TORINO : Chiesa di San Domenico
Storia del sito:
L’edificio di culto e le abitazioni dei religiosi hanno origine nella seconda metà del XIII secolo, con l’insediamento dell’ordine domenicano a Torino al seguito di fra Giovanni, proveniente dal convento milanese di S. Eustorgio (noto come Giovanni da Torino). Sebbene non si conosca la data precisa della loro fondazione, il primo documento che attesti l’esistenza di una famiglia domenicana in città risale al 1278. Il primitivo sacello era ad aula unica, disposto trasversalmente rispetto alla chiesa odierna: l’altare era collocato a est, verso l’attuale via Milano, mentre la porta principale era rivolta a ovest, verso il chiostro del convento: un muro laterale appartenente a questa prima costruzione, forse quello meridionale, venne alla luce all’inizio del secolo scorso nei pressi dell’attuale altare maggiore. La primitiva S. Domenico doveva quindi occupare solo l’area settentrionale della chiesa d’oggi.
Nel corso del XIV secolo l’intera struttura venne ricostruita e ampliata, probabilmente perché insufficiente per contenere i fedeli e il crescente numero di nuovi religiosi che emetteva i voti presso il convento: per consentire la costruzione di tre nuove campate che ne avrebbero raddoppiato la capienza, l’edificio subì una rotazione ad angolo retto assumendo l’attuale orientamento; l’ingresso venne quindi a trovarsi sul lato sud, su via San Domenico, com’è ancora oggi. La nuova chiesa in stile gotico, costruita in laterizi e attestata almeno dal 1334-1335, si presentava a tre navate, quella centrale più ampia e più alta, suddivise da pilastri a sezione polilobata legati da archi ogivali. L’edificio aveva una copertura a capriate a doppio spiovente in corrispondenza delle tre campate e delle due cappelle al termine delle navate laterali, mentre l’abside presentava fin da allora una copertura a volta e cinque finestre ogivali a feritoia. A questa fase corrisponde probabilmente la realizzazione del ciclo pittorico a decoro della cappella dell’Annunziata (il cui nome fu mutato in “delle Grazie” solo nel 1908).
All’esterno, sotto il tetto, il coronamento delle pareti era decorato con una fila di archetti pensili intrecciati, di cui restano alcuni tratti sull’abside. La piazzetta antistante l’edificio, allora utilizzata anche come cimitero, era presente sicuramente già dal 1335, quando è attestata la volontà di Giovanni Carossino dei Pelizoni di esservi seppellito. Nel 1351 i Domenicani acquistarono, dalla famiglia “de Pado”, la casa che sorgeva a ridosso della navata laterale destra e la demolirono per costruire una quarta navata verso la contrada di San Michele (poi Contrada d’Italia, ora via Milano). Le due navate destre furono poi demolite tra 1605 e 1682, per far spazio a un ambiente unico destinato alla Compagnia del Rosario.
Nel corso del XV secolo le navate laterali si arricchirono di altari: quelli dei SS. Antonio e Sebastiano nel 1436; prima del 1441 quello di S. Giacomo Apostolo; prima del 1469 quello di S. Maria Maddalena e S. Gregorio; prima del 1474 quello della Ss. Annunziata e SS. Vergini. Importanti rimaneggiamenti strutturali vennero intrapresi nel 1451, con l’innalzamento della cella campanari e, nel 1497, con la sostituzione del tetto a capriate con una copertura a volte e l’aggiunta di due nuove campate a sud. A seguito di questo ulteriore ampliamento l’edificio raggiunse le dimensioni attuali e la facciata venne a trovarsi in corrispondenza di quella odierna. La chiesa venne inoltre sottoposta a una revisione dell’apparato decorativo: in aggiunta agli affreschi delle cappelle e alle tele degli altari, anche le pareti della chiesa e le colonne furono arricchite da immagini policrome e stemmi gentilizi, uno dei quali è visibile nella navata sinistra. Nel 1516, nella cappella al termine della navata sinistra, quella dell’Annunziata, e nel vano abisdale, venne realizzato un soppalco in muratura che, collegando il convento alla chiesa, permetteva ai religiosi un accesso diretto al coro e all’area sovrastante il presbiterio. Tale struttura, che obliterò e in parte distrusse gli affreschi trecenteschi della cappella, venne rimossa solo nel 1776.
Il XVII secolo fu caratterizzato da rilevanti lavori di ristrutturazione: vennero rialzati di 60 cm i pavimenti, sia quello della piazzetta antistante che quello della porta principale, venne distrutta la primitiva finestra rotonda e se ne fece una più grande, bilobata. Inoltre, nel 1796, si ampliarono tutte le finestre della navata centrale, rimuovendo quelle gotiche costruite alla fine del XV secolo e aggiungendo un cornicione lungo tutto il perimetro esterno della navata. Dopo la parentesi napoleonica e il rientro dei domenicani in seguito alla Restaurazione, nel 1866 la chiesa fu interessata da un’ulteriore serie di lavori, attuati dagli ingegneri Noè e Benazzo e dai restauratori Pampirio e Gioda: le colonne furono scalpellate e ingrossate attraverso l’uso di calce, mentre la pavimentazione venne rinnovata per mezzo di grandi lastre di marmo bianche e nere. L’apparato pittorico non fu risparmiato da questi interventi: le pareti e le colonne vennero affrescate a fasce larghe, i costoloni ricevettero una decorazione a spirale, la volta venne dipinta di un cupo azzurro stellato.
Fu solo nel settembre del 1906 che iniziarono gli interventi di restauro e di ripristino veri e propri. Grazie all’operato di Riccardo Brayda e di Alfredo d’Andrade, la chiesa ritrovò in gran parte la fisionomia medievale perduta, se si esclude la navata laterale destra, troppo compromessa dai lavori di ristrutturazione eseguiti nel XVII secolo per poter essere ricostruita. Venne innanzitutto abbassato di 60 cm il livello della pavimentazione della piazzetta e della chiesa, riportandolo così alla quota originaria. Successivamente vennero rimossi gli interventi seicenteschi, ripristinati gli affreschi medievali superstiti, la ghimberga e il rosone della facciata, le finestre a sesto acuto, l’abside e le colonne interne. I restauri della facciata furono portati a termine alla fine del 1908. Per quanto concerne invece l’interno dell’edificio, gli interventi riguardanti le colonne, le navate e la cappella delle Grazie terminarono qualche anno più tardi, nel 1911.
LA CAPPELLA DELL’ANNUNZIATA (OGGI “DELLE GRAZIE”)
Nella primavera 1908, durante i lavori di restauro della cappella dell’Annunziata, collocata a sinistra dell’altare maggiore ed esattamente al di sotto del campanile tardogotico, tornò alla luce un’eccezionale testimonianza del medioevo torinese: si tratta dell’ unico ciclo, per quanto frammentario, di affreschi trecenteschi ammirabili a Torino .
Gli interventi di restauro vennero affidati a Giovanni Vacchetta, che, a causa del cattivo stato di conservazione del ciclo, lo riprese integralmente, ridipingendo gli antichi affreschi, ricalcandone le tracce superstiti, e ovviando alle lacune ispirandosi a modelli piemontesi, simili per epoca ed esecuzione. Il metodo seguito dal Vacchetta generò molti interrogativi riguardo l’effettiva necessità di un’integrazione così considerevole. Nel 1986 le pareti della cappella furono interessate da un risolutivo restauro, realizzato secondo criteri innovativi dalla ditta Nicola sotto la direzione di Giovanni Romano: dopo una serie di analisi scientifiche e un pazientissimo lavoro di indagine, furono riscoperte e ripristinate parti originali, senza tuttavia rimuovere le aree integrate nel 1909, là dove non ricoprivano strati più antichi. Oggi è dunque possibile cogliere il fascino del ciclo pittorico ammirandolo nella sua interezza, risultando tuttavia assai agevole distinguere le parti originali trecentesche da quelle integrate (che hanno colori più vividi).
La data di fondazione di questa cappella è incerta; si fa tuttavia risalire al XIV secolo, mettendo in relazione la costruzione della stessa con il donativo fatto da Filippina vedova Rogeri nel 1334. Sfortunatamente, non sono giunti fino a noi documenti inerenti la storia e le trasformazioni più antiche subite dalla struttura. Nel 1516 la cappella era stata soppalcata per consentire l’accesso dei religiosi, direttamente dal convento, su un ulteriore e più vasto tramezzo sovrastante l’altare, da cui potevano celebrare messa senza entrare in contatto con i fedeli. L’ingombrante sovrastruttura fu eliminata nel 1776, ma nel frattempo erano già stati prodotti danni irreparabili agli affreschi, in particolare quelli stesi sulle pareti ovest ed est; sulla prima venne quasi completamente distrutta la figura del Cristo pantocratore; sulla seconda si perse completamente traccia di un personaggio sostituito, nel 1909, da una Madonna assisa, mentre furono risparmiate le più periferiche figure di san Tommaso d’Aquino e offerenti. Uno spesso strato di calce nascose l’intero ciclo pittorico fino ai primi anni del XX secolo.
Descrizione del sito:
La composizione della “CAPPELLA DELLE GRAZIE” raffigura, nella fascia inferiore delle pareti, i dodici apostoli, in piedi, cinque per ciascuna parete e due nella parete di fondo ai lati della finestra. Le figure, che presentano parti ricostruite più o meno estese, sono divise le une dalle altre da colonne decorate a spirale e fregiate di base e di capitello. Lo spazio architettonico nel quale si inseriscono le figure è delimitato, nella parte inferiore, da una fascia decorata a losanghe alternate e, nella parte superiore, da mensole riccamente ornate. La parte sovrastante gli apostoli è ripartita in base alle tre pareti che delimitano la cappella, ognuna delle quali è caratterizzata da un preciso programma iconografico. Nella lunetta della parete ovest, a sinistra di chi osserva, la scena si presentava grandemente compromessa: del Cristo pantocratore, seduto e circondato dai simboli dei quattro evangelisti, rimaneva soltanto il volto e parte della mano destra, nell’atto di benedire. Nella lunetta della parete nord, meglio conservata, è visibile un’Annunciazione: l’angelo nunziante, inginocchiato e con le mani incrociate sul petto, e la Vergine, con le mani giunte in segno di preghiera, sovrastano una monofora. Sulla parete est, a destra di chi osserva, è invece raffigurata una scena di vita domenicana: san Tommaso d’Aquino, sulla destra, è in procinto di condurre un uomo e due donne, in abito patrizio trecentesco, al cospetto di un personaggio di cui non restava traccia e che si pensò trattarsi della Vergine, la cui immagine fu completamente ricostruita.
La datazione e l’attribuzione degli affreschi sono state per molto tempo oggetto di discussione: mentre si fanno risalire con certezza al decennio 1350-1360, non se ne conosce l’autore. La pittura trecentesca piemontese, per molto tempo, è stata studiata e considerata in relazione all’influenza delle sole maestranze francesi e lombarde. Il primo ad aver inserito in questo contesto un’altra possibile componente, quella del linguaggio del cantiere internazionale di Assisi, che si può ritrovare nella produzione figurativa del Piemonte, è stato Giovanni Romano; egli ipotizza che la formazione di questo ignoto “Maestro di S. Domenico” possa derivare da Giorgio dell’Aquila, un maestro toscano ampiamente documentato in Piemonte dal 1314 al 1348, il cui insegnamento ebbe eco fino alla fine del secolo, costituendo parte integrante della produzione figurativa piemontese e determinando l’avvio della produzione jaqueriana. Di esecuzione confrontabile con quella del ciclo trecentesco in S. Domenico sono alcuni affreschi, sebbene alquanto frammentari, della chiesa di S. Pietro d’Avigliana, nonché le miniature del Codice delle Catena in cui le rappresentazioni dei santi patroni di Torino richiamano, per la loro staticità e delicatezza, le figure dei dodici apostoli effigiati in questa cappella.
Risale alla fine del XV secolo un’immagine del beato Amedeo IX, staccata dal pilastro del chiostro sul quale era stata dipinta e trasferita nel terzo altare di sinistra nel 1615. L’affresco, restaurato nel 1978, viene attribuito al borgognone Antoine di Lonhy, attivo in Piemonte nella seconda metà del Quattrocento. Il duca Amedeo IX di Savoia, contemporaneo del Lonhy, morì nel 1472 e dunque l’opera, che sembrerebbe avere le caratteristiche del ritratto, dev’essere successiva a quella data.
Alla prima metà del XVI secolo risale l’affresco che raffigura l’”Elemosina di sant’Antonino da Firenze”, attribuito unanimemente allo Spanzotti e in origine collocato nella prima cappella sinistra, da dove venne strappato nel 1970 per essere collocato nella posizione attuale, quasi in fondo alla navata.
Informazioni:
Via San Domenico angolo via Milano ; tel. 011 5229711
Links:
http://www.archeogat.it/archivio/torinomedievale/percorsoTAPPE/15MONsandomenico.htm
http://www.cultorweb.com/SanDomenico/SD.html
Bibliografia:
AA.VV. Guida Archeologica di Torino, volume I, Gruppo Archeologico Torinese, Torino, 2009, pp.133-140 e bibliografia relativa
Ferrua V. 1992; Il San Domenico di Torino 1909
La chiesa di S. Domenico in Torino,Torino,1981
Fonti:
Tratto da: AA.VV. Guida Archeologica di Torino, volume II, Gruppo Archeologico Torinese, Torino, 2009, pp.133-140
Fotografia in alto dal sito del Comune di Torino; foto in basso archivio GAT.
Data compilazione scheda:
20 /11/ 2003 – Scheda aggiornata a cura dei Soci GAT a novembre 2009 e a febbraio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Sylvie Cheney – Gruppo Archeologico Torinese