Busca (CN) : Cappella di Santo Stefano e ruderi del Castellaccio
Storia del sito:
Sul poggio che domina la piana ai piedi della valle Maira sorsero in epoca romana una torre e un “castrum” che, dopo il 1138, venne ampliato e divenne dimora dei marchesi del Vasto di Busca (poi Lancia, dal soprannome di Manfredo). Di quel castello sono rimasti soltanto alcuni ruderi, noti con il nome locale di “Castellaccio”. Del complesso castrense fa parte la cappella di Santo Stefano, sorta alle origini del cristianesimo locale tra i secoli VI e X, per la comunità formatasi attorno al castello. E’ presumibile che in origine la cappella fosse dipinta anche sulle pareti, forse andate perdute nel sec. XVI con l’abbattimento dell’adiacente Castello Superiore (il Castellaccio) o per le ristrutturazioni del 1700, quando la copertura a capriate fu sostituita con l’attuale volta in muratura e fu elevato il campanile in luogo di quello precedente, probabilmente a vela.
Il sito e alcuni elementi architettonici, in particolare la struttura absidale, il sacello preesistente inglobato nella cappella, (scoperto nel corso dei restauri) e la stessa intitolazione al primo martire stanno a testimoniare l’antichità e l’importanza della cappella, citata nel 1216 come parrocchia e sede del Vescovo nelle visite pastorali. Dell’antico edifico resta la splendida abside affrescata dai fratelli Biazaci.
Il Comune nel 1998 ha promosso il restauro del ciclo affrescato.
Descrizione del sito:
Nella CAPPELLA DI SANTO STEFANO gli AFFRESCHI absidali sono opera dei fratelli Tommaso e Matteo Biazaci, pittori predicatori itineranti, originari di Busca. L’opera si colloca alla metà del ‘400 e racconta la vicenda del martire con riferimento ai capp. 6,7 degli Atti degli Apostoli e si compie in quattro riquadri commentati, nei cartigli, con i dialoghi tratti dal capitolo “De Sancto Stefano” della “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine (1264 circa).
La prima scena presenta una donna col suo piccolo che, alla benedizione del santo, riprende vita; al di sopra il cartiglio in latino. Accanto alla donna tra il gruppo dei popolani, il tocco caratteristico, l’uomo con la ghironda che osserva la scena. Nella seconda scena, Stefano dimostra ai Giudei che lo interpellano la salvezza operata da Cristo. Gli interlocutori, non sapendo resistere alla sua forza, convocano falsi testimoni per accusarlo. La terza scena rappresenta il martirio di Stefano colpito dalle pietre. Gli uccisori hanno deposto il mantello, come dicono gli Atti, presso un giovane su cui figura il cartiglio che dice “Hic est Saulus qui vocatur Paulus” (Questo è Saulo chiamato Paolo). Sopra santo Stefano un cartiglio scritto in italiano riporta il suo perdono espresso con le parole di Gesù, come scrive Jacopo da Varagine: “Padre in le tue mane recomando lo spirito mio. Padre perdona a quili che non sano che ce faceno”. Nella quarta scena è rappresentata l’inumazione; lungo il bordo superiore del sepolcro è riportato il nome dei due discepoli che danno sepoltura: Gamaliele e Nicodemo.
Nell’arco trionfale dell’abside vi è una Annunciazione, con l’Angelo e Maria ai due lati. Al centro dell’arco appare Cristo in Pietà tra Maria e Giovanni piangenti.
Il restauro ha restituito elementi nuovi: la bella cornice che si snoda a spirale, le figure laterali all’imposta dell’arco, interrotte dalla parete, così da lasciar presupporre che il racconto per immagini proseguisse anche sulle pareti laterali originali. La narrazione è condotta con segno limpido e preciso e, seppure legata al Gotico Internazionale, non ne ha tuttavia le asprezze. L’impasto cromatico è morbido e delicato; i volti sono resi con precisione e sono pervasi di profonda spiritualità. Anche nei momenti drammatici, mancano nei Biazaci gli accenti violenti di altri artisti coevi.
Gli affreschi del catino absidale raffigurano la consueta iconografia del Cristo risorto rappresentato nella mandorla iridata e circondato dai simboli dei quatto Evangelisti (il bue Luca, l’angelo Matteo, l’aquila Giovanni, il leone Marco) accompagnati dal cartiglio con un versetto del loro vangelo. Però un inconsueto cielo sfumato verso l’orizzonte commenta prospetticamente la composizione creando uno spazio che diventa novità nell’opera tardogotica. La composizione sovrasta la bella figura di Maria in trono col Figlio Gesù.
Del “CASTELLACCIO” si notano chiaramente tre fasi costruttive: la più antica è costituita dalla torre a base poligonale costruita da conci perfettamente squadrati; attorno ad essa girava un muro che posava sopra una risega di base composta di pietre molto grosse e ben squadrate. Il castrum racchiude una superficie di 1500 mq. A nord il nucleo murario è separato dal pianoro da un profondo fossato scavato nella roccia a scopo difensivo. Questo tratto conserva un paramento di masselli a “opus certum” di fattura molto accurata. Alcuni elementi, tra i quali il ritrovamento di una moneta d’argento del I sec. a.C., confermerebbero l’ipotesi che fa risalire il “castrum” all’epoca romana repubblicana. Incerta è la datazione degli altri muri superstiti, costruiti con ciottoli fluviali del Maira inseriti nella muratura con struttura a lisca di pesce.
Informazioni:
Da piazza F.lli Mariano si imbocca la strada che porta all’Eremo. A 500 metri si incontra il parco “Ernesto Francotto”. Si giunge poi su un poggio ove sorgono i ruderi del “Castellaccio” e la cappella. Comune, tel. 0171 948611
Links:
http://www.arteefede.com/articoli/articolo.php?file=C26%20S.%20STEFANO.htm
Bibliografia:
PICCAT M., Antiche iscrizione in volgare. I cartigli delle chiese di S. Stefano e S. Sebastiano di Busca, B.S.S.S.A.A .Prov. di Cuneo, TT. IV-VII, N° 78, 1978 P. 5,13
FINO F.; LOVISOLO M., Guida storico-artistica di Busca, Busca CN, 1998
Fonti:
Notizie e fotografie tratte dai siti sopra indicati.
Data compilazione scheda:
20/12/2007 – aggiorn. luglio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese