Borgosesia (VC) : Il Monfenera

BORGOSESIA fenera2

Storia del sito:
La storia delle ricerche sul rilievo del Monfenera è piuttosto complessa. Scavi o scassi più o meno regolari iniziano nel 1953 ad opera del Gruppo Archeo-speleologico Borgosesia e dello scultore Carlo Conti. Questi hanno interessato essenzialmente la grotta Ciutarun proseguendo fino al 1957. Sempre nel 1953 C. Socin, dell’Istituto di Geologia dell’Università di Torino, esegue un saggio di scavo, dei cui risultati non si hanno notizie, nella grotta Ciota Ciara. Dal 1964 le ricerche sono state sostenute dall’Istituto e Museo di Antropologia di Torino e dirette da F. Fedele.

Una nuova campagna di scavo si è svolta nel 2010 nei siti della Ciota Ciara e del Riparo Belvedere sul Monfenera ed ha permesso, anche grazie ai dati raccolti durante le indagini preventive del 2009, di tracciare un primo quadro dei comportamenti tecnici e di sussistenza dell’Homo Neandertalensis che ha occupato l’area durante il Pleistocene superiore, circa 60 mila anni fa. Lo scavo è stato condotto dall’Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Biologia ed Evoluzione, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e grazie al costante supporto del Comune di Borgosesia, del Museo Archeologico Paleontologico C. Conti, del Parco Naturale del Monte Fenera e dei gestori del Rifugio GASB.

Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
I materiali provenienti dalle ricerche effettuate nelle cavità del Monfenera sono i più importanti attribuibili al Paleolitico medio. Vi sono tre cavità d’interesse archeologico che presentano ampie sequenze stratigrafiche che interessano tutto il Wurmiano. Si tratta della grotta Ciutarun, della grotta Ciota Ciara e del riparo Belvedere.

La grotta Ciutarun si apre a quota 650 m e a 320 m dal fondo della valle del Sesia. Ha uno sviluppo di circa 70 m con un dislivello positivo di circa 10. Si presenta con una grande imboccatura triangolare, esposta a sud/ovest, e continua con una grande sala allungata che prosegue con un corridoio incurvato che si restringe in maniera progressiva. La parte più interna è umida e presenta residui di stalattiti e stalagmiti. La grotta è stata oggetto di numerose «attenzioni» da parte di scavatori abusivi; a queste seguirono gli scavi di C. Conti il quale, secondo la ricostruzione di F. Fedele, avrebbe asportato una rilevante quantità di deposito da parete a parete, senza lasciare un’adeguata relazione di scavo. Nel 1971, venne svuotato e rilevato lo scavo Conti e il Prof. Fedele intraprese nel 1973 uno scavo nella parte interna della grotta in quanto nella parte esterna non era più possibile trovare la sequenza stratigrafica completa. Le ricerche del 1973 hanno messo in luce una stratigrafia della profondità di 5 m suddivisa in tre complessi: Complesso R (recente) da 0 a -25 cm; Complesso A (antico) da -25 a -370 cm; Complesso B (antico B) da -3 70 a -505. In tutta la sequenza è segnalata la presenza di attività umana: nel complesso R di età olocenica, nei complessi A e B di età pleistocenica. La sequenza stratigrafica è indubbiamente imponente ed anche i dati paleontologici; i dati antropici sono invece deludenti. In tutto sono stati raccolti 45 manufatti, tra cui una dozzina fra strumenti e nuclei. In questa sequenza che, secondo Fedele, comprenderebbe gran parte del Wurm, sarebbe rappresentato il Musteriano «antico macrolitico» di litologia variata, seguito da un Musteriano pure «macrolitico» su quarzite, ricco di raschiatoi denticolati, cui succederebbero un Musteriano di tendenza «microlitica», quindi una lacuna e infine una serie d’insiemi inclassificabili. Diversi reperti sembrano essere stati scheggiati con la tecnica levallois. Alcuni reperti provenienti dagli strati più alti sembrerebbero attribuibili al Paleolitico superiore.

La grotta Ciota Ciara si apre a circa 665/670 m di quota e a circa 335 m rispetto al fondo della valle del Sesia. Ha uno sviluppo sul ramo principale di 80 m con un dislivello positivo di circa 15. Presenta un’imboccatura triangolare, orientata a sud-ovest, che si apre a quota 665 m ed una grande apertura secondaria volta a ovest, conosciuta come «finestra», che si apre a quota 670 m. Si compone di un lungo corridoio principale rettilineo, impostato su una diaclasi, sul quale si innesta un breve diverticolo che sbocca nella «finestra». La sigla MF2 indica il deposito di riempimento interno e il talus antistante all’imboccatura, il giacimento esterno alla «finestra» della grotta. In questa grotta il primo saggio è stato effettuato sotto la direzione di G. Isetti nel 1964. Successivamente le ricerche sono proseguite sotto la direzione di F. Fedele nel 1966. La sequenza stratigrafica messa in evidenza nello scavo maggiore (scavo II), della potenza di circa 3 m, sembra abbracciare tutta la glaciazione wurmiana; i resti faunistici sono abbondanti mentre quelli di origine antropica sono molto scarsi. Se si esclude il saggio Isetti che ha restituito 48 manufatti, lo scavo II ha dato 7 pezzi mentre lo scavo I ha dato 4 pezzi. La maggior parte dei materiali è in quarzite e questo fatto rende non facile la lettura dei pezzi stessi. L’esame di questi non può dare delle risposte sicure sull’attribuzione cronologica dei manufatti; è possibile parlare solo di Paleolitico generico, mentre la più abbondante raccolta Isetti sembra attribuibile all’insieme culturale del Paleolitico medio chiamato Musteriano.
Nel 2021 la tredicesima campagna di scavi condotta dall’Università di Ferrara ha prodotto ulteriori reperti; vedi https://www.archeomedia.net/borgosesia-vc-grotta-della-ciota-ciara-nuovi-resti-umani-di-300mila-anni-fa/

Il riparo sotto roccia del Belvedere si apre a circa 675 m di quota e a circa 345 m rispetto al fondo della valle del Sesia. È lungo circa 15 m, presenta un’altezza variabile intorno ai 5 e termina verso sud con una piccola grotta profonda circa 14 m. Si sono rinvenuti 71 manufatti di cui solo la metà sono ritoccati: dominano gli strumenti denticolati di piccole dimensioni e, secondo F. Fedele, potrebbe trattarsi di un Musteriano tipico di facies denticolata. Il materiale litologico è piuttosto vario. Le popolazioni che abitarono queste grotte vivevano di caccia e raccolta, in siti, forse stagionali, localizzati sia all’aperto che all’entrata delle grotte o sotto pareti rocciose. In un momento non definibile in termini cronologici precisi, ma localizzabile nel Wurm medio e che possiamo considerare compreso tra il 40.000 e il 30.000 a.C., l’uomo di tipo «moderno» {Homo sapiens sapiens) sostituisce l’uomo di Neandertal {Homo sapiens neanderthalensis). Le modalità e le cause di questa sostituzione non sono ancora determinabili, comunque sembra sia stato un processo abbastanza rapido. In seguito a questo, compaiono in Europa, ma con cronologia diversa nelle vane aree, le culture conosciute nel loro insieme come Paleolitico superiore. Le differenze culturali si possono riassumere a grandi linee in un nuovo modo di scheggiare la selce, predeterminando la forma del manufatto in modo che sia stretto e allungato (lama) e quindi la trasposizione di strumenti già conosciuti da forme su scheggia a forme su lama e la creazione di nuovi strumenti, nell’apparizione della lavorazione sistematica dell’osso, di abitati molto organizzati anche di lunga durata, di sepolture con corredo funerario e di manifestazioni artistiche. Continua il modo di vita precedente basato sulla caccia e raccolta, cui si deve aggiungere lo sviluppo della pesca. La prima scoperta del Paleolitico superiore in posizione stratigrafica è avvenuta proprio al riparo Belvedere. Negli strati A6/A1 si è infatti rinvenuta una serie di manufatti litici attribuibile, nonostante la scarsità numerica, all’Epigravettiano finale. Fedele suddivide i reperti (50) in due insiemi: Insieme Microlitico Inferiore (EMI), e Insieme Microlitico Superiore (EMS). L’EMI è composto da una quindicina di manufatti tra i quali vi sono strumenti a dorso e, forse, un nucleo. L’EMS è composto da una trentina di manufatti tra i quali, secondo F. Fedele, vi sono 809 strumenti o frammenti di tali. Si tratta nella quasi totalità di frammenti di strumenti a ritocco erto.
Nel Monfenera sono venuti alla luce anche reperti di età neolitica. I ritrovamenti di spicco sono un frammento di bacile a bocca quadrata in terracotta e frammenti di ceramica fine con decorazioni impresse a stecca. Alcuni di essi sono venuti alla luce entro una buca di palo, che penetrava gli scavi più antichi. Tale buca – insieme ad altre 40 – è la prova della presenza di un’antica struttura adibita a ricovero. Sono riferibili a questo livello alcuni manufatti in cristallo di rocca e di selce, un frammento di accetta levigata in pietra verde oltre a schegge e lame silicee di vario tipo. Altri reperti appartengono all’età del Ferro e all’Alto Medioevo.

Informazioni:
Il Monfenera, o Monte Fenera, è un rilievo isolato di 899 m di altitudine, situato allo sbocco della Valsesia, in provincia di Vercelli, al confine con la provincia di Biella, raggiungibile dai diversi Comuni che lo delimitano.

Bibliografia:
FEDELE F.,1973, Una stazione Vaso a bocca quadrata sul Monfenera, in Valsesia preistoria alpina, 9, Trento
MERCANDO L. 1998, (a cura di), Archeologia in Piemonte, Allemandi Ed.
MUSEO DI ANTROPOLOGIA DI TORINO (a cura di), Monfenera 50.000 anni di Preistoria in Piemonte
RADMILLI (a cura di), 1974, Piemonte, Piccola guida della preistoria italiana
GIACOBINI, GUERRESCHI, 1998, Il Paleolitico e il Mesolitico in Piemonte
RIVISTA DI STUDI LIGURI, numeri 1-2, gennaio-giugno 1966. F. Fedele, La stazione paleolitica del Monfenera (Borgosesia), Ist internaz. studi Liguri, Bordighiera IM

Fonti:
Il testo è tratto dall’articolo GIACOBINI, GUERRESCHI, Il Paleolitico e il Mesolitico in Piemonte.

Data compilazione scheda:
23 settembre 2003 – aggiornamento marzo 2014 – luglio 2021

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Federico Vigo – Gruppo Archeologico Torinese