Provincia di Novara

Dormelletto (NO) : reperti protostorici e di età romana

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Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
Molti sono i reperti protostorici e dell’età romana rinvenuti nel territorio.
Scavo condotto dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte nel corso dei lavori promossi dal Comune in Via San Rocco, nell’area retrostante l’edificio della scuola Media per la realizzazione di una palestra. Lo scavo ha restituito 52 sepolture di cui 25 ad inumazione e 26 a incinerazione diretta, appartenenti alla seconda età del Ferro ed alla prima romanizzazione (fine III a.C.-terzo quarto I sec. a.C.). Le sepolture più antiche sono inumazioni in fosse rettangolari poco profonde, con pareti sostenute da filari di ciottoli; rari casi di pietre utilizzate come segnacolo. La seconda fase della necropoli, che si articola nel corso del I sec. a.C., attesta un perdurare della pratica inumatoria, accanto a quella a cremazione. Nelle tombe femminili della prima fase si segnalano parures con anelli da caviglia del tipo \”ad ovoli\” o ad olivelle, bracciali del tipo \”vallesano\”, fibule in ferro ed almeno un elemento vascolare aperto (coppa). Nelle tombe della seconda fase si segnala la presenza di vasi a trottola decorati (LT C-D), coppe e piatti usati come cinarari; diversamente dalle tombe più antiche il corredo fittile è più ricco, con piatti a vernice nera, anche se predomina la ceramica comune grezza e depurata di tradizione locale. Si tratta di una necropoli gallica. La necropoli evidenzia la progressiva romanizzazione delle popolazioni galliche stanziate sulle rive del Ticino.

In altre zone del territorio comunale, ceramiche golasecchiane , dell’età del Bronzo e del Ferro.

Durante lavori per la realizzazione della ferrovia nel 1903 fu scoperta, alla profondità di m 1, un’ara di gneiss con iscrizione votiva alle Matrone da parte di SECUNDUS figlio di GEMELLUS (o GEMELLIUS), figlio di MARCUS; età romana imperiale. Conservata nel museo civico di Arona.

In uno spigolo della muratura della chiesa della Madonna della Fontana è reimpiegata un’ara di età romana imperiale, in marmo bianco, apparentemente anepigrafe, con patera scolpita su un lato (quasi completamente scomparsa) e urceus sull’altro lato (capovolto e parzialmente nascosto da due figure stanti, sovrapposte, dipinte di rosso e parzialmente coperte a loro volta da un velo di calce). Nella tessitura muraria della chiesa è reimpiegato anche un laterizio romano.

Luogo di custodia dei materiali:
I reperti sono parte nel museo civico di Arona e parte nel museo di antichità (archeologico) di Torino.

Informazioni:
Siti non visibili. Info Comune tel. 0322 401411

Links:
http://www.comune.dormelletto.no.it/

Fonti:
Notizie e fotografie tratte nel 2014 da pagine, non più esistenti nel 2020, del sito www.sitbiella.it.

Data compilazione scheda:
4 dicembre 2011 – aggiorn. marzo 2014 – maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Cureggio (NO) : Battistero San Giovanni

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Storia e descrizione del sito:
Pressappoco sotto gli episcopati dei vescovi novaresi Vittore (480-489), Pacaziano (+500), Onorato (500-510), e cioè nei primissimi decenni del regno ostrogoto di Teodorico, venne costruita una chiesa battesimale a Cureggio, importante vicus galloromano con presenza di aristocrazia terriera e senatoria (vedi frammento di sarcofago di Sabina, moglie di un vir spectabilis, un “onorevole” della fine del I secolo dopo Cristo).
Questo primo battistero – dunque della fine del V secolo – era a pianta ottagonale ma senza absidi, come invece l’attuale, a eccezione di quella orientata a sud-est sotto la quale fu costruito un primo altare addossato alla parte sinistra dell’abside medesima in modo da risultare volto verso oriente. L’abside, o meglio ancora l’altare, risultava in asse con l’ingresso principale di una basilica coeva, di cui per altro – finché opportuni scavi non ci permetteranno di ricostruirne l’esatta planimetria – nulla sappiamo se non che doveva esserci. Chiesa battesimale e basilica distavano tra loro più o meno una ventina di metri. La configurazione dei due edifici ricalcava, sebbene in edizione ridotta, il complesso battistero-basilica-cattedrale fatti costruire dal vescovo Simpliciano una cinquantina d’anni prima a Novara, divenuta diocesi da qualche decennio appena.
Le due chiese Matrici, cioè Madri di altre future chiese, in epoca carolingia (VIII-IX sec.) vennero intitolate alla Madre di Dio come tutte le chiese Madri: di qui la denominazione per entrambe di ecclesia Sancte Marie (chiesa di Santa Maria) portata lungo tutti i secoli medievali e fino alle soglie dell’età moderna. Il fonte battesimale tra V e VI sec. subì ben tre successive trasformazioni, seguendo parallele evoluzioni del rito liturgico. Nel XII sec., con la ricostruzione totale dell’edificio, il fonte non fu più una vasca interrata o seminterrata – ottagonale e poi circolare – in funzione di un battesimo per immersione, ma fu edificato come un ottagono emergente dal pavimento (sopraelevato), sia pure sopra l’antico perimetro dell’ultima vasca circolare interrata, poiché nel frattempo il rito per immersione aveva lasciato posto a quello per infusione. Durante la prima epoca longobarda, forse a seguito di un nutrito stanziamento di barbari di religione ariana nella Tedenga, la zona più centrale e incastellata del vicus, il battistero subì un periodo di completo abbandono (fine VI sec.), durante il quale si trasformò quasi in una grossa cisterna d’acqua stagnante e limacciosa. Il suo riutilizzo coincise probabilmente con la conversione al cattolicesimo dell’elemento germanico ivi stanziato (640-680 circa). Questo edificio, la cui copertura doveva essere ancora consistente in travature a sostegno di covoni di paglia, dovette rovinosamente crollare con i muri in occasione del terremoto del 1117, che coinvolse anche la vicina chiesa. Pochi anni dopo (in ogni caso tra il 1122 e il 1144) sotto l’energico episcopato di Litifredo ed essendo pievano l’arciprete Stefano, vennero riedificati sia la chiesa che il battistero in forme romaniche.
Il battistero, sempre ottagonale ma con le quattro absidi sporgenti, è quello che si può ammirare ancor oggi, sia pure con rimaneggiamenti successivi. La vasca battesimale ottagonale sporgente rispetto al piano di calpestio, con l’ulteriore passaggio dal battesimo per “infusione” a quello per “aspersione”, venne demolita e ne rimasero le tracce sotto il pavimento insieme ai resti delle precedenti vasche paleocristiane (tre fasi) del rito battesimale per “immersione”. Venne così posta al centro dell’ottagono una semplice vaschetta a navicella, con due comparti, sostenuta da una colonnina di serizzo o di marmo infissa nel suolo. Nel XVI sec. la vaschetta a forma di barca o di conchiglia ellissoidale viene rimossa dal centro e posta sotto l’abside di nord-est, sostenuta da un supporto architettonico appositamente approntato per contenervi anche i santi oli crismali. In quel secolo infatti, l’edificio mutò le sue caratteristiche squisitamente battesimali per trasformarsi in un oratorio confraternale dove i Disciplini dei santi Marta e Giovanni celebravano i loro sacri uffici. Nel battistero vennero costruiti ben due altari: uno in marmo con balaustra nell’abside sud-est, intitolato a san Giovanni Battista, e uno in legno addossato alla parete ovest, dedicato a sant’Antonio da Padova. Appoggiato alla parete nord, sull’esterno, un portico serviva da cappella mortuaria per l’attiguo cimitero posto ai lati della chiesa e sul sagrato, che divideva questa dal battistero. Nel XVIII sec. per ordine del vescovo Maraviglia, fu aperta una grossa finestra rettangolare sulla parete sud, proprio sopra il corrispondente ingresso, così da aumentarne la luminosità interna data esclusivamente dalle monofore strombate delle quattro absidi. Le monofore anzi vennero murate. Nel XIX sec. l’altare ligneo di sant’Antonio fu asportato dal battistero e collocato nella parrocchiale in una cappella laterale, a sinistra entrando, ora demolita.
Nel battistero fu amministrato il battesimo fino agli anni Cinquanta, poi, per le precarie condizioni statiche, l’edificio fu reso inagibile per alcuni decenni. In seguito a una serie di interventi di restauro a partire dagli anni Settanta e fino a quasi tutti gli anni Novanta, ora il San Giovanni cureggese è tornato al suo primitivo splendore e alla funzione battesimale per cui era stato ideato e costruito

Informazioni:
Di fronte alla Parrocchiale. Info: Associazione turistica PRO LOCO CUREGGIO, tel . 0322.839371

Links:
http://www.comune.cureggio.no.it

http://www.ssno.it/html/arno/aromnov29.htm

Fonti:
l testo e la fotografia in altro sono tratte dal sito del Comune.
Vedi anche wikipedia da cui sono tratte le foto 2 e 3.

Data compilazione scheda:
13/04/2006 – aggiornam. marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G. A. Torinese
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Cressa (NO) : Oratorio di San Giulio

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Storia del sito:
La costruzione dell’oratorio dedicato a San Giulio risale agli inizi dell’XI secolo. Il locus di “Crescia” è nominato in un documento del 1025 in cui erano descritte concessioni che l’imperatore Enrico II faceva al vescovo di Novara. Notizie documentate sull’ esistenza dell’edificio si hanno a partire dal 1025, quando risulta appartenere alla Pieve di San Genesio di Suno. In seguito a una visita pastorale del vescovo di Novara Bascapè, nel 1600, la chiesa di San Giulio perse la dignità parrocchiale e fu trasformata in oratorio, perché ritenuta inadeguata.

Descrizione del sito:
La chiesetta è a navata unica rettangolare, suddivisa in tre campate e termina con un’abside semicircolare, tre contrafforti scandiscono il muro a sud e quattro il muro a nord. La muratura mostra, in alcuni punti, ciottoli collocati a spina di pesce.
La facciata a capanna presenta, sopra il portoncino d’ingresso, una bifora con colonnina e capitello a stampella. Da notare un lastrone in pietra inserito nel terreno prospiciente l’ingresso su cui sono scolpite una grande croce e due piccole. Si suppone possa essere il coperchio di un millenario sarcofago. Manca l’antico campanile, che nella struttura originaria era a pianta quadrata.
L’interno purtroppo è povero di affreschi perché gran parte del ciclo pittorico absidale è crollato anni or sono. I pochi lacerti rimasti rendono difficile l’attribuzione dell’artista ma si presume possano risalire al XV secolo. Sulla parete sud sono rappresentati una Madonna in trono con Bambino, san Giulio gli appestati e altri Santi e, in un altro riquadro, un san Giulio con i serpenti.

Informazioni:
Via San Giulio – 1 km a sud-est del centro dell’abitato. Comune tel. 0322 863610

Links:
www.comune.cressa.no.it
https://www.provincia.novara.it/Editoria/EditoriaDoc/oratori/cressa.htm

Bibliografia:
FAGNONI M.R., (a cura di) Alla scoperta di antichi Oratori campestri, Provincia di Novara, Novara 2003

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dai siti sopra citati.

Data compilazione scheda:
24/04/2007 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Cavaglietto (NO) : cascina monastero di San Pietro

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Storia e descrizione del sito:
Monastero cluniacense femminile – una delle sei fondazioni femminili di detto ordine presente in Italia – di cui si ha notizia a partire dall’anno 1092.
Il complesso è attualmente molto rimaneggiato e alterato, ma è ancora visibile e riconoscibile la struttura chiusa, a quadrato, degli edifici.

Per approfondire e per altri edifici medievali, vedi le varie voci sul sito comune.cavaglietto.no.it

Informazioni:
Via Cascina Monastero. Edificio di proprietà privata.

Links:
http://novartestoria.wordpress.com/

http://www.comune.cavaglietto.no.it

Fonti:
Foto in alto dal sito del Comune.
Per altre immagini vedi sito al n°1.

Data compilazione scheda:
21/03/2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

Castelletto Sopra Ticino (NO) : La civiltà di Golasecca e l’area archeologica

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Storia del sito:
La civiltà di Golasecca si sviluppa nel territorio dell’Italia nord-occidentale, dando vita ad importanti centri anche in territorio piemontese, in un periodo compreso tra il IX e il IV secolo a.C.
Il nome deriva dalle scoperte dell’archeologo e studioso Giovanni Battista Giani (1788-1857) avvenute agli inizi dell’Ottocento nel Comune di Golasecca.
Di origine celtica, questo popolo aveva una struttura sociale organizzata per gerarchie e divisa in villaggi sparsi sul territorio nei pressi dei luoghi di ritrovamento delle necropoli; praticava l’agricoltura, la tessitura e l’allevamento. S’insediò in un’area d’importanza strategica lungo i percorsi che conducevano al San Bernardino, al Gottardo e al Sempione, sviluppando scambi commerciali con etruschi e greci, testimoniati da alcuni oggetti d’importazione, rinvenuti nei corredi.
Gli unici indizi che raccontano della vita e della cultura dei golasecchiani provengono dalle loro tombe, ritrovate in quantità nella zona di Sesto Calende, Golasecca e Castelletto Ticino. Le principali aree dei ritrovamenti della cultura di Golasecca sono situate, oltre che lungo la sponda lombarda e piemontese del fiume Ticino, anche nei dintorni di Como e di Bellinzona.
Tra il X e l’VIII sec. a.C. si assiste ad una progressiva riorganizzazione del popolamento nell’area del basso Verbano, con il graduale emergere di aggregati insediativi di notevoli dimensioni e di eccezionale densità abitativa, non giustificati dalle tradizionali risorse ecosistemiche del territorio. Con il IX sec. a.C., all’interno di un areale coerente, in cui non manca la dispersione di insediamenti minori, sono ormai ben individuabili i due poli di Arona e Castelletto Ticino. L’abitato di Arona si organizza a terrazzi sulle pendici meridionali della Rocca, in una posizione che mostra stretta continuità fino all’età romana, mentre l’abitato di Castelletto Ticino, che nel VII-VI sec. a.C. raggiungerà le dimensioni di un centro protourbano, occupa tutto il promontorio proteso sull’ansa del Ticino ed articola la sua esistenza, a parte sopravvivenze minori, nel solo ambito della cultura di Golasecca (IX-V sec. a.C.).

Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
A Castelletto, i villaggi, dapprima sparsi e con piccole necropoli vicine, distesi ad occupare in modo discontinuo il promontorio e gli scali a fiume, si organizzano tra VIII-VII sec. a.C. in un centro sempre più omogeneo ed articolato tra scali per la navigazione (Briccola, Novelli, Riviera, Dorbié) ed aree abitative più elevate, prive comunque di fortificazioni e per lo più obliterate in età medievale e moderna, con l’importante eccezione dell’area della Mirabella.
La densità abitativa e la ricchezza degli abitati di Castelletto, come del resto degli altri centri golasecchiani della zona, confermano l’importanza acquisita dalla navigazione sul Ticino-Verbano per la gestione dei traffici tra il mondo etrusco-italico ed i ricchi principati protoceltici transalpini.
Sulla base di stime ragionevoli derivate dal numero delle tombe, si può pensare che nel VI sec. a.C. Castelletto Ticino raggruppasse almeno tremila abitanti in più nuclei, la cui divisione era favorita dall’andamento non pianeggiante del territorio, organizzati tra loro e in via di progressiva unione (sinecismo) secondo modelli tipici per la formazione di centri proturbani ed urbani. Un simile addensamento demografico, il più grande del Piemonte nell’età del Ferro, non si spiega solo con la funzione commerciale: un centro simile per sopravvivere doveva esercitare, proprio come un nucleo urbano, l’egemonia su un ampio territorio circostante, indispensabile anche per i rifornimenti dei generi di prima necessità. Anche l’attività commerciale non è sufficiente a spiegare, in un territorio a scarsissima vocazione agricola, l’impiego di tante persone, pur ammettendo la necessità di un complesso sistema di supporto e assistenza alla navigazione e la concentrazione a Castelletto Ticino (come ancora nel Medioevo con le corporazioni dei “navaroli”) di piloti che esercitavano il commercio lungo tutto il corso del fiume e anche oltre.

LE NECROPOLI
La documentazione largamente maggioritaria per la conoscenza della cultura di Golasecca è costituita dai corredi tombali; infatti, fin dal secolo scorso, le ricche e numerose necropoli del basso Verbano sono state sottoposte a scavi più o meno sistematici e regolari, mentre gli interventi negli abitati sono molto più rari e quasi tutti realizzati in epoche recenti.
Fin dall’VIII secolo nell’area di Castelletto Ticino le necropoli hanno teso a concentrarsi ad Ovest del solco del rio Valleggia (attualmente occupato dalla ferrovia) distendendosi a ferro di cavallo attorno al promontorio occupato dagli insediamenti, articolandosi in piccoli nuclei sparsi.
L’alta densità abitativa si riflette nelle migliaia di tombe individuate, molte delle quali violate o danneggiate da tempo: i corredi superstiti ci forniscono molti dati sul livello economico e sull’organizzazione sociale del più importante centro della facies occidentale della cultura di Golasecca.
La comparsa della scrittura con il VII secolo, nel graduale adattamento di un alfabeto d’origine etrusca alla locale lingua protoceltica, è stata di recente confermata dalla scoperta di un’iscrizione onomastica (Chosioiso = di Chosios) della prima metà del VI secolo in località C.na Baraggia di Castelletto: si tratta della più antica iscrizione celtica conosciuta. Dall’esame dei corredi tombali si evidenzia che con il VII-VI secolo l’importazione di beni pregiati, forse in parte doni, come vasellame bronzeo ed armi di produzione etrusca e italica, bucchero, vino, si lega alla crescita dell’artigianato locale ed all’adozione d’usi e rituali di tipo gentilizio (rituale del banchetto, distinzione di strutture tombali e corredi, uso di vasellame da mensa ed arredi particolari, brucia profumi…) che concorrono a tracciare un quadro d’evoluzione culturale e sociale che inserisce, a pieno titolo, l’areale golasecchiano tra i gruppi dell’età del ferro dell’Italia antica. Di particolare rilevanza risulta la necropoli di San Bernardino di Briona, per l’organizzazione a tumuli ai fianchi di una strada in terra battuta con suddivisioni legate probabilmente a clan familiari (VI-V sec. a.C.).
Le tombe golasecchiane nel territorio castellettese sono sempre a cremazione, realizzate, per le prime fasi, con pozzetto in nuda terra, con l’urna contenente le ceneri e spesso il bicchiere, coperta semplicemente dalla ciotola e circondata dalla terra di rogo e, qualche volta, dai frammenti di un vaso situliforme in ceramica domestica rotto ritualmente; al di sopra, qualche volta, è collocato un grosso ciottolo con la funzione di protezione e, probabilmente, di segnacolo.
Tra VII-VI secolo, con l’aumentare degli elementi di corredo, si diffonde l’uso di protezioni intorno al pozzetto, realizzate con ciottoli, con scaglie di pietra o con vere e proprie cassette (ciste) di lastre. Le tombe più ricche in questo periodo si distinguono per la presenza di un tumulo, più o meno elevato, con camera mortuaria in ciottoli, come la ricca tomba del bacile bronzeo in località Fontanili o il tumulo della Croce di Pozzola, o di un cassone monumentale di lastre di serizzo, con lastroni lavorati lunghi anche oltre due metri (tomba Valli, in località Motto della Forca).
A volte è stato possibile riconoscere alcuni segnacoli tombali, costituiti da ciottoli affioranti, ma non è finora provata la presenza di vere e proprie stele sulle tombe più ricche. Sempre da Castelletto proviene una stele-menhir, ora depositata presso il Museo di Varese. La cremazione avveniva in un punto lontano dalla sepoltura, mentre il trasporto dell’urna con le ceneri diventava, probabilmente, una vera e propria processione funebre. Resti di offerte al di fuori della tomba, oltre alla presenza tra le ceneri del rogo di resti di animali arrostiti, suggeriscono la ritualità di banchetti funebri, ripetuti probabilmente anche successivamente alla sepoltura. Le vaste necropoli golasecchiane hanno contrassegnato il nostro territorio anche nella toponomastica e nelle tradizioni popolari. Spesso riferite alle “streghe”, esse hanno alimentato, come in altre aree europee, le leggende e le superstizioni che, attraverso il collegamento con le descrizioni bibliche dei sacrifici nel fuoco di bambini nei culti cananei con la deposizione delle ceneri in vasetti in apposite aree (tofet), attribuivano culti pagani-demoniaci ed il rapimento di bambini (fine VII sec. a .C.) alle streghe e agli ebrei. Toponimi come “motto dei pagani”, “motto delle streghe”, “dosso degli ebrei” ricorrono nel Piemonte orientale e spiegano bene la diffusione di un pregiudizio che, dal Trecento alla Controriforma, ha caratterizzato i processi dell’Inquisizione in Francia ed in Italia, in cui non a caso ricorrevano per le definizioni demoniache i nomi cananei, come Belzebù (Baal zebub) o Astarotte (Astarte).

La crisi della cultura di Golasecca
Nel V sec. a.C. l’improvviso spopolamento degli abitanti di Castelletto Ticino sembra evidenziare l’insorgere di una crisi legata probabilmente a molteplici fattori. Le ricostruzioni recenti sembrano suggerire profonde modificazioni nel livello del Verbano e nel flusso di uscita delle acque del Ticino, con una risalita del lago fino alla sommersione di fasce insediate, se i paleosuoli degli abitati mostrano anche un certo collasso per il degrado dei versanti, forse legato alla eccessiva densità abitativa ed al radicale disboscamento su suoli secca instabili, un qualche ruolo possono avere avuto nel crollo del sistema insediativo, commerciale ed economico, ruotante intorno a Castelletto ed alla via fluviale Ticino-Verbano, anche i primi sporadici arrivi di gruppi gallici non indiziati ancora da tracce archeologiche di distruzioni, ma dal diffondersi di alcuni elementi tipologici e culturali.

Luogo di custodia dei materiali:
I reperti rintracciati in questa zona sono oggi conservati in particolare presso il Museo Archeologico di Torino, i musei Civici Archeologici di Domodossola, Milano, Arona, Varese, Sesto Calende, Novara, Golasecca (VA).

Area archeologica:
Nel Parco Comunale “Giovanni Sibilia” è stata realizzata un’Area archeologica dove è possibile visitare due recinti circolari e uno rettangolare, in ciottoli di fiume, provenienti dalla necropoli golasecchiana di Via del Maneggio, in località Croce Pietra, scoperti nel corso degli scavi effettuati tra il 2001 e il 2003 e databili tra il IX e l’VIII secolo a.C. Un altro significativo esempio di sepoltura monumentale è costituito da una tomba femminile a cassone litico, risalente alla fine del VII secolo a.C., venuta alla luce in località Motto Falco e collocata nel parco nel 1986. Nell’aprile 2009 è stata ricostruita, davanti all’ingresso della Biblioteca civica, una nuova sepoltura in grandi lastre di pietra proveniente dalla necropoli di Via Ardeatine che si data tra la fine del VII e la seconda metà del VI secolo a.C.
Nei pressi vi è un apposito riparo che protegge due stele imponenti venute alla luce nel 1997 all’inizio di via Beati. Una, decorata a coppelle su entrambe le facce, era probabilmente in posizione verticale; l’altra, coppellata e incisa con segni ad ascia su una sola superficie, era presumibilmente posta in senso orizzontale con funzione di altare per offerte liquide.

Informazioni:
Info Gruppo Archeologico Castellettese tel. 0331 971303, email: info@gsac.it oppure Comune tel. 0331 971901

Links:
https://www.gsac.it/?page_id=264
http://it.wikipedia.org/wiki/Castelletto_sopra_Ticino
GSAC -areaarcheologica_pannello_1.pdf
GSAC -areaarcheologica_pannello_3.pdf

Bibliografia:
GAMBARI F.M.; CERRI R., L’alba della città. Le prime necropoli del centro protourbano di Castelletto Ticino, Interlinea, Novara 2011
MARINIS R., 1988, Liguri e Celto-liguri, in “Italia Omnium Terrarum Alunma”, Milano pp. 157-259.
GALLI L., MANNI C., 1978, Arona preistorica, in “Bollettino Storico per la Provincia di Novara”, LXIX, n. l, Novara.
GAMBARI F.M., COLONNA G., 1986, Il bicchiere con iscrizione arcaica da Castelletto Ticino e l’adozione della scrittura nell’Italia nordoccidentale, in “Studi Etruschi”, 54, pp. 119-164.
RITTATORE E, 1975, La civiltà del ferro in Lombardia, Piemonte, Liguria, in “Popoli e Civiltà dell’Italia Antica”, IV, Roma pp. 223-328.
SPAGNOLO G., 1990-91, La necropoli gallica di Dormelletto (NO), in “Sibrium”, XXI, Varese pp. 293-305.
TIZZONI M., 1981, La cultura tardo La Tene in Lombardia, in “Studi Archeologici”, I, Bergamo pp. 5-39.
SAPELLI RAGNI M. (a cura di), 2004, Tesori del Piemonte – Il Piemonte degli scavi. Siti e musei di antichità.
GAMBARI-SPAGNOLO, 1997, Il civico museo archeologico di Arona, Regione Piemonte

Fonti:
Fotografia in alto tratta nel 2014 da www.lakesandalps.com

Data compilazione scheda:
12/11/2004 – aggiorn. marzo 2014 e 2024

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Simona Vigo – G. A. Torinese

 

Casalvolone (NO) : Pieve di San Pietro e resti del Ricetto

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Storia del sito:
La chiesa romanica di San Pietro Apostolo è l’antica “plebem de Casali” citata nella bolla del 26 giugno 1133 di papa Innocenzo II al vescovo Litifredo di Novara, chiaramente distinta dall’abbazia di San Salvatore e dalla cappella del castello. Nei testimoniali del 1157 è indicata come “Ecclesia de Casali”‘ consacrata dal vescovo Riccardo nel 1118-1119. La sua funzione di raccolta della plebs, molto più vasta di quella dell’attuale parrocchia, ne spiega la collocazione eccentrica rispetto ai villaggi circostanti (Villata e abitati minori della sponda sinistra del Sesia) e particolarmente rispetto al borgo feudale di Casale Gualonis. Il termine Gualonis è riferibile ai primi proprietari: la famiglia Guala dominò sul territorio dall’anno 800 al 1350 circa.
Le notizie storiche relative alla costruzione ed alla consacrazione della chiesa pievana sono indizi sicuri circa l’esistenza prima dell’anno 1000 di una Pieve in questo stesso luogo. In particolare i lavori di restauro (fine anni ’70 del secolo scorso) hanno portato alla luce le fondamenta di un’abside molto più antica. Anche la collocazione anomala del campanile, incuneato nella navata destra in modo illogico e inusuale, fa pensare ad una chiesa di proporzioni più piccole ad unica navata, poi rifatta ed ingrandita all’inizio del secolo successivo (XII secolo).

Storia e descrizione del sito:
La PIEVE ha murature esterne realizzate con ciottoli di fiume e frammenti di laterizi disposti a spina di pesce e legate da malta di buon impasto, è a tre navate sorrette da pilastri a fascio concluse da absidi e suddivisa in senso longitudinale in quattro campate. Precedentemente aveva una copertura a capriate in legno di altezza maggiore; questa ipotesi è evidente lungo il fianco della navata sinistra dove gli archetti sono posti a quota inferiore rispetto a quella di gronda, come coronamento di un tessuto murario composito e di notevole effetto coloristico del tutto differente da quello che li sovrasta. Quando si attuò la sostituzione dell’orditura lignea di copertura con le volte a crociera (di cui una nervata realizzata con costoloni quadrati) a causa del diverso comportamento tra le strutture appoggiate e quelle spingenti, l’assetto dell’edificio subì ripercussioni notevoli: le spinte delle volte, non sufficientemente contrastate, nonostante la costruzione di contrafforti esterni, provocarono inclinazioni alle murature laterali apprezzabili a vista. L’ultima campata della navata destra è coperta da una volta a padiglione sfalsato mentre il raccordo tra la navata principale e il campanile è definito da una breve volta a semibotte che interrompe l’impostazione della crociera.
Il CAMPANILE di pianta quadrata, suddiviso in cinque piani di specchiature ad archetti, è sicuramente preesistente alla attuale costruzione a tre navate (prima dell’anno 1000); ancora leggibile il motivo decorativo ad archetti pensili, identico a quello esterno. Sulla facciata si ammirano ancora affreschi del 1495 raffigurante san Giuseppe da un lato e del 1661 dall’altro rappresentante san Giovanni; nel mezzo campeggia la Vergine Santissima con i SS. Apostoli Pietro e Paolo.
L’interno della chiesa è ricco di AFFRESCHI DEL XV SECOLO, di cui molti con data leggibile (1424-1495). Sono però presenti incisioni graffite e frammenti di decorazioni parietali di epoca precedente (circa XII secolo). La raffigurazione, che interessa totalmente il catino dell’abside maggiore, rappresenta il Cristo in Mandorla con le simbologie degli Evangelisti e una serie di santi e profeti: i dodici Apostoli recano ciascuno un versetto del Credo e sono attribuiti alla bottega del Cagnola, allievo di Gaudenzio Ferrari; il Cristo con la mano destra alzata tiene aperto un libro con la scritta: “Ego sum lux mundi, via, veritas et vita”. È riportato il nome del benefattore che ne commissionò la realizzazione e la data di esecuzione: “Mafeus de rigonibus de vale Taegis armiger fecit fieri hoc opus 1478 de mense aprilis”. Affreschi del 1424 e del 1469 si ammirano nelle pareti laterali e nell’absidiola di sinistra. Un affresco raffigurante la Crocifissione con san Giovanni Battista e la Madonna (detta della cintura) e personaggi in abito bianco con il cappuccio, membri del movimento dei Battuti (o disciplinati Bianchi fondati nella seconda metà del 1300 e poi trasformati in confratelli di santa Caterina dopo il 1450) è attualmente collocato nella chiesa parrocchiale dopo lo stacco per il restauro.
Proseguendo dall’absidiola verso ponente era collocata la SS. Trinità della Misericordia, ora conservata nel palazzo vescovile di Novara; nel 1971 avvenne lo stacco dell’affresco che fu trasferito su supporto sano e restaurato nel 1975. Porta la scritta: “De antonieto fecit fieri hoc opus MCCCCDXXVIII die VIIm[–]”.Vi è poi l’affresco della Madonna della Misericordia attribuita alla bottega di Tommaso Gagnola, commissionata da Eusebio da Bulgaro, (feudatario di casa Savoia), signore di Casalvolone fino al 22 agosto 1500. Sono ritratti sulla sinistra Jolanda di Francia, vedova del beato Amedeo IX (sepolto nel duomo di Vercelli), con i figli a sinistra e a destra le figlie.

RICETTO DI CASALVOLONE (sec. XII). Sull’attuale centro abitato sorgeva un importante castello, ora scomparso, che in un documento del XII secolo viene descritto come circondato da un fossato colmo di acqua (nel quale si allevavano i pesci) e rari esempi in cui la struttura difensiva risulta edificata utilizzando una motta artificiale. Della sua forma rettangolare, orientata nord-sud, rimangono oggi le parti inferiori delle mura, quasi completamente a ponente e presenti solo in alcune parti quelle a settentrione.
Nella frazione di Pisnengo, a 2 km in direzione Novara, in Piazza Grande, sono ancora oggi visibili esternamente alcuni resti dell’antico castello inglobati successivamente in una costruzione seicentesca ad uso rurale, oggi è proprietà privata. Si suppone che il fortilizio sia stato edificato dai Marchesi del Monferrato nel XIV secolo e distrutto in parte nel XV secolo.

Informazioni:
La Pieve è presso il Cimitero, Via San Pietro (non confondere con la Parrocchiale che ha la stessa intitolazione, ma è in V. Dossi).
Comune tel. 0161 315157 oppure  Parrocchia tel. 0161 315168.

Links:
http://www.comune.casalvolone.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=1055 Pieve

http://www.comune.casalvolone.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=1056 ricetto

Opuscolo_PievediSanPietro_Casalvolone.pdf

Bibliografia:
CHIERICI S., CITI D., Italia romanica: il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Liguria, Jaca Book ed., Milano, 1978

Fonti:
Le notizie e le fotografie sono state tratte dal sito del Comune di Casalvolone.

Data compilazione scheda:
05/04/2006 – aggiornam. marzo 2014 – maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Casalvolone portale

Casalvolone aff abside

Casalvolone aff annunciazione

Casalvolone mura ricetto

Casalino (NO) : Chiesa di San Pietro

Casalino_sPietro

Storia del sito:
L’edificio, datato all’ultimo quarto dell’XI secolo, era la vecchia Parrocchiale di Casalino. La prima testimonianza della chiesa di San Pietro risale al 25 maggio 1194, data in cui vi fu stipulato il trattato di pace fra novaresi e vercellesi (pace di Casalino).
La chiesa fu decorata di affreschi nella seconda metà del Quattrocento, come attesta anche la lunetta di facciata, datata 1479.
Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento venne abbattuta l’abside posta a capo della navatella settentrionale, ancora documentata, insieme con un campanile, nel 1596.
Numerosi furono gli interventi verificatisi nei tempi successivi che comportarono modifiche strutturali: la creazione della sacrestia nell’ultima campata meridionale, successivamente al 1596. Vennero anche modificati gli arredi, gli altari e le balaustre marmoree. Datata al 1753 è la ristrutturazione e decorazione della cappella anteposta alla sacrestia, probabilmente contemporanea o quasi a più imponenti lavori di rinforzo che interessarono anche la volta a botte antistante l’emiciclo maggiore, ampliata e riassestata con conseguente perdita della decorazione ad archetti dei muri della navata centrale.
Nel XIX secolo venne pesantemente intonacata all’esterno e all’interno, ora decorato da mediocri profilature falsogotiche. La chiesa è attualmente chiusa al culto.

Descrizione del sito:
La chiesa, cinta ora da proprietà private e dai giardini comunali, offre libero accesso solo dal fianco meridionale. Attualmente l’impianto romanico è riconoscibile nelle forme della facciata, tripartita, con paraste che separano campi terminanti con archetti pensili di diversa ampiezza. La decorazione ad archetti è ancora presente anche nella zona absidale. La muratura è composta da frammenti di cotto misti a spina di pesce che si alternano a filari di mattoni.
L’edificio conserva ancora l’originario impianto a tre navate: un’ampia navata centrale coperta da tetto con struttura lignea con breve volta a botte e abside semicircolare su cui si aprono tre strette monofore e due navatelle laterali di lunghezza differente: la navatella sud mantiene un’abside semicircolare.

Informazioni:
Via Prealba 7.  Parrocchia, tel. 0321 879174

Link:
http://www.comune.casalino.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=21326

Bibliografia:
AA.VV., Percorsi. Storia e Documenti Artistici del Novarese, n. 29, Paesi fra le risaie (Casalino, Granozzo con Monticello, Vinzaglio), Provincia di Novara Edizione, 2004
TEMPORELLI A., Appunti e note, documenti e materiali per una storia della comunità cristiana e delle chiese di S. Andrea, S. Pietro, Annunciazione e SS. Pietro e Paolo di Casalino, 1994
BARLASSINA G., PICCOLINI A., La Diocesi di Novara nelle sue parrocchie e con i suoi vescovi, Novara, 1923-1933

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
26/05/2006 – aggiornam. marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Casalino (NO) : Castello e cascina Isola di Peltrengo

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Storia dei siti:
La costruzione del CASTELLO risale probabilmente alla metà del XIV secolo. Nei secoli successivi furono attuate alcune aggiunte e migliorie. Dal Settecento e fino a pochi anni fa appartenne alla nobile famiglia novarese dei Leonardi e ancora oggi è proprietà di privati.

CASCINA ISOLA DI PELTRENGO. La località di Peltrengo “Isola”, attualmente connotata come una grande azienda agricola, già nella denominazione denota una particolare condizione di isolamento e di difficile collegamento con i paesi limitrofi che le fu propria fin dalle origini. Il ritrovamento citato dal Racca di “un’ara votiva a Diana ed alle Matrone, di un L. Vetiio” testimonia la presenza sul territorio di insediamenti di epoca romana. Un documento del 1006 ricorda la presenza di sette abitanti che seguivano legge longobarda. La località era denominata “Palterigum”, toponimo connesso al corso d’acqua che la circondava da due lati, denominato Paltelengana.
Dal 1347 è testimoniata la presenza di una fortificazione, che risulta però già in cattive condizioni e distinta dalla villa, circondata da un fossato. Nella seconda metà del XV secolo Peltrengo fu infeudato ai Crotti. Dal 1535 Giovanni Pietro Cicogna iniziò ad acquistare fortezza, villa e diritti, ricevendo un riconoscimento ufficiale da parte di Carlo V nel 1554. I Cicogna fecero ampliare nel Cinquecento la struttura castellana, inserendo una nuova più ampia cinta muraria, oggi poco leggibile. Un consistente riadattamento intervenne nel corso del secolo XVIII, soprattutto verso i lati occidentale e settentrionale. Il prevalere della destinazione agricola ha comportato ulteriori pesanti modifiche anche nella parte orientale, dove era in funzione un mulino. Riconoscibili fra gli interventi più recenti un lungo corpo edilizio ottocentesco e l’aggiunta di nuove abitazioni e locali d’uso agricolo. All’interno del complesso inizialmente sorse un oratorio sotto il titolo di Sant’Andrea, che nel 1677 fu ristrutturato e reintitolato all’Annunciazione della Beata Maria Vergine.

Descrizione dei siti:
IL CASTELLO. L’area incastellata doveva essere molto vasta, ed è ancora segnata dalla muraglia che recinge le costruzioni ed il vasto parco; dell’antico castrum quasi nulla è rimasto ad eccezione di una serie di casoni rustici sul lato orientale, che possono risalire al Cinquecento. Restano invece, a nord proprio di fronte all’attuale cancello di accesso, alcuni importanti resti della rocca, documentata nel Quattrocento. Qui si apriva l’ingresso antico con i ponti levatoi sulla porta carraia e sulla postierla, sopra la quale è ancora visibile la sede del bolzone; oltre l’arco a tutto sesto si apre un vasto introytum, alla base del torrione che lo sormontava. Si notano quattro archi di rossi mattoni, poiché dietro a questo primo edificio ne sorge un secondo, la cui parte inferiore è autentica, mentre la soprelevazione è stata effettuata, pur con un certo gusto, in un periodo successivo, quando furono risistemate molte abitazioni del complesso. A destra si scorge la cappella privata e poi si accede ad un vastissimo parco, con alberi secolari.
A sinistra si possono raggiungere gli edifici rustici che costituivano la dimora dei salariati dei conti: una cinta separa le due aree del castello e a sud un palazzo del tardo Seicento chiude la corte rustica.
A destra del torrione d’ingresso vi è il muro settentrionale di un edificio castellano, in cui è evidente l’antico cammino di ronda con le aperture ad arco ribassato. Più sotto un antico cordonato di cotto segna l’inizio della scarpatura del muro, che scendeva verso la fossa; a metà altezza una serie dì piccole finestre, molto simili a quelle visibili sul lato di tramontana del castello di Cameriano, dava luce alle antiche camere del primo piano. Le grandi finestre in cotto, invece, sono di difficile datazione: probabilmente sono di recente costruzione.

CASCINA ISOLA. Ancora identificabile nel complesso la forma quadrangolare della fortezza quattrocentesca, isolata e circondata in origine da un fossato pieno d’acqua. È ancora ben conservato il torrione che sormonta l’ingresso carraio, ove si calava il ponte levatoio.
Nella corte interna permangono inoltre portici al primo piano e logge superiori ancora leggibili a tratti, anche se inglobate nelle ristrutturazioni successive.

Informazioni:
Il castello è sito in Via Leonardi.

La cascina Isola si trova in Località Peltrengo, nelle vicinanze della Frazione Cameriano.

Links:
http://www.comune.casalino.no.it

Bibliografia:
AA.VV., Percorsi. Storia e Documenti Artistici del Novarese, n. 29, Paesi fra le risaie (Casalino, Granozzo con Monticello, Vinzaglio), Provincia di Novara Edizione, 2004
ANDENNA G., Andar per Castelli. Da Novara tutt’intorno, Torino, 1982

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito del Comune

Data compilazione scheda:
26/05/2006 – aggiorn. marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Casalbeltrame (NO) : resti del Ricetto e Sant’Apollinare

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Storia del sito:
L’antica Casali Beltrammi venne citata per la prima volta in un documento dell’anno 969 con il quale i canonici della chiesa novarese affittavano terre a loro beneficio. Il termine casali è una forma dell’insediamento rurale romano (fundua casalis: unità di terra dotata di case per i contadini), successivamente ripresa come parte fondiaria della struttura curtense.
La vicinanza a Biandrate, del cui feudo fece lungamente parte, le procurò una prima distruzione nel 1168, poi nel 1358 da parte delle truppe di Galeazzo Visconti. Per cercare di salvaguardare le produzioni agricole locali dalle frequenti incursioni di bande armate che saccheggiavano il territorio nel Medioevo, la comunità eresse un ricetto, un gruppo di case dotato di semplici mura di difesa. La forma è quasi circolare, circondata da un fossato, con accesso a ponente. All’interno una fascia continua di cellule edilizie allineate lungo il perimetro. Nel centro la vecchia parrocchiale di San Martino.
Anche nelle mappe settecentesche la struttura è pressoché inalterata, con edifici adibiti a cantina e granaio, di proprietari diversi che di solito hanno anche immobili nel borgo indicati come casa di abitazione. All’interno del ricetto vi era una sala consiglio e torchi per l’olio e per il vino. L’impianto urbanistico è rimasto quello medievale, ma gli edifici sono stati alterati o ricostruiti nelle quasi totalità per adibirli a magazzini ad uso agricolo

Descrizione del sito:
La struttura circolare del ricetto è ancora ben leggibile.  La trasformazione in magazzini per il riso ha alterato la tipologia architettonica di quanto restava delle antiche strutture.
Del periodo medievale resta il CAMPANILE della parrocchiale, del XIV secolo; la parrocchiale fu invece rifatta in gran parte nel XIX secolo. Presenta quattro piani alleggeriti da monofore e bifore.

SANT’APOLLINARE, nella frazione omonima, fu una delle più antiche mansioni templari di tutto il territorio piemontese, datata con certezza al 1174. Guido da Biandrate e i suoi figli donarono all’Ordine del Tempio i fondi in località Ruspaglia presso la chiesa di S. Apollinare, in zona molto fertile, ricca di corsi d’acqua e punto nevralgico per le vicinanze delle vie Francigena e Biandrina, Oggi le cascine di S. Apollinare sono state ricostruite e sono sede della comunità dei Ricostruttori, info. tel. 0321.83038. Della antica chiesa, rimaneggiata, resta la torre campanaria quadrangolare.
Informazioni:
Il ricetto si trova nel centro storico dell’abitato, Piazza IV Novembre.  Comune tel. 0321.83154
La chiesa di Sant’Apollinare è a sud-est dal centro, presso la cascina omonima.

Links:
http://www.comune.casalbeltrame.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=26550

http://novartestoria.wordpress.com/2012/08/09/abbazia-di-s-apollinare-di-casalbeltrame/

Bibliografia:
VIGLINO DAVICO M., I ricetti, difese collettive per gli uomini del contado nel Piemonte medioevale, Edialbra, Torino, 1978

Fonti:
Notizie e fotografie dai siti sopra indicati.

Data compilazione scheda:
23/10/2006 – aggiorn. marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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Carpignano Sesia (NO) : Oratorio di Santa Maria delle Grazie e Chiesa di Santa Maria di Lebbia

Storia e descrizione dei siti:
L’ORATORIO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE, (foto in alto), fino all’inizio dell’Ottocento isolato tra i campi e gli alberi di castagno, ma posto all’incrocio tra l’antica strada per Novara e quella per Fara e Briona, verosimilmente risale al Quattrocento. Le dimensioni originarie erano, probabilmente, più ridotte: nella metà anteriore del muro perimetrale esterno a sud, sotto l’intonaco, è visibile un arco ogivale in mattoni, murato; la presenza di un altro arco ogivale in facciata (intuibile, seppur murato, sotto l’intonaco) portano a credere che in origine la metà anteriore della chiesa fosse un portico, poi chiuso, che con un arco frontale e due laterali si spingeva fino alla linea dell’attuale facciata. Il portico a colonne di granito è documentato a partire dal 1663, mentre il campaniletto a cuspide era presente già alla fine del Cinquecento. Erano visibili in passato affreschi sul muro dell’abside, raffiguranti un’Ultima Cena e una Madonna.

 

La CHIESA DI SANTA MARIA DI LEBBIA, che in un documento del 1184 viene citata come “sancte Marie de Olgieto” e ancora nel 1763 come Santa Maria a Orgetto, viene identificata da alcuni studiosi come l’antica chiesa parrocchiale di Carpignano. La chiesa era infatti più ampia di quanto non lo sia ora: gli atti di una Visita Pastorale del 1590 la descrivono a due navate, con due absidi e due altari; nel 1597 si precisa che le due navate erano divise da pilastri in muratura, e che le condizioni della chiesa erano molto precarie. A questo stato di cose si pose rimedio con il radicale restauro del 1681 che comportò l’abbattimento della navata laterale e della relativa abside, nonché il consolidamento delle pareti. La navata centrale non venne alterata nella sua struttura, tanto è vero che gli arconi a sesto acuto che ne scandiscono lo spazio sono gli originali risalenti a prima del secolo XVI. La navata laterale abbattuta si trovava probabilmente sul lato nord della chiesa, ove è visibile oggi una parte di muratura più recente, servita probabilmente a chiudere il passaggio tra navata centrale e navata laterale. La chiesa sorge su uno spiazzo di terreno rettangolare in posizione sopraelevata rispetto al terreno circostante e più largo di un paio di metri rispetto alla chiesa attuale (fatta eccezione per la zona absidale, costruita a ridosso della strada Biandrina); tutto ciò potrebbe indicare l’area – originariamente più estesa – sulla quale sorgeva l’antica chiesa.
L’interno è suddiviso in tre campate da tre arconi a sesto acuto in muratura, poggianti su pilastri di forma rettangolare. Gli arconi sorreggono una soffittatura a tavelloni sui quali poggia direttamente il tetto. L’abside è ampia (il diametro è superiore ai 6 metri) ed è coperta da una volta a cinque spicchi. Contro il muro, l’altare in muratura è decorato con stucchi in stile tardo cinquecentesco, risalenti però al 1680.
Sotto l’intonaco riemergono frammenti degli antichi AFFRESCHI, coperti con l’imbiancatura eseguita nel corso di un restauro settecentesco; i più notevoli sono quello sul muro meridionale raffigurante san Pietro, di epoca romanica, e, presso l’ingresso laterale, un affresco rovinato in più punti, datato alla fine del XV secolo, che ritrae san Francesco d’Assisi mentre riceve le stimmate; dietro di lui è raffigurata la chiesetta della Porziuncola. Il resto della decorazione pittorica è nascosto dall’intonaco; sull’abside si intravedono alcuni brani di una “Coena Domini”, dipinta nello stile della fine del Quattrocento, con alcuni caratteri della pittura più antica, visibili in particolare nel volto dell’Apostolo che affianca san Giuda Taddeo, sotto la seicentesca finestra di destra. Dopo il restauro del 1761, il pittore Alessandro Grassi di Borgosesia ridipinse il san Pietro sopra descritto, un affresco di san Paolo allora visibile sulla parete all’altro lato del coro, e motivi ornamentali.

Informazioni:
L’Oratorio di Santa Maria delle Grazie si trova  presso il Cimitero Comunale.

La chiesa di Santa Maria di Lebbia è situata lungo l’antica strada Biandrina, ora Via San Martino. Parrocchia, tel. 0321 825203

Link:
http://www.comune.carpignanosesia.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=20554
http://www.comune.carpignanosesia.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=20561
https://www.chieseromaniche.it/Schede/1575-Carpignano-Sesia-Santa-Maria-delle-Grazie.htm
https://www.chieseromaniche.it/Schede/1492-Carpignano-Sesia-Santa-Maria-di-Lebbia.htm

Bibliografia:
AA.VV, Carpignano Sesia, a cura dell’Associazione Turistica Pro Loco, Interlinea, Novara, 1997

Fonti:
Notizie tratte dal sito del Comune, fotografie dai siti sopra indicati.

Data compilazione scheda:
2/12/2006 – aggiornam. marzo 2014 e febbraio 2023

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Carpignano Sesia – Santa Maria di Lebbia – esterno
Carpignano Sesia-Santa Maria di -Lebbia – interno