Caselette (TO) : Villa romana

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Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
Negli anni 1969-72 vennero individuati ad opera di privati numerosi resti di età romana. Ciò portò all’indagine, a partire dal 1973, di una vasta villa con carattere prevalentemente rustico, una delle prime esaustivamente indagate in area piemontese. Gli scavi sono stati condotti dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Antropologiche, Archeologiche e Storico Territoriali dell’Università di Torino (direzione scientifica della Prof. G. Cantino Wataghin). Residenza di un proprietario terriero l’edificio non sembra possedesse caratteri di lusso (anche se alcuni ambienti erano pavimentati con piastrelle di marmo) mentre è rilevante per la superficie occupata dalle strutture finora focalizzate (circa 3400 mq di cui solo una parte, 750 mq, è stata indagata dallo scavo).
Si tratta di un organismo quadrangolare in cui i due gruppi principali di ambienti si dispongono sui lati settentrionale e meridionale, ad una distanza di circa 35 m. I pavimenti erano costituiti di un acciottolato cui era sovrapposto uno strato di frantumi di magnesite e uno di frantumi laterizi. In alcuni casi era stata aggiunta anche una rifinitura di piastrelle di marmo.
L’edificio denuncia tre fasi costruttive principali tra fine I secolo a.C. e metà II secolo d.C., individuate dai risultati dei saggi stratigrafici e dai materiali rinvenuti:
– la prima seguì di pochi anni la deduzione della colonia di Augusta Taurinorum, non posteriormente alla fine del I secolo a.C. A questa fase si riferiscono due vani di estensione non precisata;
– la seconda, dei primi decenni del I sec. d.C., vede la costruzione di un grande edificio organizzato secondo uno schema che rimane definitivo, anche se con alcuni ampliamenti, durante la terza fase:
– la terza è una ricostruzione in seguito a un crollo, databile alla fine del I sec. d.C. L’edificio assume il suo aspetto definitivo con un’estensione verso occidente e la divisione in due settori aventi in comune il portico.
La villa sembra sia stata abbandonata nella seconda metà del II sec. d.C.: al suo crollo si sovrapporranno in parte alcuni modesti ambienti di III secolo, limitatamente all’area nord-occidentale. Le strutture visibili sono quelle riferibili alla terza fase: due gruppi di vani collocati a quote diverse ma con lo stesso orientamento lungo i lati nord e sud di una vasta area scoperta, e collegati lungo i lati est e ovest da muri con andamento nord-sud, forse appartenenti ad ambienti minori. I muri conservati in alzato per circa 50-60 cm sono stati realizzati in spezzoni di pietra e ciottoli, deposti con cura e legati da argilla naturale che ha quasi ovunque sostituito la malta originaria. L’interro delle strutture è minimo a causa della fortissima azione di dilavamento cui è sottoposta la zona. Gli ambienti sembrano avere carattere residenziale, tuttavia nel loro insieme hanno un aspetto “rustico”, privo delle rifiniture classiche (intonaci, mosaici pavimentali).
La ricostruzione del complesso della villa, sembra indicare un’organizzazione per nuclei distinti attorno a una vasta area centrale e con il nucleo principale avente un portico che ne costituisce la facciata. Tutti i vani scavati (compresa la corte centrale) erano coperti, come testimoniano i crolli del tetto ritrovati immediatamente sopra i pavimenti. Le dimensioni e lo schema planimetrico trovano confronti con soluzioni presenti nell’architettura gallo-romana, ma sono anomale rispetto alle ville italiche. Si tratta di una villa importante, in connessione con il mondo transalpino data l’ubicazione ai margini della strada che da Torino raggiunge i valichi alpini dell’alta valle di Susa. Il rinvenimento di anfore vinarie spagnole di I secolo d.C. testimonia un certo scambio commerciale. Di alcuni locali si riesce ad ipotizzare un utilizzo grazie alle caratteristiche evidenziate. È il caso delle cucine, individuate per la presenza di due focolari, o di un ambiente destinato alla macerazione e alla decantazione dell’argilla. Nel locale si trova infatti una piccola vasca di m. 1,60 x 1,85 circa, riconoscibile da un filare di pietre e dalle pareti intonacate con opus signinum. Intorno si sviluppa un sistema di canaline per il drenaggio dell’acqua. Alcune testimonianze sembrano riferire che l’argilla della zona venisse sfruttata nella villa per la fabbricazione in loco della ceramica, circostanza comune a molte ville romane. Alla seconda fase appartengono una serie di vani forse con utilizzo collegato, tra cui un ambiente con suspensurae, due vani con vasche rispettivamente semicircolare e rettangolare, altri due con caratteristiche non precisabili. Probabilmente si tratta di un piccolo complesso termale, eliminato nella terza fase e sostituito da vani di maggiori dimensioni. Il rinvenimento di scorie di fusione e la constatazione della notevole omogeneità delle forme ceramiche hanno fatto ipotizzare l’esistenza di officine artigianali, in grado di consentire una parziale autosufficienza del complesso residenziale, la cui prevalente struttura economica deve essere stata legata all’agricoltura e all’allevamento del bestiame.

Il materiale non è molto abbondante e tranne rari frammenti non è posteriore al II secolo d.C. Si tratta in prevalenza di ceramica comune, tra cui spiccano numerosi frammenti decorati, anche se sono motivi molto semplici sia dal punto di vista tecnico che compositivo: né la tipologia né le caratteristiche né la decorazione possono essere considerati elementi di datazione assoluta. La ceramica fine sembra più frequente nel I secolo che nel II (ceramica a vernice nera imitazione della ceramica campana prodotta probabilmente nella Valle Padana, terra sigillata, ceramica a pareti sottili). Tra le importazioni di inizio I secolo sono presenti ceramiche centro-italiche e centro-galliche. Questo centro residenziale-agricolo, già in difficoltà verso la fine del II secolo, cessò definitivamente la sua attività durante i primi decenni del III. Il processo di incardinamento dei militari nelle terre in cui avevano prestato servizio, comportò il monopolio agricolo dello Stato, e il disamore e la fuga dei contadini. È una situazione differente da quella di Almese. Qui la villa si articola in corpi di fabbrica disposti intorno ad una vasta area scoperta, mentre ad Almese si tratta di una struttura a corpo principale unico: diverse sono anche le tecniche costruttive e l’apparato decorativo, diversa probabilmente la base economica.

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Luogo di custodia dei materiali:
Museo di Antichità (Archeologico) di Torino, via XX Settembre

Informazioni:
In località Farchetto, a circa un chilometro a N dal centro abitato, sulla sinistra di Via Val della Torre in direzione di  Grange di Brione. Tel. 011 9688216 , email: comune.caselette.to@legalmail.it

Link:
http://archeo.piemonte.beniculturali.it/index.php/it/musei/aree-archeologiche/70-aree-arch-prov-di-torino/347-villa-romana-di-caselette

http://www.vallesusa-tesori.it

Bibliografia:
LANZA E., MONZEGLIO G., 2001, I Romani in Val di Susa, Ed. Susa Libri, pp. 92-97
MERCANDO L. (a cura di), 1998, L’età romana, in Archeologia in Piemonte, Umberto Allemandi Ed.
AA.VV., 1977, La villa romana di Caselette. Risultati e problemi di uno scavo in corso nel territorio di Augusta Taurinorum (catalogo della mostra)

Fonti:
Fotografia dal sito: http://www.vallesusa-tesori.it

Data compilazione scheda:
13 ottobre 2002 – aggiornam. maggio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gabriella Monzeglio – Gruppo Archeologico Torinese