musei p. Alessandria
ALESSANDRIA : Musei Civici, Sale d’Arte – “Le stanze di Artù”
Storia del museo:
Le Sale d’Arte comunali sono oggi aperte al pubblico nei nuovi locali ristrutturati dell’edificio che ha ospitato fin dalla seconda metà dell’Ottocento, il Museo, la Pinacoteca civica e la Biblioteca di Alessandria.
Il percorso museale rinnovato negli arredi e nelle strutture espositive, intende proporre al pubblico alcune delle più importanti opere e oggetti d’arte appartenenti alle collezioni del Museo e della Pinacoteca civica. La nuova sede suddivisa in quattro sezioni espositive oltre a proporre una riflessione sull’identità civica della città che vede le sue radici nel Medioevo e nella civiltà comunale, accoglie lo splendido ciclo di affreschi ispirati alle storie di Artù. L’Ottocento rivisitato attraverso il fascino della pittura di Giovanni Migliara e il Novecento rappresentato attraverso l’opera dell’alessandrino Alberto Caffassi, anticipano l’esposizione di opere d’arte contemporanea confluite nelle collezioni a partire dagli anni ‘20. Quest’ultima sala viene inoltre utilizzata per le mostre temporanee.
Descrizione del materiale esposto:
Si tratta di un ciclo di affreschi, commissionati alla fine del XIV secolo da Andreino Trotti, condottiero e membro di un’importante famiglia alessandrina, per festeggiare la vittoria ottenuta nel 1391, al fianco di Gian Galeazzo Visconti, contro le truppe francesi. Gli affreschi si situano successivamente a questa data e prima del 1402, anno di morte di Galeazzo Visconti e del Trotti medesimo. Il ciclo è uno degli esempi più antichi di “camera Lanzaloti” (così in epoca medievale venivano chiamate le sale decorate con tali soggetti) che si sia conservato ai nostri giorni e testimonia il notevole successo riscosso dall’iconografia arturiana in quel periodo. La fonte letteraria degli affreschi è il romanzo “Lancelot du Lac“, il più famoso dei testi della saga cavalleresca di Re Artù, tratto dalla “Vulgate Arthurienne” di Chretien De Troyes.
In origine le quindici scene del ciclo decoravano le pareti della grande sala di rappresentanza della Torre Pio V di Frugarolo (AL) che fu prima curtis carolingia, poi castrum e mansio fornita di hospitium dei cavalieri gerosolimitani e in seguito divenne residenza signorile di Andreino Trotti. Dopo l’esito favorevole dell’impresa militare, il Trotti poté ampliare le sue proprietà e apportò importanti modifiche alla torre di Frugarolo, innalzandola di un piano. Per altre notizie sulla torre vedi la scheda: Frugarolo (AL): Torre medievale
Della sala decorata si erano praticamente perse le tracce documentali, quando fu ritrovata, nel 1971, nella torre ridotta a rudere e colombaia, fra infiltrazioni d’acqua, in condizioni disastrose. Ma la bellezza degli affreschi fece scattare una mobilitazione che consentì di staccarli e, al termine di un lungo e delicato processo di restauro, di presentarli al pubblico in una mostra nel 1999-2000, che poi venne resa permanente. Alle scene del ciclo si aggiunge un sedicesimo frammento raffigurante una “Madonna in trono con bambino”.
La ricostruzione ideale dello sviluppo del ciclo affrescato nello spazio della torre svela come gli episodi più importanti, raffigurati sul lato orientale, avessero come coprotagonisti il cavaliere Lancillotto e l’amico “le prince Galehot”, in cui vanno ravvisate le figure del Trotti stesso e di Galeazzo. Per la committenza di quest’ultimo era presente nel castello di Pavia proprio nel 1393 Giovannino de Grassi, e il frescante di Frugarolo è da identificare fra gli artisti attivi in quel circuito, in un pittore di cui non conosciamo il nome, aperto all’influenza del maestro milanese e ben informato per linguaggio sui codici della biblioteca pavese. Anche per precise affinità degli elementi di moda dei personaggi degli affreschi con le figure miniate nell’Offiziolo Visconti, la realizzazione del ciclo si colloca con un certo margine entro la fine del secolo XIV.
Lancillotto è riconoscibile dalla sigla “L” dipinta vicino a lui; Galehot ha sempre lo stesso cappello e una corta barbetta bionda come dettava la moda del tempo; Ginevra ha una lunga treccia bionda che le scende lungo la schiena, mentre la Dame de Malohaut porta i capelli sul capo intrecciati con un nastro.
Informazioni:
Indirizzo: Via Niccolò Machiavelli, 13 – 15121 Alessandria (AL)
Telefono: 0131.23.42.66 (lun-ven)
Link:
http://www.asmcostruireinsieme.it/sale-darte/
http://www.rialfri.eu/rialfriPHP/public/testo/testo/codice/frugarolo.html
https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0100408631-0
https://www.italiamedievale.org/portale/gli-affreschi-arturiani-di-frugarolo/
Bibliografia:
CASTELNUOVO, E. Le stanze di Artù: gli affreschi di Frugarolo e l’immaginario cavalleresco nell’autunno del Medioevo, Catalogo della Mostra tenuta a Alessandria nel 1999-2000, Electa, Milano 1999, rist. 2009
Fonti:
Fotografia in alto tratta da: https://medioevoinalessandria.wordpress.com/la-torre-di-frugarolo-e-gli-affreschi-arturiani/.
Immagini in basso da http://leradicideglialberi.blogspot.com/2020/02/
Data compilazione scheda:
3 dicembre 2011 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Acqui Terme (AL) : Museo Archeologico
Storia del Museo:
Acqui Terme occupa oggi quello che fu il sito della città romana diAquae Statiellae, centro sorto nella prima metà del II secolo a.C., in luogo di Carystum, antica capitale dei Liguri Statielli, difficile da localizzare con precisione vista la scarsità di tracce archeologiche di età protostorica.
I reperti archeologici finora ritrovati permettono di avviare una ricostruzione dell’iniziale popolamento del territorio acquese durante il Paleolitico e il Neolitico, intensificatosi poi nel corso dell’età del Bronzo e del Ferro. La presenza in età preromana di un insediamento su questo territorio e la formazione di una città, vitale per lunghi secoli a partire dall’età romana, è senz’altro riconducibile all’esistenza delle ricche acque termali, elemento peculiare della città. Ancora oggi il paesaggio acquese è caratterizzato dalle rovine del grandioso acquedotto romano e dalla monumentale fonte detta La Bollente, posta al centro della città.
I numerosi e significativi reperti archeologici acquesi, frutto di varie campagne di scavo o di ritrovamenti fortuiti, sono stati raccolti all’interno del Museo Archeologico ricavato negli ambienti del vecchio Castello dei Paleologi.
Dopo alcuni tentativi di raccogliere i reperti acquesi, malamente conclusi tra Ottocento e Novecento, una sommaria esposizione fu allestita alla fine degli anni Settanta, trascurando tuttavia di approfondire la conoscenza dei contesti perduti.
L’odierno allestimento del museo, inaugurato nel 2002, mira a colmare questa lacuna e rappresenta il primo lotto di un progetto che mira al recupero completo del castello. Un secondo lotto è’ stato completato nel 2013.
Descrizione delle collezioni:
Le sei sale del museo sono organizzate per temi e periodi cronologici, in modo da spaziare dalla preistoria all’età romana e al Medioevo.
Le prime due sale,riservate al periodo preistorico, affrontano le tematiche del popolamento del territorio dal Paleolitico alla seconda età del Ferro.
Una scheggia in selce rinvenuta a Toleto di Ponzone e un raschiatoio proveniente dai terreni della vecchia fornace acquese collocata sulla strada per Savona sembrano confermare una frequentazione dell’Appennino ligure-piemontese a partire dal Paleolitico inferiore. Altri reperti testimoniano la presenza di gruppi di cacciatori nomadi che probabilmente si spostavano seguendo i branchi di selvaggina e raccogliendo i vegetali nati spontaneamente.
Più nutrita la documentazione riferibile al Neolitico (fine VI-metà IV millennio a.C.), lungo arco di tempo in cui l’uomo passa dalla sopravvivenza basata sulla caccia e sulla raccolta a un’economia produttiva imperniata sull’agricoltura e sull’allevamento. Gli insediamenti si fanno stabili e inizia la produzione di recipienti in ceramica e di utensili levigati come asce, accette e scalpelli. Il reperto più antico riferibile all’età del Bronzo (2200-900 a.C.) è un frammento di un grande vaso biconico recuperato ad Acqui Terme durante i lavori di estrazione nella cava di argilla collocata sulla destra della strada per Savona, nell’area della necropoli romana.
A partire dalla media età del Bronzo gli insediamenti si concentrano nei bassi terrazzi fluviali del Bormida. È in questo periodo che si attua il graduale passaggio dal rito funerario dell’inumazione a quello della cremazione, con la deposizione dei resti dapprima all’interno di fosse scavate nel terreno e forse ricoperte da un basso tumulo, poi in un’urna fìttile, insieme agli oggetti di abbigliamento e di corredo raccolti dal rogo funebre. In riferimento all’età del Bronzo finale (XII-X secolo a.C.) è particolarmente interessante l’area del Sassello, assai sfruttata per l’approvvigionamento del rame necessario alla nascente metallurgia. Numerosi i materiali qui rintracciati: punte di lancia, rasoi, lingotti, frammenti di spada e di vasi.
La seconda sala illustra l’età del Ferro (IX-II secolo a.C.) e soprattutto il momento di passaggio dall’abitato dei liguri statielli alla formazione della città romana.
La prima età del Ferro è condizionata dallo sviluppo del commercio etrusco, fino al crollo del macrosistema dell’Etruria Padana a seguito delle invasioni galliche, iniziate sul finire del V secolo a.C. Appartiene a questo periodo una fibula con lunga staffa a globetto rinvenuta nel 1961 ad Acqui. La seconda età del Ferro termina con l’avvio del processo di romanizzazione (II secolo a.C.) ed è caratterizzata dall’arroccamento delle popolazioni nelle vallate appenniniche e dalla prevalenza di un’economia basata sulla pastorizia e sull’impiego come mercenari negli eserciti.
Le tre sale seguenti affrontano l’età romana, con l’obiettivo di raccogliere in maniera sistematica l’insieme dei dati acquisiti nel centro urbano in tempi differenti, dagli scavi più recenti e meglio documentati alla rilettura delle conoscenze più datate. Si è potuta così abbozzare una prima ricostruzione dell’impianto urbano di età romana.
Aquae Statiellae è stata costruita intorno alla sorgente termale, urbanizzando la piana, terrazzando l’altura del castello e cercando di ovviare con opere di drenaggio agli allagamenti cui era soggetta la valle del Medrio.
La terza sala espone i corredi delle necropoli urbane, testimonianza dell’alto tenore di vita degli antichi abitanti del centro. Lungo il tracciato della strada consolare, l’antica via Aemilia Scauri, ad est e a ovest, sono state individuate due grandi necropoli sviluppatesi in gran parte tra l’inizio dell’età augustea e la fine del I secolo d.C.
I corredi più antichi – come quelli dei settori di piazza San Guido e via De Gasperi – sono caratterizzati da ceramiche da mensa, bottiglie, lucerne e unguentari. Merita di essere ricordato un anello in ambra con una gemma intagliata a forma di piccola scimmia. Si distingue inoltre una sepoltura raccolta dentro un’anfora, con un ricco corredo di coppe, bicchieri e vasi fittili, oltre a uno specchio, una lucerna, alcuni unguentari e un prezioso piatto in vetro verde scuro.
Le tombe ritrovate in via Alessandria sono caratterizzate da una maggiore monumentalità. Si tratta più spesso di pozzetti quadrati in muratura con nicchie in cui era deposto il corredo, con una certa prevalenza di urne cinerarie e oggetti in vetro. Si segnalano strigili in bronzo argentato lavorati a bulino con la raffigurazione di opliti, recipienti vitrei di vari tipi, tra i quali spicca un rhyton, la cui funzione riporta direttamente all’ambiente termale.
È ipotizzabile che l’asse stradale che costeggiava l’impianto cittadino a sud dell’abitato abbia acquistato maggior importanza a partire dalla seconda metà del I secolo, forse in concomitanza con la costruzione dell’anfiteatro e del vicino centro termale.
Alla piazza della Bollente, sin dall’antichità centro dell’impianto urbano, è dedicata la sala principale del museo. Sono qui collocati resti dei sedili marmorei della grande fontana romana pertinente all’impianto termale romano, di cui si conserva, sotto i portici di via Saracco, la dedica a mosaico voluta dai magistrati responsabili di una delle ricostruzioni o dei restauri, forse collocabile tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale.
Si può immaginare che alla fine del I secolo a.C. lo spazio oggi costituito dalla piazza e dal tribunale fosse occupato dalla monumentale fontana, ubicata nella parte più alta, nel punto in cui sgorga la sorgente. I dati degli scopritori raccontano di gradini in marmo e di una vasca di forma circolare con un diametro di quattro metri e mezzo, circondata lungo tutto il perimetro interno da un sedile con schienale sempre in marmo. Il pavimento era in calcestruzzo rivestito di lastre marmoree, con un pozzo quadrato centrale da cui sgorgava la sorgente. La parte bassa, invece, doveva essere destinata al complesso termale. Questo doveva essere assai articolato con una serie di vani strutturati secondo funzioni diverse.
I pochi tratti, individuati durante recenti campagne di scavo, mettono in evidenza alcuni muri che dovevano delimitare una nicchia rettangolare, al centro della quale sorgeva una struttura circolare. La pavimentazione, posta su un solido vespaio, era costituita da un mosaico in tessere bianche, mentre l’andamento delle pareti era sottolineato da un largo bordo a fascia in tessere nere. La parete occidentale doveva ospitare un alveus, una vasca per il bagno a immersione, mentre in quella settentrionale era invece posto un labrum, un largo bacino su basamento in muratura, destinato a contenere acqua fredda per rinfrescarsi dai bagni caldi. Mancano le tracce del consueto impianto di riscaldamento a ipocausto, ma è ipotizzabile che gli ambienti venissero scaldati sfruttando il calore delle acque termali. Accanto al calidarium si aprivano altri ambienti con funzioni differenti, come il laconìcum (sauna), il tepidarium e il frigidarium (destinati ai bagni tiepidi e freddi), la natatio (la piscina che solitamente concludeva il percorso termale).
La stessa sala conserva numerosi reperti provenienti dagli scavi di edifici pubblici e privati: ricchi materiali architettonici in marmo e in terracotta, frammenti di sculture, arredi domestici marmorei e un frammento di mosaico con iscrizione. Pochissime le notizie relative ai frammenti di sculture ritrovati in territorio acquese. Si distingue per pregio la mano femminile rinvenuta nell’edificio di via Aureliano Galeazzo. Si tratta dell’unico esempio di grande scultura reperito in città. Le dimensioni notevolmente superiori alla grandezza naturale e la qualità del pezzo, insieme alla destinazione pubblica del luogo del ritrovamento, fanno pensare a una statua, forse rappresentante una divinità.
Interessanti le testimonianze relative ai pavimenti romani della città, che permettono la ricostruzione di quattro tipi differenti di pavimentazione. I sectilia pavimenta erano i più pregiati e costosi. Se ne sono rinvenuti quattro esemplari, tutti di età imperiale, a disegno geometrico, giocato sul contrasto cromatico delle mattonelle nere e bianche, I pavimenti a mosaico sono il tipo più rappresentato, con oltre una ventina di attestazioni. Si tratta soprattutto di esemplari in tessere bianche, talvolta arricchiti da cornici nere. Pochi i casi di decoro geometrico, come quello a stelle e quadrati di via Carducci, databile al I secolo d.C., o quello decorato da cornici a onde correnti di tradizione tardoellenistica, ritrovato nei pressi della Bollente. A un altro edificio pubblico deve essere assegnato il mosaico che reca un’iscrizione, quella di M. Octavius Optatus, che fece costruire il pavimento stesso, o l’intero edificio, a sue spese.
Un altro tipo di pavimentazione piuttosto diffuso è rappresentato dai cocciopesti, apprezzati per la loro resistenza e impermeabilità. Di essi si registrano una decina di esemplari, alcuni semplici, altri con decorazioni in scaglie o tessere o piastrelle in marmo e pietra. Il più interessante appartiene a una domus rinvenuta in corso Roma e presenta piastrelle romboidali e triangolari disposte in modo regolare. Infine esistono testimonianze di pavimenti in elementi di laterizio o cotto, in particolare piastrelle rettangolari disposte a spina di pesce. Nel 2013 è stato riportato nel museo il frammento di pavimento musivo di epoca romana recentemente rinvenuto in via Mariscotti, nella zona occidentale della città, nel corso degli scavi per la posa delle tubazioni per il teleriscaldamento cittadino.
Centro termale con una intensa vita commerciale Segue una sala dedicata agli aspetti della vita commerciale e produttiva della città antica: una selezione delle centinaia di anfore, rinvenute nella bonifica antica di via Gramsci, testimonia l’intensità dei traffici commerciali che interessarono Aquae Statiellae e che ebbero come fulcro il porto di Savona, tramite con la penisola iberica. Alle importazioni di materiali dalla Spagna si affianca la produzione locale di oggetti di immediata necessità. Dalla fornace suburbana di via Cassino proviene un consistente nucleo di materiali ceramici di uso comune, come pentole, tegami, coppe e brocche prodotti in serie e sicuramente destinati ad un commercio locale. Altri oggetti, come le matrici per la produzione di lucerne, informano di una produzione più specializzata che doveva avvenire anch’essa in loco.
La presenza della sede episcopale, in epoca paleocristiana, si inserisce in una serie di elementi che confermano la continuità abitativa della città. La prima testimonianza certa dell’episcopato acquese risale alla seconda metà del V secolo. La sua collocazione sul colle attesta il progressivo abbandono della maggior parte dell’abitato antico posto nella piana e l’accentramento nella parte più alta e protetta. Non si conoscono ancora nel dettaglio le dinamiche storiche vissute da Acqui nel corso dell’alto medioevo, tuttavia, nella pur lacunosa documentazione, in città sono evidenti tre aree cimiteriali altomedievali di notevole consistenza: la zona di San Pietro, l’area di corso Roma e quella di piazza della Conciliazione. Tra le chiese assume infatti una particolare rilevanza quella dedicata all’apostolo Pietro, a cui è appunto connessa l’ampia area cimiteriale, collocata in quello che era stato il centro della città romana. Si conosce purtroppo poco delle vicende costruttive di questa chiesa, ma la presenza di un variegato campionario scultoreo alto-medievale fa pensare a diverse fasi di rifacimento dell’arredo liturgico. Purtroppo gran parte di queste decorazioni è conservata soltanto in fotografia, poiché molti dei pezzi rinvenuti nel cantiere degli anni Trenta sono andati perduti. Le immagini consentono in ogni caso di datare i decori in un’epoca compresa tra la fine del VII secolo e l’età carolingia.
Poco distanti sorgono le tombe attribuibili al cimitero della chiesa di San Giovanni, attestata almeno dal X secolo. La chiesa, poi donata ai francescani e completamente ricostruita, è giunta a noi con la dedica a san Francesco. Il cimitero è comunque più antico: nel corso di indagini archeologiche in corso Roma sono state portate alla luce 31 tombe a inumazione prive di corredo e databili tra VII e X secolo d.C. Dai dintorni del centro urbano provengono invece corredi funebri che attestano la presenza dei longobardi: pettini, orecchini, fibbie di cinture, lame di coltello, resti di casse funebri.
Un’ultima vetrina è infine dedicata a un gruppo di materiali ceramici del XVI secolo rinvenuti nei terreni che andarono a colmare la vecchia piscina medievale della fonte termale, in piazza della Bollente. Testimoniano la diffusione di tipologie decorative e di produzioni tipiche del primo rinascimento.
Informazioni:
Tel. 0144 57555
Link:
http://www.acquimusei.it -Museo archeologico di Acqui Terme
Bibliografia:
SAPELLI RAGNI M. (a cura di), 2004, Tesori del Piemonte. Il Piemonte degli scavi. Siti e musei di antichità.
Fonti:
Fotografie tratte dal sito del Museo archeologico di Acqui Terme
Data compilazione scheda:
08 gennaio 2005 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G. A. Torinese
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