TORINO : Porta Palatina
Storia del sito:
La Porta Palatina è ritenuto il più cospicuo avanzo di Torino romana ed il più antico, grandioso e meglio conservato esempio di porta urbica romana. E’ posta nella cortina muraria settentrionale.
Descrizione del sito:
Aperta ad uno sbocco del cardo maximus, da essa partiva la strada che attraversava Settimo e Trino, e, in Lomellina (Laumellum), si biforcava per Milano e per Pavia (Ticinum), tenendosi sempre a nord delle colline del Monferrato.
Il nome, anche se non è quello originario, suggerisce l’antica importanza. I duchi longobardi ed i conti franchi probabilmente insediarono la loro dimora nell’attuale zona di Palazzo di Città; anche se palatium era chiamata la sede del conte franco, nulla può far ritenere che nel castello, o casaforte, sorto su di essa dal X secolo, risiedessero i rappresentanti del Re. Diverse furono le denominazioni medioevali, ma in epoca romana doveva trattarsi della porta principalis dextra.
L’addossarsi di strutture ostruì nel corso dei secoli i transiti della porta settentrionale, e brecce furono aperte nelle mura sul suo lato occidentale.
L’8 luglio del 1404, il Comune ordinava il rifacimento della merlatura delle torri; un secolo più tardi un tondo radiato in stucco con la sigla IHS, ispirato alla predicazione eucaristica di San Bernardino da Siena, venne situato al centro dell’interturrio, cancellando la quarta parasta da occidente del secondo piano, quasi per difesa della città.
La grande sistemazione barocca di Torino e l’apertura nel 1699 e nel 1724 della nuova porta, cui passò il nome di Palazzo, in Piazza della Frutta, fecero correre all’antico monumento il rischio di distruzione; per fortuna, l’ingegnere militare Antonio Bertola convinse della sua importanza Vittorio Amedeo II e l’edificio venne trasformato in carcere.
L’interturrio venne sopraelevato in modo da fornire gli alloggi per i custodi, mentre le torri fungevano da vera e propria prigione; durante l’età napoleonica venne utilizzato come carcere militare e successivamente come carcere femminile.
La rivoluzione storica e scientifica della porta Palatina appartiene alla seconda metà del secolo XIX. Carlo Promis e Davide Bertolotti presentarono un progetto di restauro al Comune. Nel 1872 iniziarono i lavori, demolendo la vicina casa dei macelli per isolare l’edificio. Gli ambienti dell’interturrio furono utilizzati da allora come scuola di musica e poi di disegno, fino al 1903, quando iniziarono massicci restauri, portando in luce le strutture interne antiche.
Il restauro monumentale del 1872 risentì delle teorie tendenti a ripristinare il più possibile la porta romana, distruggendo le strutture più recenti. Venne demolita la caratteristica merlatura a coda di rondine nelle torri che costituiva un elemento terminale già antico.
Nella facciata si chiusero l’occhio circolare del 1511 e le finestrelle delle celle carcerarie, usando il laterizio: questo venne adoperato dovunque fu necessario ricostruire un tratto di cortina esterna, con mattoni spessi come quelli romani, ma di larghezza e lunghezza minori, secondo il criterio di usare materiali simili ma non identici agli originali, affinché restasse possibile distinguerli.
Nel 1906, Alfredo d’Andrade e Cesare Bertea proposero i seguenti lavori:
– scavi sul lato sud-occidentale per scoprire le fondamenta della torre ed i resti del cavaedium ancora sepolti;
– ricostruzione di alcuni muri ortogonali alla facciata, distrutti dalle costruzioni moderne, necessari per la stabilità dell’interturrio;
– demolizione di alcuni muri perimetrali recenti;
– demolizione delle integrazioni del 1872 nelle torri, in particolare la merlatura;
– recinzione dell’edificio con una cancellata.
Quando i lavori vennero sospesi a causa della guerra, nel 1915, il restauro aveva riguardato solo la parte inferiore della porta, dove si era mantenuto il taglio aguzzo dei mattoni simili agli antichi; una larga breccia rimase nella torre di levante, privata della merlatura.
La torre rimase in tali condizioni per circa 20 anni, finchè nel 1934 avvenne la sistemazione del complesso monumentale.
Vennero allora abbattuti alcuni edifici fronteggianti per creare un piazzale dove collocare le statue di Caesare ed Augusto, tradizionali fondatori di Augusta Taurinorum, copie bronzee di antiche sculture; si riportò il livello stradale a quello della pavimentazione romana, 60 cm più in alto del piede della cortina laterizia; si eliminò la cancellata; la torre di ponente, come già quella di levante nel 1907, venne privata della merlatura dell’intervento del 1872, sostituita con una in mattoni, e venne restaurato anche il suo basamento; la breccia della torre di levante venne chiusa con materiale simile a quello del 1872; entrambe le torri vennero coperte con solette di cemento armato, in modo che fossero impermeabili all’acqua.
Nelle torri vi fu rispetto anche per gli elementi relativamente recenti: si risparmiarono le tracce di finestrelle ai vari livelli, le porte di comunicazione coi passaggi di ronda, i parapetti delle bocche di lancio del XVI secolo; le nuove murature ebbero degli incatenamenti in ferro.
I resti interni della statio, appena affioranti dal terreno, vennero sopraelevati con muri di restauro, rendendo anche meglio riconoscibile l’antico impianto.
I lavori dal 1902 al 1915 consistettero essenzialmente in demolizioni; nel 1934 si ebbe, nel quadro della valorizzazione del patrimonio culturale di tradizione romana, la sistemazione del monumento e della zona circostante.
Descrizione dei ritrovamenti:
Cercando di ricostruire la struttura antica della porta, alle spalle della facciata, verso la città, vi era la statio per il corpo di guardia; essa aveva pianta rettangolare, circa 20,50 x 16,80 m, e si componeva anche di due piani superiori corrispondenti ai due ordini di finestre dell’interturrio. L’altezza della struttura viene indicata in 18,30 m.
Passando per i due fornici maggiori centrali si attraversava un cavaedium dal quale si usciva verso città per altri fornici uguali ai precedenti; questo cavaedium, o cortiletto di disimpegno, era fiancheggiato dagli ambulacri che uscivano dai fornici minori, per i pedoni.
Secondo la ricostruzione del d’Andrade, una scala affiancata esternamente al muro dell’ambulacro orientale, immetteva sul cammino di ronda e probabilmente dava accesso alle torri. Dai piani superiori si manovravano le cataractae (saracinesche) per la chiusura delle porte; in tutti e quattro i fornici sono ben conservate le scorsoie che servivano per il loro scorrimento.
Osservando la porta da sud, cioè dall’interno della città, si notano fra le arcate stradali dell’interturrio dei palastri sporgenti fra fornice e fornice a guisa di prominenze i avancorpi, tendenti a riunirsi con andamento incurvato al di sopra dei fornici maggiori: questo dato è da considerarsi in relazione con la costruzione dei ballatoi interni addossati al perimetro, corrispondenti ai due piani di finestre. Il primo piano superiore della statio poggiava forse sull’estradosso dei fornici stradali e sui pilastri del cavaedium; il pavimento del secondo piano doveva riposare sopra una travatura lignea; a riprova di ciò rimane una fila di incavi quadrati per travature, fra i due ordini di finestre.
La parte terminale dell’interturrio, cioè l’attivo oggi non più esistente, poteva anche avere una merlatura simile a quella delle torri, probabilmente quadrata e lapidea.
Nelle torri è originale il modo come sorgono alla base, composta di un massiccio quadrangolare sormontato da quattro segmenti di piramide in mattoni disposti a piani di risega, per accordare il quadrangolo della base stessa col poligono della torre.
Le torri della porta Palatina dovettero avere una struttura interna simile a quelle di Palazzo Madama, che misurano 7,20 m di diametro esterno e 5,60 di quello interno, mentre lo spessore del muro è di 1,50 m. Il Promis aveva considerato le torri della porta di sei piani, lasciando sospeso il problema dei pavimenti a volte semisferoidali, cementizie, che gli parevano moderne, e di quattro ordini di finestrelle rinascimentali larghe 0,60 m ed alte 1,70. Altri, dopo di lui, riterranno che in origine i piani fossero cinque, separati da pavimenti lignei appoggiati su mensole, simili a quelle di Palazzo Madama; resta irrisolta la struttura delle scale interne e della loro relazione con la statio attraverso un’eventuale apertura.
Il d’Andrade riteneva che le torri fossero state costruite costruite per prime, dato che avevano fondamenta più profonde, a riseghe, contro cui si appoggiarono, probabilmente poco tempo dopo, prima l’interturrio e poi il muro di cinta.
Dietro la parte anteriore della porta non esistevano complicate strutture, ma vi erano pur sempre nei piani superiori dei corridoi. Il Carducci sostiene che strutture anteriori trovate in prossimità del transito orientale fanno pensare che la porta non sia stata la prima del genere sorta in quel periodo repubblicano e che con probabilità l’attuale porta potrebbe ritenersi Augustea, se non addirittura Flavia.
Le lesene tuscaniche delle prime finestre, idealmente impostate sull’elemento lapideo, sembrano sostenere l’ordine superiore; sopra questo, le lesene avranno a loro volta la funzione ideale di sostenere un attico che si può immaginare con merli quadrati, riprendendo quello che poteva essere il coronamento delle torri. Le slanciate finestre, servono, alleggerendo la massa della facciata, a creare un movimento verticale (in modo più semplice che al piano superiore), già preparato dalle pure slanciate aperture del piano terreno.
Informazioni:
Links:
http://www.archeogat.it/archivio/torinomedievale/percorsoTAPPE/07MONportapalatina.htm
http://www.museotorino.it/view/s/fb25e1a8d7a34826bde45128ef1580c7
Bibliografia:
Carlo Promis, Torino antica
Luigi Cibrario, Storia di Torino
Carlo Carducci, Arte romana in Piemonte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Torino 1968
Renato Grazzi, Torino Romana, Il piccolo editore, Torino 1981
GRUPPO ARCHEOLOGICO TORINESE, Guida Archeologica di Torino, Savigliano (CN), 2010, Terza Ediz., 2° vol., pp.35-46
Fonti:
Fotografie dall’archivio GAT.
Data compilazione scheda:
27 marzo 2006, aggiornam. 2010
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Feliciano Della Mora – Gruppo Archeologico Torinese