Provincia di Cuneo

Roccavione (CN): Sito archeologico del Bèc/Bric Berciassa

Storia e descrizione del sito:
Le antiche genti celto-liguri vissero su questa altura per un lungo periodo di tempo a partire dal Bronzo Finale (XI-VIII sec. a.C.) e per tutta l’Età del Ferro. La scoperta e le prime indagini nel sito risalgono agli inizi degli Anni Cinquanta del secolo scorso che portarono all’individuazione di un «fondo di capanna» e di abbondanti frammenti ceramici, reperti osteologici animali, scorie di fusione di metallo e carboni. Successivamente, negli Anni Ottanta, in località Tetto Dulla, lungo le pendici del Bec Berciassa, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte riprese l’attività di ricerca, effettuando ulteriori sondaggi che consentirono di recuperare reperti ceramici riferibili alla frequentazione di età protostorica e frammenti di tegole di età romana. Le successive ricognizioni condotte nel sito dall’allora direttore del Museo Civico di Cuneo, Livio Mano, incrementarono ulteriormente le raccolte di reperti fittili (frammenti di tegole, contenitori ceramici), come attestano i dati di archivio conservati attualmente presso il Museo stesso.

Nel 2015 la ripresa degli studi e delle indagini riguardanti l’antico insediamento del Bec Berciassa rappresentò una nuova occasione di riscoperta dell’importanza storica del sito. Il progetto di conoscenza e valorizzazione intitolato «Alle origini della civiltà alpina: Bèc Bërchasa, recupero e valorizzazione di un insediamento protostorico» è stato ideato e promosso dall’amministrazione del Comune di Roccavione. La realizzazione concreta del progetto è iniziata a luglio 2017 e nei primi mesi ha incluso una serie di attività di studio: ricerca di archivio e definizione dello stato dell’arte degli studi sul sito archeologico, revisione dell’intero campione di materiali ceramici e dei resti faunistici, attività di ricognizione, alle quali si aggiungono in contemporanea una serie di iniziative di divulgazione e buone pratiche di coinvolgimento della cittadinanza per informare ed aggiornare «in diretta» sui dati emersi dalla riscoperta del sito e sul recupero della visibilità e dell’ accessibilità al sito medesimo.
Altre info e notizie sull’andamento del progetto sono reperibili sul sito https://www.becberciassa.it/

Descrizione dei ritrovamenti:

Le tracce della cultura materiale – reperti ceramici, fittili, osteologici animali, scorie di fusione di metallo e carboni – sino ad ora note, informano della frequentazione del sito a partire dal Bronzo Finale, con una continuativa occupazione durante l’Età del Ferro e fino alla romanizzazione del territorio, avvenuta intorno al II sec. a.C.

Informazioni:

È localizzato alla confluenza dei torrenti Gesso e Vermenagna, su un’altura a m. 692 s.l.m., in posizione dominante sulle vallate circostanti, lungo itinerari transalpini attivi fin dalla Preistoria.

Links:
https://www.becberciassa.it/

Bibliografia:
vedi: https://www.becberciassa.it/ita/ricerca_storia.aspx

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito sopra indicato.

Data compilazione scheda:
28 Ottobre 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Pontechianale – Chianale (CN): Chiesa di Sant’Antonio

Storia del sito:
La chiesa risale al XIV secolo, fu la Parrocchiale di Chianale dal 1459 fino a tutto il Seicento.
Nel 2003 sono venuti alla luce preziosi affreschi.

Descrizione del sito:
L’edificio presenta un campanile a vela a triplice traforo e un portico, costruito successivamente, chiuso su tre lati al quale si accede attraverso una scalinata che scende dal livello della strada antistante verso il piano di calpestio della navata. La chiesa presenta un portale a triplice ghiera centinata che anticipa quelli di Casteldelfino, Sampeyre, Elva. Nella lunetta sopra il portale d’ingresso è raffigurata un’immagine di sant’Antonio abate. L’interno è ad aula con volta a botte. Gli archi trasversali sono retti da mensole scolpite con espressivi mascheroni e têtes coupées. L’aula costituisce il nucleo più antico, mentre il presbiterio è un probabile ampliamento successivo.
Gli affreschi che occupano gran parte della parte destra dell’aula sono di alta qualità e datati: “la data è mutila ma sembra potersi leggere 21 ottobre dell’anno 1430 o altro, fra quelli immediatamente successivi” (Ottonelli, 2005, p. 74). Sono ritenuti databili, dai più recenti orientamenti della critica, tra il XIV ed il XV sec., e ricondotti dubitativamente a pittore francese (Quasimodo, 2008, pp. 139-141).
Essi raffigurano il Giudizio universale e i regni dell’Aldilà, purtroppo la leggibilità dell’insieme è molto condizionata, sia dall’affastellarsi delle scene, sia dalla perdita di parti d’affresco, tra cui tutta la zona dell’inferno e dalle abrasioni intenzionali che hanno cancellato scritte e volti.
La parte sinistra dell’affresco narra le scene della risurrezione dei morti. Poi i percorsi dei risorti sono un po’ confusi: un gruppo finisce nella grande e affollata caldaia del Purgatorio. Gli occhi dei purganti sono rivolti al Cielo, indicando la speranza della liberazione; l’uomo che scavalca il bordo della caldaia è alla fine dell’espiazione. Segue la scena che vede un risorto salire i gradini di una Scala Santa che conduce alla porta del Paradiso, dove trova ad accoglierlo l’apostolo Pietro. Il simbolismo dell’ascesa per tappe è rafforzato dalle probabili iscrizioni (abrase) dei dieci Comandamenti sui gradini. Nella scena successiva un angelo accompagna un gruppo di risorti – in ginocchio, a mani giunte, nel gesto della preghiera e con gli occhi rivolti a Cristo – e li presenta al giudizio divino.
Sotto le mura della città celeste l’arcangelo Michele effettua la pesatura delle anime sulla bilancia a doppio piatto. Sul piatto a sinistra un beato che prega; a destra un dannato manifesta disperazione. Ai lati di Michele, un angelo accoglie tra le braccia le anime dei salvati, mentre il drago che tiene dei libri afferra i dannati, ma la figura è lacunosa.
La parte centrale dell’affresco raffigura il Paradiso, come la Gerusalemme celeste dotata di mura merlate e torri. Nella parte alta del dipinto, Gesù nella mandorla mostra i fori dei chiodi e la ferita del costato; ai lati Maria e Giovanni il Battista. Ai piedi di Gesù si riconoscono i profeti; alle sue spalle alcuni angeli suonano strumenti musicali.

Informazioni:
L’edificio sorge a Est dell’abitato della frazione Chianale, lungo la principale via storica che l’attraversa, denominata “Chemin Royal”; sul lato opposto a questa via c’è il torrente Varaita che viene attraversato dal vicino ponte a schiena d’asino.

Links:
http://www.chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/schedacc.jsp?sercd=44283&sinteticabool=true&pref=cs

https://visionialdila.wordpress.com/2019/07/08/chianale-il-giudizio-finale-nella-chiesa-di-santantonio/

https://comune.pontechianale.cn.it/menu/189908/guida-turistica

Bibliografia:
OTTONELLI S. , Guida della Val Varaita, Centro studi iniziative Valados Usitanos, Torino 1979
QUASIMODO F., Il Quattrocento dei pittori Pocapaglia, in Arte nel territorio della diocesi di Saluzzo, a cura di R. Alemanno – S. Damiano – G. Galante Garrone, L’Artistica Editrice, Savigliano CN 2008

Fonti:
foto in alto da: http://www.santantonioabate.afom.it/pontechianale-cn-fraz-chianale-chiesa-di-santantonio/; foto in basso da https://www.cittaecattedrali.it/

Data compilazione scheda:
10 settembre 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Scarnafigi (CN) : Cappella della Santissima Trinità

Storia del sito:
Le notizie più antiche sulla cappella si trovano nel cartario dell’abbazia di Staffarda che possedeva molti terreni nella zona.
La cappella sorgeva al « Gerbo » o Gerbola (oggi Gerbolina); inizialmente fu chiamata «chiesa del Gerbo» e poi «chiesa della Trinità », fino a dare il suo nome al territorio circostante. Il 2 febbraio 1218, tra i testimoni indicati nell’atto di vendita di undici giornate di terra, in regione Grangia, fatta da Guglielmo di Scarnafigi e suo figlio a Tommaso di Revello e a Guglielmo suo nipote, compare “Pietro prete del Gerbo”. In questo documento e in quelli posteriori, non si fa riferimento a chi appartenesse la cappella, la cui fondazione potrebbe attribuirsi ai Templari, dato che per secoli fu bene della Commenda dei Cavalieri di Malta che aveva sede presso la Madonna della Pieve di Cavallermaggiore.
Nel 1798 furono venduti i beni della Commenda e la chiesa fu acquistata dalla famiglia Botto che la utilizzò come deposito dei foraggi e, durante le varie guerre, fu sede e ricovero di soldati che la ridussero in pessimo stato. Fu recuperata con accurati interventi nel 1967 e nel 1981. Attualmente appartiene alla Parrocchia di Scarnafigi.

Descrizione del sito:
La struttura della cappella è molto semplice, ad aula unica che termina con un abside semicircolare con tre grandi monofore; esternamente la muratura è senza decorazioni. Le dimensioni sono modeste: m 6,98 x 10,47 ; l’abside misura m 3,40.
L’interno presenta il tetto a capriate lignee e custodisce un prezioso ciclo di affreschi realizzati da Pietro da Saluzzo tra il 1455 e il 1458.
Un cartiglio indica il committente. Hoc opus fecit fieri frater Antonius da Vig(ono): “Questa opera fu commissionata da fratel Antonio da Vigone”, personaggio ignoto.
Nel catino absidale, la mandorla racchiude la Santissima Trinità raffigurata come Dio Padre che sostiene il Cristo crocifisso accompagnato dallo Spirito Santo sotto forma di colomba.
A sinistra della mandorla, una Deposizione nel sepolcro, con le Marie, altri personaggi e un angelo che regge la croce. A destra è rappresentata la Resurrezione; c’è un angelo che suona uno strumento a due canne (troppo lungo per essere un flauto). Vi è anche la figura di san Giovanni Battista.
Sull’arco trionfale l’Annunciazione e un’altra rappresentazione trinitaria: dalla mandorla in cui c’è Dio Padre proviene una sottile filo di luce che segna il volo della colomba dello Spirito Santo fino a Maria. All’inizio di questa “lama di luce” che indica l’intervento divino c’è il bambino Gesù già formato.
Nel tamburo absidale, iconografia assai frequente, sono dipinti i dodici Apostoli in uno scenario ad arcate di loggiato. Non sono indicati i nomi, solo alcuni sono riconoscibili per gli oggetti che recano: il 6° è Giacomo maggiore con il bastone; il 7° Pietro con le chiavi; l’8° Giovanni con la palma; il 9° Andrea con la croce.
Nella parete laterale di destra sono visibili le immagini del matrimonio mistico di santa Caterina, con la Madonna seduta su un semplice in trono col Bambino ritto in piedi sulle sue ginocchia; san Germano e san Bernardino da Siena. Inoltre c’è la figura di san Vincenzo Ferreri (1412-1430) che predica a un gruppo di fedeli che, per gli abiti indossati, appartengono al popolo.
Nella parete sinistra resta un’altra Trinità raffigurata come tre corpi uguali.

Informazioni:
Parrocchia Maria Vergine Assunta, tel. 0175 7412 5
Comune: tel: 0175.74101-74402 ; mail: segreteria@comune.scarnafigi.cn.it


Links:

http://www.comune.scarnafigi.cn.it/

https://www.chieseromaniche.it/Schede/703_SANTISSIMA_TRINIT%C3%80_SCARNAFIGI.htm#home

Bibliografia:
Panzetta A., Il pittore Pietro da Saluzzo, tesi di laurea in Storia dell’arte medievale, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1982-1983 (relatore: prof. E. Castelnuovo)
“Pietro da Saluzzo”, voce sul Dizionario biografico degli Italiani Treccani, Roma 2015

Fonti:
Notizie tratte dal sito del Comune e da: Scarnafigi ssTrinità.
Fotografia in alto dal sito del Comune, foto in basso di M. Actis Grosso, tratta nel 2019 dal www.fondazione-isper.eu

Data compilazione scheda:
29 aprile 2019

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Viola (CN): cappella di San Giacomo e ruderi del castello

Storia e descrizione dei siti:
L’origine di Viola è molto antica; il nome potrebbe significare o “piccola via”, forse una via secondaria romana che attraverso il valico del Mindino e Prato Rotondo metteva in comunicazione con la Liguria; oppure potrebbe essere legata a una via dell’olio tra la Liguria al Piemonte, perché in documenti antichi il nome è indicato come “Vehola”. In documenti del 1142 è menzionata come comunità attiva, facente parte del marchesato di Bonifacio del Vasto. Sotto il dominio di quest’ultima casata restò a lungo, quindi sul finire del secolo XVII il feudo venne diviso fra gli ultimi discendenti del marchese e parte di esso toccò ai Faussone, ai Vegnaben ed ai Promis. Nel 1794 ed anni seguenti subì l’invasione napoleonica con tutte le dolorose conseguenze; sul colle di S. Giacomo sono ancora visibili i segni delle trincee di quelle battaglie.

L’edificio della cappella di San Giacomo Maggiore è molto antico, ma non si hanno notizie sulla sua fondazione; della sua storia si sa solo che fu citata in una lettera del 1633 indirizzata al vescovo di Alba, in cui gli abitanti del luogo chiedevano di riaprirla al culto.
La cappella è divisa in due blocchi costruiti in due epoche differenti: il più antico risale al medioevo e il più recente al 1800 circa.
Nel 2006 c’era già stato un intervento di recupero architettonico che però aveva interessato gli esterni. La struttura, infatti, all’epoca appariva assai degradata staticamente: tetto parzialmente crollato, altare rotto per metà dai detriti della copertura, intonaci deteriorati così come gli affreschi risalenti al XVI secolo.

Castello Viola conserva i ruderi e la torre del suo castello, sul colle San Giacomo. Sorto sicuramente in epoca medioevale, è purtroppo sconosciuta la datazione e mancano ulteriori notizie sulle sue vicende nel passato.


Informazioni:

La chiesetta è situata sull’omonimo colle (1.065 m slm), al confine fra la Valle Tanaro e la Valle Mongia. Sempre visibili esternamente.
I ruderi del castello sono in frazione Castello.
Comune: tel. 017473121 ; email: viola@ruparpiemonte.it


Link:

http://www.comune.viola.cn.it/

Fonti:
Notizie dal sito del Comune. Foto della cappella di Katia Odasso dal sito www.chieseromaniche.it
Foto del castello tratta nel 2019 dal sito www.fungoceva.it.

Data compilazione scheda:
5 maggio 2019

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:

Angela Crosta – G. A. Torinese

 

 

Centallo (CN): chiesa di Santa Maria ‘ad nives’ o Madonna degli alteni

Storia del sito
Il nome alteni significa “filari di viti”, un’altra intitolazione era “Santa Maria Nexiatorum” cioè della famiglia Nasi, per il patronato che essa esercitava sulla chiesa.
La prima attestazione è in una bolla del 1246 in cui papa Innocenzo IV confermò all’abbazia benedettina di San Dalmazzo di Pedona le sue dipendenze, e dove è indicata solo come “Santa Maria”. La chiesa rimase a quell’abbazia fino al XV secolo; è possibile che già nell’XI secolo Santa Maria dipendesse da Pedona, dato che la cripta sembra riprendere il modello della prima fase della ricostruzione della chiesa della casa madre.
Ancora in epoca medievale fu costruito una sperone che causò la perdita delle decorazioni della parte sud dell’abside maggiore.
La visita pastorale di Monsignor Beggiamo nel 1664 la descrive con un impianto a tre navate coperte da tetto, senza transetto, tre absidi semicircolari e una cripta retta da otto colonne.
Nel 1726 il Comune di Centallo decretò la costruzione dell’oratorio barocco a pianta centrale nel settore orientale della chiesa. La cripta fu interrata e le absidiole laterali furono demolite. Inoltre furono distrutti i sostegni e i muri perimetrali del corpo longitudinale furono abbassati e mantenuti come recinto del cimitero.
In occasione della visita pastorale del 1768, il vescovo di Torino Francesco Luserna Rorengo di Rorà ordinò la demolizione dei perimetrali ancora esistenti, ma il suo ordine – fortunatamente – non fu eseguito.
La chiesa, sconsacrata, subì un grave degrado, soprattutto negli affreschi, quando, nel secolo scorso fu usata come fienile e cantina dell’adiacente cascina.
Nel 2003 una campagna di scavi archeologici ha indagato l’edificio. La cripta è stata svuotata delle macerie che conteneva e si è appurato che ebbe due fasi costruttive con un ampliamento, attestato anche da nuove aperture e tamponamenti di monofore. Molte inumazioni si trovavano sia all’interno che all’esterno dell’edificio, ma relativamente recenti.
L’edificio è stato così recuperato e aperto alle visite.

Descrizione del sito:

La facciata è stata rimodellata nel XVIII secolo; la chiesa presenta solo l’abside maggiore originaria. Esternamente, dove è rimasta la muratura originaria, si nota che era abbastanza regolare e formata da ciottoli di varie dimensioni, mentre i laterizi erano solo nei dettagli architettonici e in rari corsi a spina di pesce; alcuni mattoni sembrano essere sesquipedali romani di reimpiego.

Affreschi.
Pietro da Saluzzo, nel 1438, affrescò il ciclo del Transito della Vergine. (Galante Garrone, 1979). Le fonti citano gli affreschi, ora perduti, dell’alessandrino Giacomo Pitterio, risalenti al 1404, che si trovavano presumibilmente nel coro della chiesa.
Gli affreschi, che sono suddivisi in scomparti sormontati da motivi floreali e commentati da cartigli nella cornice inferiore, si susseguono sul muro di fronte all’attuale ingresso alla ex-chiesa. Gli episodi raffigurati sono ispirati dal Vangelo apocrifo dello pseudo Giuseppe di Arimatea.
Da sinistra verso destra: la morte e assunzione al cielo di Maria, l’incontro di san Tommaso con gli Apostoli, la ricognizione alla tomba di Maria e il trasporto degli Apostoli sulle nubi.
Sotto l’ultimo riquadro un cartiglio che reca il nome del committente e l’anno di esecuzione: frate Matteo dei Galateri di Savigliano, 1438.
Delimitano il settore affrescato due bande orizzontali con tondi contenenti personaggi, scudi araldici e figure di due santi entro nicchie, residuo della decorazione dell’arco trionfale, probabilmente della stessa mano. Sulla parete di destra sotto i primi due scomparti altre pitture più antiche raffigurano san Giorgio, sant’Antonio e una terza figura acefala attribuibile al Pitterio e del 1404. Sulla parete sinistra tracce di affreschi, forse storie della Vergine, che lasciano intravedere una scena di soggetto sacro sullo sfondo di un paesaggio arabizzante, probabilmente opera più tarda.

Informazioni:
L’edificio si trova nei pressi della stazione ferroviaria. Info Comune tel. 0171 211221; email: rdp.@comune.centallo.cn.it

Links:
https://www.facebook.com/piemontemedievale/photos/a.929321033908558/929321557241839/?type=3

Fonti:
Fotografie in alto e in basso dal sito sopracitato : https://www.facebook.com/piemontemedievale
Ultima foto, abside, di M. Actis Grosso tratta nel 2019 dal sito, non più esistente nel 2020: www.fondazione-isper.eu/chiese_piemonte

Bibliografia:
Caldano S., La diocesi di Torino e il “premier art roman”. Indagini su alcune chiese a impianto basilicale, in: Schiavi L.; Caldano S.; Gemelli F. (a cura di), La lezione gentile. Scritti di storia dell’arte per Anna Maria Segagni Malacart, Franco Angeli, Milano 2017, pp. 301-14
Galante Garrone G., Maestro di Roletto, 1420-1430, in Giacomo Jaquerio e il gotico internazionale (catal.), a cura di E. Castelnuovo – G. Romano, Ed. Musei Civici di Torino, Torino 1979, pp. 404-406
Micheletto E., Centallo, chiesa di S. Maria ‘ad nives’ (Madonna degli Alteni), in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, 19 (2002), pp. 147-148; e Quaderni… 20 (2004), pp. 203-204


Data compilazione scheda:

30 aprile 2019 – aggiornamento maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Villar San Costanzo (CN) : Chiesa di San Pietro

spv

Storia del sito:
La chiesa, in località Villare o Villar San Costanzo, già abbazia di San Costanzo, ora è parrocchiale dedicata a San Pietro in Vincoli col patronato dei SS. Vittore e Costanzo. Fu eretta nel 1722-24 da Francesco Gallo sui muri perimetrali della chiesa romanica appartenuta ad un fiorente monastero benedettino, ora distrutto.

Descrizione del sito:
Le parti più interessanti sono quella absidale e l’alto campanile romanico-gotico (1294) a tre ordini. Armonioso l’interno a croce greca con bella volta a botte terminante nell’ampio semicatino dell’abside. Nella parete sinistra è murata la pietra su cui, secondo la tradizione, sarebbe stato decapitato San Costanzo. Dall’abside si scende nella cripta (risalente al sec. XI), a tre navate profonde con colonnine reggenti le volte a crociera. Dalla sacrestia si passa nella quattrocentesca cappella di S. Giorgio, adorna di affreschi del 1467 rappresentanti Storie di S. Giorgio e, nella volta a crociera, i Quattro Evangelisti, tardi esempi di pittura gotico-fiorita. A sinistra si trova il sarcofago di Giorgio Costanzia di Costigliole, abate dell’antico monastero e costruttore della cappella con l’immagine a rilievo del defunto. La chiesa è documentata solo alla fine del XII secolo ed è giunta a noi in una forma architettonica che interessa ormai l’età romanica, ma che conserva in vista nella muratura esterna delle absidi alcune lastre di marmo di misura particolare che sicuramente sono pezzi di reimpiego, verosimilmente provenienti dalla scomparsa costruzione altomedievale. Solo uno di questi marmi però è stato usato lasciando in vista la decorazione (fregio frammentario con decorazioni a matassa) visibile nella lesena destra dell’abside centrale. Il fregio proviene certamente dall’abbazia altomedievale di San Costanzo preesistente all’attuale chiesa, che nelle sue parti più antiche, come abbiamo visto, risale ad un rifacimento di età romanica. Questa abbazia detta del Villare o di Villar San Costanzo, ricordata già nella sua Cronaca di Saluzzo da Gioffredo della Chiesa all’incirca nel 1450, era costruita in piano, in regione Cannetum, mentre la chiesa di San Costanzo sul Monte San Bernardo (vedi scheda) era la cella che si dice sorta sul luogo del martirio del santo. L’abbazia di San Costanzo, il cui primo documento storico sicuramente autentico è del 1190, è ricordata nel XV secolo quale fondazione di Ariberto I, mentre, a partire dal XVII secolo la tradizione storiografica la attribuisce ad Ariberto II (701-712). Conforta questa attribuzione il ritrovamento di alcuni frammenti scultorei reimpiegati nella parrocchiale del Villar e soprattutto la più ricca messe di marmi conservati nella chiesa dipendente di San Costanzo sul Monte – alcuni certamente relativi al primo decennio dell’VIII secolo – i quali vengono quindi a costituire la prova che la tradizione della nascita dell’abbazia di San Costanzo per opera di Ariberto II è da ritenersi fondata.

Informazioni:
Tel 0171 902087 (segreteria comunale), email: sancostanzo@provillar.it

Links:
http://www.ghironda.com/valmaira/comuni/villa.htm

http://www.provillar.it/abbazia.html

Bibliografia:
ARNAUDO A., 1979, La Cappella di San Giorgio nella ex chiesa abbaziale di Villar San Costanzo, Rotary club
OLIVERO E., 1929, L’antica chiesa di san Costanzo sul monte: in Villar San Costanzo (Cuneo), Lattes Torino
CHIERICI S., 1979, Il Piemonte, la Val d’Aosta, la Liguria, Jaca Book; AA.VV., 1994, Piemonte romanico, Banca CRT
CASARTELLI NOVELLI S., 1974, La diocesi di Torino, C.I.S.A.M., Spoleto

Fonti:
Fotografie dai siti sopra indicati, ultima foto archivio GAT.

Data compilazione scheda:
ottobre 2003 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Emanuela Calvo – Gruppo Archeologico Torinese

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Villar San Costanzo (CN) : Abbazia di S. Costanzo al Monte

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Storia e descrizione del sito:
La chiesa di S. Costanzo al monte è uno dei monumenti romanici più interessanti, e allo stesso tempo uno dei meno conosciuti, della regione La chiesa sorge poco distante dal luogo dove era l’antica abbazia detta del Villare o di Villar San Costanzo, ricordata già nella sua Cronaca di Saluzzo da Gioffredo della Chiesa nel 1450 circa. Quest’abbazia era costruita nel piano, in regione Cannetum (dove oggi è la parrocchiale di Villar), mentre la chiesa di San Costanzo sul Monte San Bernardo era la cella che si dice sorta sul luogo del martirio del santo. L’abbazia di San Costanzo, il cui primo documento storico sicuramente autentico è del 1190, è ricordata nel XV secolo quale fondazione di Ariberto I, mentre, a partire dal XVII secolo, la tradizione storiografica la attribuisce ad Ariberto II (701-712). Conforta quest’attribuzione il ritrovamento di alcuni frammenti scultorei reimpiegati nella parrocchiale del Villar e soprattutto la più ricca messe di marmi conservati nella chiesa dipendente di San Costanzo sul Monte – alcuni certamente relativi al primo decennio del VIII secolo – i quali vengono quindi a costituire la prova che la tradizione della nascita dell’abbazia di San Costanzo per opera di Ariberto II è da ritenersi fondata. Distrutta dai Saraceni nel X secolo, la chiesa primitiva fu ricostruita in diverse riprese fra l’XI e il XIII secolo, e subì aggiunte anche in età posteriori, come la semplice facciata settecentesca. Il motivo di maggior interesse della chiesa è la presenza al suo interno di una cripta d’eccezionale ampiezza, che viene a costituire in pratica una ‘chiesa inferiore’ di dimensioni pari a quelle dell’aula superiore. Appena entrati, infatti, si dipartono due scale: una che sale alla chiesa, l’altra che scende alla cripta. Salendo la prima ci si trova in una vasta aula a tre navate che terminano con tre absidi. La parte anteriore – tre campate che poggiano su tozze colonne in pietra e su pilastri rettangolari – presenta una muratura irregolare in ciottoli e pietrame, ed un tetto a capriate. Le colonne hanno basi e capitelli scolpiti con motivi prevalentemente geometrici. Si tratta del completamento del XIII secolo, che si innesta sulla parte orientale della chiesa, d’età precedente. Venne infatti aggiunto nel XIII secolo un organismo di quattro campate, eccedenti quindi le tre sottostanti, di modo che l’ultima cade oltre la lunghezza della chiesa inferiore e crea una sorta di nartece interno o atrio comune ai due organismi.
I restauri, eseguiti negli anni 50, riportarono il monumento ad una leggibilità sufficiente, dopo che era stato tramezzato e diviso in più parti (un po’ come S. Giustina a Sezzadio). Vennero alla luce sulla parete meridionale della chiesa, all’altezza della prima campata, tracce di affreschi (storie di Adamo e Eva) datati dalla Gabrielli all’XI secolo, il che fa ritenere che a quell’epoca fossero già stati rialzati in gran parte i muri perimetrali dopo la distruzione saracena.
villar_schemaLa parte orientale della chiesa, costruita nel XII secolo avanzato, inizia con la campata che precede il tiburio, e prosegue poi oltre il tiburio stesso con un’altra campata, il presbiterio e le tre absidi. Questa appare immediatamente diversa dalla parte anteriore, per l’impiego di muratura in conci ben squadrati, e per il sistema di coperture a volte a crociera non costolonate. Numerosi sono i particolari che in questa zona richiamano stilemi lombardi. Per esempio il tiburio ottagono su pennacchi a tromba, disposto con l’asse maggiore nord-sud, è un tema architettonico di origine borgognona che trova puntuali riprese in Lombardia e in area basso piemontese a Gavi. Così anche i capitelli finemente scolpiti con temi animali, vegetali, mostruosi, richiamano esemplari lombardi. A questo proposito il Checchi ricorda che nel 1190 il monastero chiese la protezione del vescovo di Milano per sottrarsi al potere dei marchesi di Busca e Saluzzo. Anche la chiesa inferiore rivela diverse epoche costruttive. La parte occidentale presenta le stesse caratteristiche costruttive della corrispondente parte superiore: tozzi pilastri in pietra reggono le basse volte a crociera su cui poggia il pavimento superiore. La zona orientale invece è nettamente più antica, tanto da far ritenere possa trattarsi della cripta dell’antica chiesa distrutta dai Saraceni; nella muratura compaiono spesso elementi in cotto alternati a conci di pietra e alcune lastre scolpite che sono chiaramente databili all’VIII e IX secolo. I pezzi altomedievali sono stati reimpiegati in tutta la chiesa, inferiore e superiore, sia nella parte romanica sia in quella gotica, all’interno come all’esterno, con un criterio non frequentemente riscontrabile nel basso medioevo, in quanto usati in qualità di materiali lavorati, non solo perché lasciati con la faccia operata in vista, ma anche perché collocati in ragione del loro valore ornamentale. A San Costanzo si impongono con forza maestranze non locali che sono state da più parti identificate come lombarde, formatesi direttamente sui cantieri cruciali di Milano (in particolare Sant’Ambrogio) e di Rivolta d’Adda, prima ancora che apparissero all’orizzonte le variazioni più sensibili (ma spesso ridondanti) di Piacenza, Parma e Pavia. Il rapporto con Milano e Rivolta, così come la presenza di scultori ancora di cultura arcaizzante nella zona delle loggette absidali e nella navata meridionale, impongono una data precoce per la parziale ricostruzione di San Costanzo, probabilmente non oltre il primo decennio del XII secolo; anche la qualità molto alta delle soluzioni architettoniche e decorative induce ad anticipare a ridosso dei prototipi lombardi la realizzazione della chiesa che, pur nelle attuali condizioni di abbandono, domina imponente la valle con le absidi luminose, aperte da fornici profondi (come a Rivolta e a Como), e con la superba regolarità del suo apparato murario in pietra locale, gentilmente variato da pochi tocchi cromatici in cotto, questi ritorneranno, all’interno, nel prezioso rosone a commesso bicolore del pavimento sotto il tiburio. Di notevole interesse anche la serie di arcature cieche che percorre le pareti di questa cripta, poggiando su colonne addossate; lo stesso motivo si ritrova nella cripta di S. Anastasio ad Asti, datata pur essa all’VIII secolo. Esternamente la parte che presenta il maggior interesse è quella orientale, che rivela organicità di progettazione e finezza di esecuzione, tanto nell’apparato murario in grossi conci ben squadrati che nella ornamentazione. Le tre absidi si elevano slanciate, solcate da lesene che dividono ciascun cilindro in tre campiture. Fa eccezione l’abside meridionale ove una delle lesene si interrompe a circa un metro e mezzo da terra. Le tre absidi sono coronate da una galleria di fornici larghi e profondi, certamente i più pregevoli visti nella regione piemontese, assai vicini per proporzioni alle più note gallerie milanesi di S. Ambrogio e pavesi di S. Michele. Le colonnine reggono capitelli scolpiti con tratto vivace, e la linea degli archi è animata da tratti in cotto che creano un piacevole effetto cromatico. Il motivo degli archetti compare nella forma più comune sul tiburio, nel quale si aprono anche quattro finestre ad occhio. Sul fianco meridionale infine si conserva, all’altezza della campata antecedente il presbiterio, un tratto dell’antico campanile – demolito alla fine del Settecento – sopra il quale è stato innalzato un piccolo campaniletto a vela. Su quanto rimane dell’antico campanile si può osservare una decorazione con cinque archetti su lesene angolari; la fattura di questi elementi, confrontati con quelli del tiburio, appare chiaramente databile ad epoca anteriore, presumibilmente all’XI secolo.
Gli ultimi restauri, durati tre anni, si sono conclusi nel 2019. In questa occasione è stato rinvenuto sulle pareti perimetrali della chiesa, parte ovest, un ciclo di affreschi dove sono rappresentati episodi della vita di Gesù secondo la narrazione dei Vangeli apocrifi, articolati entro cornici a nastro, stilisticamente ascrivibili alla fase romanica dell’edificio fra XI e XII secolo, in corso di studio da parte della Soprintendenza competente.

Informazioni:
Seguendo le indicazioni si giunge alla chiesa sul monte S. Bernardo, dopo circa 2 km di strada in parte sterrata. Tel 0171 902087 (segreteria comunale), email:  sancostanzo@provillar.it oppure  info@sancostanzoalmonte.it

Link:
https://www.chiesasancostanzo.it
http://provillar.it/progetto%20san%20costanzo.html
https://www.comune.villarsancostanzo.cn.it/archivio/pagine/San_Costanzo_al_Monte.asp

Bibliografia:
ARNAUDO A., 1979, La Cappella di San Giorgio nella ex chiesa abbaziale di Villar San Costanzo, Rotary club
OLIVERO E., 1929, L’antica chiesa di san Costanzo sul monte: in Villar San Costanzo (Cuneo), Lattes
CHIERICI S., 1979, Il Piemonte, la Val d’Aosta, la Liguria, Jaca Book
AA.VV., 1994, Piemonte romanico, Banca CRT
CASARTELLI NOVELLI S., 1974, La diocesi di Torino, C.I.S.A.M., Spoleto

Fonti:
Foto in alto dal sito sopra indicato. Le fotografie in basso sono di proprietà GAT.

Data compilazione scheda:
12/04/2006 aggiornamento giugno 2013 – maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Emanuela Calvo – Gruppo Archeologico Torinese

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Villanova Mondovì (CN) : antica parrocchiale di Santa Caterina

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Storia del sito:
Il primitivo borgo e la chiesa vennero distrutti da una inondazione dal fiume Ellero nei primi anni del Duecento. Sulle rovine fu poi edificata una cappella dedicata al Santo vescovo Nicolao, rasa al suolo da un’altra piena dell’Ellero nel 1300. Gli abitanti di Villanova e delle “ville” limitrofe, sia per difendersi dai nemici che per evitare nuove inondazioni, si spostarono sulla collina detta di “Villavecchia”, dove già sorgeva una Chiesetta dedicata a Santa Caterina Vergine e Martire, le cui fondamenta sono state recentemente ritrovate sotto la chiesa attuale. L’importanza del nuovo borgo di Villanova andò via via crescendo, anche per il Castello di cui era munita. Il paese venne poi cinto di mura e, a partire dal 28 aprile 1369, venne dotato anche di una Fortezza detta Bastita. L’accesso alla cittadella era consentito solo attraverso tre porte con ponte levatoio. Nel 1372 Villanova, che nel frattempo era passata sotto la dominazione di Galeazzo Visconti, subì un lungo assedio ed, espugnata, passò insieme con Mondovì, dapprima sotto Amedeo di Savoia, da lui a Ludovico d’Angiò e a Teodoro di Monferrato, per tornare nel 1396 sotto Casa Savoia. Solo alla fine del Seicento divenne comune autonomo da Mondovì.

La Chiesetta di Santa Caterina era troppo piccola per contenere tutta la popolazione, così, a partire dal 1309, venne ampliata allo scopo di contenere non solo gli abitanti del Capoluogo, ma anche quelli del piano e delle frazioni e gli stessi abitanti di Pianfei. Del 1369 è la poderosa torre campanaria (sorta come torre di guardia della Bastita) ornata di cornici ad archetti pensili. Nel XVI secolo la chiesa aveva tre navate e solo quella di destra aveva qualche campata coperta con volte a crociera; nel 1630 venne aggiunta la quarta navata a destra. Nel 1700 vennero costruite le volte alla navata centrale e la sacrestia. Trasferita la parrocchiale nella Confraternita di Santa Croce, opera del Vittone, la chiesa di Santa Caterina venne sempre più trascurata.
Abbandonata nel 1945, allo scopo di utilizzarla come spazio comunale polivalente, dagli anni 80 del secolo scorso venne sottoposta a varie campagne di restauro e di scavi archeologici che hanno riportato alla luce almeno sei fasi costruttive e una notevole quantità di affreschi per lo più nella navata sinistra. In un dipinto vi è la data del 1468.

Descrizione del sito:
VILLANOVA M.SCaterina pianta Il complesso architettonico di Santa Caterina è costituito dall’edificio dell’ex-parrocchiale, dalla canonica e dal giardino a sud della chiesa che, fino al 1803, era il cimitero di Villanova Mondovì. Numerose sono le irregolarità della costruzione medievale della chiesa: nessuna campata ha una pianta regolare; i pilastri non sono allineati; la navata centrale si restringe per le prime quattro campate, poi piega a sinistra; la parete di testa delle navate laterali è obliqua.
Sopra la porta d’ingresso laterale della prima campata della navata a sinistra un finto polittico con la Madonna col Bambini tra due santi in nicchie cuspidate, al di sopra una crocifissione tra l’angelo e l’Annunciata. In altri riquadri a destra e sinistra e nella lunetta le Storie di san Sebastiano la cui figura compare ancora, in elegantissime vesti dell’epoca, alla base del pilastro dell’ultima campata. Sopra due medaglioni con Davide e Salomone.
Nell’ultima campata della navata destra, sulle vele della volta medaglioni con i quattro Evangelisti, attribuiti a Rufino d’Alessandria (1410-15).
Nella parete del battistero, il battesimo di Gesù, con un elegante ibis bianco, affresco attribuito a Rufino, dell’inizio del XV secolo. Sulla parete di controfacciata il Cristo risorto attorniato dagli strumenti della passione, della fine del Cinquecento.
Nella seconda campata frammenti di una Madonna della Misericordia, ai lati un’Annunciazione, un Cristo di pietà assistito da san Grato e da sant’Elena che regge la croce.
Su un pilastro della navata sinistra l’arcangelo Michele e sulla parete laterale una Madonna e san Giovanni battista e san Bartolomeo. Sopra la porta della navata di destra due figure di soldati, nel sottarco i profeti Amos e Samuele e il martirio di santo Stefano, affreschi attribuiti a Rufino.
Nel sottotetto della quarta navata la figura di santa Caterina, priva della parte inferiore a causa della costruzione della volta nel 1630, ferita da strumenti di lavoro (martello, cazzuola…) una rara allegoria della festività domenicale non rispettata.

Nella frazione Pasco di Villanova Mondovì sorge la chiesa della MADONNA DEL PASCO, santuario eretto nel 1700 sulla struttura di un pilone votivo la cui immagine, che è stata posta sull’altare, risale al 1400, opera di un artista umbro. Particolare è l’iconografia: la Madonna offre una ciliegia al Bambino che tiene in mano un uccellino cui dà una ciliegia.

Informazioni:
P.zza S. Caterina o piazza di Villavecchia. Parrocchia tel. 0174 699080 o Suore  0174 699043

Link:
http://comune.villanova-mondovi.cn.it/

http://www.sebastianus.org/lex-parrocchiale-di-santa-caterina-a-villavecchia/

Bibliografia:
BERTONE L., Arte nel Monregalese, L’artistica Editrice, Savigliano CN, 2002
GALANTE GARRONE G., Alla ricerca di Rufino e altro. Affreschi dell’antica parrocchiale di S. Caterina a Villanova Mondovì, in “Le risorse culturali delle Valli Monregalesi e la loro storia, Comunità Montana Valli Monregalesi, Vicoforte CN 1999

Fonti:
Notizie e immagini dai siti e dai testi sopra indicati.

Data compilazione scheda:
3 dicembre 2012 – agiorn. febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Vignolo (CN) : Cappella di San Costanzo

VIGNOLO, chiesa di san costanzo

Storia e descrizione del sito:
CAPPELLA DI SAN COSTANZO
È attestata sin dal XII secolo come una delle dipendenze che l’abbazia di Saint-Chaffre di Velay aveva lungo la valle Stura. Costruita direttamente sulla roccia, la chiesina conserva ancora intatta la sua veste romanica, resa caratteristica dalla presenza del campanile sulla facciata a capanna, raro in Piemonte. Sopra l’ingresso è visibile, dopo i restauri, la figura di san Costanzo con la palma tenuta in mano. Il campanile presenta finestre a bifora e archetti che ne alleggeriscono la struttura. Appoggiata alla costruzione, dalla parte del campanile, vi è una piccola abitazione ancora saltuariamente utilizzata come ermitaggio. L’interno è molto spoglio.

CAPPELLA CAMPESTRE DI SAN MARTINO
Fondata tra il secondo quarto del XI secolo e il 1179, data in cui è citata tra le dipendenze del monastero benedettino di Cervere, di cui S. Martino risulta priorato nei secoli successivi e a cui è legato fino all XIX secolo. L’importanza storica di questa chiesetta è testimonianza nella memoria popolare, che ricorda cimiteri e case dei frati. Le ristrutturazioni succedutesi nei secoli però, non lasciano più intravedere l’aspetto originario, probabilmente romanico.

Informazioni:
è situata alle spalle dell’abitato, in posizione dominante. Parrocchia tel. 0171 48268 o Comune tel. 0171 48173

Link:
http://www.comune.vignolo.cn.it/

Fonti:
Notizie dal sito sopra indicato; fotografia in alto da http://www.comuniverso.it/index.cfm?comune=004243 ; foto in basso tratte nel 2011 dal sito http://www.scuolacervasca.it/joomla/la_mia_terra_cd/arte/scostanzo.htm, pagina non più reperibile nel 2014.

Data compilazione scheda:
14 dicembre 2011 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta -G.A.Torinese

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Vicoforte (CN) : Chiesa dei Santi Pietro e Paolo

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Storia del sito:
Vicoforte, anticamente “Vico” che deriva dal romano “vicus”(villaggio). Il luogo, tra i più antichi della zona, fu abitato dai Liguri Bagienni, i quali avevano la propria capitale in Augusta Bagiennorum, la attuale Benevagienna. La conquista romana assoggettò poi l’area alla Tribù Camilla; Vico fece poi parte del contado di Bredulo. Nel 1198 alcune famiglie, per sottrarsi all’autorità del Vescovo di Asti, fondarono su una collina chiamata “monte di Vico” un nuovo insediamento: l’attuale città di Mondovì. Poco dopo il territorio di Vico fu assorbito dal nuovo comune, e per due secoli la storia del vecchio borgo si identificò con quella di Mondovì.
Tracce evidenti dell’impianto antico del villaggio restano nella struttura stessa delle case, che formano una doppia schiera lungo la strada centrale che sale lungo il poggio ed un tempo era denominata “Flaminia”, da cui il nome della contrada Fiamenga che si distende tra il capoluogo e il Santuario (costruito alla fine del 1500). Nella parte più alta del borgo si può vedere una torre merlata risalente al medioevo, oggi diventata campanile della chiesa di san Donato. Numerosi reperti dell’epoca romana confermano le antiche origini del luogo, che cambiò il proprio nome da Vico in Vicoforte solo nel 1862, in ossequio ad un passato tanto importante e ad un’epoca nella quale una robusta fortificazione muraria avvolgeva l’intero borgo.
La Pieve di San Pietro, sorse probabilmente sul luogo di una cappella del V secolo. Citata in un documento del 1041 come “plebem Sancti Petri de Vico”, e in successivi del XII secolo. Era sotto la giurisdizione del Vescovo di Asti perchè apparteneva alla contea di Bredulo. Nel 1345, spostatasi la popolazione nel comune di Mondovì, la pieve venne declassata a “oratorio”.
Non si hanno notizie certe sulla costruzione e sulla ricostruzione dell’edificio che venne consacrato nel 1596; fortunatamente vennero conservati alcuni AFFRESCHI tre-quattrocenteschi. Nel 1686 fu demolito e ricostruito l’antico campanile ed in seguito, verso la fine del ‘600, fu costruita l’attuale canonica. Un intervento straordinario sulla chiesa fu eseguito negli anni 1887-1888 in seguito ai gravi danni causati dal terremoto del 1887: furono rifatte le volte delle navate, riparato il tetto, rifatto buona parte dello stucco e proprio allora si rinvenne l’antico affresco della “Madonna del Soccorso”.

Descrizione del sito:
L’antica Pieve, oggi chiesa Parrocchiale della borgata, nonostante le modifiche, reca i segni dell’origine medievale, con tre navate con absidi piane e due cappelloni laterali che compongono il transetto; pilastri quadrati con paraste reggono volte a botte lunettate.
All’esterno vi sono AFFRESCHI del XV secolo: in facciata, sotto il portico che è largo quanto la navata centrale e rivolto a ponente, ai lati della porta di ingresso, sono raffigurati i santi Pietro e Paolo da un lato e, dall’altro, un san Cristoforo con Gesù Bambino sulle spalle.
All’interno, sulla parete di fondo della navata destra, in una cornice ogivale, vi è l’AFFRESCO di una delicata Annunciazione databile intorno al 1390, uno dei dipinti più antichi della zona.
Sopra l’altare di testa della navata sinistra, in seguito al terremoto, venne alla luce una pala ad affresco raffigurante la “Madonna del soccorso” dell’inizio del 1500, ma in stile ancora gotico. In nicchie con cuspidi e festoni stanno la Madonna col Bambino con ai lati due Santi in piedi. Nella cuspide centrale è raffigurata la Crocifissione, e nelle laterali l’Annunciazione. L’affresco sembra ridipinto su un’opera più antica.
Sulla parete destra dell’ingresso è recentemente venuto alla luce un affresco di pieno Cinquecento con la Madonna in trono tra due santi.

Descrizione dei ritrovamenti:
Una stele romana del I secolo d.C. è murata a destra della porta della chiesa barocca di San Donato e rappresenta due figure sedute di fornte ai lati di uno specchio. L’iscrizione latina cita Lucius Veltius Bassus, il cui nome denota forse un’origine etrusca.

Informazioni:
In contrada Fiammenga o Fiamenga, Via Cap. Bovolo.  Parrocchia tel. 0174563074

Link:
http://www.comune.vicoforte.cn.it

Bibliografia:
Bertone, L. Arte nel Monregalese, L’artistica Editrice, Savigliano CN, 2002

Fonti:
Fotografie e parte delle notizie tratte dal sito del comune. Fotografia annunciazione da http://www.sebastianus.org/
Ultime due fotografie da http://www.turismocn.com

Data compilazione scheda:
15/01/2009 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A. Torinese

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