Grazzano Badoglio (AT) : antica abbazia di San Salvatore/chiesa dei Santi Vittore e Corona

GRAZZANO B.abbazia -sitocomune

Storia del sito:
Secondo Vincenzo De Conti (Notizie storiche della città di Casale, v. I, 1838), l’abbazia di Grazzano sarebbe stata fondata dal conte Guglielmo, padre di Aleramo, nell’anno 912. Più verosimilmente, la fondazione avvenne a opera dello stesso Aleramo tra il 950 e il 960 sulla sommità della collina ove presumibilmente si trovava l’antico castrum. Aleramo fu creato marchese per intercessione della moglie Gerberga, figlia di re Berengario II. Nell’agosto 961 il marchese, con la moglie e i due figli Oddone e Anselmo, dotò l’abbazia “ante hos dies aedificavimus in propriis rebus nostris in loco et fundo Grazani infra castrum ipsius loci”, intitolata al Salvatore, alla Madonna e ai santi Pietro e Cristina, di tre “curtes” (villaggi) e dieci “massaricia” (cascine) in Monferrato e la affidò alle cure dei Benedettini. Con atto rogato 23 marzo 967, Aleramo veniva investito dall’imperatore Ottone I di un vasto territorio di 16 curtes situate tra i fiumi Tanaro e Orba e fino al Mar Ligure e decedeva poco dopo (comunque prima del 991) e secondo la tradizione era sepolto nell’abbazia di Grazzano, probabilmente sotto al porticato antistante l’antica chiesa.
Nel 1156 il marchese Guglielmo e la sposa Iulita confermarono i possedimenti abbaziali e ne concesse di nuovi. In quest’epoca l’abbazia risultava intitolata ai santi martiri Vittore e Corona, il cui culto sarebbe stato importato in occidente dai Crociati. Secondo una tradizione ricevette reliquie dei Ss. Vittore e Corona, conservate oggi sotto l’altare maggiore. Per rimarcare la sua relativa indipendenza dal potere ecclesiastico vercellese, gli Aleramici la posero alle dirette dipendenze del vescovo di Torino.
L’importanza politica ed economica, oltre che religiosa, dell’abbazia grazzanese crebbe notevolmente tra XII e XIII secolo, quando l’abate entrò spesso in contrasto con i signori delle località limitrofe. All’inizio del Quattrocento i Benedettini che la gestivano adottarono la riforma cassinese (detta “di Santa Giustina”). All’inizio del ‘500 i monaci lasciarono Grazzano e capo dell’abbazia divenne un abate commendatario, che risiedeva altrove e gestiva il potere locale, sia spirituale che temporale, per mezzo di un suo vicario e di vari agenti. Ancora alla fine del secolo XVIII, spettava all’abate di Grazzano nominare il giudice, il segretario e i vari ufficiali di giustizia, alla stregua di un vero e proprio feudatario. La nomina dell’abate era infatti di prerogativa dei marchesi di Monferrato e poi, dal 1708, dei sovrani sabaudi.
La dotazione del complesso abbaziale si fece via via sempre più imponente: l’abate possedeva in paese un palazzo, due botteghe, una casa e un mulino a cavalli, poi due orti con giardino e tre cascine. Un’altra cascina (detta ancora oggi “la Badia”) possedeva in territorio di Penango (ora Moncalvo) e vari beni sparsi a Serralunga, Castellino e Ottiglio.
L’ultimo abate venne nominato nel 1784 nella persona di Nicolas de Saint Marcel, nativo di Annecy in Savoia, che offrì ospitalità ai Benedettini del monastero francese di Tamiè scacciati dai rivoluzionari sul finire del secolo. Nel 1802 la secolare abbazia aleramica venne soppressa dalla legislazione napoleonica e i suoi beni, ad eccezione della chiesa e del palazzo abbaziale, offerti all’asta: da tali vendite nacque la fortuna economica e sociale di alcune famiglie locali, in precedenza semplici dipendenti dell’abate. Tornato in Savoia nel 1808 l’abate di Saint Marcel, la cura d’anime venne affidata a vari vicari temporanei, finchè nel 1843, risultando impossibile la reintegrazione dell’abbazia, il potere regio nominò il primo vicario perpetuo, titolo che ancora oggi spetta al parroco di Grazzano Badoglio.

Oggi l’ex chiesa abbaziale è sede della Chiesa Parrocchiale dei Santi Vittore e Corona, appartenente alla Diocesi di Casale Monferrato.

Descrizione del sito:
La facciata nelle forme attuali risale alla metà dell’Ottocento, allorchè il vicario don Bonasso intraprese vasti lavori di rifacimento del complesso abbaziale semiabbandonato da mezzo secolo.
In epoca medievale vi era addossato un porticato (peristylium), abbattuto alla fine del secolo XVI; nel muro era infissa la lapide romana ora conservata nella vecchia casa parrocchiale.
Negli anni ’30 del Novecento altri lavori vennero compiuti dal parroco don Coggiola, finanziati dal maresciallo Badoglio. Il portale ligneo risale al 1766 ed è stato restaurato nel 1972: dell’originale restano solo alcuni pannelli in rovere. La parte superiore venne aggiunta nel 1932, quando si abbassò il pavimento di circa un metro. L’interno è a navata unica in stile barocco con tre cappelle per lato; risale al 1580, quando la chiesa venne ingrandita.

Nella cappella della Madonna del Rosario (seconda da destra) è conservata la tomba di Aleramo, con un prezioso FRAMMENTO DI MOSAICO PAVIMENTALE BICROMO a tessere bianche e nere, datato alla prima metà del XII secolo. Rappresenta due animali fantastici affrontati: a destra un felino con una folta criniera e a sinistra un essere alato con sul capo un berretto frigio.
Alle pareti due affreschi attribuiti a Guglielmo Caccia detto il Moncalvo 1568–1625. Una lapide ricorda la traslazione delle ossa di Aleramo dal peristilio della chiesa vecchia, avvenuta nel 1581. Un’altra scritta fa memoria della ricomposizione dei suoi resti nel 1932, durante i lavori promossi dal parroco don Coggiola.

IL CAMPANILE in stile romanico nella parte inferiore, ha archetti pensili, colonnine e una loggetta cieca; nel 1910 fu rinforzata e rialzata di 5 metri su progetto dell’ingegner Crescentino Caselli, dopo un parziale crollo avvenuto nella notte del 30 settembre 1907. Di forma quadrangolare, ha il lato esterno di 7 metri e lo spessore dei muri è di 2 metri.
Il chiostrino interno, molto rimaneggiato per interventi successivi e ora in fase di attento restauro conservativo, è ciò che resta, con il campanile, dell’originale abbazia aleramica. Il tiburio venne edificato nel sec. XIX; nel 1998 un fulmine ne danneggiò il pinnacolo, ricostruito l’anno dopo.

Descrizione del materiale esposto:
Al piano terreno della vecchia casa parrocchiale si conserva la lapide funeraria romana del II secolo d.C. Questo monumento fu apposto dall’ancora vivente T. Vettius Hermes, il cui cognome di origine greca ne denomina la condizione di liberto e ne indica la professione di commerciante di profumi (seplasarius). La lapide riporta il suo testamento in cui dispone che i suoi eredi, i quali usufruiranno dei suoi orti e custodiranno le sue ceneri, portino in perpetuo rose alla sua tomba nell’anniversario della sua morte e che la proprietà non venga nè frazionata nè divisa. Nella parte alta della lapide sono scolpiti il timpano inquadrante un vaso di uva e due uccelli nell’atto di beccare. Sugli spioventi del timpano ci sono due delfini lavorati in bassorilievo. Sotto corre una fascia liscia alle cui estremità ci sono le lettere V.F (Vivus Fecit) cioè “fatto mentre era in vita”. Più sotto si notano due lesene con aste e un fregio con motivi di festoni e teste di bassorilievo quasi completamente abrase che inquadrano l’iscrizione che recita: “V(ivus)f(ecit) T.Vettius T.l.Hermes seplasarius Mater genuit materq (ue) recepit. Hi horti ita uti o (ptimi) m(aximi) que sunt cineribus servite meis: nam curatores substituam , uti vescantur ex horum hortum natale meo et per [fortasse] fer (ant) rosam in perpetuo. Hos hortos neque dividi volo neq(ue) abalienari”.
Vedi altre fotografie al sito 2.

Informazioni:
Parrocchia tel. 0141 925123

Links:
http://www.comune.grazzanobadoglio.at.it

http://www.comune.grazzanobadoglio.at.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=16956

http://it.wikipedia.org/wiki/Grazzano_Badoglio

Fonti:
Fotografia in alto dal sito del Comune; foto in basso da Wikipedia.

Data compilazione scheda:
6 luglio 2012 – aggiornam. luglio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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