Casale Monferrato (AL) : Duomo di Sant’ Evasio

Casale Monferrato - Duomo San Evasio (facciata)

Storia del sito:
Il duomo di Casale è stato oggetto nei secoli di pesanti ristrutturazioni che ne hanno alterato la struttura romanica ma, all’interno, sono custoditi capolavori assoluti dell’arte romanica piemontese come il nartece, i mosaici e una statua lignea raffigurante il Cristo realizzata nella seconda metà del XII secolo. 

Al momento della sua consacrazione nelle forme romaniche, ad opera di papa Pasquale II, il 4 gennaio 1107, la chiesa di S. Evasio aveva già alle spalle una lunga storia, che ne faceva uno dei luoghi più rappresentativi della regione; il mo­tivo stava forse nella figura stessa del santo cui era dedicata, un santo locale del quale si conservavano già allora le reliquie, una personalità il cui culto era radicato da secoli nella tradizione del popolo della regione. 
La particolare importanza e vivacità del culto di sant’Evasio e della comunità cristiana locale è confermata anche dalla presenza di documenti che riguardano la chiesa ben prima del 1000: una donazione di Igone, vescovo di Vercelli, del maggio 974, parla di una chiesa nella quale è sepolto il corpo veneratissimo dello stesso Evasio confessore; un’ulteriore donazione del 988 testimonia che la chiesa è già capopieve e ci informa che il luogo ove sorge è detto Casalis S. Evasii. Un dato che sembra contrastare con quanto sopra emerge dalla bolla di Innocenzo III del 1212, che elenca i diversi papi che prima di lui confermarono i beni del capitolo di S. Evasio: il primo di questa lista è Pasquale II, papa dal 1099 al 1118, lo stesso che consacrò nel 1107 la chiesa ricostruita in forme romaniche. Resta però attestato che già prima del 1000 la chiesa era officiata da un clero stabilmente residente; con tutta probabilità la ricostruzione romanica portò a una semplice riforma del capitolo stesso. 
Alla fine del XII secolo è testimoniata la costruzione del chiostro, voluta dall’imperatore Federico I. 
La chiesa fu poi gravemente danneggiata agli inizi del se­colo seguente, allorché una coalizione di vercellesi, astigiani e alessandrini distrusse Casale; in quest’occasione furono trafugate ad opera degli alessandrini le reliquie di sant’Evasio. La chiesa fu immediatamente ricostruita aumentandone l’altezza e allargandone il transetto. Nel 1403 vi furono solennemente traslate le reliquie dei santi Evasio, Natale e Proietto, riprese agli alessandrini, e nel 1474 Casale fu elevata a sede vescovile. 
Al secolo seguente risale probabilmente il crollo parziale del campanile, colpito da un fulmine.
Agli inizi del Settecento la chiesa subì un ammodernamento in stile barocco, che comportò il rivestimento di molte parti in stucco e l’intonacatura di quasi tutto l’interno, con la sola eccezione del nartece. Verso la metà del secolo seguente l’edi­ficio cominciò a mostrare segni di cedimento, e comparvero larghe crepe; fu nominata una commissione e fu consultato il più famoso architetto dell’epoca, l’Antonelli, il quale propose di abbattere la chiesa e di costruirne una nuova! 
Fu l’intervento del Rosmini, il grande filosofo, che evitò lo scempio, dissuadendo il vescovo; fu allora interpellato il Canina, altro noto ar­chitetto dell’epoca, che propose di riportare alla luce l’antica muratura. Alla sua morte, giunta dopo breve tempo, l’incarico di condurre in porto il restauro fu affi­dato al conte Edoardo Mella. Il suo restauro, grandemente criticato, non si di­staccava molto dalle linee della scuola ottocentesca, e comportava la ricostruzione dell’edificio nelle sue supposte linee originali, con alcuni interventi di “aggiusta­mento” che oggi appaiono inaccettabili ma che allora rappresentavano la norma. Così furono modificati i sostegni (colonne e pilastri) che in origine erano di tipi diversi e a volte asimmetrici, riducendoli a perfetta uguaglianza e simmetria; su di essi fu poi steso un intonaco grigio. Il Mella fece anche ricostruire le volte e le decorò con affreschi, smussandone poi i costoloni perché davano ombra alla decorazione; ricostruì infine la cupola e aprì alcune finestre sul lato settentrionale. Il danno forse maggiore fu la sostituzione dei capitelli scolpiti in pietra con esem­plari nuovi in stucco. La facciata asimmetrica — il versante destro è più stretto — è divisa in cinque parti, trasferendo così all’ester­no la suddivisione interna in cinque navate. È fiancheggiata da due alti campanili, anch’essi completati in fase di restauro; entrambi facevano parte della primitiva chiesa dell’XI secolo; abbattuti nell’assedio del 1218, furono ricostruiti subito do­po, e presentano ancora parti originali: quello di sinistra, detto di S. Evasio, fino all’altezza della galleria, quello di destra, detto del SS. Sacramento, fino all’altezza del loggiato. La cuspide di quest’ultimo fu aggiunta dal Mella, che li tinteggiò entrambi nell’attuale tinta bruno-rossastra.Il fianco settentrionale è interamente rifatto, almeno per le parti più visibili, mentre la parete laterale dell’atrio, in pietra tufacea, è ancora quella originale. 
A destra dell’abside si innalza una terza torre campanaria, che rivela anch’essa diverse epoche costruttive: i due ordini inferiori presentano la caratteristica spar­tizione romanica ottenuta tramite una lesena centrale che separa due riquadri en­tro i quali si apre una stretta feritoia; ciascun piano termina con il tipico motivo ad archetti ricchi. Gli ordini intermedi sono gotici, gli ultimi due ottocenteschi. La muratura della parte bassa, di fattura più grezza rispetto a quella della chiesa, testimonia l’anteriorità dell’epoca di costruzione del campanile. In origine la torre, che non è in asse con l’edificio, era da questo separata, e tale rimase fino alla ricostruzione del 1218, allorché la parte orientale della chiesa fu ampliata.
Un’altra torre si ergeva in origine sopra l’incrocio delle navate con il transetto; crollò parzialmente nel 1544 e fu sostituita un secolo più tardi dall’attuale cupola, impostata, come detto, sull’originale tamburo. Infine accanto alla chiesa, sul lato sinistro, sorgeva il già citato chiostro fatto costruire dal Barbarossa, che venne distrutto nel secolo scorso per consentire l’apertura della via Liutprando. 
Accanto alle parti più direttamente visibili risalenti ancora all’edificio consa­crato nel 1107 c’è tutta una serie di elementi accessibili solo agli stu­diosi, nascosti nei sottotetti dell’edificio. 
L’originaria chiesa di S. Evasio viene così ad evidenziarsi come una costruzione per molti aspetti diversa dall’attuale, sia nella pianta, che era a croce latina e priva di cappelle laterali, che nell’alzato, che soprattutto nella parte superiore presentava un aspetto lontano dall’attuale: il tetto esterno non era a due versanti continui come l’attuale, ma a salienti interrotti, la copertura interna era in legno a vista e non a volte, e la navata centrale riceveva luce da una serie di finestre — clerestory —poste in alto, sotto l’imposta del tetto. Con l’incendio questa parte alta della chiesa andò distrutta e fu ricostruita elevando le volte costolonate. All’esterno, la facciata principale è totalmente ri­fatta. 
Fortunatamente più rispettoso dell’antico si dimostrò il restauro del nartece, la cui struttura è ancor oggi pressoché integra.

Descrizione del sito:
Vasto ambiente rettangolare, coperto da una volta originalissima, percorsa da enormi archi a tutto sesto — due trasversali e due longitudinali — che si incrociano determinando una sorta di scacchiera di nove riquadri rettango­lari, coperti con volte a crociera con o senza costoloni, o a botte. Una simile rea­lizzazione non ha paragone nell’architettura romanica italiana; la sua origine è schiettamente orientale e richiama alcuni edifici armeni e, in ambiente più vicino, le moschee di Cordoba e di Tolosa (La Mezquita de Bib-Al-Mardum) datate al X secolo. Le sue pareti sono percorse, su tre lati, da una galleria con ampi finestroni che si affaccia sull’atrio stesso, con eleganti bifore e trifore; la parete che separa l’atrio dalla vera e propria chiesa è percorsa da un doppio ordine di aperture, cinque grandi arcate nell’ordine inferio­re e cinque in quello superiore, di altezza decrescente secondo il profilo della pa­rete. Fra queste ultime, solo la bifora all’estrema sinistra è originale, le altre sono tutte rifatte.

La muratura dell’atrio è in grossi conci di tufo ben squadrati e uniti con poca malta.
La critica è divisa riguardo alla datazione di questa parte dell’edificio; il Porter sosteneva che esso fosse posteriore alla primitiva chiesa, attribuendolo alla metà del XII secolo sulla base della presenza, sotto il tetto della chiesa stessa, di parti scolpite appartenenti alla originale facciata, sulle quali si nota l’interruzione causata dall’imposta degli archi dell’atrio. La Gabrielli al contrario sostiene che esso sia contemporaneo alla chiesa, perché nei travi del sottotetto sono ancora visibili tracce delle bruciature presumibilmente dovute al già datato incendio, e perché la decorazione scultorea presente nell’atrio è dello stesso tipo di quella che doveva comparire all’interno della chiesa, secondo i resti che ne rimangono visibili sempre nel sottotetto. 

Il duomo presentava in origine un vasto corpus di sculture, purtroppo in gran parte oggi scomparse o quasi illeggibili, localizzate tanto all’interno della chiesa quanto nell’atrio. La perdita più grave riguarda senza dubbio i capitelli dei pila­stri che separano le navate; appesantiti da aggiunte settecentesche, furono integral­mente sostituiti dal Mella. Tracce dell’originaria scultura sono rimaste nelle fine­stre del transetto primitivo, visibili nel sottotetto. Il motivo decorativo degli archi di tali finestre, a ovuli e festoni su colonnette sottili, con capitelli a fogliami — solo uno presenta un volto d’uomo — si ritrova tal quale nelle sculture dell’atrio. È proprio quest’ultima la zona ove è visibile in maggior quantità la decorazione originaria, nelle ghiere degli archi e nei capitelli delle colonnine che li reggono. Impressionante è la varietà dei temi decorativi impiegati, di­versi per ciascuno degli archi: girali, festoni, fogliami, figure umane ed animali. Particolarmente interessante la figurazione sugli archi della galleria del lato sini­stro dell’atrio, ove si trovano scene di lotta fra animali — un cavallo che ne calpe­sta un altro, un cervo che lotta contro un cane — e raffigurazioni simboliche — un girasole fra due pavoni e due colombi.
Nei capitelli dell’atrio è frequente l’impiego della tecnica a traforo nelle figurazioni umane ed animali: guerrieri, sirene, teste di gatto e cane, ecc. I lapicidi che realizzarono queste sculture, molto probabilmente, si trasferirono a Casale quando volsero al termine i lavori nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Vercelli. Non va dimenticato che all’epoca la chiesa dedicata a sant’Evasio, retta da un capitolo di canonici che seguiva la regola di sant’Agostino, dipendeva dalla diocesi di Vercelli e che “la comunità casalese con­quistò una definitiva consapevolezza della propria identità politica nella seconda metà del XII secolo, lottando per l’erosione di spazi di autonomia all’interno della do­minazione vercellese”. L’accresciuta potenza del borgo di Casale, la volontà di au­tonomia, i privilegi accordati alla chiesa dall’imperatore e dai marchesi del Monferrato sono stati più volte portati a sostegno di una datazione nella seconda metà del XII secolo per la costruzione di un corpo architettonico di eccezionale complessità come l’atrio di sant’Evasio. 
Le sculture del portale di Santa Maria Maggiore fanno pensare che proprio la città di Vercelli possa essere stata il centro propulsore ideale di repertori all’antica, poiché in tale sito non fu difficile agli scultori reperire esempi da imitare ancora visibili nei ru­deri degli edifici romani, oltre che nella stessa Basilica di Santa Maria Maggiore risa­lente al IV secolo, i cui materiali di spoglio servirono senza dubbio da modello per il nuovo edificio romanico. 
Il Crocefisso: stupenda statua lignea rivestita di lamine d’argento, è visibile sopra l’arcone est del presbiterio di sant’Evasio, benché questa non fosse la destinazione originaria. Sappiamo infatti che la croce fu sottratta dai casalesi alla Cattedrale di Alessandria, durante l’assedio del 1404. Dopo circa due secoli era vendicato il furto delle reliquie dei santi patroni di Casale, compiuto dagli alessandrini nel 1215. De Francovich, pur non essendo a conoscenza di quest’avvenimento, aveva proposto una datazione alla seconda metà del XII secolo che, tenuto conto della provenienza dell’opera, è possibile precisare intorno al 1170, anno in cui ha inizio la costruzione della Cattedrale di Alessandria, divenuta sede di diocesi a partire dal 1175. Di dimensioni leggermente inferiori rispetto alla croce di Vercelli, ne ricorda l’immagine per la monumentalità. 
I mosaici della Cattedrale di Casale Monferrato, scoperti sotto il presbiterio durante i lavori di restauro condotti tra il 1858 e il 1860, sono ora murati nelle pareti del deambu­latorio prossimo al presbiterio. A Casale il tessuto musivo si arricchisce di tessere colorate (rosse, gialle, azzurre, grigie e marroni) che macchiano vivacemente l’insieme della composizione; il mosaicista, per la prima volta, tenta di restituire il modellato delle figure servendosi delle diverse gamme della policromia. I contorni delle immagini sono segnati da una sottile linea di confine nera e poi ammorbiditi con una striscia di colore che si differenzia secondo i soggetti: azzurro o grigio per gli abiti, rosato per i volti e gli in­carnati, marrone per i cavalli. Lo spazio è riempito dai protagonisti, linee eleganti suggeriscono il movimento e l’agilità delle figure; i motivi ornamentali di matrice classica, che fanno da cornice alle scene, sono eseguiti con grande cura. I soggetti rap­presentati sono in parte relativi a storie bibliche (Giona ingoiato dalla balena, la lotta di Abramo contro i re cananei, Nicanore sconfitto da Giuda Maccabeo), in parte si rifanno alle interpretazioni dei testi di Plinio, fondamentali nel Medioevo, per le nozioni relative agli abitanti, reali e di fantasia, delle zone più remote della terra (il pigmeo e la gru, l’acefalus, l’antipodes); numerose sono anche le figure e le scene simboliche (la sfinge, il mostro dalle sette teste). Episodio isolato sembra quello del duello, facilmente acco­stabile al frammento, analogo per soggetto, presente a Vercelli. Sulla base di tale con­fronto Kingsiey Porter afferma che il mosaico di Casale, meno avanzato dal punto di vista stilistico rispetto a quello di Vercelli, può essere datato intorno al 1140.

Informazioni:
Tel. 0142 452219

Link:
http://www.comune.casale-monferrato.al.it – Cattedrale di Sant’Evasio

http://it.wikipedia.org/wiki/Duomo_di_Casale_Monferrato

http://it.wikipedia.org/wiki/Mosaici_del_duomo_di_Casale_Monferrato

http://www.medioevo.org/artemedievale/Pages/Piemonte/Casale.html

Bibliografia:
CHIERICI S., Piemonte, la Val d’Aosta, la Liguria, Jaca Book, 1979 AA.VV., Piemonte romanico, Banca CRT, 1994.

Fonti:
Foto tratte dalla pagina Wikipedia: Duomo di Casale Monferrato

Data compilazione scheda:
15 settembre 2004 – aggiornamento giugno 2014

Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Casale Monferrato - Duomo San Evasio (interno)