Maria delle Grazie è attestata negli ordini della visita pastorale del 1596, mentre nella successiva visita del 1617 risulta titolata ai santi Fabiano e Sebastiano.

Descrizione dei siti:
PARROCCHIALE DI SANT’ANTONIO ABATE
Gli affreschi sotto il portico laterale sono oggi l’unica testimonianza della chiesa nel XV secolo. Non è da escludere che altri affreschi medievali ne decorassero l’interno, nonostante nei documenti non sia presente alcun cenno. Non si è in grado di stabilire se il portico fosse già esistente all’epoca degli affreschi: esso è citato nella Convenzione del 1594 quando necessitava di un restauro, in quanto vecchio. I dipinti frammentari e molto consunti rappresentano un monumentale san Cristoforo, tra sant’Antonio abate e una Crocifissione. I tre riquadri sono riuniti entro una cornice a filetto rosso, ridipinta e di dimensioni più ridotte rispetto a quella antica: le figure infatti non risultano complete nella parte inferiore.
Contrariamente agli affreschi della cappella della Madonna del Ponte, ripetutamente citati, scarsa attenzione hanno avuto questi di Fervento, anche se sono simili. Sembra realizzata su uno stesso cartone o comunque su un modello simile, soprattutto per le figure del Cristo e degli angeli, mentre diversa è invece la Vergine. In entrambe analogo è anche il risalto dato alla sofferenza di Cristo, al suo sangue e al suo sacrificio; sarebbe però interessante approfondire il significato della relazione col san Cristoforo per la Crocifissione di Fervento e con i Santi Fabiano e Sebastiano per quella della Madonna del Ponte. La cultura figurativa di questi affreschi è la stessa di Giovanni de Campo, e nell’attesa di un restauro, che ne permetta una migliore lettura, si è indicato un possibile intervento della bottega con l’artista novarese, in questo caso senza alcun riferimento ad una qualità meno alta.

CAPPELLA DELLA MADONNA DEL PONTE
L’edificio, di modeste dimensioni, all’interno ha una struttura a botte e presenta sulla facciata una grande apertura ad arco, chiusa con sbarre di legno. La cappella conserva quasi integralmente la decorazione pittorica del Quattrocento in quanto gli interventi, realizzati nel Settecento, hanno comportato limitati danni agli affreschi. Lo stato di conservazione è complessivamente buono e conferma una buona tecnica nell’esecuzione dell’affresco La parete di fondo è affrescata con una Madonna in trono con il Bambino, che ha alla sua destra sant’Antonio Abate e alla sua sinistra san Marco; sulla parete di destra sono affrescati san Fabiano e san Sebastiano accanto ad una Crocifissione. Una Maiestas Domini è rappresentata sulla parte inferiore della volta a botte, a sinistra della parete di fondo. All’esterno sono raffigurati san Cristoforo e san Giovanni Battista.
Per l’autore della decorazione è stato proposto Giovanni de Campo a partire dal 1976, quando il corpus del pittore novarese ha avuto la sua prima definizione. I dipinti manifestano le caratteristiche iconografiche della bottega dei De Campo e presentano strettissime affinità soprattutto con gli affreschi dell’oratorio di Sologno ( vedi http://archeocarta.org/caltignaga-sologno-no-oratorio-dei-santi-nazaro-e-celso/ e di Briona (vedi http://archeocarta.org/briona-no-oratorio-di-san-bernardo/, prossimi come datazione. Un confronto tra i dipinti della cappella della Madonna del Ponte e quelli di Oro di Boccioleto (vedi http://archeocarta.org/boccioleto-oro-vc-cappella-di-san-pantaleone/ ), già suggerito alcuni anni fa (Astrua, 1990), rende difficile assegnare alla stessa mano le due decorazioni in quanto gli affreschi della Madonna del Ponte presentano una pittura meno raffinata nella stesura delle gamme cromatiche (in genere più chiare) e un segno meno incisivo; le figure inoltre sono meno espressive, più statiche, con fisionomie meno variate e intense. Pur pensando sempre ad una probabile presenza dell’atelier, si potrebbe proporre un’attribuzione a Luca De Campo in quanto i caratteri sopra delineati sono più facilmente verificabili nelle opere firmate dal pittore nella cappella di Momo -Linduno (1468) (vedi http://archeocarta.org/momo-linduno-no-oratorio-di-santa-maria/ ).

Informazioni:
La parrocchiale di Sant’Antonio Abate si trova nella frazione Fervento in Via G.B. Zali,  tel. 0163 75136.
La cappella della Madonna del Ponte si trova nella località Cunaccia della frazione Fervento, a picco sul torrente Sermenza, su uno dei passaggi della strada che collegava la val Sermenza alla val Grande.


Links:

http://www.comune.boccioleto.vc.it/ComGuidaTuristica.asp

Fonti:
Notizie e fotografie dal sito del Comune e, tratte nel 2014 dal sito non più attivo nel 2020, http://prealp.msh-alpes.fr/it/.

Data compilazione scheda:
5 dicembre 2011 -aggiornamento febbraio 2014  – maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta -G.A.Torinese

Fervento-parrocchiale-affreschi-esterni

 

 

 

 

 

 

 

Fervento -Madonna del Ponte esterno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fervento – Madonna del Ponte – maiestas Domini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fervento-Madonna-Ponte-angolo-sud-est-e-parete-sud