Castelletto Sopra Ticino (NO) : La civiltà di Golasecca e l’area archeologica
Storia del sito:
La civiltà di Golasecca si sviluppa nel territorio dell’Italia nord-occidentale, dando vita ad importanti centri anche in territorio piemontese, in un periodo compreso tra il IX e il IV secolo a.C.
Il nome deriva dalle scoperte dell’archeologo e studioso Giovanni Battista Giani (1788-1857) avvenute agli inizi dell’Ottocento nel Comune di Golasecca.
Di origine celtica, questo popolo aveva una struttura sociale organizzata per gerarchie e divisa in villaggi sparsi sul territorio nei pressi dei luoghi di ritrovamento delle necropoli; praticava l’agricoltura, la tessitura e l’allevamento. S’insediò in un’area d’importanza strategica lungo i percorsi che conducevano al San Bernardino, al Gottardo e al Sempione, sviluppando scambi commerciali con etruschi e greci, testimoniati da alcuni oggetti d’importazione, rinvenuti nei corredi.
Gli unici indizi che raccontano della vita e della cultura dei golasecchiani provengono dalle loro tombe, ritrovate in quantità nella zona di Sesto Calende, Golasecca e Castelletto Ticino. Le principali aree dei ritrovamenti della cultura di Golasecca sono situate, oltre che lungo la sponda lombarda e piemontese del fiume Ticino, anche nei dintorni di Como e di Bellinzona.
Tra il X e l’VIII sec. a.C. si assiste ad una progressiva riorganizzazione del popolamento nell’area del basso Verbano, con il graduale emergere di aggregati insediativi di notevoli dimensioni e di eccezionale densità abitativa, non giustificati dalle tradizionali risorse ecosistemiche del territorio. Con il IX sec. a.C., all’interno di un areale coerente, in cui non manca la dispersione di insediamenti minori, sono ormai ben individuabili i due poli di Arona e Castelletto Ticino. L’abitato di Arona si organizza a terrazzi sulle pendici meridionali della Rocca, in una posizione che mostra stretta continuità fino all’età romana, mentre l’abitato di Castelletto Ticino, che nel VII-VI sec. a.C. raggiungerà le dimensioni di un centro protourbano, occupa tutto il promontorio proteso sull’ansa del Ticino ed articola la sua esistenza, a parte sopravvivenze minori, nel solo ambito della cultura di Golasecca (IX-V sec. a.C.).
Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
A Castelletto, i villaggi, dapprima sparsi e con piccole necropoli vicine, distesi ad occupare in modo discontinuo il promontorio e gli scali a fiume, si organizzano tra VIII-VII sec. a.C. in un centro sempre più omogeneo ed articolato tra scali per la navigazione (Briccola, Novelli, Riviera, Dorbié) ed aree abitative più elevate, prive comunque di fortificazioni e per lo più obliterate in età medievale e moderna, con l’importante eccezione dell’area della Mirabella.
La densità abitativa e la ricchezza degli abitati di Castelletto, come del resto degli altri centri golasecchiani della zona, confermano l’importanza acquisita dalla navigazione sul Ticino-Verbano per la gestione dei traffici tra il mondo etrusco-italico ed i ricchi principati protoceltici transalpini.
Sulla base di stime ragionevoli derivate dal numero delle tombe, si può pensare che nel VI sec. a.C. Castelletto Ticino raggruppasse almeno tremila abitanti in più nuclei, la cui divisione era favorita dall’andamento non pianeggiante del territorio, organizzati tra loro e in via di progressiva unione (sinecismo) secondo modelli tipici per la formazione di centri proturbani ed urbani. Un simile addensamento demografico, il più grande del Piemonte nell’età del Ferro, non si spiega solo con la funzione commerciale: un centro simile per sopravvivere doveva esercitare, proprio come un nucleo urbano, l’egemonia su un ampio territorio circostante, indispensabile anche per i rifornimenti dei generi di prima necessità. Anche l’attività commerciale non è sufficiente a spiegare, in un territorio a scarsissima vocazione agricola, l’impiego di tante persone, pur ammettendo la necessità di un complesso sistema di supporto e assistenza alla navigazione e la concentrazione a Castelletto Ticino (come ancora nel Medioevo con le corporazioni dei “navaroli”) di piloti che esercitavano il commercio lungo tutto il corso del fiume e anche oltre.
LE NECROPOLI
La documentazione largamente maggioritaria per la conoscenza della cultura di Golasecca è costituita dai corredi tombali; infatti, fin dal secolo scorso, le ricche e numerose necropoli del basso Verbano sono state sottoposte a scavi più o meno sistematici e regolari, mentre gli interventi negli abitati sono molto più rari e quasi tutti realizzati in epoche recenti.
Fin dall’VIII secolo nell’area di Castelletto Ticino le necropoli hanno teso a concentrarsi ad Ovest del solco del rio Valleggia (attualmente occupato dalla ferrovia) distendendosi a ferro di cavallo attorno al promontorio occupato dagli insediamenti, articolandosi in piccoli nuclei sparsi.
L’alta densità abitativa si riflette nelle migliaia di tombe individuate, molte delle quali violate o danneggiate da tempo: i corredi superstiti ci forniscono molti dati sul livello economico e sull’organizzazione sociale del più importante centro della facies occidentale della cultura di Golasecca.
La comparsa della scrittura con il VII secolo, nel graduale adattamento di un alfabeto d’origine etrusca alla locale lingua protoceltica, è stata di recente confermata dalla scoperta di un’iscrizione onomastica (Chosioiso = di Chosios) della prima metà del VI secolo in località C.na Baraggia di Castelletto: si tratta della più antica iscrizione celtica conosciuta. Dall’esame dei corredi tombali si evidenzia che con il VII-VI secolo l’importazione di beni pregiati, forse in parte doni, come vasellame bronzeo ed armi di produzione etrusca e italica, bucchero, vino, si lega alla crescita dell’artigianato locale ed all’adozione d’usi e rituali di tipo gentilizio (rituale del banchetto, distinzione di strutture tombali e corredi, uso di vasellame da mensa ed arredi particolari, brucia profumi…) che concorrono a tracciare un quadro d’evoluzione culturale e sociale che inserisce, a pieno titolo, l’areale golasecchiano tra i gruppi dell’età del ferro dell’Italia antica. Di particolare rilevanza risulta la necropoli di San Bernardino di Briona, per l’organizzazione a tumuli ai fianchi di una strada in terra battuta con suddivisioni legate probabilmente a clan familiari (VI-V sec. a.C.).
Le tombe golasecchiane nel territorio castellettese sono sempre a cremazione, realizzate, per le prime fasi, con pozzetto in nuda terra, con l’urna contenente le ceneri e spesso il bicchiere, coperta semplicemente dalla ciotola e circondata dalla terra di rogo e, qualche volta, dai frammenti di un vaso situliforme in ceramica domestica rotto ritualmente; al di sopra, qualche volta, è collocato un grosso ciottolo con la funzione di protezione e, probabilmente, di segnacolo.
Tra VII-VI secolo, con l’aumentare degli elementi di corredo, si diffonde l’uso di protezioni intorno al pozzetto, realizzate con ciottoli, con scaglie di pietra o con vere e proprie cassette (ciste) di lastre. Le tombe più ricche in questo periodo si distinguono per la presenza di un tumulo, più o meno elevato, con camera mortuaria in ciottoli, come la ricca tomba del bacile bronzeo in località Fontanili o il tumulo della Croce di Pozzola, o di un cassone monumentale di lastre di serizzo, con lastroni lavorati lunghi anche oltre due metri (tomba Valli, in località Motto della Forca).
A volte è stato possibile riconoscere alcuni segnacoli tombali, costituiti da ciottoli affioranti, ma non è finora provata la presenza di vere e proprie stele sulle tombe più ricche. Sempre da Castelletto proviene una stele-menhir, ora depositata presso il Museo di Varese. La cremazione avveniva in un punto lontano dalla sepoltura, mentre il trasporto dell’urna con le ceneri diventava, probabilmente, una vera e propria processione funebre. Resti di offerte al di fuori della tomba, oltre alla presenza tra le ceneri del rogo di resti di animali arrostiti, suggeriscono la ritualità di banchetti funebri, ripetuti probabilmente anche successivamente alla sepoltura. Le vaste necropoli golasecchiane hanno contrassegnato il nostro territorio anche nella toponomastica e nelle tradizioni popolari. Spesso riferite alle “streghe”, esse hanno alimentato, come in altre aree europee, le leggende e le superstizioni che, attraverso il collegamento con le descrizioni bibliche dei sacrifici nel fuoco di bambini nei culti cananei con la deposizione delle ceneri in vasetti in apposite aree (tofet), attribuivano culti pagani-demoniaci ed il rapimento di bambini (fine VII sec. a .C.) alle streghe e agli ebrei. Toponimi come “motto dei pagani”, “motto delle streghe”, “dosso degli ebrei” ricorrono nel Piemonte orientale e spiegano bene la diffusione di un pregiudizio che, dal Trecento alla Controriforma, ha caratterizzato i processi dell’Inquisizione in Francia ed in Italia, in cui non a caso ricorrevano per le definizioni demoniache i nomi cananei, come Belzebù (Baal zebub) o Astarotte (Astarte).
La crisi della cultura di Golasecca
Nel V sec. a.C. l’improvviso spopolamento degli abitanti di Castelletto Ticino sembra evidenziare l’insorgere di una crisi legata probabilmente a molteplici fattori. Le ricostruzioni recenti sembrano suggerire profonde modificazioni nel livello del Verbano e nel flusso di uscita delle acque del Ticino, con una risalita del lago fino alla sommersione di fasce insediate, se i paleosuoli degli abitati mostrano anche un certo collasso per il degrado dei versanti, forse legato alla eccessiva densità abitativa ed al radicale disboscamento su suoli secca instabili, un qualche ruolo possono avere avuto nel crollo del sistema insediativo, commerciale ed economico, ruotante intorno a Castelletto ed alla via fluviale Ticino-Verbano, anche i primi sporadici arrivi di gruppi gallici non indiziati ancora da tracce archeologiche di distruzioni, ma dal diffondersi di alcuni elementi tipologici e culturali.
Luogo di custodia dei materiali:
I reperti rintracciati in questa zona sono oggi conservati in particolare presso il Museo Archeologico di Torino, i musei Civici Archeologici di Domodossola, Milano, Arona, Varese, Sesto Calende, Novara, Golasecca (VA).
Area archeologica:
Nel Parco Comunale “Giovanni Sibilia” è stata realizzata un’Area archeologica dove è possibile visitare due recinti circolari e uno rettangolare, in ciottoli di fiume, provenienti dalla necropoli golasecchiana di Via del Maneggio, in località Croce Pietra, scoperti nel corso degli scavi effettuati tra il 2001 e il 2003 e databili tra il IX e l’VIII secolo a.C. Un altro significativo esempio di sepoltura monumentale è costituito da una tomba femminile a cassone litico, risalente alla fine del VII secolo a.C., venuta alla luce in località Motto Falco e collocata nel parco nel 1986. Nell’aprile 2009 è stata ricostruita, davanti all’ingresso della Biblioteca civica, una nuova sepoltura in grandi lastre di pietra proveniente dalla necropoli di Via Ardeatine che si data tra la fine del VII e la seconda metà del VI secolo a.C.
Nei pressi vi è un apposito riparo che protegge due stele imponenti venute alla luce nel 1997 all’inizio di via Beati. Una, decorata a coppelle su entrambe le facce, era probabilmente in posizione verticale; l’altra, coppellata e incisa con segni ad ascia su una sola superficie, era presumibilmente posta in senso orizzontale con funzione di altare per offerte liquide.
Informazioni:
Info Gruppo Archeologico Castellettese tel. 0331 971303, email: info@gsac.it oppure Comune tel. 0331 971901
Links:
https://www.gsac.it/?page_id=264
http://it.wikipedia.org/wiki/Castelletto_sopra_Ticino
GSAC -areaarcheologica_pannello_1.pdf
GSAC -areaarcheologica_pannello_3.pdf
Bibliografia:
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Fonti:
Fotografia in alto tratta nel 2014 da www.lakesandalps.com
Data compilazione scheda:
12/11/2004 – aggiorn. marzo 2014 e 2024
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Simona Vigo – G. A. Torinese