Provincia di Alessandria

Solonghello – Fabiano (AL): Chiesa cimiteriale di Sant’Eusebio

Storia del sito:
Le fasi costruttive della Cappella sono almeno due perché l’abside, residuo di una precedente edificazione in quanto risulta “ruotata” verticalmente lungo il suo asse longitudinale, presenta proporzioni non coerenti con quelle della navata e la navata stessa sembra una aggiunta posteriore. Una ulteriore manomissione o ampliamento dell’edificio viene rivelato dalla presenza di uno scarto nella muratura leggibile nella parte intera sulla parete sinistra della navata.
La chiesa fu registrata nella pieve di Cornale senza titolo nel 1299, col titolo nel 1348 [Sella, Ferraris, pp. 38, 112]. Secondo uno scritto di un parroco di Fabiano sarebbe stata consacrata nel 1442 da mons. Chilimberti (?) vescovo di Vercelli (non risulta un vescovo di Vercelli di nome Chilimberti; Matteo Ghisalberti o Gisalberti fu vescovo dal 1406 al 1412, mentre nel 1442 era vescovo Guglielmo Didier). Divenne parrocchiale nel 1561 [Annuario 1974, p. 86], inizialmente in dipendenza della parrocchia di Solonghello. Nel 1591 la chiesa era pericolante. Fu restaurata alla fine del sec. XVI e nel 1882 [Muzio 1966, pp. 22-23]; nel 1911 fu elencata tra gli edifici monumentali nazionali In seguito ad una frana nel 1946 l’edificio non era più agibile. Nel corso di lavori di restauro del 1949-50, sotto l’altare fu trovato e riadattato un altare più antico; inoltre affiorarono affreschi sulla parete interna destra, si scoprirono due finestrelle romaniche murate nella stessa parete e, demolendo parte della parete sinistra, si rinvennero alcuni capitelli o frammenti di modanature in arenaria decorati in modo piuttosto grezzo a ovuli e palmette, che furono collocati sulla parte antero-superiore della mensa d’altare. Nel 1967 le fondamenta vennero sottomurate di 2.5 m e furono costruiti due pilastri di cemento a sostegno dell’edificio. Per ulteriori smottamenti del terreno verso valle negli anni ’70 del secolo scorso si aprirono profonde fenditure nella muratura e la chiesa fu chiusa al culto. Nel 2002 e negli anni successivi è stato fermato il continuo slittamento del suolo con la sistemazione di micropali protettivi.
Nel 2009 si conclusero i  lavori di consolidamento e restauro di tutte le murature esterne; nel 2010 si fece il rifacimento della copertura; nel 2017 il restauro dei preziosi affreschi interni risalenti al XIV secolo.
I rimaneggiamenti subiti dall’edificio, con la perdita dell’apparato decorativo scultoreo, non consentono una datazione precisa della costruzione originaria.
Questo edificio è da non confondere con la chiesa ex parrocchiale dedicata ai SS. Fabiano e Sebastiano, che si trova nell’abitato.

Descrizione del sito:
Edificio orientato, ad aula rettangolare con abside semicircolare, privo di campanile. La facciata a capanna, intonacata, ha larghezza sproporzionata rispetto al modesto sviluppo in altezza, dovuto al rialzo del suolo del cimitero successivo alla costruzione della chiesa. In anni recenti, la rimozione di alcune lapidi ha messo in evidenza ai lati della porta d’ingresso i resti di un’ampia arcata in mattoni e un oculo ricavato in un unico grande concio di pietra da cantoni. Al di sopra della porta un modesto dipinto murale ritrae sant’Eusebio. Le pareti laterali hanno muratura prevalente in laterizio, con irregolarità che manifestano varie riprese edilizie. Sul fianco meridionale è presente un altro elegante oculo scolpito nell’arenaria; si aprono inoltre due finestre rettangolari. In prossimità della facciata la muratura è costituita da grossi conci di arenaria. Il fianco settentrionale, ampiamente rimaneggiato, ha una sola finestra rettangolare. Nella parte posteriore della chiesa il livello del terreno si ribassa rispetto a facciata e fianchi. L’abside e la parete di fondo della navata sono intonacate. Immagini anteriori agli ultimi restauri evidenziavano una struttura regolare in laterizio. Nell’abside si aprono due piccole monofore laterali prive di sguancio. La parete esterna dell’abside, come quella di un tratto del fianco settentrionale, ha un semplice coronamento costituito da una doppia fila di mattoni aggettanti sorretti da mensoline in cotto [Aletto 2010, pp. 66-67].

Interno a navata unica. Il pavimento dell’aula si trova ad un livello di oltre un metro inferiore rispetto alla porta d’ingresso e vi si accede con una scalinata. Copertura a capriate. Si conservano affreschi quattrocenteschi: sulla parete dell’arco trionfale a sinistra un Santo vescovo benedicente (s. Gottardo, secondo una scritta che si leggeva in passato), a destra san Cristoforo (il volto forse fu ridipinto), inoltre una decorazione in finto marmo attorno all’arco e fregi a fioroni raccordati da racemi verdi. Nell’intradosso dell’arco trionfale a sinistra è dipinto san Sebastiano riccamente vestito e con capo inghirlandato; a destra san Fabiano, piuttosto rovinato; in alto una decorazione a grottesche intercalate da medaglioni con motivi decorativi [Cuttica 1983a, p. 148]. Nel catino absidale c’è un ciclo datato 1422 o 1423 che fu restaurato nel 1977: Cristo in mandorla con libro aperto recante la scritta «Ego sum lux mundi» e simboli del Tetramorfo su fondo decorato a quadrettini, alla cui base corre una scritta della quale rimane a malapena leggibile la data iniziale: «M CCCC XXII (o III)» e il nome «Matheus»; più in basso restano frammenti dipinti con figure di santi: sant’Eusebio in trono, sant’Antonio abate e san Lorenzo, mentre è andata perduta una Madonna in trono col Bambino, ancora visibile negli anni ’80 del Novecento tra la finestrella absidale di destra e san Fabiano. In una lacuna dopo la figura di sant’Antonio si intravedono tracce di un velario appartenente ad uno strato più antico. Lo stesso Maestro di Sant’Eusebio di Fabiano è riconoscibile in un lacerto di affresco nella chiesa di San Gottardo di Camino, vedi scheda Camino [Sartor 2016, pp. 206-07].
Sulla parete destra della navata emergono altre due parti d’affresco raffiguranti san Bernardino che predica alla folla (con l’iscrizione tipica «Pater manifestavi nomen tu[um hominibus]») e una teoria di Santi (tra cui Pietro e Paolo), di stile arcaico, ma più recenti dei precedenti (S. Bernardino fu canonizzato nel 1450).
La parete di sinistra, non originale, è priva di dipinti.

Informazioni:
Via Garibaldi presso il cimitero della frazione Fabiano. Email: info@comune.solonghello.al.it

Links:
www.artestoria.net/book_0_1.php?loc=86

https://artbonus.gov.it/chiesa-cimiteria-di-santeusebio.html

Bibliografia:
– Annuario della diocesi di Casale Monferrato – 1974, Torino 1974
Aletto C. , Il Romanico in Valcerrina e dintorni, Pianezza TO 2010.
Cuttica di Revigliasco G., Per un repertorio della pittura murale fino al 1500, in La pittura delle pievi nel territorio di Alessandria dal XII al XV secolo, Cinisello Balsamo 1983, pp. 137-172.
Muzio D., La Cappella di S. Eusebio a Fabiano di Solonghello, in “La Provincia di Alessandria», 1966, n. 9, pp. 21-25
R. Sartor, La chiesa di San Gottardo a Camino: nuove ricerche sulla decorazione pittorica, in “Rivista di Storia Arte e Archeologia per le Province di Alessandria e di Asti”, CXXV, 2016, pp. 203-236
Sella D.; Ferraris G., Acta Reginae Montis Oropae, I, Biella 1945.

Fonti:
Notizie e immagini dai siti sopra indicati e da Solonghello.pdf

Data compilazione scheda:
26 giugno 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Camino (AL): Chiesa di San Gottardo e Castello

Storia e descrizione dei siti:
CHIESA DI SAN GOTTARDO
Non si hanno notizie certe sulle origini della chiesa, anche se dai documenti della Curia di Casale risulterebbe una prima costruzione nel XII secolo; probabilmente subì vari modifiche nel corso del tempo.
All’inizio del 1400, gli Scarampi, signori del Castello di Camino, dotarono di affreschi la chiesa e forse la ristrutturarono. Gli Scarampi vollero che la Chiesa fosse dedicata a S. Gottardo a ricordo delle loro origini astigiane: il Santo vescovo di Hildesheim, insieme alla Vergine assunta, è compatrono del Duomo di Asti.
Nel 1650 fu costituita la Confraternita di S. Gottardo (detta anche dei Disciplinanti), che nel 1997 curò il restauro delle parti strutturali e decorative dell’edificio, dopo anni di abbandono, nonostante fosse stata elencata tra gli edifici monumentali nazionali dal 1911. La Confraternita è ancor oggi attiva e impegnata nella valorizzazione dell’edificio.
Fino al Seicento avanzato la chiesa era a due navate di diversa ampiezza, nel 1680 fu costruito il campanile; nel Settecento, venne ridotta ad una navata e subì alcuni restauri allo scopo di rendere l’edificio più sicuro. Gli affreschi tardomedievali, assieme all’edificio, furono restaurati nel 2000, da privati. La piccola costruzione in mattoni a vista, con facciata a capanna, ha pinnacoli e alti contrafforti. Sul lato del campanile, gli archi occlusi indicano l’eliminazione di costruzioni laterali. L’interno è a pianta rettangolare a navata unica, divisa in due campate con volte a crociera costolonate e piccola abside poligonale, separata dall’aula dalla parete che chiude l’arco trionfale; il passaggio è consentito da due aperture rettangolari ai lati dell’altare maggiore. L’imposta dei costoloni è costituita da bei capitelli a crochet. L’altare maggiore ligneo scolpito è databile alla fine del sec. XVII; alla parete di fondo tela di fine Ottocento raffigurante S. Gottardo in gloria, all’altare laterale di sinistra (fondato tra il 1619 e il 1658) è posta una tela raffigurante il martirio di S. Orsola (secondo quarto del sec. XVII).
Sulle pareti laterali gli affreschi, che erano stati coperti da calce dopo la peste del Seicento, risentono degli influssi di Macrino e Spanzotti; raffigurano, a destra: sant’Agata; Madonna col Bambino su trono sormontato da angeli musicanti con i santi Lorenzo e Defendente o Sebastiano, primo decennio del XVI secolo.
Sulla parete sinistra dell’aula, ricostruita successivamente, mancano pitture murali.
Nel coro si possono trovare le opere più antiche, una Madonna del latte su un semplice trono ligneo alle cui spalle è steso un drappo damascato (seconda metà sec. XV); santa Redegonda apparentemente datata 1428, ma da leggersi 1478 («1478 hoc fecit fieri Joannes de …»); (la Santa nacque nel VI secolo in Turingia, fu schiava e poi moglie del re di Francia Clotario); l’affresco presenta caratteri tipici dell’ambiente novarese della seconda metà del sec. XV.
Al di sotto compare uno strato affrescato più antico con una santa dal velo bianco (forse s. Caterina) e un frammento di vescovo benedicente, attribuito al Maestro che operò in Sant’Eusebio di Fabiano a Solonghello, vedi scheda, nel 1422 o 1423 [Sartor 2016, pp. 206-07]
Altri lacerti pittorici mal interpretabili sono comparsi tra il 1994 e il 1996, in seguito a un intervento di descialbatura. Dopo gli ultimi restauri, nel presbiterio sono ricomparsi alcuni riquadri dipinti con figure mal conservate: si riconoscono a sinistra santo Stefano e san Sebastiano (datato 1450) e a destra la Madonna col Bambino e santi, attribuibili allo “Pseudo Domenico della Marca d’Ancona” [Sartor 2016, p. 214] vedi scheda. Sono anche visibili alcuni dipinti murali che decoravano la parte alta della parete destra presso l’ingresso, dove in passato era collocato il soppalco dei disciplini; raffigurano Cristo alla colonna con san Lorenzo e i discliplini incappucciati ai lati, la Madonna col Bambino e san Giovannino e sulle vele della volta gli Evangelisti, pitture molto frammentarie; sono attribuiti alla bottega di Ottaviano Cane (quinto decennio sec. XVI). Della medesima bottega è un riquadro dipinto nella parte bassa della parete di destra che presenta san Rocco in venerazione della Madonna col Bambino.

 

CASTELLO DI CAMINO.
Si erge sulla collina che domina l’abitato e rappresenta uno dei castelli più scenografici del Monferrato. Fondato dagli Aleramici, è munito di mura e di torri merlate. Il primo nucleo, costruito per scopi difensivi, risale al XI secolo; passato nelle proprietà del marchesi di Monferrato, fu amministrato a lungo da un gastaldo, finchè nel XIII secolo, il marchese Teodoro Paleologo concesse ai banchieri astigiani Tommaso e Francesco Scarampi l’investitura del castello e del luogo di Camino, già dotato di statuti propri.
Nei secoli successivi la casata consolidò il proprio potere sul territorio e sotto il dominio dei Gonzaga giunse anche il titolo comitale. Nel 1483, per concessione papale, venne costruito all’interno del castello un oratorio in stile gotico.
Si deve al tenente colonnello Ferdinando, ultimo erede degli Scarampi a risiedere nel castello ed esperto di studi medievali e architettonici, il restauro del XIX secolo secondo i dettami della scuola francese di Viollet Le Duc, consistente nella realizzazione della sala da pranzo in stile neo-gotico, della biblioteca, e del teatro affrescato con episodi tratti dal Don Chisciotte.
Il Castello rimase di proprietà della famiglia fino al 1952 quando fu ceduto ai padri Somaschi e poi agli attuali proprietari che lo hanno adattato per ospitare cerimonie ed eventi.

Informazioni:
La chiesa di San Gottardo si trova poco fuori le mura del Castello, tra le case, via Castello 16.
Confraternita di San Gottardo tel. 335.321455; email: confraternita_sangottardo_camino@gmail.com ;
info anche all’adiacente b&b Villa Maria, tel 333-34.98.074

Castello, tel. +39 346 361 1512

Links:
http://www.cementivictoria.it/san-gottardo-arte/ e pagine collegate

https://www.alexala.it/it/risorsa/chiesa-di-san-gottardo/

http://www.artestoria.net/book_0_1.php?loc=10&alfa=C

https://www.castellodicamino.com/

https://www.piemonteitalia.eu/it/cultura/castelli/castello-di-camino

Bibliografia:
Sartor R., La chiesa di San Gottardo a Camino: nuove ricerche sulla decorazione pittorica, in: «Rivista di Storia Arte e Archeologia per le Province di Alessandria e di Asti», CXXV, 2016, pp. 203-236

Fonti
Foto dai siti sopra indicati e da https://www.tripadvisor.it.
Notizie anche da: Camino. pdf

Data compilazione scheda:
26 giugno 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Camino – castello

 

Melazzo – Arzello (AL): Pieve di San Secondo

Storia del sito

La pieve è un edificio romanico della cui storia non si hanno notizie certe, la tradizione la lega al processo di riorganizzazione della diocesi acquese attuato da san Guido dei conti di Acquesana, nativo di Melazzo. Il primo documento storico ufficiale sull’esistenza della chiesa risale al 1235 ed, è un atto di giuramento di fedeltà nel quale si parla di un campo in San Secondo.
Durante il XV secolo l’edificio iniziò a degradarsi; nel XVII secolo furono avviati lavori al tetto e alla facciata, fu ampliata la porta d’ingresso, ultimata la volta nella parte anteriore e completata la pavimentazione. Il tetto originale della navata era a capriate.
Nel 1728 in occasione della visita pastorale del vescovo di Acqui mons. Roero fu denunciata la precarietà della struttura tanto da ordinarne l’immediata chiusura. Nel 1743, dopo i restauri e la costruzione di un nuovo altare la chiesa fu riaperta alle funzioni.  Agli inizi del XX secolo furono svolti importanti lavori tra i quali la ricostruzione del tetto e della volta nella parte anteriore e il rifacimento dell’intonaco; furono inserite chiavi di rinforzo ai muri portanti. Ulteriori lavori di restauro e consolidamento tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta del secolo scorso riguardarono la pavimentazione, il campanile (costruito nel 1857 con pietre di recupero) e i muri portanti.

Descrizione del sito
La pieve è caratterizzata da una navata unica e ampia, un abside semicircolare con tre monofore e un campanile poco elevato. Fu costruita in conci di pietra locale. La facciata, semplice, è molto rimaneggiata; con due finestrelle quadrate ai lati del portale sormontato da apertura circolare. Ai fianchi dell’altare maggiore si possono notare quattro semicolonne con capitelli cubici che separavano il presbiterio dalle cappelle. L’interno dell’edificio custodisce dipinti del XVII secolo raffiguranti sant’Antonio abate e san Secondo accanto alla Vergine Maria

Informazioni:
La pieve di S. Secondo, fuori dal paese, è raggiungibile dalla frazione Arzello, dall’unica strada carrozzabile fino che la stessa non diventa sterrata.
Comune: tel. 0144 41101  ; e mail: info@comune.melazzo.al.it
Parrocchia tel. 0144 41103

Link:
http://www.comune.melazzo.al.it

https://www.restauroeconservazione.info/5261-2/

Fonti:
Foto in alto dal sito del Comune; in basso dal sito www.mapio.net

Data compilazione scheda:
14 aprile 2019

Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G. A. Torinese

Volpedo (AL) : Pieve di San Pietro

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Storia del sito:
La pieve è citata per la prima volta in una pergamena del 965 conservata presso l’archivio Capitolare di Tortona. Alla costruzione originaria del X secolo appartengono, oltre all’abside, la sommità della parete di fondo della navata centrale e un tratto della parete longitudinale della facciata settentrionale, mentre le restanti mura perimetrali, la facciata e il portale risalgono al rifacimento del XV secolo, epoca di realizzazione anche degli AFFRESCHI interni, recentemente restaurati.

Descrizione del sito:
L’edificio ha una struttura in mattoni e ciottoli di fiume. La facciata è a salienti; l’altezza delle navate laterali era in origine assai più bassa e fu innalzata nella ricostruzione del XV secolo. Sulla facciata si trova un portale ogivato, di fattura assai semplice, e sono utilizzate decorazioni a lesene disposte asimmetricamente. Scomparse le originarie absidiole che chiudevano le navate laterali, è rimasta solo l’abside maggiore, ornata da lesene con archetti pensili.
L’interno è a tre navate, divise da file di quattro pilastri quadrangolari che sorreggono archi a sesto acuto o a tutto sesto; la copertura è a capriate. Gli AFFRESCHI sono tardo quattrocenteschi e si è ipotizzata l’opera dei fratelli Boxilio (indicati nei documenti d’archivio anche come Baxilio, o Basiglio), di Castelnuovo Scrivia, titolari della più importante bottega del tortonese.
Il catino absidale è occupato dalla figura del Cristo pantocratore circondato dai simboli dei quattro evangelisti (Tetramorfo), con la figura elegantemente abbigliata della Vergine da un lato e da quella di San Michele Arcangelo dall’altro. Nel registro inferiore, in una nicchia collocata proprio sotto la mandorla con il Cristo, è posta – a sottolineare la continuità tra Vecchio e Nuovo Testamento – la figura di Re Davide, ritratta con barba e capelli canuti e con abiti che paiono tratti da una miniatura cortese. Essa è affiancata sui due lati dalla usuale teoria dei Dodici Apostoli e da un’immagine del Cristo in Pietà. Lo stile, a dispetto della data di esecuzione, è ancora marcatamente gotico. Al fondo della navata destra è stata collocata una bella Madonna col Bambino, frammento di un affresco dello stesso periodo ed immagine cara alla devozione popolare. I robusti pilastri delle navate ospitano un’interessante teoria di ex voto: si tratta delle immagini dei santi invocati dai fedeli che compongono, nel loro insieme, una notevole galleria iconografica realizzatasi nel corso del XV – inizi del XVI secolo. Solo di alcune opere la critica è riuscita recentemente a riconoscere la paternità: un certo Antonius firma un frammento posto sulla parete a destra dell’abside (1462) e avrebbe anche dipinto le figure dei Santi Cosma e Damiano sul quarto pilastro destro. L’autore dell’edicola addossata la terzo pilastro destro, raffigurante la Vergine in trono con i santi Giacomo ed Agata (1502) è individuato in Giovanni Quirico da Tortona.

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In Volpedo sono visibili anche i resti delle  MURA DEL CASTRUM.
La fortificazione fu costruita intorno al X secolo; nel XIX sec. ci fu l’abbattimento delle mure medioevali, di cui solo un tratto oggi ristrutturato, è rimasto integro grazie all’intervento del pittore Giuseppe Pellizza.

Inoltre nella piazza principale (piazza della Libertà) si trova l’ottocentesco palazzo municipale, all’interno del quale è presente una lapide con bassorilievo marmoreo che ricorda la donazione di Volpedo da parte di Perino da Cameri alla Madonna, eseguita dallo scultore Jacopino da Tradate poco dopo il 1426, per commissione della Fabbrica del Duomo di Milano che da Perino ricevette il feudo e lo tenne sino al 1756.

Descrizione dei ritrovamenti:
Una stele sepolcrale del I secolo, oggi incastonata in un muro laterale della canonica parrocchiale, testimonia la presenza romana, anche se l’insediamento di Volpedo probabilmente risale alle antiche popolazioni liguri.

Informazioni:
Via Cavour.  Comune, tel. 0131 80141 o Parrocchia tel. 0131 80136

Links:
http://www.comune.volpedo.al.it/

http://www.comune.volpedo.al.it/ComGalleria.asp?IdCategoria=186

http://it.wikipedia.org/wiki/Pieve_di_San_Pietro_%28Volpedo%29

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
29 novembre 2011 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Visone (AL) : resti di edifici medievali

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Storia e descrizione dei siti:
Le prime strutture fortificate sorsero sul luogo intorno all’anno Mille e vennero potenziate nel corso del XIV secolo; dell’antica struttura rimangono oggi visibili l’imponente TORRE quadrata, coronata superiormente da una duplice fascia di archetti ciechi e dall’apparato a sporgere, ed alcuni tratti di muratura del CASTELLO Malaspina, storicamente importante perché qui che venne redatto e siglato, nell’anno 991, l’atto di fondazione dell’abbazia di San Quintino di Spigno, documento fondamentale per lo studio della storia e della geografia dell’Alto Monferrato in età medioevale.
Delle fortificazioni del borgo rimangono invece i resti di una TORRE-PORTA.

Quella che è stata un tempo la piccola CHIESA CIMITERIALE DI SAN PIETRO, che è ormai ridotta allo stato di rudere e si avvia alla completa rovina, presenta tali somiglianze con la pieve di San Vito di Morsasco (vedi san_vito Morsasco.pdf) da poter definire le due costruzioni pressoché identiche; non solo nel taglio e nella conformazione dei conci, ma addirittura nella loro messa in opera si riscontra un identica procedura, al punto da far pensare ad una stessa maestranza. La costruzione risale al XII secolo. In passato Visone era famosa per le cave di pietra.

Informazioni:
Comune tel. 0144 395297

Links:
https://www.prolocovisone.it/monumenti

http://it.wikipedia.org/wiki/Visone_%28Italia%29

Fonti:
Testo e fotografia in basso tratti dal sito sopra indicato. Fotografia in alto da Wikimedia Commons.

Data compilazione scheda:
31 dicembre 2011 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Viguzzolo (AL) : Pieve di Santa Maria Assunta

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Storia del sito:
La pieve romanica di Santa Maria Assunta fu costruita probabilmente nel secolo XI all’esterno dell’antico abitato, anche se un documento dell’893 attesta che già allora esisteva un edificio di culto. La presenza di elementi architettonici anteriori al Mille convalida l’ipotesi. Dopo un periodo di sviluppo e importanza fra XII e XIII secolo, la pieve fu abbandonata. Nel 1570 fu riparato il tetto, ma la situazione di incuria continuò a crescere. Nel 1905 fu restaurato il pavimento, nel 1937-38 – sotto la guida di Carlo Ceschi – fu ricostruita l’abside di sinistra sui resti dell’originaria e fu riportato a vista il paramento murario della facciata e dell’interno. Nel 1935 era stato trasferito il cimitero che circondava la costruzione.

Descrizione del sito:
La Pieve è una costruzione a tre navate con tre absidi semicircolari (l’unica originale è quella centrale, quella di sinistra è stata ricostruita durante i restauri) e tetto a doppio spiovente. La facciata, decorata da archetti pensili divisi irregolarmente da sottili lesene, presenta una porta ad arco a tutto sesto, un occhio circolare e un piccolo campanile a vela, probabilmente di costruzione posteriore. La navata centrale ha quattro arcate che poggiano su pilastri quadrangolari cui sono addossate semicolonne di mattoni.
Nell’abside centrale sono presenti tracce di affresco raffigurante Cristo Pantocratore tra i Santi Cosma e Damiano, risalente all’XI secolo. Da alcuni anni è stato posto nella chiesa un Crocefisso ligneo del XVI secolo: la testa, grazie ad uno snodo, può muoversi dall’alto verso il basso: gli studi effettuati hanno confermato che veniva utilizzato durante i processi dell’Inquisizione. Nella navata di destra si apre l’accesso alla cripta che presenta tre navatelle con sei colonnine in pietra sormontate da capitelli cubici che reggono le volte a crociera.

Parrocchiale dell’Assunta: costruita dal 1598 su un precedente oratorio del XI-XIII secolo, conserva alcune vestigia nella parte sud dell’edificio.

Descrizione dei ritrovamenti:
Nella navata di sinistra della pieve vi è una tomba “a cappuccina” ritrovata a Viguzzolo, probabilmente del periodo tardo romano – alto medievale.

Informazioni:
Largo Caduti per la Patria, a fianco della Strada Provinciale 99.   Comune tel. 0131 898398

Link:
http://www.comune.viguzzolo.al.it

http://it.wikipedia.org/wiki/Viguzzolo#Pieve_di_santa_Maria

http://www.cittaecattedrali.it/it/bces/107

https://www.chieseromaniche.it/Schede/235-Viguzzolo-Santa-Maria.htm

Bibliografia:
Vedi pagina  del sito del Comune sopra indicata.

Fonti:
Immagini dai siti sopra indicati e da Wikimedia commons; foto 3 da http://www.cittaecattedrali.it

Data compilazione scheda:
20 Novembre 2011 – aggiornamento febbraio 2014 – maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Treville (AL) : Chiesa di San Quirico

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Storia del sito:
La chiesa risale al XII secolo e compare in documenti del 1299, 1348, 1360 e 1440 che menzionano una chiesa a Treville e una ad Arliate (località poi scomparsa prima del XVI secolo). Le rispettive dedicazioni, riportate soltanto nei due elenchi trecenteschi, sono a Sant’Ambrogio e a San Quirico. Con la dissoluzione del sistema plebano, entrambe le chiese funzionarono per un certo tempo come parrocchie, finché la chiesa di Arliate, scomparso l’insediamento circostante, decadde a semplice chiesa campestre, mentre la chiesa di Sant’Ambrogio acquisiva il titolo di pievania. Tale processo, iniziato probabilmente attorno alla metà del secolo XV, risulta pienamente compiuto alla fine del secolo successivo, all’epoca della visita pastorale del vescovo Marcantonio Gonzaga (1590). La cancellazione definitiva della chiesa di San Quirico dal panorama cultuale trevillese avvenne però soltanto nell’età contemporanea, quando fu sancita dalla traslazione e aggregazione alla parrocchiale di Sant’Ambrogio del titolo dell’antica chiesa. Però, fino alla metà dell’Ottocento, la chiesa di San Quirico continuò a rappresentare un punto di riferimento essenziale per la vita religiosa di Treville perchè, oltre che a svolgere la funzione di chiesa cimiteriale, ancora verso il 1830, veniva officiata nel giorno del santo titolare e in occasione della Pentecoste.
Abbandonata e andata poi in rovina, era crollato il tetto alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo. Divenne in seguito di proprietà del Comune, che la fece restaurare nel 1985-6 e nel 1992-93.

Descrizione del sito:
Edificio orientato, ad aula unica, con abside semicircolare, facciata a capanna. Muratura in pietra da cantoni, con archetti e semplici decorazioni in cotto. Abside divisa in tre campiture da due paraste, con tre monofore decorate.

I Pellegrini medievali, lasciarono sui muri della chiesetta di San Quirico numerose tracce e testimonianze, sotto forma di graffiti. I principali sono raffigurati nel libro indicato in bibliografia.

Informazioni:
Località Crosietta (Crosetta) su un poggio in mezzo ai vigneti, a nord dell’abitato.  Comune tel. 0142 497006

Link:
http://www.comune.treville.al.it/Home/Guida-al-paese?IDDettaglio=31999

http://www.comune.treville.al.it/Home/Guida-al-paese

https://www.chieseromaniche.it/Schede/227-Treville-San-Quirico.htm

Bibliografia:
ALETTO C. (a cura di), Graffiti – Iscrizioni e figurazioni incise sulla Pietra da Cantoni, edito dall’Ecomuseo della Pietra da Cantoni” (con sede a Cella Monte), 2004

Fonti:
Notizie e prime due fotografie tratte dal sito del Comune. Ultima fotografia da http://digilander.libero.it/alfre55/covo/treville/treville_san%20quirico.htm

Data compilazione scheda:
27 novembre 2011 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
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Tortona (AL) : Museo Civico

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Storia del Museo:
Ordinato nei primi anni di questo secolo (1905) ad opera della Società per gli studi di Storia, Economia ed Arte nel Tortonese (sorta nel 1903 ed ancora attiva come Società Storica Pro Iulia Dertona) trovò sistemazione a Palazzo Guidobono nel 1955, dopo i lavori di restauro che avevano interessato l’edificio dal 1938. Il primo nucleo di materiali (soprattutto lapidi e reperti fittili) risale al 1891, quando la preziosa collezione archeologica del cav. Cesare De Negri Carpani, alla sua morte e secondo le sue volontà testamentarie, venne divisa fra Alessandria e Tortona. Nel 1905 la raccolta si arricchì per la donazione alla città, da parte del vescovo mons. Igino Bandi, di importanti pezzi (tra cui il sarcofago di P. Elio Sabino) fino ad allora conservati in Cattedrale e nel Palazzo Vescovile.

Descrizione del materiale :
Attualmente il Museo raccoglie più di 2000 reperti, testimonianze tanto concrete quanto affascinanti della storia locale, dalle epoche più remote al Medioevo. Del resto il nome di Tortona si può leggere anche nei libri di geologia e già nelle primissime pagine di quelli di storia. Infatti, Tortoniano ha nome uno dei piani del Miocene (che termina 7 milioni di anni fa) e lo Sperone di Tortona è una tipologia geologica le cui successive, varie formazioni sono abbondantemente fossilifere. Il Museo possiede una interessante raccolta di fossili locali ed è in grado di documentare anche la più antica presenza dell’uomo nella nostra zona: un cranio neolitico, appartenuto probabilmente ad un maschio di 20 anni e risalente al quarto millennio a.C., alcuni pezzi di corna di cervo lavorate e selci scheggiate costituiscono il piccolo, ma significativo retaggio della presenza umana nel Tortonese prima dell’epoca storica. L’origine di Tortona sembra potersi far risalire con sempre maggior certezza ad un insediamento preistorico ligure sulla collina del castello, tra l’VIII e il V secolo a.C.. In effetti, durante lavori di recupero, consolidamento, studio stratigrafico del muro romano di Via alle Fonti sono stati rinvenuti frammenti ceramici dell’età del ferro, che assieme al materiale laterizio proveniente dal castelliere del Guardamonte di Gremiasco rappresentano il nucleo ligure del Museo. La civiltà gallica è presente con diverse fibule intere o frammentarie, mentre qualche bel vaso di bucchero testimonia che gli Etruschi sono passati di qui. Il Museo, comunque, si qualifica soprattutto per il materiale romano, proveniente da Julia Dertona, la seconda colonia romana dedotta tra il 40 ed il 30 a.C. sul territorio della più antica Dertona, sorta nel 120 a.C. circa, a seguito di una colonizzazione d’età repubblicana, di poco successiva a quella promossa da Caio Gracco. Altre fonti letterarie antiche (in particolare Livio, Ab Urbe condita XXXII, 5, 49 e Strabone, Geographicon V, I, 11) collocano Dertona tra le città romane nobili e degne di considerazione e come importante nodo stradale. In effetti, alcuni dei pezzi conservati nel museo sono di così singolare bellezza o di proporzioni tali da confermare l’ipotesi che la città fosse grande, fiorente e ricca di edifici pubblici e di templi. Fra i reperti, particolarmente interessanti e pregevoli sono: – il sarcofago marmoreo di Publio Elio Sabino (sec. III d.C.); – la lapide dei tre ciabattini, stele d’arenaria (sec. III d.C.); – il pavimento a mosaico policromo (età imperiale); – le fistulae plumbeae dell’acquedotto (età imperiale); – le lucerne fittili e le anfore vinarie; – la collezione di monete. Stando alle testimonianze d’epoca, per altro non prive di riscontri in studi recenti, Tortona sarebbe la più antica colonia romana del Piemonte e sembra poter vantare questo primato anche come diocesi. Sebbene abbia scarsi fondamenti storici la tradizione che attribuisce già alla fine del I secolo, l’evangelizzazione del territorio dertonino e la fondazione della diocesi di Tortona ad opera del vescovo Marziano, martire nel 122 d.C., è invece accertato che alla metà del IV secolo Dertona è sede vescovile ed il suo vescovo Innocenzo appare a capo di una comunità cristiana solida ed attiva. Se si tien conto della datazione e del numero delle iscrizioni (54 fino al VI sec.) e delle lucerne fittili (46) paleocristiane rinvenute, si hanno elementi sufficienti a fare di Tortona una delle località dell’alta Italia che possono vantare la più grande antica diffusione del cristianesimo. In particolare, per quanto riguarda le iscrizioni, sono ben 70 quelle riunite nel lapidario paleocristiano del Museo. Qui è anche la lapide di Crescentia datata 434 d.C., che rappresenta la più antica testimonianza certa del Cristianesimo a Tortona. Queste epigrafi paleocristiane (V-VIII sec. d.C.), tutte di destinazione funeraria, costituiscono una preziosa documentazione della situazione di Tortona nei “secoli bui” dell’Alto Medioevo e consentono, ad esempio di cogliere visivamente il progressivo imbarbarimento della lingua, nella fase di passaggio dal latino al volgare. Alcuni frammenti di lapidi, scritte in caratteri greci, sono particolarmente interessanti quali rari documenti della presenza a Tortona dei Bizantini nella seconda metà del 500 d.C.. Tutto sommato ben rappresentato nel Museo (con oggetti di fine oreficeria) è il periodo (490-555 d.C.) dell’insediamento dei Goti di Teodorico, che aveva eletto la città a “granaio della Liguria”, come scive Cassiodoro nelle sue “Variae”. Dai primi anni del 600 e fino al 773 d.C., cioè per quasi due secoli, Tertona è soggetta ai Longobardi; il museo documenta anche questa così stabile e prolungata presenza, sebbene solo con poca suppellettile domestica.
Da segnalare sono: – la collezione di ceramica (200 frammenti), graffita, dipinta, monocroma ed invetriata, soprattutto di produzione locale; – l’arca reliquiaria del 1210, appartenuta al convento benedettino di S. Stefano (area di Palazzo Canegallo, in piazza Malaspina), che reca scolpite a bassorilievo sui lati figure dei santi, martiri e vescovi. Sono effigiati Germano, Demetrio, Vittore, Eustachio, Cosma, Giacomo, Filippo, Barnaba, Lorenzo e Biagio. Sono solo ricordati col nome diversi beati: Nabore, Felice, Simone, Giuda, Teodoro, Luca, Arsenio, Cipriano, Afra; – gli esemplari della monetazione prodotta dalla zecca di Tortona (sec. XIII).

Durante i lavori di ristrutturazione del museo sono comparsi, sotto il pavimento, murature romane e depositi di epoche anteriori che si intenderebbero recuperare (progetto Museo nel Museo).

Informazioni:
P.zza Arzano 2 / Via S. Marziano, tel. 0131 863470 / 0131 864273 , temporaneamente chiuso; è in corso la realizzazione del nuovo museo civico archeologico

Links:
http://www.comune.tortona.al.it/Sezione.jsp?titolo=Museo%20archeologico&idSezione=645

http://www.comune.tortona.al.it/Sezione.jsp?titolo=Museo+Archeologico+-+Approfindimento&idSezione=647

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
16 luglio 2004 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – Gruppo Archeologico Torinese

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Tortona (AL) : resti della città romana di “Dertona”

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Storia e descrizione del sito:
La città di Dertona costituisce il centro romano piemontese di più antica fondazione ed uno dei principali della IX regione augustea. La data della sua deduzione è tuttavia incerta, probabilmente compresa tra il 123-122 e il 109 a.C., a seguito della costituzione della via Postumia (la più importante arteria dell’Italia settentrionale, in quanto univa Genova ad Aquileia) e forse parallelamente alla realizzazione della via Aemilia Scauri (che collegava la Liguria con l’area cisalpina). Nacque nell’ambito di un vasto programma di conquista e di unificazione dell’Italia nord occidentale e, quindi, come centro strategico volto al controllo delle popolazioni liguri.
Sorse nella piana di Marengo, allo sbocco del torrente Scrivia, sulle ultimi propaggini dell‘Appennino ligure (m. 122,54 s.l.m.), in un sito connotato dalla presenza di uno sperone roccioso che fungeva da naturale difesa da eventuali attacchi. E’ probabile che si sia sovrapposto ad un precedente insediamento della tribù celto-ligure degli Irienses (dall’antico nome, Iria, del corso d’acqua); in effetti, i materiali preromani rinvenuti in pieno centro abitato, in via Purricelli e nei sotterranei del Museo Civico, attestano una presenza nell’area almeno dal IV sec. a.C.
Alle funzioni militari, tuttavia, si affiancò in breve tempo il ruolo di fondamentale nodo viario legato ai principali traffici fra la pianura padana e l’area alpina centro-occidentale, dal quale passavano le strade principali, le già citate vie Postumia ed Emilia Scauri, e partivano molte ramificazioni per varie città piemontesi, quali Acqui Terme, Pollenzo, Asti, Chieri, Industria, Valenza Po.
Attorno alla sua fitta rete stradale venne organizzata anche la centuriazione del territorio, la cui estensione doveva arrivare a ovest verso il Bormida e il Tanaro, a sud verso le pendici dell’Appennino ligure, confinando con i territori di Libarna e Aquae Statiellae, a nord all’incirca fino all’incontro del Tanaro con il Po e a est lungo il corso del Curone.
Le stesse tracce di centuriazione nelle campagne circostanti dimostrano che la sua fiorente economia era basata, oltre che sul controllo dei traffici commerciali, anche sull’agricoltura, in particolare sulla produzione di grano.
Nella seconda metà del I sec. si collocherebbe una seconda fondazione voluta da Ottaviano, di cui sarebbero testimonianza sia l’appellativo “Iulia” presente in alcune iscrizioni sia il fatto che Plinio la ricordi come “colonia”, termine che lo scrittore latino utilizza solo per le colonie di età augustea, epoca alla quale, peraltro, risale l’ampliamento e la monumentalizzazione della città.
Pertanto, in linea generale, gli studiosi ritengono che la sua nascita non sia avvenuta attraverso un unico e ben definito atto di fondazione ma da una sequenza di avvenimenti e di fasi successive.
L’insediamento mantenne la sua importanza nell’ambito dei commerci e delle comunicazioni viarie anche in epoca tardoantica: tra V e VI sec. ebbe un ruolo di rilievo per i rifornimenti civili e militari (Teodorico vi fece costruire grandi “horrea”, depositi di grano), inoltre, vi sorse la principale sede episcopale del Piemonte meridionale.
Un segno di crisi è stato, tuttavia, individuato in una certa contrazione dell’abitato agli inizi del VI, desunta da una fonte letteraria (Cassiodoro), secondo la quale i dertonesi furono indotti a costruire le loro abitazioni entro il perimetro del Castello, che forse costituiva l’unica difesa del centro in quanto le mura repubblicane dovevano essere state abbattute. La continuità di vita del centro attraverso i secoli ha profondamente modificato il volto della città romana e l’organizzazione urbana di epoca romana è ancora piuttosto lacunosa. I primi rinvenimenti archeologici risalgono al XIV sec., quando sotto la chiesa di S. Marziano, distrutta da un incendio, vennero alla luce resti di urne cinerarie e strutture ipogee, mentre nel XVI sec. si ha notizia di importanti scoperte quali il sarcofago di Elio Sabino, con raffinata decorazione a rilievo.

L’insediamento romano era probabilmente distinto in due diverse porzioni topografiche: una parte collinare più antica (l’area del Castello, dove era localizzato il precedente abitato celto-ligure) e una parte bassa pianeggiante (tra il Duomo e Porta Voghera), che costituisce la fondazione ex novo del centro romano.
La prima zona insediativa era presumibilmente destinata ai più importanti edifici della città, legati al potere politico, amministrativo e religioso; la collina era recintata da un possente muro difensivo, databile ad epoca tardo-repubblicana, che, allo stato attuale delle ricerche, rappresenterebbe il più antico esempio noto in Piemonte nonché una probabile testimonianza delle prime fasi di vita della colonia.

Sulla collina del Castello, nell’area archeologica di via alle Fonti ed in prossimità del Convento dei Cappuccini, è ancora visibile la parte orientale della cinta muraria, il cui orientamento risulta coerente con il tracciato della centuriazione del territorio tortonese. Si estende per ca. 100 m con un’altezza massima conservata di 6 m; al di sotto sono state rinvenute strutture preromane databili, anche sulla base del materiale archeologico rinvenuto, tra la seconda metà del VI e la prima metà del V sec. a.C., indicando una precedente fase di frequentazione dell’altura nel corso dell’età del Ferro. La tecnica costruttiva consiste in un nucleo di pietrame irregolare (tecnica “a sacco”), rivestito esternamente da un paramento di blocchi di calcare allineati in filari orizzontali e regolari. La cortina muraria è intervallata da una torre rettangolare conservata per un’altezza di ca. 2 m sul lato interno delle mura.
Inoltre, nel 1999 in via Rinarolo, all’estremità settentrionale dell’altura del Castello è stata riportata alla luce una consistente struttura muraria che si pone su una linea di costa molto più bassa ed esterna rispetto all’abitato di Dertona . E’ lunga ca. 37 m, con uno spessore di 2 m ed un’altezza conservata poco inferiore ai 2 m; la tecnica costruttiva sia per le fondazioni che per l’elevato è la stessa della struttura di via alle Fonti. Si può ipotizzare un ampliamento successivo rispetto alla fortificazione di età tardo repubblicana ma sono presenti contrafforti sul lato esterno della struttura che richiamano opere di terrazzamento documentate nell’Italia centro -meridionale a partire dal III-II sec. a.C.
La seconda zona testimonia, invece, la presenza, in età imperiale, di un’organizzazione planimetrica castrense, fortificata da mura e torri difensive di età imperiale (a partire dalla metà del III sec. d.C.), con due principali porte di accesso identificate nell’area di Largo Borgarelli (Porta Genuensis) e all’incrocio fra via Emilia e le vie Pellizza da Volpedo e Rinarolo (Porta Ticinensis), ancora visibili nella cartografia del XVII sec.
La pianta della città mostra una forma all’incirca quadrata con 600 m di lato, quindi conforme alle misure canoniche dei castra romani, ed un impianto ortogonale impostato sul decumano massimo, corrispondente alla via per Ticinum-Pavia e rintracciabile a tratti nelle attuali via Emilia angolo via Pellizza da Volpedo-via Rinarolo e all’altezza di via Montemerlo, su cui verosimilmente si apriva la porta urbica Ticinensis; ancora oggi l’andamento longitudinale conferito dal tratto urbano della via Aemilia Scauri si riflette sulla viabilità moderna.
Gli assi coincidenti con via Giulia-via Busseti corrispondevano invece al sistema dei cardines, su cui si apriva la Porta Genuensis.
Non vi è ancora ancora certezza sull’esatta ubicazione delle principali aree pubbliche. Alcuni indizi archeologici sembrano indicare una loro presenza nel settore periferico sud-ovest della città; in particolare, sono state identificate con resti delle terme urbane di età augustea le pavimentazioni in marmo bianco percorse da canalizzazioni in piombo ritrovate fuori della Porta Leone nel XVII sec.
Tale ipotesi sembra confermata dal ritrovamento di parti di condutture idrauliche e frammenti di trabeazione pertinenti ad un edificio di rilievo presso l’odierno Palazzo Frascardi, tra corso Montebello e via Carducci, nell’area che doveva segnare l’inizio della zona urbana.
Peraltro, fra le più importanti scoperte avvenute nell’area urbana vanno menzionati i resti di un’imponente costruzione a pianta rettangolare (m 8,90 x 8,70), con pavimentazione in arenaria e fondazione profonda ca. 4 m, rinvenuti all’interno della canonica di S. Matteo (sita in via Emilia, nei pressi di via Pellizza da Volpedo), noti come parte del cosiddetto “Mausoleo dell’imperatore Maioriano”, imperatore ucciso, secondo la tradizione, proprio a Dertona da Ricimero nel 461. E’ però probabile che siano pertinenti ad un edificio a carattere pubblico-sacro o celebrativo della tarda età repubblicana o del periodo augusteo. Inoltre, il complesso era parallelo alla via Emilia, su cui si affacciava occupando un isolato di ca. 90 m di lato e sembra sorgesse in prossimità di un’area a destinazione pubblica, forse il foro, di cui è stata rinvenuta la pavimentazione in basolato.
Le tracce del sistema idrico testimoniano anche la presenza di un acquedotto che riforniva l’abitato. Il tracciato dell’impianto, che probabilmente era alimentato direttamente dallo Scrivia, non è completamente noto ma si ritiene fosse in buona parte parallelo alla via Postumia e si snodasse attraverso lunghi tratti a cunicolo in muratura con copertura in parte a botte e in parte a tavelloni. Tuttavia, il rinvenimento di tratti di conduttura e di selciato stradale sia oltre Porta Voghera-piazza Roma sia a ovest, all’altezza di via Giordano Bruno, ha consentito di definire il presumibile percorso dell’acquedotto almeno per il suo tratto urbano principale come anche quello del Decumano Massimo; in effetti, l’impianto ortogonale nel suo complesso è stato in parte ricostruito sulla base della rete idrica e fognaria. Quanto alla parte residenziale, sono venute alla luce strutture abitative anche di un certo livello in varie zone della città, tra cui un intero quartiere alle pendici del castello in via Massa Saluzzo e via Perosi, resti di un edificio signorile in piazza delle Erbe, una ricca abitazione e un impianto per la fusione del bronzo del I secolo d.C., poi sostituito nel secolo successivo da abitazioni, in via Visconti. A testimonianza della prassi in uso nel mondo romano, i recuperi archeologici dei reperti funerari sono avvenuti nelle aree extraurbane, come in corso Repubblica o lungo il tracciato della via Postumia. Alcuni notevoli monumenti funerari, sicuramente da collegare ad una committenza di rango elevato, sono stati individuati nell’ambito di un sepolcreto emerso negli anni ottanta del ‘900 in Località Fitteria, tra le via Emilia, Arzani e Fratelli Pepe. Di particolare interesse due strutture del tipo “a podio”, che rimandano a tipologie attestate in altre città dell’Italia centro-settentrionale (quali Aquileia e Bologna), la cui monumentalità Si tratta di due basamenti quadrati di ca. 10 m di lato, uno dei quali tagliato da una cella circolare al centro, mentre l’altro presenta una complessa struttura con spazi poligonali intorno a un vano romboidale. Al secondo con buona probabilità apparteneva un coronamento a cuspide in pietra ritrovato nello scavo dell’area circostante.
PONTE ROMANO sulla Via Emilia. Databile tra la fine del I secolo a.C. e la seconda metà del I d. C., venne scoperto ngli anni ‘8o dello scorso secolo e fu raggiunta la base d’imposta sull’antico fondo ghiaioso. Ricavate contro il terreno, le spalle evidenziano il nucleo di calcestruzzo e tracce del rivestimento in blocchetti squadrati di calcare.

Informazioni:
Comune tel. 0131 8641 oppure IAT tel./fax 0131 868940 e-mail: iat@comune.tortona.al.it

 

Link:
http://www.comune.tortona.al.it/Sezione.jsp?titolo=Tortona+ligure+e+romana&idSezione=110&lookfor=dertona

Fonti:
Fotografie dal sito del Comune

Data compilazione scheda:
29 giugno 2012 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Marina Luongo – Gruppo Archeologico Torinese

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Tortona (AL) : edifici e reperti medievali

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Storia e descrizione dei siti:
Tortona fu anche nel Medioevo una città importante, vedi il sito del Comune per la storia.
Gli edifici medievali che hanno subito pochi rimaneggiamenti:
CASA DEL POZZO Esempio di edilizia del XV secolo; dal 1670 alla metà del XIX secolo è documentata la sua appartenenza alla Sacrestia del Duomo; è infatti nota anche come casa del capitolo. Nel 1930 circa venne acquistata dalla Società Storica Tortonese e donata al Comune.

PALAZZETTO MEDIEVALE Esempio di architettura tre-quattrocentesca, l’edificio è scampato più volte alla demolizione in tempi recenti. Nei pressi sorgeva l’antica Porta di S. Quirino e la medievale piazza del borgo vecchio, detta anche piazza dei granoni. E’ stato restaurato tra il 1982 e il 1987 dalla Cassa di Risparmio di Tortona che lo possiede dal 1933.

CHIOSTRO DELL’ANNUNZIATA Lato superstite del chiostro del convento delle suore agostiniane dell’Annunziata. Dopo la soppressione degli istituti religiosi, nel 1802, l’area fu ceduta dal governo francese alla municipalità di Tortona che, durante la prima metà del XIX secolo, vi fece edificare le Regie Scuole e il Teatro Civico. Un affresco raffigurante una teoria di santi, riferibile alla costruzione originaria, è stato staccato nel 1998 e trasferito nelle Civiche Raccolte Artistiche.

CHIESA DI SANTA MARIA CANALE (Sec. XI – XII) E’ documentata dal 1151, anche se l’edificio attuale risale al XI-XII secolo con l’aggiunta, nella seconda metà del XVI secolo, dell’abside rettangolare e delle cappelle laterali. È la chiesa più antica che si conserva in Tortona; ha subito molti rimaneggiamenti e insieme ai caratteri romanici originali presenta anche elementi gotici frutto delle trasformazioni operate nei secoli XIII e XIV. La facciata a capanna è frutto del restauro condotto nel 1853. L’interno ha struttura a tre navate divisi da pilastri compositi che reggono archi a tutto sesto e volte a crociera, alcuni capitelli sono databili al 1040 circa. Sotto il primo arco a destra della navata centrale, tracce di affreschi del XV secolo. Le decorazioni della chiesa sono del XX secolo. Tra i dipinti sono presenti una Natività di scuola leonardesca (XVI sec.), opere del Fiamminghino (XVII sec.), del Brandimarte della Torre (XVI sec.), del Vermiglio (XVII sec.).

CHIESA DI SAN MATTEO L’edificio è stato rifatto alla fine del Seicento. All’interno, di grande rilievo, la Madonna col Bambino, su fondo oro, di Barnaba da Modena (circa 1375); sotto la tavola un pregevole crocifisso ligneo della seconda metà del Trecento.

Sarà posto nel Museo Diocesano, già nella cappella del Palazzo Vescovile, la tavola del TRITICO, proveniente dall’abbazia di Lucedio, che raffigura la Madonna con Gesù Bambino in trono, quattro angeli, san Giovanni Battista, san Bernardo di Chiaravalle e Annibale Paleologo, committente dell’opera, del 1499, opera di Macrino d’Alba.

CASTELLO situato sul colle Vittorio a est della città, si può considerare il vero protagonista dei 25 secoli di storia tortonese. Il colle ha visto il primitivo castelliere ligure trasformarsi prima in rocca romana, poi in un castello medioevale, ripetutamente assediato e più volte distrutto, ma sempre ricostruito e via via variamente rafforzato fino a divenire, nel 1773, per opera dell’ingegnere militare Bernardino Pinto, su incarico di Vittorio Amedeo III, una superba fortezza. Quello che ne rimane, dopo la distruzione voluta da Napoleone nel 1801, sono alcuni resti della cinta muraria e la torre campanaria della chiesa del forte, assurta a simbolo della città.

Informazioni:
Gli edifici sorgono nel centro storico. Comune tel. 0131 8641

Link:
http://www.comune.tortona.al.it/Sezione.jsp?titolo=Chiese%20e%20monumenti&idSezione=101

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
30 Novembre 2011 – aggiornamento febbraio 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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