Provincia di Vercelli

Quarona (VC) : Chiesa di San Giovanni al Monte

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Storia del sito:
La chiesa di San Giovanni trae origine da una costruzione romana, risalente al V secolo, forse una postazione di soldati, sorta su un cimitero e poi adibita a stanza di preghiera. A questo locale fu poi aggiunto, presumibilmente tra il V e il IX secolo, un battistero con portico. In seguito l’edificio primitivo venne allungato formando la prima navata della chiesa. Successivamente i due corpi furono legati in un’unica costruzione aprendo grandi arcate nei muri divisori. (Altri interventi interessarono la chiesa, dandole l’aspetto attuale, tra il XI e il XII secolo. Nel ‘400 fu aggiunto il campanile, che crollò e fu ricostruito nel 1700. Tra il XV e il XVI secolo furono eseguiti lavori di ristrutturazione e venne realizzata una ampia decorazione ad affresco delle pareti.
La chiesa di San Giovanni era particolarmente importante per la popolazione del luogo perché sulla sommità del monte, venne deposto, in un tempietto oggi completamente rovinato, il corpo (in seguito spostato) di Panacea vissuta a Quarona nel XIV secolo e venerata come la “Beata Panacea”.
Data la lontananza dal centro dell’abitato, venne costruita nuova chiesa parrocchiale al centro del paese, dedicata a Sant’Antonio abate, e nel 1617 S. Giovanni cessò di essere la parrocchiale di Quarona.
Con la demolizione della Cappella della Pietà, che era situata nella località che ne porta tuttora il nome (Ponte della Pietà), avvenuta nel 1884 per la costruzione della ferrovia Novara-Varallo, furono trasferiti nella chiesa di S. Giovanni frammenti di affreschi rappresentanti l’Annunciazione, l’Epifania, due Madonne, la Beata Panacea (datati 1483 e 1489) e posti presso la porta di entrata, mentre nel tempietto-ossario sulla sinistra del sagrato fu collocato il gruppo statuario ligneo del Compianto sul Cristo risalente al 1495 – 1500.
La chiesa è stata restaurata negli anni ’50 del secolo scorso e conserva l’interno quasi completamente coperto da pregevoli AFFRESCHI di varie epoche.

Descrizione del sito:
L’esterno dell’edificio mostra i due originari corpi di fabbrica, con due ingressi.
L’interno è a due navate: la parte a destra, l’originaria chiesa di Santa Maria, è la più antica; a sinistra il battistero di San Giovanni. Gli affreschi rappresentano cicli organicamente completi, dipinti nell’arco di tre secoli (dal XIII al XVI sec.). e Qui vi sono le più antiche testimonianze della pittura in Valsesia: del XII secolo, che riprendono i moduli stereotipati dell’arte romanica e raffigurano la Madonna col Bambino, in trono, fra san Pietro e san Giovanni; le figure di san Cristoforo e, su una colonna, san Michele Arcangelo; nella parte battesimale l’immagine di san Giacomo di Compostela a cavallo.
Alla prima metà del XIV secolo risalgono le pitture dell’abside destra: nel catino vi è la figura di Gesù che incorona Maria e, nel cilindro, vi sono figure di santi e vescovi, in particolare a sinistra i santi evangelizzatori del novarese, Giulio, Giuliano e Agabio, poi i vescovi san Nicola e san Martino; nel sottarco sono dipinti medaglioni con i profeti; ai fianchi dell’abside sono effigiati Adamo, Caino e Abele. Su un pilastro una sant’Anna Metterza, cioè raffigurata con Maria e il Bambino.
Al XV secolo appartengono: il trittico che taglia il gigantesco san Cristoforo del XIII secolo e rappresenta al centro il martirio della Beata Panacea – con sullo sfondo l’aspetto della chiesa all’epoca – tra san Biagio e san Rocco; santa Caterina d’Alessandria attribuita a Giovanni de Campis; sant’Andrea, una Madonna col Bambino in trono (1480) ; sant’Antonio abate con un gruppo di Antoniani. Sulla parete sud della seconda e terza campata vi sono affreschi tardo-quattrocenteschi con 28 scene della vita di Gesù, eseguiti intorno alla metà del ‘400, da un autore ignoto detto il “Maestro della Passione di Quarona”.
Nella cappella di San Gregorio, prima campata della navata sinistra, parete settentrionale, vi sono affreschi di Francesco Cagnola (XVI secolo): Messa di san Gregorio e un santo vescovo.
Purtroppo di recente i ladri hanno rubato la parte centrale del polittico che si attribuiva a Bernardino Cano, un pittore del 1500 discepolo di Gaudenzio Ferrari. L’arte del Rinascimento è rappresentata da un bellissimo dipinto la cui cornice dorata, unita al disegno che illustra la facciata della chiesa di San Giovanni, è attribuita al Lanino. In fondo alla navata sinistra è stato ricostruito l’antico fonte battesimale ad immersione.

In Quarona vi sono altre chiese antiche: la “chiesa della Beata (Panacea) al Piano” edificata all’inizio del XV secolo; la chiesetta denominata “della Beata al Monte”, dove secondo la tradizione fu uccisa: è una cappelletta, dipinta nel 1447, con figure di vari santi e la Vergine con il Bambino, e si trova lungo la salita per la chiesa di San Giovanni, sulla sinistra.

Informazioni:
La Chiesa si trova sul Monte dei Tucri o Truchi, cioè delle tombe, alto m 552. Dall’abitato si raggiunge in circa 20 minuti di salita a piedi.

Links:
https://invalsesia.it/listing/chiesa-san-giovanni-al-monte-quarona/

https://www.chieseromaniche.it/Schede/574-Quarona-San-Giovanni-al-Monte.htm

Bibliografia:
TONELLA REGIS F..; PEROTTI M., La Chiesa di S. Giovanni al Monte a Quarona, Associazione culturale quaronese, Quarona VC, 1991
GIACOBINO C., Gli affreschi della chiesa di S. Giovanni al Monte di Quarona, relatore Miklos Boskovits, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, Fac. di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere Classiche, 1984/1985

Fonti:
Immagini pubblicate col consenso del sito www.quaronasesia.it.
Testo tratto dal sito sopra indicato.
Altre info e immagini  dal sito, non più attivo nel 2020,  http://prealp.msh-alpes.fr/fr/node/4594.

Data compilazione scheda:
08/11/2009 -aggiornamento febbraio 2014 – giugno 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Prarolo (VC) : Castello

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Storia e descrizione del sito:
Le prime notizie certe sul castello di Prarolo risalgono al 1398, quando già si parlava di onerose riparazioni da effettuare all’immobile; pertanto l’edificio già esisteva in tale data. Addirittura, date le caratteristiche strutturali, la torre quadrangolare dovrebbe risalire almeno al secolo precedente. Nella seconda metà del secolo XV l’abbazia di S. Stefano, detta anche abbazia di Prarolo, venne sottratta ai benedettini e da allora fu data in appannaggio ad un abate commendatario nominato dai Savoia in accordo con il Papa. I commendatari appartenevano a potenti famiglie, quali quella dei Borromeo di Milano che fornì il più illustre degli abati di Prarolo: il cardinale Federico, nipote di san Carlo, che nel 1628 fece ricostruire la chiesa parrocchiale di Prarolo. In seguito alla nazionalizzazione di gran parte dei beni ecclesiastici, nel 1801 la tenuta agricola Castello di Prarolo fu acquistata dall’Ospedale S. Andrea di Vercelli e ora è di proprietà dell’ASL 11.
Il castello è caratterizzato da una torre angolare cilindrica e da una quadrangolare, indipendente, con caditoie e due torricelle soprelevate. La torre quadrangolare costituiva l’accesso del castello tramite un ponte levatoio di cui sono ancora bene evidenti le tracce. L’interno della torre, a lungo usato per scopi agricoli, non risulta interessato dall’ampio rimaneggiamento che, a metà del XVIII secolo, ha dato al castello di Prarolo il suo aspetto attuale.
Nel novembre 2011 un sopralluogo ai locali interni della torre quadrangolare ha permesso di fare una prima valutazione dello stato di conservazione degli AFFRESCHI quattrocenteschi recentemente segnalati dal prof. Giovanni Ferraris. A parte tracce minori, sulla parete della torre rivolta a sud sono state evidenziate due aree affrescate attualmente separate da un varco di accesso all’ultimo piano della torre, ma originariamente appartenenti ad un unico affresco avente una base di oltre 2 metri ed una altezza di poco inferiore al metro. La parte di sinistra, meglio conservata, rappresenta una Madonna seduta con un ampio manto rosso e in grembo Gesù bambino che si sta sporgendo verso un devoto che appena si intravvede. Sulla parte destra del varco è ancora leggibile, seppure alquanto rovinata, una Crocifissione.
A parere dei tecnici, è urgente procedere ad un consolidamento degli affreschi onde evitare ulteriori stacchi; inoltre durante l’operazione potrebbero venire alla luce altri frammenti di pitture. Presumibilmente i locali affrescati costituivano la residenza dell’abate dell’abbazia benedettina di S. Stefano di Vercelli quando, in particolare durante il secolo XV, si trasferiva a Prarolo in occasione di turbolenze nella vita cittadina. Tali periodi residenziali sono testimoniati da alcuni documenti abbaziali redatti a Prarolo e conservati a Milano.

Informazioni:
La visita deve essere richiesta alla ASL 11 di Vercelli mediante mail indirizzata a : patrimoniale@aslvc.piemonte.it

Links:
http://www.vercellioggi.it/dett_news.asp?id=27354

http://www.comune.prarolo.vc.it

Fonti:
Notizie e fotografie dai siti sopra citati.

Data compilazione scheda:
13 dicembre 2011- aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Palazzolo Vercellese (VC) : reperti età romana

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Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
Presso la sponda del Po è stata scoperta una necropoli della tarda età del Ferro – II sec. a.C. – con sepolture che presentavano borchie bronzee tipiche dei Liguri Statielli. Da queste tombe provengono pregevoli manufatti di origine orientale in vetro, finemente decorate.
Alcuni reperti da Palazzolo si trovano al Museo Leone di Vercelli.

Informazioni:

Links:
http://www.comune.palazzolovercellese.vc.it
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzolo_Vercellese

Bibliografia:
MANDOLESI A., Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle d’Aosta, Editurist, Torino 2007
ROSSO A.M.(a cura di), Guida al Museo Leone di Vercelli, Whitelight, Vercelli 2008

Fonti:
La parrocchiale di San Germano, di origine romanico-gotica, fu rimaneggiata nel 1768, il protiro è del 1780. Il campanile originale presenta monofore.
Fotografia in alto dalla guida al Museo Leone; in basso dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
29 novembre 2011 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Moncrivello (VC) : Castello e Santuario Madonna di Miralta

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Storia del sito:
CASTELLO.
Il nome di Moncrivello nei tempi antichi fu scritto come Moncravellum o Monscaprarum o Moncaprellus o Montiscravellum, che significano tutti “Monte delle capre” come ricorda lo stemma del paese. I cenni storici più antichi sul territorio di Moncrivello si riferiscono ad alcuni villaggi preesistenti nei dintorni, denominati Uliaco, Moriondo, Miralta, Lagnasco. Il nome di Moncrivello appare nel diploma emanato da Federico I nel 1152 su istanza del papa Eugenio III a favore della chiesa di Vercelli nella persona del vescovo Uguccione, in cui si parla di “Moncravellum, Monscaprarum”. La parrocchia di Moncrivello è citata nelle bolle di papa Urbano III nel 1186 e di papa Onorio III nel 1216. Nell’alto Medioevo, sulla cima della collina di Moncrivello sorgeva, come potente rocca difensiva, il castello, le cui origini verosimilmente possono essere collocate intorno all’anno Mille, desumendolo dal tipo di architettura romanica. Passato nel 1243 ai Marchesi del Monferrato, nel Trecento fu riconquistato dai Vescovi di Vercelli e infeudato ai conti Fieschi fino al 1399, quando il popolo si sollevò, se ne impadronì con la forza e fece atto di dedizione ad Amedeo VIII di Savoia.

Iniziava così l’età dell’oro del castello che fu dimora di ben tre duchesse di Savoia. La più illustre fu Jolanda di Valois, moglie di Amedeo IX e sorella del re di Francia Luigi XI, che trasformò l’antica fortezza in residenza signorile e ne fece il suo prediletto soggiorno. Furono aggiunti: lo scalone elicoidale, le finestre ornate con cornici in cotto, i merli dei muri di cinta, i soffitti a cassettoni, che si sono conservati fino a noi. La duchessa fece costruire il Naviglio di Ivrea, visionato da Leonardo da Vinci, prima via d’acqua navigabile sino a Vercelli, i cui redditi erano versati a beneficio del castello in cui morì nel 1478.
Emanuele Filiberto volle premiare per le vittorie contro i Francesi il suo valoroso condottiero, capitano di ventura Cesare De Mayo di Napoli, con il castello ed il feudo di Moncrivello, che elevò a marchesato nel 1565. Nel 1692 il castello fu acquistato dalla famiglia del Carretto Gorzegno, di nobile stirpe Aleramica, cui rimase ininterrottamente in possesso fino al 1817 o 1825 quando la struttura fu parzialmente distrutta da un incendio e si ridusse alla torre, alle sale e alla grande cantina ancora esistenti; certo è che fino al 1815 il castello aveva tre porte con ponti levatoi e tutto il muro di cinta con parecchie torri. Dopo un lungo abbandono, a partire dal 1972, la nuova proprietà ha intrapreso onerosi lavori di restauro conservativo del castello, già monumento nazionale nel 1908, entrato a far parte del patrimonio nazionale dei Beni Culturali dal 1980. Nel 1993 il vincolo fu esteso anche alla fascia adiacente del borgo medievale.
Aperto al pubblico dal 1996, è sede di un’intensa attività culturale promossa dalla proprietà e dall’Associazione Culturale Duchessa Jolanda Onlus, di un’azienda agricola biologica e di un Bed & Breakfast.

Descrizione del sito:
Il CASTELLO conserva alcune parti della struttura più antica: il poderoso “maschio” trecentesco, quadrangolare, con caditoie e finestra dalla graziosa cornice in cotto, attraversato da un passo carraio a volta gotica e la torre di ponente a pianta semicircolare, sovrastata da merli. L’edificio è difeso da una duplice cerchia di mura merlate con cammino di ronda.
L’edificio ristrutturato nel Quattrocento, formato da un nucleo centrale raccordato alle due antiche torri, è a due piani collegati da una armoniosa scala elicoidale in mattoni, comprende i saloni per le manifestazioni a piano terreno e le sale sovrastanti, quasi tutte con soffitto a cassettoni e con un camino in cotto del XV secolo.
La bella torre di “villa Moncrivello” era un edificio che faceva parte del castello che si estendeva fin là.

Storia e descrizione del sito:
Chiesa santuario di Santa Maria Assunta di Miralta, è situata sulla cresta della collina omonima, all’estremo sud del paese verso Villareggia, dove vi furono i primi insediamenti abitativi. Numerosi infatti sono i riferimenti, a partire dal X secolo, al borgo di Miralta (o Miralda), infeudato ai signori De Bondoni e dal XIII secolo progressivamente abbandonato dagli abitanti e scomparso, unico edificio superstite è la chiesa risalente al X secolo. L’edificio ad una sola navata con il campanile inserito su un fianco, conserva ancora, nella parte posteriore e parzialmente nel campanile, l’impianto romanico nonostante i molti rifacimenti e le profonde trasformazioni avvenute soprattutto con l’ampliamento novecentesco e la costruzione del porticato neoclassico in facciata.

Informazioni:
Castello di Moncrivello, ora adibito a Bed & Breakfast, tel. 0161401175 ; email: info@duchessajolanda.it

Santuario di Santa Maria di Miralta, Strada per  Miralta, info Comune tel. 0161 401177 ; email: uffici@comune.moncrivello.vc.it

Links:
www.duchessajolanda.it

https://www.turismotorino.org/it/santuario-della-madonna-di-miralta

Fonti:
Le notizie  sono state tratte dai siti sopra indicati. Le fotografie del castello: in alto dal sito www.duchessajolanda.it ; in basso sono tratte da Wikipedia.
La fotografia del Santuario di Miralta da www.turismotorino.org/

Data compilazione scheda:
08/04/2006 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Livorno Ferraris (VC) : Chiesa di Santa Maria d’Isana

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Storia del sito:
Livorno godeva, già al tempo dei Romani, del transito di una strada militare che da Vercelli conduceva a Torino sfruttando il guado della Dora; strada che ha registrato il passaggio di personaggi importanti e non ultimo dell’usurpatore Costantino III il Tiranno, il quale, proprio a Livorno ad Liberonem, nel 407 d.C. fu costretto a recedere dal proposito di conquista dell’Impero Romano d’Occidente. La stessa strada nel medioevo diventa, nel tratto da Vercelli a Chivasso, Strada Liburnasca, trovando a Livorno congiunzione con una delle tante diramazioni della via Francigena, proveniente questa dalla Valle d’Aosta per dirigersi verso Alessandria e quindi a Piacenza. Per tracciare il profilo storico di Livorno, pur avendo reperti giustificanti un insediamento in epoca romana (non ultimo l’importante ritrovamento di una ricca necropoli di età flavia: 70 d.C.) e tardo antica, bisogna risalire alla fine del X secolo con il diploma di Ottone III, datato 7 maggio 999, con il quale vengono confiscate le terre di Arduino d’Ivrea e dei suoi alleati, e tra questi Aimino e Goslino di Livorno, per donarle al vescovo di Vercelli Leone I. Sotto la giurisdizione dei vescovi, ribadita da diversi diplomi imperiali, resta sino al 1243, epoca in cui viene ceduto dal legato pontificio cardinale Gregorio di Montelongo al Comune di Vercelli, che lo fortifica e lo erige, nel 1254, in Borgo Franco. A questo periodo risalgono: il Torrione d’entrata (Parsun), ristrutturato il 1 settembre 1388, la parrocchiale di San Lorenzo (parte bassa del campanile), la cella benedettina di sant’Andrea nel cimitero (notizie dal sec. XII) ampliata nel corso del 1800 e la chiesa di Santa Maria d’Isana. Scarsa è la documentazione storica che riguarda l’origine della chiesa, presumibilmente la costruzione risale alla prima metà del XII secolo e senza dubbio venne riedificata su probabili preesistenze, dopo il terremoto padano del 1117, a cura dell’ordine dei Templari che avevano installato, proprio in questo sito, una loro mansio. La suddetta mansio templare è menzionata per la prima volta in un documento del 1208; in esso si legge che una monaca aveva portato in dote al convento di Rocca delle Donne appezzamenti confinanti con Sancta Maria del Tempio, e poi ancora in un documento del 1222 col titolo di Domus Sancte Marie de Ysana, e infine in un altro documento del 1298 come Ecclesia Sancte Marie de Exana et subest Milicie Templi. Vi si legge anche che doveva versare ai collettori papali la somma di 40 lire annue, somma che per quei tempi era assai cospicua: evidentemente doveva fruire di una certa rendita. Solo i grandi monasteri pagavano somme superiori in quel periodo: Lucedio, ad esempio, doveva sborsare 3.000 lire di decima, mentre la chiesa di Saluggia pagava solo 36 lire. La Domus d’Isana dipendeva dal priorato templare di San Giacomo di Vercelli; era così importante per la posizione strategica sulle strade di quei tempi. Infatti sorgeva sull’antica via Liburnasca, una strada medievale percorsa da pellegrini, crociati e mercanti. Questa strada metteva in comunicazione Torino e quindi il passo del Moncenisio con Vercelli, città attraversata dalla via Francigena, proveniente da Ivrea. Da Livorno passava anche un’altra strada alternativa che proveniva da Aosta-Ivrea. Essa attraversava l’antica Uliaco, sulla collina di Villareggia e proseguiva fino a Livorno per giungere a Trino, Casale e congiungere Genova. Questa seconda strada poneva di fatto in collegamento i passi del Piccolo e del Gran San Bernardo con Genova, importante centro di raccolta. L’ordine religioso e cavalleresco dei Templari aveva come fine peculiare l’assistenza e l’ospitalità dei pellegrini, ecco perché i Templari crearono un loro insediamento proprio a Isana, punto mediano tra le città di Vercelli, Casale, Ivrea, sull’importante via Liburnasca. Le mansioni templari erano dei complessi autosufficienti, difesi da alte mura, comprendenti il convento con torri di vedetta ai lati, la cappella, la scuderia, l’armeria, la fucina, il mulino, la cantina, i magazzini per la conservazione delle derrate alimentari, l’infermeria, la foresteria, il cimitero e il vivarium o peschiera dove si allevavano i pesci di cui i Templari facevano largo uso in quanto la loro astinenza dalle carni durava da Ognissanti a Natale e per tutta la. Quaresima. Non è da escludere che nella mansio di Exana abbia sostato Filippo Augusto, re di Francia, di ritorno dalla Terra Santa nel 1191, alla fine della II Crociata. Egli seguì il percorso della via Francigena, detta anche Romea, fino a Vercelli, quindi imboccò la Liburnasca per arrivare a Torino e, attraverso la valle Susa, al Moncenisio e quindi in Francia. Più tardi negli anni anche Cesare Bozz, un fervente protestante, esiliato dalla sua patria, nel 1571, cercò invano protezione presso la chiesetta, ma venne catturato dai banditi del luogo. Dopo l’abolizione dell’ordine dei Templari (nel 1312) la mansio di Santa Maria di Isana passò, con il medesimo titolo, agli ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme (Gerosolimitani), poi chiamati Cavalieri di Malta. Tutti i possedimenti dei Templari passarono ai Gerosolimitani in seguito alla bolla Ad providam Christi, emanata da papa Clemente V il 2 maggio 1312. Nel 1628 nella Confraternita dedicata ai Santi Apostoli venne indetta al Santuario della Madonna di Isana una processione votiva per rendere grazie alla Vergine che aveva allontanato da quelle contrade il flagello della peste di manzoniana memoria. Tale processione continua tuttora ogni anno il 15 di agosto, festa della Madonna Assunta ed il concorso dei pellegrini è notevole. Nel 1700 la Commenda di Isana, che aveva mutato il nome in Commenda di San Giovanni di Isana, mentre per la sola Chiesetta continuava ad esistere la dicitura di Beata Maria Vergine detta dal popolo di Isana, dipendeva dalla Commenda di Verolengo. Nel 1794 Isana era una tenuta di 190 giornate tra prati, campi e gerbidi e la chiesetta, come si legge dai resoconti delle visite pastorali, veniva ordinariamente amministrata dall’agente del signor Commendatore e dai suoi affittavoli. La chiesetta fu incorporata alla diocesi di Vercelli con bolla pontificia del 1817. Attualmente si trova nel territorio della Parrocchia di Livorno Ferraris ed è curata dai proprietari della Tenuta Isana, i signori Camoriano.

 Descrizione del sito:
L’edificio appare orientato sull’asse est-ovest; abside a levante, in modo che il viso del celebrante sia rivolto al sole nascente; ponente per il portale d’entrata, come in uso nelle costruzioni paleocristiane. La facciata, a capanna, è interessante per i mattoni disposti a spina di pesce (lavorazione che si nota anche sui lati sud e nord) e per l’utilizzo di pietra alternata a laterizi nelle strutture angolari. Si osserva anche una bella bifora impreziosita da un capitello del tipo ‘a gruccia’, che presenta una decorazione a bulbo curvilineo identica a quella riscontrata nei due archetti pensili della cornice della facciata meridionale; la colonnina della bifora termina con un capitello ‘a tulipano’. La bifora è sovrastata da magnifici archetti ciechi che incorniciano il timpano e si susseguono, a scopo decorativo, anche su tutto il lato a mezzogiorno. Sotto la bifora sono percepibili, benché coperte da intonaco, due monofore. Anche nella facciata sud si osserva una piccola monofora chiusa rozzamente con mattoni, probabilmente quando il tetto a capanna della chiesa fu innalzato. È quanto resta delle piccole finestre medioevali, forse tre, da cui filtrava una tenue luce. Unica apertura originale conservata risulta essere la porticina presso il campanile che presenta sulla sua sommità un arco lavorato a conci di arenaria e mattoni. Il campanile, di successiva aggiunta, non è molto alto ma è armonioso, alleggerito da quattro aperture nella sua ultima parte che funge da cella campanaria e che ostenta una campana dal suono argentino, necessaria per chiamare a raccolta i fedeli. Prima dell’innalzamento del tetto, il campanile doveva apparire più svettante, ora è un po’ tozzo. Sia sulla sommità del campanile che sulla cuspide del tetto della facciata ovest si notano tracce della croce dei Templari, a coda di rondine, detta ‘delle otto beatitudini’. Sulla facciata a ponente vi è traccia di una meridiana, mentre sul lato a mezzogiorno è stata recentemente restaurata una meridiana ad ore francesi, astronomiche. Riporta la linea del mezzogiorno locale (in rosso), calcolato sul meridiano passante per il luogo ed il mezzogiorno in base al meridiano di Greenwich. Si riconoscono poi i simboli dei solstizi d’inverno e d’estate (capricorno e cancro) e degli equinozi di primavera e d’autunno (ariete e bilancia). Per l’edificazione della chiesetta sono stati utilizzati materiali esistenti in loco: laterizio, mattoni rossi ripresi da precedenti costruzioni, ciotoli fluviali, arenaria in quantità ridotta (una pietra bianca, visibile sugli stipiti della facciata e alla base del campanile), granito grigio. Questa partitura muraria è detta ad opus mixtum. L’argilla usata per i laterizi è stata ricavata certamente dal terreno circostante, tipicamente argilloso, e cotta in fornaci approntate presso la cava. Non molto lontano dall’edificio religioso esistente, ancora oggi, un terreno chiamato Fornacetta, che si trova ad un livello più basso dei campi circostanti, presumibilmente servì da cava per i mattoni della costruzione. Tutto l’edificio indica un segno architettonico elaborato, eseguito da maestranze esperte; lascia intendere una buona disponibilità finanziaria, mentre i numerosi materiali di recupero (mattoni romani e pietre angolari), inseriti con regolarità nella muratura, inducono a credere che nella località di Isana esistesse già un insediamento precedente rivitalizzato dall’acquisto da parte dei Templari. Nella parte a mezzanotte la chiesa è addossata ad una costruzione agricola che potrebbe essere sorta su ciò che rimaneva di un antico convento e che nasconde la quasi totalità del parametro murario originale. La parte ad est, più bassa, affiancata al campanile è invece di più recente costruzione, l’attuale abside quadrangolare ha subito un completo rifacimento e solo un’indagine archeologica sarebbe in grado di rintracciare la costruzione primaria. La parte inferiore dell’intera muratura delle facciate è stata ricoperta, in epoca più recente, fino ad una quota di due metri, con uno strato uniforme d’intonaco; nella facciata a ponente la copertura s’innalza fino a 4,10 metri, inquadrando il portale mediano e le due finestre laterali. L’interno, ridipinto nei secoli, presenta una sola navata con due volte a vela; un’alta cancellata in ferro battuto divide la parte riservata ai fedeli da quella destinata al sacerdote. Il presbiterio e la sacrestia retrostante sono di forma rettangolare, coperti con volta a botti lunettate e illuminati da finestre semicircolari. La sacrestia venne aggiunta presumibilmente nel Settecento, dal momento che nella visita priorale del 1768 il vano risulta già costruito, ma l’interno della chiesa era ancora sovrastato da un soffitto a tavole. Simmetrica alla porticina d’entrata, sul lato opposto, s’apriva un’altra porta, come fa intuire la presenza di un architrave in pietra: forse consentiva l’accesso dei monaci al chiostro. Sotto il pavimento, per tutta la lunghezza dell’edificio, scorre il rigagnolo di una sorgente.

Informazioni:
Dalla circonvallazione di Livorno Ferraris, si prende in direzione Trino. Dopo 1 Km circa si imbocca una strada sterrata a sinistra (a lato di un canale). Dopo 200 m si raggiunge la Tenuta Isana, strada Trino 3 ;   Marisa Camoriano tel.  0161 – 477701 ; email: piercarlomarisa@alice.it

Link:
https://www.comune.livornoferraris.vc.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/chiesa-santa-maria-d-isana-inizio-sec-xiii-

http://share.dschola.it/ic.ferraris.livornoferraris/isana/default.aspx

Bibliografia:
GIULIANO Giovanni Franco 2006, Santa Maria d’Isana, Tipo-litografia Grafica Santhiatese, Santhià
REGIONE PIEMONTE, 1994, Atti del convegno I Templari in Piemonte, Torino
REGIONE PIEMONTE, 1994, I Templari tra storia, mito e iconografia, Stupinigi
A.A.V.V., 1989, Guida all’Italia dei Templari, Edizioni Mediterranee, Roma
GAUZOLINO P., 1989, Storia antica di Livorno Ferraris, Crescentino
AVONTO L., 1977, I Templari a Vercelli, Vercelli

Fonti:
Il testo è tratto dal materiale informativo reperito nel 2003 presso la chiesa. Altre notizie nel sito indicato al n° 1 e nelle pagine successive.
Fotografie archivio GAT.

Data compilazione scheda:
13 ottobre 2003 -aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Federico Vigo – Gruppo Archeologico Torinese

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Livorno Ferraris (VC) : Chiesa cimiteriale di Sant’Andrea

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Storia e descrizione del sito:
La chiesa romanica di Sant’Andrea è la più antica all’interno dell’abitato livornese, risale probabilmente al 1141 Essa ha progressivamente nascosto, nel corso di circa novecento anni di storia, piccoli tesori artistici e architettonici. L’opera di restauro, iniziata con il rifacimento della copertura, continua infatti a riservare sorprese e a svelare misteri celati dal susseguirsi dei vari interventi in epoche diverse. Risale al 2002 la scoperta della ‘cripta’ sotterranea posta sotto la parte ottocentesca di cui si era persa memoria tra i livornesi. Non è ancora chiara la sua funzione, ma considerando i resti contenuti nella vasca centrale, si può ipotizzare che fosse utilizzata come ossario o camera funeraria. Altre piacevoli sorprese sono gli affreschi rinvenuti sotto i vari strati di intonaco nell’abside romanica. Il disgregarsi degli strati superficiali ha fatto intuire l’esistenza di due affreschi ai lati della finestrella rettangolare. Con un’ indagine più approfondita sono stati riportati alla luce ben quattro dipinti, di notevole pregio artistico e storico (‘300-‘400), che ornavano internamente l’abside. I pannelli sono di varie dimensioni e stili differenti, dopo i restauri si può affermare che dei quattro affreschi due sono dello stesso autore, chiaramente di tipologia Lombarda, mentre gli altri due sono di due pittori diversi. Di particolare pregio l’affresco che rappresenta la Madonna del latte; significativo è anche l’affresco raffigurante sant’Andrea, il primo degli Apostoli di Gesù, raffigurato con una mano una croce dritta astile”. Vi sono anche le immagini di s. Pietro Martire e della crocifissione del Cristo.
La rimozione dell’intonaco delle pareti esterne ha reso visibili le due porticine d’ingresso laterali e i resti degli archetti pensili che ornavano l’abside e il perimetro dell’edificio. In attesa di avere tutti i permessi per dare inizio ai lavori sulla struttura della chiesa l’Amministrazione Comunale ha deciso di effettuare tutti gli interventi atti a consolidare il supporto murario dei quattro affreschi, degradati a causa delle infiltrazioni e dell’umidità. L’operazione si è resa necessaria in previsione delle sollecitazioni e vibrazioni che gli interventi in progetto produrranno sulla struttura, mettendo in grave pericolo il mantenimento delle pitture. Un’équipe specializzata ha ancorato l’intonaco alla muratura retrostante con iniezioni di prodotti specifici e ha provveduto a sigillare i bordi con l’applicazione di garze protettive. L’operazione si è estesa anche a due spicchi della volta ottocentesca, notevolmente degradata a causa delle infiltrazioni d’acqua precedenti al rifacimento della copertura. I lavori sono terminati nel 2009.

Informazioni:
Info Comune tel. 0161.477295
email: livorno.ferraris@reteunitaria.piemonte.it

Bibliografia:
TESI DI LAUREA in http://webthesis.biblio.polito.it/354/

Fonti:
Il presente testo deriva da una scheda redatta a cura dell’Amministrazione Comunale di Livorno Ferraris, consultata nel 2003 presso la chiesa.
Foto in alto da http://www.retiecolivornoferraris.it/storia.html
Foto in basso archivio GAT.

Data compilazione scheda:
1 novembre 2003 – aggiornamento febbraio 2014

 Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gabriella Monzeglio – Gruppo Archeologico Torinese

andrea_croc

Lenta (VC) : Castello-monastero

CastelloLENTA

Storia del sito:
Un documento di investitura di feudo, castello e villa di Lenta a Palatino Avogadro, da parte di Ottone di Biandrate, attesta che il luogo era già fortificato nel 1178. La particolarità del “castello” di Lenta consiste nell’essere stato un “nucleo difeso” la cui porzione signorile è il MONASTERO FEMMINILE BENEDETTINO DI S. PIETRO, fondato nel 1127 sotto l’auspicio di Alberto di Andrate.
Verso la metà del Duecento è attestata la presenza di un “castrum” che racchiudeva anche una parte dell’abitato, per cui alcuni uomini di Lenta potevano essere denominati “de castro”. Ma anche il borgo doveva essere dotato di mura e circondato da fossato nel secolo XIII, essendo anche Lenta compresa fra le località fortificate che gli statuti del Comune di Vercelli imponevano fossero conservate in efficienza.
Non vi è accordo tra gli studiosi se il nucleo fortificato possa essere considerato un borgo o una sorta di ricetto (di pertinenza signorile e religioso), perché risulta abitato stabilmente.
Lenta poi passò agli Arboreo di Gattinara, ma il convento benedettino continuò ad avere giurisdizione sul castello/monastero. Secondo alcuni studiosi vi era una doppia giurisdizione delle religiose e dei signori laici; infatti nel 1404 i signori laici giurarono fedeltà ai Savoia, le monache al Marchese del Monferrato, sottolineando la permanenza della divisione delle rispettive pertinenze.
Con la traslazione del convento a Vercelli, nel 1570, iniziò la decadenza del complesso del castello.
Lo stato dei fabbricati è oggi assai compromesso.
Il “Castello” è di proprietà comunale, attualmente chiuso in attesa di restauri.

 Descrizione del sito:
Le mura racchiudono un nucleo a pianta quadrata, di lato circa m 85.
Lenta_planimetria Le mura sono di ciottoli posti a spina di pesce coronate da merlature in pietra, senza torri, tranne che nel castello. Oggi è ancora visibile la perimetrazione delle mura, tranne che sul fronte nord. L’interno del nucleo è articolato in cellule edilizie a tessitura minuta e compatta, ma molto rimaneggiate.
Il Castello-monastero presenta il lato orientale meglio conservato con una torre quadra, alcune finestre nel muraglione e una torretta, pure quadrangolare. Resti di merlature bifide sono visibili lungo il lato settentrionale e un cortile interno ( l’antico chiostro) e alcune sale al primo piano mostrano tuttora decorazioni quattrocentesche in cotto ed AFFRESCHI del XV-XVI secolo in cattivo stato di conservazione.

La CHIESA PARROCCHIALE DI SANT’OLIMPIO è la ricostruzione di fine seicento della precedente Parrocchia di San Pietro, di cui resta solo una grande abside romanica. All’interno, affreschi del Peracino e, al di sotto, la “Cripta di San Biagio”, già facente parte della precedente parrocchia.

Informazioni:
Situato nell’angolo sud-est del centro abitato, nei pressi della chiesa parrocchiale. Info Comune, tel. 0163 88118; email: lenta@ruparpiemonte.it

Link:
http://www.comune.lenta.vc.it

Bibliografia:
M. CASSETTI (a cura di), Arte e storia di Lenta: atti del Convegno di studi, aprile 1981, Chiais, Archivio di Stato di VC, Vercelli,1986
R. ORDANO, Castelli e torri del Vercellese, Giovanacci, Vercelli, 1985
M. VIGLINO DAVICO, I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978

Fonti:
Fotografie: fotografia in alto dal sito del Comune; in basso planimetria da Viglino Davico M., 1978.

Data compilazione scheda:
5/12/2006 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Lenta (VC) : Pieve di Santo Stefano e Chiesa della Madonna dei Campi

Lenta – Pieve S. Stefano

Storia e descrizione dei siti:
PIEVE DI SANTO STEFANO
È una chiesa edificata nell’XI secolo in stile romanico, su una preesistente risalente al VI secolo, come hanno confermato operazioni di scavo archeologico. Chiesa cimiteriale, fu la parrocchiale di Lenta fino al 1573. Verso la fine del secolo XVIII era così rovinata che non vi si potevano più celebrare le funzioni e i restauri che si compirono poi nel 1778 furono così importanti che si dovette procedere ad una nuova benedizione, come risulta dal Decr. del Vicario Capitolare 16 Dicembre 1778. Da questo documento risulta che anticamente, la Chiesa era intitolata a S. Stefano e S. Antonio abate. In essa si svolgeva la cerimonia della benedizione degli animali.
Verso il 1880 la Chiesa di nuovo minacciava rovina e non vi si celebravano più le funzioni. Per iniziativa di certo Zona Francesco fu restaurata con rinzaffo e sottomuratura ai muri esterni e imbianchimento all’interno. Ciò avvenne nel 1883.
L’edificio ha due absidi, la cui struttura romanica è ben visibile esternamente. L’abside dedicato a santo Stefano è il più antico; quello dedicata al Crocifisso forse fu aggiunto nel XIII o XIV secolo.
Il CAMPANILE è posto al centro della facciata e presenta bifore con capitello a stampella. Archetti decorano la sommità delle pareti laterali e degli absidi.
L’abside di santo Stefano conserva all’interno gli AFFRESCHI del Cristo Pantocratore con simboli degli Evangelisti e le figure degli apostoli nel cilindro absidale, purtroppo mutile. Altri affreschi rappresentano l’Annunciazione, una bella Natività, l’Annuncio ai pastori, l’Adorazione dei Magi e risalgono alla fine del XIV secolo o 1400-1401 (Romano).
Figure di santi sono affrescate sui pilastri centrali e sulla parete a sud, di fattura successiva; tra esse sant’Antonio abate, sant’Eusebio, santa Maria Maddalena.

CHIESA DELLA MADONNA DEI CAMPI
I documenti e le memorie relative a questa chiesa sono scarsissimi. Probabilmente la struttura è molto antica, forse contemporanea alla Pieve di Santo Stefano. Nel 1214 appare in una descrizione di beni immobili per localizzare un terreno; nel 1221 è menzionata nel testamento di un arciprete morto in Egitto durante la quinta crociata, il quale lasciò venti soldi a una certa “Aldisia che abitava presso la chiesa di S. Maria”. Solo dopo due secoli fu nominata come riferimento topografico per determinare confini di terreni. Non compare negli elenchi delle pievi, e neppure nei registri dei beni ecclesiastici. Solo dalla metà del Quattrocento la chiesa incomincia ad essere menzionata più frequentemente e nel 1574, nelle prescrizioni di una visita pastorale:  “La chiesa campestre di S. Maria di Lenta nel venire da Rovasenda si tenga sempre chiusa a chiave et in modo che non vi entrino gli animali…”
Oggi la chiesa presenta due navate absidate, la cui struttura romanica è visibile all’esterno nonostante l’intonacatura; una dedicata alla Madonna, l’altra a San Bernardo. La più antica è quella dedicata alla Madonna, la seconda fu costruita più tardi, come si nota anche dalla differente altezza e struttura degli archetti e delle lesene.
AFFRESCHI di datazione incerta (seconda metà XV secolo?) decorano la chiesetta. Compaiono una bella Madonna del latte; le figure di santa Lucia, san Dionisio, san Sebastiano. La raffigurazione di sant’Antonio abate presenta molti graffiti di varie epoche.

 Informazioni:
Per visitare le Chiese, aperte saltuariamente, rivolgersi alla Parrocchia, tel. 0163 88117

La Pieve sorge al di fuori dell’abitato cittadino, non lontano dal Cimitero.

La chiesa della Madonna (o di Santa Maria) dei Campi (o della Campagna) sorge presso la strada provinciale 594.

Links:
http://www.comune.lenta.vc.it

Bibliografia:
FERRARIS G., La pieve di S.Stefano di Lenta nel contesto delle pievi eusebiane, in “Arte e storia di Lenta”, Vercelli, 1986
FERRETTI F., Santa Maria dei Campi. Una chiesa protoromanica, in:  AA:VV, “Arte e storia di Lenta”,  Chiais per Archivio di Stato e Comune di Lenta, Lenta 1986
ORDANO R., Una chiesa del mistero: S. Maria dei campi di Lenta, in: “Bollettino storico vercellese” Bd. 22, 41 (1993), pp. 165-170
ROMANO G. (a cura di) Pittura e miniatura del Trecento in Piemonte, CRT, Torino, 1997, pp.54-59
VERZONE P., L’architettura romanica nel Vercellese,Vercelli, 1934

Fonti:
Foto in alto di Enzo Gastaldi da http://rete.comuni-italiani.it/foto/2008/109713/view .
Foto di Santi da Pieve Santo Stefano di M. Ferrara Jokrah e foto dell’interno di S. Maria dei Campi  di Antonio Aina  tratte nel 2014 dal sito, ora sospeso, www.panoramio.com.
Foto di sant’Antonio da S. Maria dei Campi e alcune notizie tratte nel 2024 dal sito, inattivo nel 2020, dal   http://www.webalice.it/r_ordano/

Data compilazione scheda:
9 luglio 2012 – aggiornamento febbraio 2014 – giugno 2020

 Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Lenta – affresco pieve S. Stefano

 

 

 

 

 

 

 

 

Lenta – S. Maria dei Campi, interno

 

 

 

 

 

 

 

 

Lenta- S. Maria dei Campi, particolare affresco

Greggio (VC) : resti del ricetto

greggio

Storia del sito:
Un documento del 1125 ricorda l’acquisto del castello di Greggio da parte dell’Abbazia dei Santi Nazario e Celso di San Nazzaro Sesia (vedi scheda), che si vuole sia stata fondatrice del borgo e da cui dipendeva anche l’originaria Parrocchiale di Santo Stefano. Greggio fu feudo della Chiesa di Vercelli nei secoli X-XI, poi dei Biandrate e successivamente fu soggetto al Comune di Vercelli che, nel XIII secolo, impose l’obbligo della manutenzione del fossato e degli spalti, attestando la presenza di una prima forma di fortificazione del luogo.
Il borgo poi passò ai Visconti, in seguito ai Savoia (1373 e 1404) e nel 1513 l’imperatore Massimiliano I inserì Greggio nella contea di Gattinara, concessa a Mercurino Arborio di Gattinara.
In una mappa del 1742 risulta all’estremità nord del borgo un nucleo a forma di trapezio con torri angolari, probabilmente il ricetto di pertinenza signorile.
Il castello, che sorgeva verso nord-ovest e che doveva comunicare l’area fortificata, è stato completamente demolito e parti delle sue mura sono emerse recentemente, in occasione di lavori di sistemazione del terreno. La leggibilità di tutto il complesso è comunque piuttosto compromessa e controversa.

 Descrizione del sito:
Permangono avanzi di murature ben conservate in ciottoli disposti a spina di pesce a chiusura dei lati nord e sud dell’area a forma di trapezio; invece appare dubbio che le due torri cilindriche e il muro fra esse compreso rappresentino avanzi di fortificazioni medievali, perché costruite con mattoni.
Al centro del perimetro un edificio a due piani conserva strutture murarie medievali e avanzi di una torre: presumibilmente era la residenza signorile.

Informazioni:
Info Comune, tel. 0161730123

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978
ORDANO R., Castelli e torri del Vercellese, Giovanacci, Vercelli, 1985
ORDANO R., Castelli, torri e antiche fortificazioni del vercellese, Ente prov. Per il Turismo, Vercelli, 1966

Fonti:
Purtroppo alla metà del Novecento fu demolito l’antico Oratorio di San Sebastiano, situato davanti all’attuale Municipio. Ciò comportò la distruzione dei pregevoli affreschi quattro-cinquecenteschi, di cui era ricco l’edificio.
Foto in alto tratta da http://rete.comuni-italiani.it/
Foto in basso da Ordano R., Castelli e torri del vercellese,1985

Data compilazione scheda:
23/10/2006 – aggiornamento febbraio 2014

 Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Greggio_ricetto-Ordano

Ghislarengo (VC) : resti del ricetto

ghislarengo

Storia del sito:
Legata alla Chiesa di Vercelli fin dalle origini, come attesta il decreto dell’imperatore Ottone III del 999, prima di passare sotto la giurisdizione del medesimo comune (XIII sec.). Dal suffisso -engo del toponimo si può supporre che il centro sia stato longobardo. L’abitato di Ghislarengo venne investito ai Cordonale; passò al Comune di Vercelli nel XIII secolo, nel 1335 passò sotto la giurisdizione dei Visconti. Ebbero influenza su Ghislarengo anche i Rovasenda, il monastero di Castelletto Cervo e il monastero di Lenta, il quale divenne il maggior proprietario del luogo dopo il 1284, anno in cui i Bordonale trasmisero i loro diritti al cenobio femminile. Nel secolo XIII il Comune di Vercelli imponeva la conservazione dei fossati e degli spalti che, come in altri luoghi vicini, dovevano cingere l’abitato. Nel 1335 il paese entrò fra i possedimenti dei Visconti e nel 1404 si sottomise ad Amedeo VI di Savoia. Nel 1513 Ghislarengo fu assegnata dall’imperatore Massimiliano I al Marchese di Gattinara.
Attorno alla metà del XIV secolo a Ghislarengo esisteva certamente un castello circondato da fossato, del quale fa menzione un documento del 1350. Alcune mappe del ‘600 e ‘700 mostrano lo stato delle fortificazioni in quei secoli, disposte su di un leggero rialzo con pianta rettangolare, circondata da mura con quattro piccole torri angolari. Tutto il perimetro era circondato da fossato e l’accesso era assicurato da una torre porta con ponte levatoio. All’interno, verso occidente, esisteva il palazzo marchionale, costruito nel XV secolo sulla preesistente rocca; lungo il muro e al centro erano le case e i magazzini del ricetto.

 Descrizione del sito:
Alcuni tratti del lato meridionale delle mura sono ancora visibili, inglobati in fabbricati posteriori (viale Vittorio Veneto). Il paramento murario è curato, con una fascia decorativa ad archetti dentellati a metà altezza, probabilmente inseriti in una fase di sopraelevazione. Nell’angolo sud-ovest è rimasta una delle torri cilindriche angolari, assai rimaneggiata, con un tratto di muro adiacente.
Nella parte nord del perimetro, le murature esterne del palazzo signorile sono ancora visibili su tutto il fronte a nord.
La chiesa parrocchiale, ampliamento seicentesco dell’antica chiesetta castrense del XIII secolo, era racchiusa nel perimetro con l’area cimiteriale, occupante buona parte della zona settentrionale. A ridosso della facciata, il campanile sarebbe stato costruito sui resti di una massiccia torre quadrangolare.
Le strutture architettoniche ed urbanistiche del ricetto sono state purtroppo definitivamente compromesse da vari interventi di ricostruzione.

Informazioni:

Link:
http://www.comune.ghislarengo.vc.it/

Bibliografia:
ORDANO R., Castelli, torri e antiche fortificazioni del vercellese, Ente prov. Per il Turismo, Vercelli, 1966
ORDANO R., Castelli e torri del Vercellese, Giovanacci, Vercelli, 1985
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978

Fonti:
Piantina in basso da http://www.vercellioggi.it/dett_news.asp?id=3778
Foto di un edificio del ricetto tratta nel 2014 da www.panoramio.com/photo/49860753.

Data compilazione scheda:
25/10/2006 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Ghislarengo_ricetto