Provincia di Torino
Rivarolo Canavese (TO) : Edifici medievali
Storia e descrizione dei siti:
Il borgo nel XIV secolo era circondato da una cinta di MURA di forma quadrangolare con i lati di circa m. 350. La struttura era in pietra, con camminamenti di ronda, torri di difesa, quattro porte di accesso al borgo, un fossato almeno su tre lati e ponti levatoi. Il borgo ottenne l’assenso alla costruzione delle mura nel 1358 da Amedeo VI di Savoia. A partire da metà Settecento le mura vennero gradualmente abbattute o inglobate in altre costruzioni, perché ostacolavano l’espansione dell’abitato.
Il BORGO FORTIFICATO fu pianificato dalla metà del XIII secolo con uno schema a pettine con un asse nord-sud (via Farina) e un asse ortogonale est-ovest (via Ivrea); gli edifici erano costruiti in pietre del torrente Orco con parti in laterizio, a due piani, spesso con balconata in legno o lobbia. Sono ancora visibili solotanto resti di arcate in cotto, feritoie ed una “riana” (un’intercapedine per la raccolta dell’acqua piovana).
CASTELLAZZO è detto l’edificio che fu l’antico “castrum Riparolii” citato in documenti del 1142; altre fonti citano documenti irreperibili, che testimonierebbero la sua esistenza nel 1070. Fu possesso comune dei conti di San Martino e dei conti di Valperga fino ai primi anni del XIV secolo. Con il prevalere della famiglia San Martino, alleata dei Savoia, e con l’evolversi del borgo di Rivarolo, il castello fu lasciato andare in rovina. Nel secolo XVIII fu acquistato dai conti Toesca e fu completamente ristrutturato a metà Ottocento come dimora signorile. Attualmente è abitazione privata, altre parti dell’edificio ospitano una casa di riposo.
L’edificio attualmente sede della BIBLIOTECA COMUNALE risale al XIV secolo. Non si hanno notizie sulla sua destinazione originaria, nel XVIII secolo fu sede del Teatro comunale, negli anni 1930-40 ospitò una sala cinematografica, poi diventò magazzino e venne abbandonato. Nel 1982 vennero iniziati i lavori di restauro e riqualificazione come Biblioteca. Il palazzo è costruito in pietre e mattoni e conserva alcuni elementi tardomedievali come una finestra ogivale su Via Trieste e un arco sul lato settentrionale.
CHIESA E CONVENTO DI SAN FRANCESCO. La chiesa di San Francesco fu eretta alla fine del XIII secolo, luogo di sepoltura per la famiglie illustri; vi fu annesso il cimitero cittadino dal XVIII secolo sino al 1823. Il convento passò a varie istituzioni religiose, oggi è sede dell’Istituto SS. Annunziata. La chiesa fu molto rimaneggiata nel secolo XV e poi ancora nel XVII.
La chiesa conserva, quali testimonianze medievali, un pregevole AFFRESCO di Martino Spanzotti, eseguito nell’ultimo decennio del XV secolo, una “Madonna e Padri della Chiesa in adorazione del Bambino”. Il dipinto, in parte compromesso per caduta di intonaci, mostra il Bambino su un lembo del mantello della Madonna inginocchiata, attorno sei Santi, alcuni con la mitria (il secondo a sinistra è san Gregorio Magno, gli altri sono di incerta identificazione, anche perché i cartigli sopra le aureole sono deteriorati); in alto angioletti in volo a gruppi di tre. Un altro affresco, della fine del 1400, di autore ignoto, si trova nella seconda cappella, e raffigura “san Michele e santo Stefano”; un altro dipinto rappresenta la “Madonna allattante e sant’Anna”.
Informazioni:
I resti delle mura si possono vedere in Via Carisia/Corso Italia.
I resti del borgo fortificato in Via Montebello, via Trento, vicolo Corsolo.
Il “Castellazzo” è in Via Rocco Meaglia.
La Biblioteca comunale è in Via Palma di Cesnola, 20.
La Chiesa di San Francesco in Via S. Francesco.
Comune di Rivarolo Canavese tel. 0124 454680
Link:
http://www.rivarolocanavese.it
Fonti:
Le notizie sono state tratte nel 2006 dal sito del Comune. Fotografia da http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Churches_in_Rivarolo_Canavese?uselang=it
Data compilazione scheda:
27/03/2006 – aggiorn. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Rivarolo Canavese (TO) : Castello di Malgrà
Storia del sito:
A Rivarolo, sulla riva destra dell’Orco, venne edificato nel 1333-36 il Castello di Malgrà per volere di Martino di San Martino, signore di Rivarolo e di Agliè e discendente del re Arduino.
La leggenda vuole che la denominazione Malgrà derivi dal fatto che il castello fu costruito “malgrado” l’opposizione dei Valperga antagonisti dei San Martino; molto probabilmente, però, l’origine del nome è dovuto al toponimo del sito. La leggenda, tuttavia, riflette la realtà dell’epoca; infatti in quegli anni infuriavano le lotte tra i signori canavesani, discendenti dallo stesso ceppo nobiliare, per la conquista di territori sempre più vasti, e i Valperga, di parte ghibellina, e i Conti di San Martino, di parte guelfa, erano acerrimi rivali e il “Feudum magnum Riparoli” era conteso tra i due.
Il castello di Malgrà fu quindi spesso teatro di scontri tra le due famiglie; va ricordato in particolare l’episodio del 1339, in cui Rodolfo Givert, detto il Malerba, assoldato dai Valperga, mise sotto assedio Malgrà. I San Martino riuscirono a salvare il castello solo grazie all’intervento del principe D’Acaja, alleato dei Gonzaga di Mantova. Tuttavia pochi anni dopo (1343), Giovanni II marchese di Monferrato, alleato dei Valperga, espugnò il castello e lo conquistò. A quel punto Giovanni Visconti costrinse il marchese di Monferrato a cedere Malgrà ai Savoia, i quali lo restituirono ai San Martino dopo l’atto di sottomissione. Nel 1532 gli abitanti di Rivarolo, esasperati dai soprusi perpetrati dai San Martino, si rivolsero a Carlo III duca di Savoia, il quale dopo aver messo sotto assedio il castello lo espugnò e uccise tutti gli occupanti. Riuscirono a mettersi in salvo dalle truppe sabaude solo coloro che si erano rifugiati all’interno della torre, in quanto poterono fuggire attraverso passaggi sotterranei che portavano al fiume. Nel 1627 il castello passò dall’ultimo discendente dei San Martino, Lodovico Pievano di Pont, al cav. Carlo Gria; nel 1667 ai Cortina, poi nel 1851 ai Francesetti ed infine nel 1955 ai Robilant.
L’edificio, risalente al XIV secolo, era costituito da due corpi di fabbrica separati, uno esposto a nord con due piani, ed uno esposto ad ovest con un piano; questo primo nucleo venne consolidato e rafforzato da Amedeo di Savoia nel 1357. Nel Quattrocento iniziarono i lavori di ristrutturazione per rendere il castello non solo un presidio militare, ma anche una dimora signorile. A questo periodo risalgono gli affreschi sopra l’ingresso e quelli della parete del porticato all’interno del cortile. Nel 1700 furono eseguiti molti interventi architettonici, soprattutto nella manica a nord; vennero inoltre aperte nuove finestre e occultate parte delle strutture medievali che furono poi riportate alla luce durante gli interventi di restauro condotti dall’architetto Alfredo D’Andrade e poi dall’ingegner Carlo Nigra, dal 1884 fino al 1926 ad alterne riprese.
Il Castello di Malgrà venne acquistato nel 1982 dal Comune di Rivarolo che provvide ad interventi di riparazione su coperture e infissi, sistemazione del ponte levatoio e dell’ala nord a piano terra (per destinarla ad area espositiva) e restauro degli affreschi.
Descrizione del sito:
Circondato da un grande parco, la facciata a nord aveva il portone sovrastato da un affresco, di cui rimangono un acquerello del D’Andrade e la riproduzione nel Borgo medievale del Valentino di Torino. Durante i restauri ottocenteschi venne ripristinato il ponte levatoio. L’androne è stato affrescato a fine 1800; invece nel cortile interno un portichetto conserva affreschi del 1440 che rappresentano: nella lunetta sant’Antonio abate, san Pietro in trono, santa Caterina, san Paolo; nell’arcata centrale san Michele. La terza arcata aggiunta dal D’Andrade fu decorata nel 1920 dal Vacchetta. La porta che vi si apre è originale del XV secolo e lavorata a bassorilievo con stemmi.
Dal cortile è possibile vedere la torre rotonda che faceva parte della struttura originaria risalente al secolo XIV (la merlatura fu ripristinata nel 1700) ed è uno dei pochi elementi giunti sino a noi pressoché intatti attraverso la ristrutturazione otto-novecentesca. La torre presenta pareti spesse circa m. 2, di pietra e ciottoli di fiume e rivestiti all’esterno a all’interno da tre ordini di mattoni sino ad un’altezza di 27 m; all’interno si nota la porta d’ingresso originaria e le travi dei piani divisori in legno collegati da scale. A metà Novecento fu rifatto in cemento il pavimento, rialzandone il livello.
La torre quadrata è invece stata ricostruita a fine 1800.
La facciata sud è stata completamente ricostruita dai restauri ottocenteschi con le torrette e le formelle in cotto.
Dal giardino si entra nella Sala da pranzo, con soffitto a cassettoni del XIV secolo, come le due stanze successive. Il camino della sala da pranzo e le decorazioni sono state rifatte su originali del XV secolo. La Sala Verde fu riarredata nel 1800, analogamente alla Sala dei Lumi, che nel castello trecentesco era un cortiletto con portico su cui si affacciavano le finestre della torre quadrata e che venne inglobato e chiuso nel 1797 per realizzare, in stile neoclassico, lo scalone, l’atrio e la vicina sala decorata a leoni rampanti. Con la scala a chiocciola si sale al primo piano, dove vi è la Biblioteca gotica, la Camera da Letto antica e la Piccola Camera da letto che hanno conservato, unico elemento quattrocentesco, i soffitti a cassettoni.
Nella manica nord al primo piano le sale derivano dalla ristrutturazione settecentesca.
Informazioni:
Via M. Farina, 57 . Tel. 0124 26725
Links:
http://www.rivarolocanavese.it
http://www.amicicastellomalgra.it
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Malgr%C3%A0
Bibliografia:
Associazione Amici del Castello di Malgrà, Il Castello di Malgrà, Rivarolo canavese, Ed. Il Punto, Torino, 2004
Fonti:
Fotografia in alto da Wikipedia; piantina da www.mondimedievali.net; affresco da www.santantonioabate.
Data compilazione scheda:
18 maggio 2006 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Ribordone (TO) : Forte di Pertia
Storia e descrizione del sito:
Il castello di Pertia, o Pertica, è disegnato e descritto dal cronista Azario nel suo “De Bello Canepiciano” del 1362 come edificio contro il quale nessuno poteva portare attacchi perché costruito su una rupe alta un miglio e con accesso facilmente difendibile tra le rupi. La leggenda vuole che la poderosa roccaforte in pietra sia appartenuta a re Arduino e che fosse collegata alla Rocca di Sparone. Durante la guerra del Canavese che contrappose Valperga e San Martino vi fu la conquista, nel 1339, della casaforte di Pertia ad opera di Giovanni Valperga il Maggiore, grazie alla complicità degli abitanti del luogo, evento che cambiò i rapporti di forza tra le famiglie rivali a tutto vantaggio dei Valperga.
Nel XVI secolo il forte venne saccheggiato dagli Spagnoli; nel 1568 è citato in un documento come già in rovina.
Restano parte dei due corpi di fabbrica che si elevavano per tre piani. Sono ancora visibili alcuni elementi notevoli dell’architettura medievale: gli antichi portali trilitici e la caratteristica imponente muratura in pietra a spina di pesce.
Ai piedi del Truch Pertia si trova il nucleo di Betassa con una Casa-torre più tarda di quella di Pertia.
Informazioni:
Le rovine del forte si trovano sul Truch Pertia, raggiungibile da Ribordone, dopo aver attraversato il “ponte del diavolo”, seguendo il percorso segnalato, oppure, con un cammino più lungo, da Sparone.
Info Comune, tel. 0124 808865
Links:
http://www.comune.ribordone.to.it
http://www.gulliver.it/itinerario/46057/
Bibliografia:
CIMA M., Uomini e terre in canavese tra età Romana e Medioevo, Ed. Nautilus, Torino, 2003
VIGLINO DAVICO M., Case-forti montane nell’alto canavese. Quale futuro?, Lions Club Alto Canavese, Castellamonte TO, 1993
Fonti:
Fotografia in alto da www.gulliver.it.
Data compilazione scheda:
12/09/2007 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Prascorsano (TO) : Chiesa della Madonna del Carmine
Storia e descrizione del sito:
Sottoposto alla famiglia dei Valperga, Prascorsano ha stretti legami con l’antico sito del Santuario di Belmonte: anche qui, infatti, è stato trovato un certo numero di reperti databili all’età longobarda e paleocristiana.
Secondo la tradizione sarebbe sorta qui la chiesa di Santo Stefano, in cui si dice sarebbe stata sepolta la Marchesa Adelaide di Susa. Nonostante anche il paese di Canischio conservi tale tradizione, a Prascorsano è documentata la presenza di una chiave “miracolosa” (quella, appunto, della chiesa di Santo Stefano) che avrebbe guarito le persone morsicate da cani rabbiosi.
Il titolo di Sant’Andrea oggi indica la chiesa parrocchiale al centro del paese, ma designava, un tempo, la piccola chiesa cimiteriale, attualmente intitolata alla Madonna del Carmine (anche S. Maria delle Grazie).
La chiesa mostra un’architettura che può essere datata al XII secolo, come testimoniano il CAMPANILE e i capitelli angolari visibili all’interno, nella navata laterale sinistra.
Sicuramente rimaneggiata in tempi successivi, la chiesa si presenta con una forma inconsueta, con la presenza di sole due navate e un presbiterio privo di abside.
Sul muro esterno, visibile per chi sale alla chiesa, c’è un affresco raffigurante san Bernardo da Mentone, ma le sue condizioni sono pessime.
All’interno conserva diversi affreschi, databili ad epoche differenti. Il ciclo più importante è collocato nel presbiterio, sull’altare maggiore e raffigura una teoria di apostoli in cui si riconoscono: san Giovanni Battista, san Bartolomeo, san Giacomo Minore, san Paolo, san Giovanni, san Giacomo Maggiore, san Matteo. Purtroppo nel XVIII secolo è stata aperta una nicchia al centro della parete, che ha eliminato i due apostoli centrali. Oltre a questo danno antico, negli anni ’80 del 1900 gli affreschi sono stati “rubati”: alcuni ladri hanno letteralmente “strappato” la pellicola pittorica su cui erano gli apostoli, distruggendo in parte le pitture.
L’autore di tale opera, anonimo, è stato ribattezzato “Maestro degli Apostoli di Prascorsano”, un artista probabilmente giunto in Canavese dalla Provenza, chiamato dai conti di Valperga. A questo personaggio è attribuibile anche l’affresco con sant’Antonio Abate, un santo vescovo e un devoto, sulla parete della navata centrale.
Nella navata laterale vi è un affresco della Natività datato 1522 e firmato Jacopino Longo, artista attivo anche nella chiesa di San Sebastiano a Pecetto.
Di due artisti sconosciuti, ma che ci hanno lasciato i loro nomi – Bernardino Rossignolo di Trino e Gabriele Petiti di Chieri – è la teoria di santi sulla parete laterale e la Madonna di Misericordia posta sul secondo altare della chiesa.
Un’ultima mano, ancora una volta sconosciuta, ha realizzato le grottesche che decorano la volta e gli archi di entrambe le cappelle della navata laterale.
All’Ottocento, invece, risalgono i dipinti delle volte della navata centrale, realizzati nel momento della nuova dedicazione a chiesa cimiteriale.
Luogo di custodia dei materiali:
Nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea, al centro del paese, è visibile l’acquasantiera in pietra, sul cui fusto sono raffigurate due teste: è una testimonianza di riutilizzo di materiali antichi, forse paleocristiani.
Informazioni:
Via Cerialdo 22, presso il Cimitero. Info Comune tel 0124 698141
https://www.comune.prascorsano.to.it
http://it.wikipedia.org/wiki/Prascorsano
http://www.corsac.org/parliamdd.html
Fonti:
Fotografia in alto da Wikipedia; foto 2,3,4 da www.corsac.org; foto acquasantiera da http://web.tiscali.it/jovishome/bici/2002/pessa1_b.htm
Data compilazione scheda:
14/04/2006 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Giulia Piovano – Amici di Palazzo Reale
Pramollo (TO) : Roccio Veglio (Roccho Vélho)
Storia del sito:
Il monolito è alto oltre 5 m sul piano di campagna ed è noto con il toponimo di “Roccio Veglio” che significa “la vecchia roccia”. Il masso è costituito da gneiss con inclusioni di quarzite. La parte sommitale del roccione forma una piattaforma pianeggiante con buona visibilità fino alla pianura pinerolese che si apre allo sbocco della Val Chisone. Gli altri lati della rupe sono a strapiombo dalla sommità al terreno. Il lato Sud digrada verso la valle formando una sorta di piano inclinato roccioso su cui si trova una zona levigata: si tratta di uno “scivolo” usato ancora in tempi recenti dalla popolazione locale a scopo propiziatorio, terapeutico-profilattico e per vincere la sterilità. Il cerimoniale è ampiamente attestato.
Descrizione del sito:
Le incisioni di Roccio Veglio sono raggruppate sulla tavola sommitaria dei monumento, pianeggiante ed alquanto levigata, su una superficie lunga 170 cm e larga 90 cm. Esse occupano quindi un’area allungata e l’asse maggiore attorno al quale sono distribuite le istoriazioni è orientato Est-Ovest.
Sulla superficie rocciosa sono scolpiti 116 segni: oltre cento sono coppelle emisferiche mediamente profonde 1,5 cm e con un diametro di 3-4 cm, quindi un cerchio di cui è incisa la circonferenza e due diametri perpendicolari tra loro ed intersecanti otto coppelle (tipo “ruota solare a raggi interni”) un segno cruciforme isolato ed aderente ad una coppella, un segno cruciforme doppio (tipo “a salamandra”), alcuni segni indefiniti.
Si notano tre categorie di coppelle: con diametro medio di 3 cm, con diametro medio di 6 cm e coppelle gemellate, doppie. Il “simbolo solare”, 18 cm di diametro, è situato sull’estremità dell’asse longitudinale della composizione in direzione Est.
Sull’opposta direzione Ovest dell’asse maggiore dei monumento si trova una spirale, formazione di coppelle che si sviluppa con movimento antiorario partendo da una coppella centrale più grande. Tra questi due simboli sono collocate schiere di coppelle che con un movimento leggermente sinuoso seguono l’asse EM congiungendoli. Le coppelle appaiono variamente raggruppate con qualche intenzionalità, anche se difficile da stabilire. Si può rilevare una certa tendenza a disporsi su linee curve con la convessità rivolta ad Est, e la presenza di due formazioni intermedie ammassate in forma subcircolare. Il segno cruciforme e quello “a salamandra” si collocano in posizione marginale rispetto all’area di maggiore addensamento: la loro localizzazione è vicina alla zona di accesso alla tavola sommitaria attraverso lo “scivolo”.
ALTRE ROCCE che affiorano nei prati e nei boschi che si estendono nella zona di Roccio Veglio sono sovente segnate dalle incisioni; due sono le più significative. La prima roccia, piuttosto limitata, quanto a dimensioni (2×1 m), affiora di pochissimo dal terreno e presenta un gruppo di incisioni che ne interessano la parte prominente sviluppandosi in senso longitudinale: esse consistono in brevi canaletti, in coppelle e simboli cruciformi. L’elemento più interessante sono 4 simboli cruciformi legati tra di loro a formare quasi una catena; rappresentazione probabile di una cerimonia di carattere sacrale.
Più a valle trovasi la ROCCIA DI “SARET ‘DLE LOSE”, toponimo che sta ad indicare come la località fosse fino a poco tempo fa una cava di pietre (lose). Il tipo di incisione dominante è rappresentato dal simbolo cruciforme che in alcuni casi assume un carattere più spiccatamente antropomorfo o per l’aggiunta di qualche elemento estraneo all’impianto di base o per il movimento che anima la figura. Due di questi cruciformi recano sul “capo” una corona di 3 coppelline. Nella parte alta della piccola roccia vi sono 11 coppelline disposte con un allineamento ed un andamento orizzontale ben precisi.
Informazioni:
Il monolito si eleva isolato sulla destra orografica della Val Risagliardo, solco vallivo laterale della Val Chisone, ad una quota di 1500 m al centro di una grande prateria in declivio di fronte al Roccio Clapier (vedi scheda). Comune, tel. 0121 58619
Links:
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/vegli.htm
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/vegli2.htm
Quaderni Soprintendenza Archeologica Piemonte-29-2014.pdf
Bibliografia:
MANDOLESI A, Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle d’Aosta, Antichità e arti Subalpine e Fondazione CRT, Torino, 2007(e relativa bibliografia)
Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito www.cesmap.it.
Data compilazione scheda:
03/07/2007 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Pramollo (TO) : Roccio Clapier
Storia del sito:
Il Roccio Clapier è il monumento più imponente, il più ricco di incisioni e quello delle Alpi Occidentali che ha fornito più dati di studio. Vari fattori hanno contribuito alla sua importanza: la collocazione dei masso nel contesto paesaggistico, l’aspetto imponente e singolare, la posizione sopraelevata e dominante sul fondovalle, la presenza alle sue spalle di uno spiazzo ampio, il fatto che si trova proprio nel punto di intersezione di tre sentieri che percorrono diversi itinerari lungo i quali è possibile rinvenire stazioni minori di incisioni rupestri.
Sulle pareti scoscese vi sono i segni evidenti delle erosioni idriche ed eoliche che hanno scavato nella roccia cavità ed anfratti di cui uno, centrale, richiama una figura umana cornuta (detto localmente «pertus dei diau», buco dei diavolo).
Sono state individuate varie fasi successive di incisioni eseguite dall’uomo. La prima e più arcaica è di difficile individuazione essendo stata la roccia lisciata dagli artefici della fase successiva: appartengono a questa il simbolo solare a raggi esterni situato nella parte bassa della tavola sommitaria principale, in prossimità di un segno cruciforme interpuntato relativo a una fase successiva, i gruppi di coppelle piccole ed erose, le asce a lama obliqua, ed alcuni cruciformi. Gli scavi archeologici condotti a Baim’Chanto e a Roc dei Coi in Val Chisone hanno recentemente confermato, con le loro industrie litiche su pietra verde, la validità dei rapporti a suo tempo proposti per l’attribuzione di determinate fasi di istoriazione rupestre all’Età del Rame e del Bronzo.
La fase successiva, a cui risale la maggior parte delle incisioni di Roccio Clapier, è rappresentata dalle schiere di coppelle che impegnano l’area Nord della tavola principale ed il culmine della superficie inclinata: gli allineamenti di coppelle, i segni cruciformi, le asce a lama perpendicolare, le composizioni delle due tavole sommitarie laterali che ricordano similari figurazioni monumentali di altri siti di arte preistorica.
Ad una fase più tarda possono appartenere il cruciforme interpuntato, alcuni cruciformi nettamente e profondamente incisi ed infine, di particolare posizione e definizione, le croci di cristianizzazione.
Descrizione del sito:
Il complesso delle incisioni di Roccio Clapier è ripartito su quattro superfici, naturalmente distinte, del masso: la tavola sommitaria principale che si protende nel vuoto, pianeggiante e levigata, due tavole laterali minori collocate su piani diversi, ed infine un’altra grande superficie inclinata che dall’intersezione dei roccione con il fianco della montagna sale ripidamente per circa 8 metri fino a collegarsi con la tavola.
La tavola sommitaria principale è la più ampia, piana e levigata; la superficie presenta scarsissime discontinuità naturali: su di essa si trova il 79% delle 710 incisioni di Roccio Ciapier. Il segno prevalente è la coppella emisferica con diametro medio di 4-5 cm. Queste coppelle sono organizzate in schiere, a gruppi o in formazioni geometriche; poche quelle isolate. Quindi si trovano dei cruciformi, più o meno antropomorfizzati; rappresentazioni di asce e di attrezzi, un simbolo solare a nove raggi esterni, una croce interpuntata; canaletti, segni rettilinei; alcune croci di cristianizzazione.
Le due tavole sommitarie minori sono poste lateralmente, verso Ovest, riportano entrambe uno stesso simbolo: un cruciforme situato all’interno di un recinto sub-ovale accompagnato da una raffigurazione di ascia e da alcune coppelle. Su una delle tavole, quella che confina con la superficie principale, si trova anche un segno a doppia croce.
La superficie inclinata presenta nella parte alta, prominente e convessa, uno schieramento di coppelle: nell’ammasso alcune sono unite due a due; al centro c’è un cruciforme. Sotto, dove la roccia diventa più ripida, si localizzano alcune schiere di segni cruciformi che da due direzioni principali convergono al complesso di coppelle sommitario. Più in basso si incontrano, oltre a coppelle e cruciformi, alcune raffigurazioni di asce ed attrezzi: in particolare evidenza, alla base di questa superficie rocciosa, c’è un ascia associata ad un disco interamente campito.
Informazioni:
Roccio Clapier è una imponente rupe sita sulla destra orografica della Val Risagliardo (Gran Cumba-Vallone di Pramollo, valle laterale dei Chisone) pressoché di fronte a Roccio Veglio, analogo monumento che si erge sull’altro versante. Il roccione strapiomba per oltre 30 metri verso il fondovalle. Lo si raggiunge da Borgata Sapiatti. Comune, tel. 0121 58619
Links:
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/clapie.htm
http://www.cesmap.it/cesmap/scavi_pinerolesi/clapie2.htm
Bibliografia:
MANDOLESI A, Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle d’Aosta, Antichità e arti Subalpine e Fondazione CRT, Torino, 2007 (e la relativa bibliografia)
Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito www.cesmap.it
Data compilazione scheda:
03/07/2007 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Pont Canavese (TO) : Torre Ferranda e resti dei castelli
Storia dei siti:
Non sono chiare le vicende politico-militari che portarono al precoce e massiccio incastellamento della zona di Pont Canavese, anche se probabilmente la vicenda arduinica fece nascere e fiorire l’abitato nei pressi della confluenza tra Orco e Soana proprio per l’importanza strategica della zona. Si suppone che il Castrum Ponti nasca negli anni che vanno dal 1001 al 1004. Storicamente, nonostante i dubbi sull’autenticità del documento, sembra che nel 1110 l’imperatore Enrico V investì del feudo “Pontis et Vallis” i fratelli Ottone e Guido de Canavise, che probabilmente furono alla base della ramificazione della famiglia in Valperga e San Martino. Guido, con il ramo dei Valperga, fu il fondatore del castello della Ferranda edificato accanto al preesistente Castrum Ponti, possesso del ramo dei San Martino. È cosa plausibile che i due fratelli, uniti anche nella conduzione del feudo, abbiano deciso di erigere le loro dimore una accanto all’altra nel cuore amministrativo del feudo, questo sia per migliorare l’azione difensiva in caso di attacco, sia soprattutto per il reciproco controllo. I dissidi tra i due rami della famiglia risultano già in atto nel 1157 e proseguono, in un clima di grande tensione e di scontro, fino al 1185, quando i Valperga presentarono un esposto al podestà imperiale di Ivrea Enrico Drusardo, lamentandosi di varie angherie perpetrate dai loro avversari e soprattutto del fatto che i San Martino avevano costruito una torre più alta della loro a Pont: verosimilmente il mastio del Tellario. All’atto della ramificazione della famiglia dei de Canavise, il feudo di Pontis et Vallis rimase indiviso molto probabilmente a causa dell’impossibilità di dividerlo senza favorire una famiglia rispetto all’altra; ciò fu sempre motivo e scusa di litigio e di guerra tra le due fazioni.
Nel 1324 si ebbe un tentativo di riappacificazione, ma nel 1333 i San Martino si allearono con il principe d’Acaia e per tutta risposta i Valperga si legarono al marchese del Monferrato. Nel 1338 si registrò la spedizione del principe d’Acaia nelle terre di Foglizzo, Candia e Caluso, con grave danno del marchese di Monferrato e dei Valperga. L’anno successivo, in risposta a quest’azione, scoppiò la sanguinosa guerra di cui scrisse l’Azario (vedi nota bibliografica). All’epoca il possesso di Pont significava il controllo dei transiti e quindi anche delle risorse dell’intero bacino fluviale interno: da lì passava la strada delle valli, che si diramava in due direttrici, da un lato raggiungeva l’alta valle Orco e, travalicando, guadagnava le valli dell’Arc e dell’Isere nel versante savoiardo, nonché le valli di Lanzo e la Valgrisanche; dall’altro, attraverso la strada della valle Soana, conduceva alla valle di Cogne nel ducato di Aosta o alla testata della Valchiusella. Possedere Pont significava controllare la circolazione delle merci e del bestiame che stagionalmente la transumanza trasferiva dalle ricche pianure della val Padana ai pascoli dell’alta valle, nonché i flussi di mandrie che dall’ambiente del medio Rodano raggiungevano la Padania per esser vendute o scambiate.
La TORRE FERRANDA, con le sue pertinenze pesantemente riprese e potenziate nei secoli XIV e XV, è il monumento nel complesso meglio conservato; il nome é forse dovuto alla presenza nella costruzione di molte parti in ferro. Nel 1552, nel corso del conflitto franco-spagnolo, le truppe del Maresciallo De Brissac danneggiarono gravemente la Ferranda, che venne poi restaurata e probabilmente venne anche soprelevata. Per avere un’idea dell’antico castello ci si può affidare alla lettura degli alzati, ma anche ad una miniatura dell’Azario che mostra un castello con due torri unite da un basso corpo di fabbrica, ovvero la prima costruzione con torri leggendo la miniatura da sinistra verso destra. L’angolo di torre diroccata, già disegnato dall’Azario nel 1339-40 e tutt’oggi presente, rappresenta quanto rimane del Castrum Ponti abbattuto dai borghigiani, per escavazione delle fondamenta.
Descrizione dei siti:
I ruderi del CASTRUM PONTI sono a fianco della torre Ferranda: è rimasto un angolo della torre di nord est, elevata per oltre otto metri; la tessitura muraria reca tracce di una merlatura. Lo spigolo è scivolato in basso di alcuni centimetri, ma si è arrestato in equilibrio apparentemente stabile.
LA TORRE FERRANDA poggia su un affioramento roccioso e ha un’altezza di 32 metri. La porta d’ingresso è posta a 8 metri di altezza e le finestre si aprono sul fronte principale verso la pianura. Al piano terra, a diretto contatto con la roccia, si trova una cisterna intonacata per contenere l’acqua piovana, che veniva incanalata dalla sommità. La struttura interna di accesso ai piani superiori era realizzata in legno secondo una sequenza di scale e soppalchi, delle cui travi rimangono le sedi nelle pareti. Alla camera sommitale, voltata a botte, e all’ultimo livello esterno si arriva tramite scale ricavate entro la muratura. Gli originari merli di coronamento sono stati successivamente collegati da una serie di voltini ad arco per consentire l’appoggio di una copertura oggi non più esistente.
Il bastione che circonda il complesso è costituito da mura anch’esse rimaneggiate nel tempo. L’ingresso era situato ad est, collegato al ricetto dei Valperga posto ai piedi del rilievo verso la pianura; l’accesso attuale, sul fianco opposto, è contestuale alla realizzazione, alla fine del XIX secolo, della chiesa di San Costanzo e della canonica.
La TORRE TELLARIA o Tellario era rivolta verso la Valle Orco, munita di una ballista per lanciare pietre. La costruzione fu ridotta in macerie nel XVI secolo durante la guerra franco-spagnola.
Nel territorio di Pont Canavese si trovano resti di caseforti medievali costruite in pietra nelle località di Faiallo, Nicolè, Lutta e Bisdonio.
Informazioni:
La Torre Ferranda è sita nel centro storico.
I resti della Torre Tellaria si trovano in località Tellario, sul dosso ad ovest dell’antico borgo di Pont, affiancati da un antico castello pesantemente rimaneggiato.
Ufficio Turistico, tel. 0124 85484 ; email: ufficioturistico@comune.pontcanavese.to.it oppure Comune tel. 0124 862511 ; e-mail: info@comune.pontcanavese.to.it
Links:
http://www.comune.pontcanavese.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=4987
http://www.comune.pontcanavese.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=21094
Bibliografia:
AZARIO P., De bello Canepiciano: la guerra del Canavese, riproduzione in facsimile con traduzione e comm, di VIGNONO I. e SCARZELLA P. , Mercenasco TO, 1970 / Associazione di storia e arte canavesana, Ivrea TO, 2005
CIMA M., Uomini e terre in Canavese tra età Romana e Medioevo, Ed Nautilus, Torino, 2003
AA VV., Sui Sentieri della Val Soana – Itinerari alla scoperta della Storia e della Cultura Alpina, a cura della Pro Loco di Ronco Canavese, Edizioni CDA, Torino, 1997
Fonti:
Fotografie dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
4/9/2007 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Pont Canavese (TO) : Antica Pieve di Santa Maria di Doblazio
Storia del sito:
La chiesa di Santa Maria di Doblazio sorge nel sito di un insediamento neolitico proseguito nell’età del Bronzo e del Ferro, poi vicus romano. Probabilmente venne in origine costruito un “sacello”, cioè una piccola costruzione cultuale della quale non è rimasta traccia. La chiesa, secondo storici locali, già alla fine del X secolo era in pessime condizioni così, intorno all’XI-XII secolo, fu riedificata. Nel XVII secolo venne nuovamente ricostruita; dell’edificio antico esistono tracce sotto la chiesa e la sacrestia, in particolare i numerosi cunicoli utilizzati come luoghi di sepoltura.
Edificio fortificato, come dimostrano le mura parzialmente modificate nel secolo XVII, fu la pieve matrice di tutte le chiese delle Valli Orco e Soana. La distanza dal centro di Pont e dai castelli (vedi piantina) si può spiegare con il fatto che nel Medioevo, per ragioni strategiche, le fortificazioni sorsero sul territorio circondato dagli alvei dei fiumi e così i centri religioso e politico si separarono, anche se la pieve continuò il suo ruolo sino al XIX secolo; infatti fu parrocchia di Pont fino al 1879.
La pieve di Santa Maria viene citata come “Plebs Doblacii”, nel libro delle decime del 1368 e anche come “Santa Maria de Oplacio, Plebis de Ponto”, nella visita pastorale del 1329. Secondo un’iscrizione posta sulla parete del presbiterio, re Arduino dispose interventi di ristrutturazione intorno all’anno Mille; non vi sono documenti che lo confermino, mentre è certo che la chiesa ricevette dallo stesso una donazione di terreni (100 giornate).
Un elemento che rende particolare la costruzione è la presenza di due altari maggiori (già segnalati nella visita apostolica del 1585 e descritti con maggior dovizia di particolari da mons. Asinari nel 1647), possibile indizio del ricordo di una chiesa ad aula unica con due absidi appaiate. Tale tipologia era in uso sin dall’VIII secolo.
Descrizione del sito:
Il CAMPANILE della chiesa, di forma circolare, benché alterato dalla costruzione successiva dall’alta cuspide che lo sovrasta, è il più antico elemento del sito. Probabilmente era una torre adattata in un secondo momento a campanile per la pieve.
La chiesa di Santa Maria ha per pianta un parallelogramma; all’interno presenta due altari maggiori contigui, addossati ad una parete inclinata rispetto ai due lati longitudinali, sulla metà dei quali, a regolare distanza verso il centro della chiesa, vi è un’alta e grossa colonna in pietra in un sol pezzo sostenente due archi di volta, costruiti nel 1661.
Sopra l’altare posto a destra vi è un AFFRESCO che si ritiene risalga alla fine del 1400. Rappresenta la Vergine a braccia aperte, il manto è sorretto da angeli a proteggere il popolo inginocchiato ai suoi piedi.
In sacrestia, una piccola urna con coperchio in marmo reca scolpiti ornati gotici con lo stemma dei Savoia e con i nodi dell’Annunziata. Si presume che sia un dono di Amedeo VII di Savoia (il conte Rosso) all’antica chiesa, quando, per lodo arbitrale di Gian Galeazzo Visconti nel 1389, Pont passò sotto il suo dominio.
Del XII secolo è una statuetta in legno della Madonna con Bambino con abiti in stoffa che, per sicurezza, è conservata in altra sede.
Sul MONTE OLIVETO si trova un masso erratico che presenta 11 coppelle.
Descrizione dei ritrovamenti:
Contro il masso sul Monte Oliveto sorgeva una capanna con un focolare, di cui restano tracce ora coperte dai rovi. Nel luogo sono stati rinvenuti alcuni materiali di tradizione preistorica: asce in pietra levigata, macine a sella, colatoi, fusaiole, pesi per telaio e frammenti di vasi di pregevole fattura. Il materiale è conservato nel Museo del CORSAC a Cuorgnè. Altri insediamenti preistorici si trovavano sull’altura che oggi chiamano Montpont, in località Campidaglio.
Informazioni:
La chiesa di Santa Maria è in Borgata Doblazio, sul Promontorio Monte Uliveto, a Km 1,4 dall’abitato. Parrocchia di San Costanzo di Pont Canavese, tel. 0124 85134.
Links:
http://www.comune.pontcanavese.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=4988
http://www.comune.pontcanavese.to.it/ComStoria.asp
http://www.uni3ivrea.it/SANTUARI%20E%20PIEVI%20IN%20CANAVESE/LEZ3/Dynamic/lez3.html
http://www.viaromeacanavesana.it/storia1.asp?id=88
Bibliografia:
AA VV., Sui Sentieri della Val Soana – Itinerari alla scoperta della Storia e della Cultura Alpina, a cura della Pro loco di Ronco Canavese, Edizioni CDA, Torino, 1997
COPPO S., Santa Maria di Doblazio – Tra storia, arte e devozioni, Parrocchia di Pont Canevese; Pont C. TO 2003
ROSSI M., I petroglifi della bassa Valleorco tra Salto e Santa Maria di Doblazio, Antropologia Alpina, Torino, 1989 Testi di Silvia Coppo / Fotografie di Enrico Formica
Fonti:
Fotografie tratte nel 2007 dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
31/08/2007 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Piverone (TO) : resti medievali
Storia del sito:
Nel XII secolo il territorio dipendeva dal comune di Vercelli; Piverone nacque come “borgo franco” nel 1202, sul sito di un distrutto casale per gli uomini dei villaggi di Unzasco, Livione e Palazzo. Era un caposaldo vercellese contro le mire espansionistiche di Ivrea.
Il borgo aveva un impianto rettangolare con due assi viari longitudinali, torri angolari e torre-porta di accesso in posizione sud-est.
Descrizione del sito:
Si sono conservati pochi tratti delle mura dell’antico borgo, il PALAZZO DELLA CREDENZA (il Consiglio della città medievale) e alcune torri.
La TORRE-PORTA è la meglio conservata, con un grande arco di accesso, che aveva un ponte levatoio. Il fronte esterno è decorato da due serie di archetti. Evidenti le tracce di merli a coda di rondine successivamente murati. Un orologio venne installato sulla torre in epoca moderna.
La TORRE ROTONDA D’ANGOLO NORD-EST è anche discretamente conservata: la parte inferiore in pietra è certamente più antica.
La TORRE QUADRATA NELL’ANGOLO NORD-OVEST è più danneggiata.
LA TORRE DI CORTINA quadrata è inserita in costruzioni più recenti, conserva parzialmente la merlatura, murata successivamente quando venne realizzata la copertura.
Nei pressi di Piverone vi è il CAMPANILE ROMANICO DELLA DISTRUTTA CHIESA DI SAN PIETRO, nel vicino oratorio un tempo erano conservate le forme di fusione preistoriche ritrovate all’inizio del 1900 (Vedi scheda sui reperti preistorici).
Informazioni:
Nel centro storico. Comune di Piverone, tel. 0125 72154
Links:
http://www.comune.piverone.to.it
Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978
VIGLIANO G., Beni culturali ambientali in Piemonte in “Quaderno 5”, Centro di studi e ricerche economico sociali, Torino, 1969
Fonti:
Le fotografie sono state tratte nel 2006 dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
08/10/2006 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese
Piverone (TO) : reperti preistorici
Storia del sito:
Il gruppo etnico che si insediò nel Canavese, proveniva alla Liguria ed era originario, si presume, della zona uralo-altaica; successive testimonianze le ritroviamo anche in luoghi come Piverone ed il lago adiacente e risalgono all’età dei metalli (Bronzo medio e finale). Verso il IV secolo a.C. i Celti di origine germanica invasero le terre piemontesi e, lentamente, si mescolarono alle etnie autoctone, tanto che lo stesso Strabone, riferendosi alla Cisalpina, nomina i “popoli liguri e celtici che la abitano, quelli sui monti, questi al piano”; le notizie successive provengono da fonte romana, in particolare per quanto riguarda i Salassi e gli Ictimuli che abitarono il canavese. Dal punto di vista documentale, al momento attuale, le testimonianze archeologiche più cospicue sono riferibili all’età del Bronzo medio-tardo e Bronzo finale e riguardano siti terrestri e siti lacustri subacquei.
Descrizione del sito:
Le zone di rinvenimento dei reperti sono coperte
Descrizione dei ritrovamenti:
Il reperto più importante è una FORMA DI FUSIONE PER GLADI. All’inizio del ’900 in località Navione di Piverone è stata rinvenuta una forma di fusione composta da due grossi parallelepipedi in pietra ollare abbinati, di cui uno spezzato in due frammenti. Tre incisioni permettevano la fusione di spade di bronzo di tipo Erbenheim (Renanica) in tre lunghezze differenti, di cm 65, 72, 75; sono inoltre presenti numerosi sfiatatoi agli imbocchi di colata in corrispondenza delle punte delle lame. Nelle due parti della forma sono visibili i perni in rame o in bronzo ed i fori corrispondenti che servivano per assicurare la giusta sovrapposizione delle due metà. Questo reperto attesta attività metallurgiche della cultura dei Campi d’Urne, sul finire dell’età del Bronzo.
Il reperto è oggi conservato presso il Museo Archeologico di Torino.
Nella regione Navione (Nord-Ovest) e nei pressi del Gesiun (vedi scheda) sono stati scoperti numerosi resti di FORNACI primitive, insieme a scorie di fusione, frammenti di crogioli in pietra, di vasi e coppe in pietra ollare valdostana. La fornace meglio conservata si trova interrata presso la chiesa di San Pietro in Navione: è fatta in laterizi e creta, profonda oltre 1 m e con un diametro di quasi 3 m.
Sempre nella zona tra Piverone e Viverone sono stati trovati molti altri reperti, di difficile datazione (periodo pre-romano) in quanto non facilmente distinguibili da quelli di età romana.
Anche presso il Lago di Bertignano, località Cava di Purcarel, è stato individuato un VILLAGGIO LACUSTRE di capanne costruite su dodici ammassi di ciottoli di grosse dimensioni. Uno scavo eseguito nel luogo di tale villaggio avrebbe portato ad individuare materiali ceramici riferibili a due differenti strati, che possono indicare, anche se non si possono datare i reperti, due epoche differenti di frequentazione del sito.
Nel 1830 nella torbiera di Moregna (lato sud-ovest) fu rinvenuta casualmente una SPADA DI BRONZO “tipo Monza”, lunga 65 cm. Essa presenta un codolo a spina stretta e una base con due fori sotto alla quale due rientranze formano una strozzatura; la lama a sezione romboidale è lunga e stretta, con una costola centrale delimitata da due solcature. Attualmente è conservata al Museo Archeologico di Torino.
Informazioni:
I reperti sono stati trovati in diverse aree del comune di Piverone.
Links:
http://www.comune.piverone.to.it
Bibliografia:
MANDOLESI A., Paesaggi archeologici de Piemonte e della Valle d’Aosta, Editurist – Fondaz. CRT – Regione Piemonte – Assoc. antichità e arti subalpine, Torino 2007
Fonti:
Fotografia dal sito del Comune.
Data compilazione scheda:
08/10/2006 – aggiornam. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese