Mercurago (NO) : Lagoni
Storia del sito:
Il lago più piccolo, nel territorio di Oleggio Castello, ha portato alla luce alcuni reperti metallici attualmente conservati nei Musei di Torino e Novara.
Ad assumere una certa importanza nel panorama della Paletnologia italiana è però il lago più grande, detto Lagone. È qui, infatti, che dal 1860 si svolsero le prime indagini sulle stazioni palafitticole dell’Italia settentrionale. Fu il geologo torinese Bartolomeo Gastaldi a condurre le ricerche sui resti di una palafitta rinvenuta all’estremità settentrionale della conca, eseguendo calchi di gesso sui reperti lignei deperibili e proseguendo i suoi studi fino al 1866.
Un sistema di piccoli abitati con al centro il Lagone (non si conoscono ancora le necropoli) documenta dall’antica alla tarda età del Bronzo (tra XVIII e XIII sec. a.C., con un’apparente lacuna intorno al XV sec.) lo sviluppo di un’importante comunità che produceva e scambiava a vasto raggio anche beni di pregio (come i bottoni in pasta vetrosa di ispirazione mediterranea, diffusi lungo le vie fluviali fino all’Emilia) attraverso il controllo dell’accesso a vie commerciali di acqua e di terra in stretto collegamento con gli abitati che, lungo i terrazzi alti del Ticino, segnano una linea N-S da Mercurago a Marano a Bellinzago, verso la Lomellina e la bassa pianura.
Nella tarda età del Bronzo (XIII sec.-Cultura di Canegrate) questo sistema di occupazione del territorio mostra un’omogeneità e densità che prelude alla situazione dell’età del Ferro, in un quadro che lascia ormai intuire, a cavallo del Ticino e del Verbano, il substrato indoeuropeo e protoceltico della successiva cultura di Golasecca.
Le più antiche fasi degli abitati di Arona e la necropoli a campo d’urne di Glisente di Castelletto Ticino si inseriscono in questo quadro confermando una continuità territoriale che evidenzia fino al Canton Ticino l’importanza unifìcatrice di contatti e sistemi di relazioni territoriali, fortemente legati ai commerci transalpini con l’area renana e rodaniana.
In questo senso non è probabilmente casuale lo spostarsi progressivo degli insediamenti dall’area del Lagone, più legata al controllo della via di terra verso l’alto Verbano, alla zona della Rocca di Arona, che costituisce il naturale punto strategico di controllo e raccordo tra navigazione lacustre e vie costiere e dell’interno.
NECROPOLI ROMANE La continuita’ del popolamento dell’area del Lagoni anche in eta’ romana é testimoniata da numerosi rinvenimenti di sepolture che coprono un arco cronologico compreso tra la fine del I ed il III sec. d.C. La necropoli più estesamente indagata ha consentito il recupero di un numero cospicuo di urne utilizzate come cinerario e collocate nella nuda terra con copertura quasi costante di embrici. La presenza di ciottoli di dimensioni anche rilevanti su tutta l’area e spesso rinvenuti al di sopra delle coperture delle urne fa pensare ad un loro utilizzo in funzione di segnacoli, così come alcuni addensamenti di urne potrebbero far ipotizzare la destinazione di particolari aree a gruppi familiari, pur con le cautele dovute ad uno scavo non esaustivo ed in considerazione del vasto arco cronologico di utilizzo della necropoli. I materiali più antichi sono stati rinvenuti nei pochi esempi di cremazioni dirette caratterizzate dalla presenza di una o più olpi come elemento del corredo. Una sola tomba con recinto di ciottoli e corredo costituito da urna, deposta all’interno, e forse da una coppetta, posta al di fuori, è stata rinvenuta durante scavi regolari, mentre sepolture con complesse strutture lapidee a delimitazione a copertura e con il fondo pavimentato con lastre o embrici, utilizzati questi ultimi anche per le testate, risultavano violate da scavi clandestini. Questa contingenza rende particolarmente difficile fare ipotesi circa la cronologia di queste sepolture di cui non conosciamo nè le caratteristiche nè la composizione dei corredi e non è sufficiente la presenza di due monete di Costanzo II e Magnenzio tra i materiali sporadici recuperati nel terreno circostante per asserire di essere in presenza di un’ulteriore fase di frequentazione del sito in pieno IV sec. d.C. Recenti rinvenimenti occasionali, la cui segnalazione si deve al personale del Parco, sembrano indicare la presenza di una nuova area sepolcrale più a Nord Ovest rispetto a quella gia’ nota, ma con materiali del tutto analoghi a quelli sopra descritti. Queste sepolture rendono legittimo cercare di individuare gli abitati a cui esse facevano riferimento. I dati a disposizione in tal senso sono ancora molto lacunosi e necessitano di verifiche più approfondite. La presenza di murature in ciottoli a secco, in alcuni punti affioranti, la grande quantità di embrici in superficie ed il rinvenimento di scorie di fusione in località non molto lontane dalle necropoli, fa ragionevolmente ritenere che anche l’insediamento si estendesse all’interno dell’area dell’attuale Parco dei Lagoni. Una conferma di queste teorie viene dagli scavi del 2002 che riportarono alla luce una vasta unità abitativa.
I Lagoni sono dal 2012 Patrimonio Mondiale dell’UNESCO: Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino. Dal 2014 UNESCO – Riserva della Biosfera MAB
Descrizione dei ritrovamenti:
Le ruote lignee di Mercurago costituiscono l’elemento di maggiore importanza e notorietà proveniente dall’area archeologica dei Lagoni. Ritrovate nel secolo scorso da Bartolomeo Gastaldi insieme a due piroghe ricavate da tronchi e ad altri manufatti lignei e ceramici, furono dallo stesso Gastaldi calcate in gesso nella torba prima che il legno, di noce, profondamente modificato nella sua struttura chimica e non restaurabile con le tecnologie disponibili allora, deperisse completamente.
I calchi originali di due ruote (altre due furono ritrovate nella torbiera ma non vennero riprodotte) e delle piroghe sono oggi al Museo di Antichità di Torino; appare comunque singolare la presenza nello stesse sito di ben quattro ruote lignee, di differente tipologia e da riferirsi a quattro diversi carri, tanto da rendere probabile un’interpretazione non legata all’uso quotidiano, ma alla vicinanza di una officina specializzata.
In un primo tempo le ruote furono attribuite all’antica età del Bronzo (XXI-XVII sec. a.C.), anche perché i carri sono documentati nelle incisioni rupestri della Valcamonica a partire dall’Eneolitico (seconda metà III mill. a.C.); una recente rilettura della serie stratigrafica ed il confronto con ritrovamenti analoghi in area elvetica sembrano indiziare una cronologia più tardiva, nell’ambito della media-tarda età del Bronzo (XIV-XIII sec. a.C.), cioè nell’ultima fase d’ occupazione della torbiera.
La tecnica di costruzione tripartita con tenoni lignei interni e archi di rinforzo, la realizzazione di “manicotti” in legno più tenero per prevenire il consumo dell’assale, l’ovalizzazione del foro della ruota e l’assenza di cerchiatura accomunano sul piano tecnico i due reperti, che però sono tipologicamente molto diversi.
La ruota più massiccia risulta utilizzata in ambito europeo nel mondo rurale fino a tempi storici ed appartiene probabilmente ad un pesante carro da trasporto a quattro ruote a traino bovino, mentre quella più leggera potrebbe essere riferita per gli ovvi limiti di carico ad un carro leggero a due ruote a traino equino, tipologia comune agli scenari di guerra della medio-tarda età del Bronzo e simbolo di prestigio tipico della più antica letteratura indoeuropea. Sia il legno di noce che l’evidente incongruità dell’utilizzo di carri da guerra nell’area della Torbiera fanno pensare all’esistenza a Mercurago di un’officina per la riparazione o per la costruzione dei carri.
Il carro da trasporto e il carro da guerra a traino equino sono fin dall’età del Bronzo raffigurati sulle incisioni rupestri della Valcamonica e dovevano quindi caratterizzare le comunità anche in terreni più disagevoli, come le vallate alpine.
L’uso del carro da guerra ricorre nei poemi omerici, che si riferiscono ad un momento di poco posteriore alle ruote di Mercurago: nell’Iliade, Omero, che scrive in un’epoca in cui prevale il combattimento oplitico a piedi, descrive scontri individuali tra gli eroi appiedati riducendo il carro a mero veicolo di trasporto. In realtà l’uso del carro da guerra modifica profondamente l’armamento dell’età del Bronzo, determinando la diffusione di lunghe cuspidi di lancia a profilo ellittico (di più facile estrazione) e di spade molto lunghe, per colpi di punta e non di taglio. Solo con l’età del Bronzo finale (XII-X sec. a.C.) si diffonderanno le tecniche del combattimento da cavallo, anche se il carro continuerà ancora, nella cultura di Golasecca, a rappresentare un importante simbolo di prestigio nelle tombe dei guerrieri.
L’allevamento di cavalli, di taglia leggermente più piccola delle razze attuali, è ben diffuso in Italia a partire dalla media età del Bronzo e nasce da influssi dell’Europa Orientale. Anche per l’importanza militare e gli aspetti di prestigio appare chiara la sempre maggiore importanza del ruolo del cavallo anche nel rapporto con l’uomo fino all’età del Ferro, in cui emerge la specializzazione di alcune aree dell’Italia settentrionale (Cultura paleoveneta) nell’allevamento dei cavalli e compaiono anche sepolture di cavalli nelle necropoli.
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Luogo di custodia dei materiali:
I calchi in gesso delle ruote sono conservati nel Museo di Antichità (archeologia) di Torino. Una copia è anche nel museo di Arona.
Informazioni:
Villa Picchetta – 28062 Cameri (NO) Telefono 321/517706; email: info@parcoticinolagomaggiore.it. Presso la sede dell’Ente Parchi è possibile noleggiare le audioguide che permettono di percorrere in autonomia l’itinerario archeologico al Parco dei Lagoni di Mercurago.
Il Parco dei Lagoni, in collaborazione con il GASMA (Gruppo Archeologico, Storico, Mineralogico Aronese), ha recentemente allestito dei pannelli che illustrano le emergenze storiche ed archeologiche che si trovano nei dintorni del parco stesso.
Links:
http://www.parcoticinolagomaggiore.it
http://it.wikipedia.org/wiki/Parco_naturale_dei_Lagoni_di_Mercurago
Bibliografia:
DE MARINIS R., 1988, Liguri e Celto-liguri, in “Italia Omnium Terrarum Alunma”, Milano, pp. 157-259
GALLI L., MANNI C., 1978, Arona preistorica, in “Bollettino Storico per la Provincia di Novara”, LXIX, n. l, Novara
RITTATORE E., 1975, La civiltà del ferro in Lombardia, Piemonte, Liguria, in “Popoli e Civiltà dell’Italia Antica”, IV, Roma, pp. 223-328
TIZZONI M., 1981, La cultura tardo La Tene in Lombardia, in “Studi Archeologici”, I, Bergamo, pp. 5-39
SAPELLI RAGNI M. (a cura di), Tesori del Piemonte. Il Piemonte degli scavi. Siti e musei di antichità
GAMBARI-SPAGNOLO, 1997, Il civico museo archeologico di Arona, Regione Piemonte
Fonti:
Il testo è tratto da GAMBARI-SPAGNOLO, Il civico museo archeologico di Arona, Regione Piemonte, 1997, con modifiche e integrazioni.
Vedi anche www.parks.it
La parte riguardante i reperti di età romana è stata tratta nel 2008 dal sito www.parchilagomaggiore.it. Fotografie tratte dai siti sopra indicati.
Data compilazione scheda:
20/11/2004- aggiorn. gennaio 2008 e maggio 2014
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Simona Vigo – G. A. Torinese