Provincia di Novara

Borgomanero (NO) : Chiesa di San Nicola e Torre di Baraggiola

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Storia del sito:
La località Baraggiola (o Barazzola), risalente al secolo X, fu nominata “curtis regia” nel 962, quando venne donata da Ottone l di Sassonia alla pieve di San Giulio. L’edificazione della chiesa, dedicata a san Nicola, secondo alcuni studiosi, considerando i materiali utilizzati e la disposizione degli archetti pensili collocati nell’abside, può risalire alla fine del X secolo o all’inizio dell’XI.
La chiesa fu usata dalla fine del XII sec. dagli Eremitani di Sant’Agostino, che avevano alloggio in un fabbricato adiacente, del quale si conservano tracce di un “refettorio”.
Accanto alla chiesa sorge la TORRE, del X secolo, che forse in origine aveva funzione di torre di avvistamento, poi utilizzata come campanile della chiesa.
Nel 2011 chiesa e torre sono diventate di proprietà del Comune e i restauri sono stati realizzati nel 2013.

Descrizione del sito:
La CHIESA, dedicata a San Nicola, non ha subito nei secoli alterazioni rilevanti: ha pianta quasi quadrata, a navata unica, con ampia abside semicircolare. La facciata a capanna ha una porta sopraelevata rispetto al suolo, a cui si accede con una breve gradinata, e tre finestre: quelle ai lati della porta sono state fatte aprire nel XVII secolo dal vescovo Bascapè, quella sopra la porta è di epoca successiva. I muri sono realizzati con pietrame e ciottoli disposti in modo irregolare; quelli laterali sono semplici e privi di decorazioni. L’abside presenta cinque coppie di grossi archetti pensili separate da lesene, piccole monofore e un tetto in lastre di pietra, che è probabilmente originale.
Gli affreschi dell’interno sono ormai illeggibili e forse rappresentano san Nicola o sant’Agostino.

La TORRE sorge accanto alla chiesa sul lato sud. Massiccia, alta 21 m, possiede muri spessi 1,20 m ed ha uno spazio al suo interno pari allo spessore. All’esterno della torre sono presenti bifore architravate con capitello e stampella, più in basso monofore. A 4 m dal suolo si apre l’unica porta d’ingresso alla fortificazione. La muratura è formata da pietrame irregolare con presenza di buche pontaie.

Informazioni:
Chiesa e torre sorgono a nord-est di Borgomanero, lungo la strada statale che conduce ad Arona, in frazione Talonno.  Ufficio Turistico tel. 0322 831014 oppure Comune, tel. 0322 83711

Link:
http://www.comune.borgomanero.no.it

Bibliografia:
E. BELLINI, C. MANNI, A. MARZI, I. TERUGGI, Un Borgofranco novarese, Ed. Comune di Borgomanero e Fondazione Marazza, 1994, rist. 2004

Fonti:
Fotografia da www.corrieredinovara.it .
Scarica PDF:  A594-BORGOMANERO-SAN-NICOLA

Data compilazione scheda:
12/1/2007 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

 

Bolzano Novarese (NO) : Chiesa di San Martino di Engravo

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Storia del sito:
La prima costruzione della chiesa risale probabilmente al XII secolo.
Si trattava dell’antica parrocchiale di Engravo o Engrevo, antico nome dell’abitato, riportato in documenti che vanno dal X al XII secolo e che attestano insediamenti di uomini professanti legge franca, longobarda e romana.

Descrizione del sito:
Ha una semplice facciata a capanna e un’unica navata e costituisce un esempio di romanico campestre.
Al suo interno sono conservati affreschi del XV e XVI secolo. Fra questi, opera di Francesco Gagnola è il “san Martino a cavallo”, sulla facciata esterna. All’interno, sulla parete sinistra, si possono ammirare il “san Martino e il povero” e un “Compianto sul Cristo”, firmati da Tommaso Cagnola, padre di Francesco. Sulla parete destra si trovano due “Crocifissioni” del 1403 e del 1482. L’abside è decorata con affreschi raffiguranti i “dodici Apostoli” e l'”Annunciazione”; nella mandorla è rappresentato “Cristo Pantocratore coi Simboli degli Evangelisti” di Francesco Cagnola del 1507.

Informazioni:
Nel Cimitero. (La località è anche nota come “Engrevo”).  Parrocchia tel. 0322 982107.  Comune tel. 0322 982080

Links:
http://www.comune.bolzanonovarese.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=906
http://www.provincia.novara.it/Editoria/EditoriaDoc/oratori/bolzano.htm

Bibliografia:
Guida Turistica e Atlante Stradale Provincia di Novara Assessorato al Turismo, Legenda srl., Domodossola 1991
F. MATTIOLI CARCAMO, R. MIROTTA, San Martino d’Engrevo, “Le Rive” anno IX n°2-3, Ed. Press Grafica, Casale Corte Cerro NO, 1995
M.R. FAGNONI(a cura di), Alla scoperta di antichi Oratori campestri, Provincia di Novara, Novara 2003

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dai siti sopra indicati.

Data compilazione scheda:
11/1/2007 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Bogogno (NO) : Oratorio di San Giacomo

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Storia del sito:
Le notizie documentarie della chiesa sono piuttosto scarse. Le prime testimonianze scritte risalgono a una visita pastorale del vescovo Bascapè avvenuta nel 1595. Risulta che l’edificio fosse di dimensioni più modeste rispetto all’attuale. Negli anni 1624-25 venne ampliato con l’aggiunta di una nuova campata e di una balaustra. Nel XIX secolo venne utilizzato come lazzaretto. Di pregevole fattura sono gli affreschi che adornano il suo interno e rappresentano una testimonianza significativa delle tendenze pittoriche novaresi del XV e XVI secolo.

Descrizione del sito:
Gli affreschi più antichi sono quelli che decorano la zona absidale e le due pareti laterali della seconda campata attribuiti a Giovanni de Campo e datati 1473. Particolare è la raffigurazione del Miracolo di Sant’Eligio: il dipinto è ambientato nella bottega di un fabbro dove il Santo riattacca, sotto lo sguardo incredulo del padrone, una zampa a un cavallo mutilato.
D’effetto è l’affresco raffigurante il “Matrimonio mistico di Santa Caterina con il Divin Fanciullo” seduto in braccio alla Vergine, firmato “de Burgimainerio pixit”, cioè dal “Maestro di Borgomanero”, che affrescò varie chiese nel Novarerse, forse identificabile con un certo Angelo de Orello.  Vedi testo in bibliografia (1).

Informazioni:
Fuori dall’abitato, lungo la strada che conduce a Veruno, in direzione nord.  Parrocchia tel. 0322 808802  (Comune, tel. 0322 808805).

Links:
http://www.provincia.novara.it/Editoria/EditoriaDoc/oratori/bogogno.htm

http://www.comune.bogogno.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=905

Bibliografia:
M.R. FAGNONI (a cura di), Alla scoperta di antichi Oratori campestri, Provincia di Novara, Novara. 2003
E. BELLINI, C. MANNI, A. MARZI, I. TERUGGI, Un Borgofranco novarese, Ed. Comune di Borgomanero e Fondazione Marazza, 1994, rist. 2004 (1)

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dal sito della Provincia di Novara sopra indicato.

Data compilazione scheda:
11/1/2007 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Biandrate (NO) : reperti romani e preistorici

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Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
In località Le Pievi, in seguito all’affioramento in superficie di molto materiale frammentario, laterizio e ceramico, a causa dei lavori agricoli, si è proceduto a uno scavo in estensione che ha messo in luce ambienti relativi alla parte produttiva (pars rustica) di una villa romana. Strutture precedenti alla villa, e occupanti un’area più vasta di quest’ultima, sono state evidenziate da una serie di saggi che hanno attestato l’insediamento già dalla fine del II a.C.e l’inizio del I a.C. Le strutture indagate della villa, databili in piena età imperiale, dimostrano che la massima efficienza del complesso avvenne tra la metà del I e quella del II sec. d.C. I muri, conservati al solo livello di fondazione, e talora legati da una specie di malta biancastra molto povera, delimitano una serie di ambienti, di cui si sono identificati con certezza, attorno ad una corte riustica, il granaio, il “nubilarium” (tettoia per ricovero temporaneo di derrate alimentari), il “torcular” (ambiente dedicato alla spremitura dell’uva) alle cui spalle, nell’angolo caldo del cortile era la cucina, il forno e il “fumarium” (luogo in cui era messo ad invecchiare il vino in otri e dove si ascuigavano derrate e fieno). Frequente è la presenza, nei vari ambienti, di canalette di scolo, costruite in tegole o in coppi semicircolari accostati, \”basi dei torchi\” quadrangolari, residui di pavimentazioni in cotto. La principale produzione della villa doveva essere il vino per la presenza di ben due torchi.
Numerosi i frammenti ceramici recuperati; è attestata ceramica a vernice nera con patere Morel 2281 e 2277c; ceramica a pareti sottili, terra sigillata italica e padana (coppette e patere, in particolare Drag. 17B, Drag. 46 e Ritterling 5, bollata Murrius), anforacei, e soprattutto ceramica comune. Conservate al Museo di Antichità di Torino. In zona altri reperti da strutture in ciottoli e laterizi, conservate a livello di fondazione, e relative ad un impianto a carattere produttivo legato alla lavorazione del metallo.
Gli scavi sono proseguiti sino al 2020, quando ad aprile sono stati coperti gli scavi. Un eccezionale ritrovamento è stata una fibula, cioè di una spilla, un oggetto di lusso di epoca romana, in bronzo con decorazioni in smalto risalente al II – III secolo d.C., di fattura nordeuropea.

Sarà allestita una mostra anche con gli importanti reperti neolitici recentemente trovati, statuette del V millennio a.C. e altri.

Altri ritrovamenti Un tesoretto di monete fu scoperto in occasione di lavori agricoli nel terreno del sig. Girolamo Podestà, ad un centinaio di metri dal paese. Erano deposte a piccola profondità nel terreno, senza alcuna protezione. Si tratta di monete celtiche padane, associate a due denari repubblicani. Seconda età del Ferro, prima  romanizzazione. Conservate al Museo di Antichità di Torino.

A Novara, nel lapidario della canonica sono conservati i seguenti reperti di Biandrate. Rinvenuta nella casa del prof. A. Bellini, è una lastra scorniciata di marmo bianco di Candoglia, danneggiata lungo i bordi, con iscrizione funeraria di C. VARISIDIUS IUNIOR, posta dalla sorella MAGIA. Età romana imperiale.
Sarcofago in serizzo a cassa rettangolare liscia, mutilo in alto, con iscrizione funeraria entro cornice, di un flamine della città di Vercelli, il cui nome non è conservato, forse iscritto alla tribù PUBLILIA (=CIL, V, 6494), già reimpiegato come abbeveratoio per il bestiame e poi trasferito a Novara in S. Gaudenzio. Età romana imperiale.

Informazioni:
Info Comune tel. 0321 83122

Links:
Biandrate, ancora sorprese dalla scavo archeologico 2019 tratto da http://www.novaratoday.it
https://www.preistoriainitalia.it/scheda/undici-statuine-di-biandrate-no/
http://www.comune.biandrate.no.it/

Fonti:
Parte delle notizie e foto in alto tratte da pagine, non piùesisitenti nel 2020, del sito www.sitbiella.it; foto in basso da www.novaratoday.iy

Data compilazione scheda:
1 dicembre 2011 – aggiorn. marzo 2014 – maggio 2020

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

Biandrate (NO) : Chiesa parrocchiale di San Colombano

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Storia del sito:
La parrocchiale dedicata a S. Colombano, già citata nel 1146, divenne sede di “collegiata”. Al di sopra del portico, nel XIV secolo fu eretto lo scurolo contenente le reliquie del patrono del paese, San Sereno, vescovo di Marsiglia, che secondo la tradizione morì a Biandrate al ritorno da un pellegrinaggio a Roma ai tempi di Papa Gregorio Magno. Il campanile che affianca la parrocchia è stato edificato nel 1819.

Descrizione del sito:
CHIESA DI SAN COLOMBANO
Dell’antica chiesa romanica rimane l’atrio a quattro campiate con volte a crociera, l’ultima delle quali risale a un periodo posteriore (XIV secolo). Gradevoli sono le decorazioni in cotto che adornano i capitelli delle semicolonne con elementi naturalistici. Da segnalare sono, inoltre, le quattro formelle in cotto provenienti dall’edificio romanico, che rappresentano fiere e una sirena con due code.
Importanti gli AFFRESCHI con le scene del Giudizio Universale, datato 1444, che riempiono la parete della terza campata. Sulla volta centrale dell’atrio si trova l’effigie del Cristo Pantocratore con i simboli dei quattro Evangelisti. Studi approfonditi portano ad avanzare l’ipotesi che gli affreschi siano opera di Giovanni de Campo.

Resti delle MURA DEL CASTELLO
Biandrate ha una storia antichissima: già a partire dal XI secolo i Conti di Biandrate furono i signori di un vastissimo feudo che si dislocava dal Sesia al Ticino fino all’Ossola e alla Val Sesia. La presenza di un castello è documentata già a partire dal 1093. Varie vicissitudini dovute a lotte politiche hanno fatto sì che il borgo venisse ripetutamente attaccato distruggendo anche il castello più volte ricostruito. Ora ne rimangono solo dei ruderi, consistenti in tracce di muri, alcuni costruiti con ciottoli di fiume, altri in mattoni.

Informazioni:
Piazza della Chiesa. Attuale collegiata e chiesa parrocchiale.  Comune tel. 0321 83122 o Parrocchia tel. 0321 838286

Link:
http://www.comune.biandrate.no.it/

Fonti:
Notizie e fotografie dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
1 dicembre 2011 – aggiorn. marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta -G.A.Torinese

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Bellinzago (NO) : Badia di Dulzago e chiesa di San Giulio

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Storia del sito:
L’ABBAZIA O BADIA, fondata dai canonici regolari agostiniani nei primi anni del XII secolo, svolse funzioni spirituali nei confronti delle popolazioni contadine dei centri circostanti durante l’età medioevale. Nel corso del Duecento i canonici tentarono di costituire una piccola congregazione e sottoposero alla loro autorità le chiese di Santa Maria di Linduno e di Sant’Alessandro di Besozzo. Allo scorcio del Medioevo il centro religioso fu affidato all’abate commendatario Leonardo Sforza che soppresse la comunità canonicale e trasformò la Badia in una ricca e fertile cascina agricola che ospitò le famiglie dei massari che lavoravano le antiche terre canonicali. Il chiostro fu trasformato in casa di abitazione dell’amministratore e la chiesa fu officiata da un parroco nominato dagli abati commendatari.
Le soppressioni napoleoniche abolirono la commenda e il complesso con tutte le terre fu confiscato dallo stato Francese e venduto alla famiglia francese Reynier e in seguito da questi ai Borromeo Arese, che diffusero la coltivazione del riso sui beni badiali. Dopo la prima guerra mondiale la proprietà della Badia fu ceduta dalla famiglia Borromeo e divisa in quote.
La CHIESA DI SAN GIULIO è il nucleo vitale della badia: eretta nel secolo XII, venne consacrata dal vescovo di Novara Litifredo. Gli interventi maggiori sulle strutture della chiesa vennero effettuati in età barocca, durante il XVII e il XVIII secolo e oggi rendono faticosa la lettura delle parti architettoniche più antiche. La facciata romanica della chiesa fu rifatta nella seconda metà del Settecento, quando venne innalzata a nord dell’edificio la torre campanaria (1755-56) per sostituire il piccolo campanile posto sul tiburio. All’inizio del XVIII secolo venne rimosso il pavimento originale poiché furono realizzati tre sepolcreti ancora esistenti. Il primo intervento venne fatto sulla navata laterale sinistra. Fu demolita la seconda campata per edificare una cappella dedicata a Sant’Antonio di Padova; lo stesso venne fatto per la campata laterale di destra con la cappella dedicata alla Beata Vergine del Rosario. Le due cappelle vennero affrescate e ornate di stucchi. Attorno al 1736 vennero anche eseguiti gli affreschi che decorano le volte della prima e seconda campata della navata maggiore.
Oggi la piccola comunità ancora residente nelle strutture della Badia, costituitasi in Associazione, intende salvaguardare e valorizzare il monumento.

Descrizione del sito:
Nel COMPLESSO ABBAZIALE si entra da sud: un rustico acciottolato Bellinzago_Dulzago_4_badia planimconduce alla chiesa, attraverso una successione di archi, a loro volta elementi di comunicazione tra il cortile delle vecchie scuderie e la corte del pozzo, detta anche dei Conversi. Molte parti della badia risultano purtroppo degradate, come i palazzotti del ‘400 e del ‘500, le stalle e il chiostro.
La CHIESA DI SAN GIULIO. La facciata, restaurata in anni recenti, in origine doveva presentare un profilo a capanna, come sembrerebbe confermato dall’andamento degli archetti pensili di cui si conservano tracce nella parte centrale del prospetto. Sovralzata poi nella parte centrale con timpano a cornici modanate, presenta ora un profilo a salienti. La parte inferiore è organizzata con tre portali ad arco a tutto sesto, di cui i due laterali ciechi (ma aperti nelle lunette). Le forme romaniche dell’edificio sono visibili sul lato settentrionale, soprattutto nella linea dei nove archetti pensili dell’ultima campata, sottostanti al tiburio, con mensoline in cotto a varie modanature, inseriti in un paramento di mattoni regolari. Sotto questa decorazione riprende la muratura di corsi di mattoni e ciottoli disposti a spina di pesce resi regolari da solchi tracciati a cazzuola in senso orizzontale e obliquo sui letti di malta. Addossato alla parte inferiore di questo stesso muro sorge il vano della sacrestia, di mattoni in origine intonacati. Il fianco sud della chiesa è quasi completamente coperto da corpi di fabbrica addossati: alcuni archetti pensili sono però ancora visibili all’interno di un locale del primo piano.
La parte posteriore della chiesa è quella più integra poiché nel corso degli anni non è stata manomessa. Possono essere individuate tre ABSIDI semicircolari; a esse è sovrapposto il tiburio. All’interno della chiesa esisteva una porta che comunicava con la casa dell’abate, chiusa però nel XVII secolo. Le absidi presentano un pronunciato basamento in mattoni da cui partono le lesene collegate superiormente da coppie di archetti. L’abside maggiore doveva presentare originariamente tre feritoie a doppio strombo, di cui quella centrale fu eliminata per aprire un’ampia finestra semicircolare, distruggendo così una buona parte di affresco. La copertura è costituita da lastre di beola in spacco.
Il tiburio, a pianta quadrata, è probabilmente il primo rilevante intervento aggiuntivo alla struttura romanica; sopra di esso esisteva un piccolo campanile; sul lato orientale, sotto una decorazione romboidale, si aprono due monofore, che campeggiano su una muratura molto regolare, eseguita con mattoni di accurata fattura, legati con sottili strati di malta.
All’interno, la chiesa di San Giulio presenta nella prima campata una volta a crociera non nervata, nella seconda campata una volta a crociera con costoloni a sezione quadrata, assai massicci. La terza campata ha una volta ormai gotica, eretta in un secondo tempo (XIII secolo) e poggiante sui sostegni originali. Questi sono costituiti da pilastri in cotto a sezione frazionata, destinata a servire contemporaneamente l’originaria suddivisione della navata maggiore in tre campate e quelle delle volte a botte delle navate minori. La prima campata centrale è collegata a quella laterale mediante coppia di archi a tutto sesto poggianti su colonne in mattoni di diverso spessore: la colonna di sinistra presenta un basamento la cui forma originaria è illeggibile perché scalpellata e un capitello cubico molto ribassato; quella di destra ha un capitello ancora più ribassato con una modanatura a cavetto e uno pseudo-ovolo agli spigoli. Questi archi, ora presenti solo nella prima campata, probabilmente esistevano anche in quella successiva: sono stati demoliti in epoche diverse durante i lavori per la costruzione del tiburio e delle due cappelle.
Gli AFFRESCHI più antichi presenti nella chiesa sono databili tra il 1132 e il 1151. Alcuni di questi affreschi sono stati trovati sulla parete ovest del tiburio sopra il presbiterio e raffigurano Angeli e Apostoli. Altri frammenti di affreschi romanici sono stati trovati in varie parti della chiesa; ciò fa supporre che tutto l’interno fosse affrescato in epoca romanica, con decorazioni riconducibili alla cultura lombarda. L’edificio venne però continuamente aggiornato nelle decorazioni, perché sulla parete perimetrale della navata destra sono raffigurati San Rocco, opera di un pittore operante anche in San Giulio d’Orta alla fine del XV secolo e Sant’Agata, San Sebastiano e Santa Marta, figure databili tra la fine del secolo XV e l’inizio del XVI secolo.

Descrizione dei ritrovamenti:
Nel cortile delle vecchie scuderie si trova un SARCOFAGO DI EPOCA ROMANA, adibito ad abbeveratoio; ad esso sono addossati due pilastri reggenti il porticato antistante le stalle e le scuderie. Ulteriori notizie su: www.badiadidulzago.it

Informazioni:
Frazione Badia di Dulzago – Strada Provinciale n.102 Sologno – Bellinzago Novarese al Km. 3 . Tel 0321 985469;  e-mail: info@badiadidulzago.it

Links:
http://www.badiadidulzago.it
http://www.comune.bellinzago.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=19589
wikipedia

Bibliografia:
G.M. Gavinelli, Dulzago e la Badia di San Giulio, Novara, 1980
AA.VV., Guida alla visita della Badia di Dulzago, Associazione “Comunità della Badia di Dulzago” NO, 1991, ristampa 2002

Fonti:
Foto in altro da www.tripadvisor.it
Foto 2, in basso, da www.badiadidulzago.it  Foto 3 archivio GAT

Data compilazione scheda:
20/12/2006 – aggiorn. 2012 e marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Bellinzago – Cavagliano (NO) : Oratorio di San Vito

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Storia del sito:
L’oratorio, dedicato alla Beata Vergine Maria e a San Vito, fu probabilmente edificato in epoca romanica, nel secolo XI, ma ampliato e rimaneggiato nel XV secolo. Questo oratorio era l’antica chiesa parrocchiale che nel corso dei secoli mutò più volte la sua intitolazione: nel 1595 è indicato dal vescovo Bascapè come dedicato ai Santi Vito e Modesto, nel 1689 dal vescovo Visconti ai Santi Vito e Bernardo, nel 1758 alla Beata Vergine Maria e a San Vito.
L’interno è arricchito da colorati affreschi eseguiti fra la seconda metà del secolo XV e il XVI, recentemente restaurati.

Descrizione del sito:
L’edificio, che attualmente presenta forme architettoniche derivate dagli interventi del secolo XV, è rivolto ad ovest, a un’unica navata che si aggancia all’abside semicircolare con uno slanciato arco a sesto acuto. All’esterno, sull’abside, sono ancora visibili alcune delle antiche formelle in terracotta con decorazioni fogliacee.
Sulle pareti sono affrescate figure di Santi, tra cui san Rocco, san Sebastiano, eseguite probabilmente nella seconda metà del XV secolo.
Di grande effetto scenico sono gli affreschi che coprono l’arco trionfale e l’abside, eseguiti tra il XV e il XVI secolo da pittori vicini alla scuola di Gaudenzio Ferrari. Nell’arco trionfale, sopra la consueta scena dell’Annunciazione, sono illustrati episodi della Passione fra cui si evidenzia quello centrale della Crocefissione, copia del dipinto eseguito da Gaudenzio Ferrari nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Varallo Sesia.

Descrizione dei ritrovamenti:
In località Cavagliano è stata ritrovata una fornace per la produzione di ceramica domestica, risalente alla prima età imperiale, con un’area destinata al prelievo dell’argilla e al deposito degli scarti di lavorazione.

Informazioni:
Nel cimitero della frazione di Cavagliano. Parrocchia, tel. 0321 98027 o Comune, tel. 0321 924736

Links:
http://www.comune.bellinzago.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=18512
http://www.provincia.novara.it/Editoria/EditoriaDoc/oratori/bellinzago.htm
wikipedia

Bibliografia:
M.R. FAGNONI (a cura di), Alla scoperta di antichi Oratori campestri, Provincia di Novara, Novara. 2003
P. Salerno, La chiesa di San Vito al cimitero a Cavagliano, in “La pianura novarese dal romanico al XV secolo”, Novara, 1996
F. Portaluppi, San Vito di Cavagliano, 1930 ried. PiMe, Pavia, 1996

Fonti:
Notizie e fotografie tratte dai siti sopra indicati.

Data compilazione scheda:
18/12/2006 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Barengo (NO) : Resti della chiesa di San Clemente e castello

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Storia del sito:
Nel XII secolo, quando il primitivo insediamento di Barengo, Vabarone, sorgeva ancora sulla sponda orientale del fiume Agogna, la CHIESA DI SAN CLEMENTE venne innalzata in prossimità di una importante strada su derivazione della “via francigena” che passando dal caput plebis di Proh e dal guado del torrente, conduceva sino a Pombia. Il periodo di fondazione dell’impianto originario è testimoniato dalla tessitura muraria dell’edificio: XI-XII secolo.
Fino alla prima metà del ‘300 anche le testimonianze relative a Barengo sono pressoché inesistenti; la chiesa venne citata in documenti del 1347, anno delle Consignationes del vescovo Amidano, quando avvenne il suo passaggio da parrocchia a semplice beneficio campestre. Gli oratori fuori dall’abitato erano i luoghi dove venivano accolti bisognosi e malati, ma San Clemente dovette mantenere buoni rapporti con le gerarchie aristocratiche dato che le sue pareti interne furono decorate nel XV secolo con un importante ciclo di affreschi nei quali vennero effigiati membri della famiglia Tornielli, all’epoca feudatari di Barengo. L’originaria abside fu sostituita nell’800. L’edificio subì un crollo alcuni decenni fa.

IL CASTELLO è posto sulla strada che originariamente univa la “via francigena” con i guadi del Sesia. Non si ha una datazione precisa della sua fondazione: la prima indicazione documentaria attestante la presenza di un castrum risale solo al Trecento, quando l’abitato di Barengo assunse la sua attuale ubicazione cercando sicurezza a ridosso delle mura fortilizie, che resistettero all’incendio e al saccheggio del 1358 seguito agli scontri tra le milizie armate di Galeazzo II Visconti e le truppe del marchese Giovanni di Monferrato. Dopo il 1480 Melchiorre Tornielli, ottenuta da Giovanni Galeazzo Maria Sforza la riconferma dei feudi secondo il contenuto dell’investitura del 1449, concluse l’edificazione delle fortezze di Barengo e di Briona, che in quel periodo dovevano costituire due stupendi esempi di architettura militare del Quattrocento.
Il castello era all’epoca realizzato quasi interamente in laterizio, su un impianto a trapezio irregolare con corte centrale munito di due torri angolari – oggi perdute – lungo il lato verso ponente, di cui la maggiore ubicata a sud-ovest; l’ingresso principale era invece localizzato a nord-est. Vi si accedeva attraverso un ponte levatoio con doppie caditoie chiuso da saracinesca lignea. Varcata questa soglia, si perveniva a un ampio spazio, attualmente trasformato in giardino, che separava la rocca vera e propria dalle mura del fossato.
Nei secoli successivi la rocca venne in possesso dei Ferrari. Nel 1803 il castello, oramai in stato di grave degrado, tanto che la parte nord occidentale era ormai quasi completamente distrutta, fu acquistato dalla famiglia Botta. La proprietà passò poi nel 1849 ai Mazza, l’ultimo discendente dei quali fece eseguire nella rocca considerevoli lavori di ricostruzione che andarono però a manomettere la conformazione dell’impianto originario; negli anni successivi alla prima guerra mondiale gli edifici passarono al conte Gaudenzio Tornielli di Borgolavezzaro, che in pochi anni, su progetto dell’arch. Nigra, fece ricostruire il complesso secondo canoni stilistici neomedioevali. Nuovi lavori di restauro e ristrutturazione vennero fatti eseguire in fasi successive, quando il castello passò in proprietà della famiglia Boroli.

Descrizione del sito:
L’ORATORIO DI SAN CLEMENTE si presenta in rovina, ma della struttura originaria sono rimasti gli spessi muri perimetrali con la muratura formata da pietre di fiume disposte inclinate in corsi a spina di pesce entro letto di malta segnata orizzontalmente e obliquamente con cazzuola. La volta del presbiterio è quasi intatta. Gli affreschi che si trovavano all’interno dell’Oratorio sono stati staccati nel XIX secolo perché considerati di grande pregio artistico e storico.

IL CASTELLO si presenta come una delle più eleganti residenze feudali della regione. Malgrado le alterazioni e i rifacimenti ottocenteschi, si possono ancora riconoscere alcune strutture originarie dell’edificio. Il sistema di difesa dell’accesso presenta caratteristiche singolari: prima di giungere all’ampia spianata del piazzale si devono attraversare tre sbarramenti di cui il più interno e antico è costituito da una porta ad arco acuto difesa da doppie caditoie e da una saracinesca in legno, unica in tutto il novarese. Sono rimasti originari, lungo la testata d’angolo a nord-est, una parte della torretta cilindrica posta in aggetto e un tratto di mura merlate.

Luogo di custodia dei materiali:
Due AFFRESCHI del XV secolo, staccati dalla chiesa di San Clemente, sono oggi conservati presso il museo civico di Novara: quello che si trovava sulla parete destra della chiesa ritrae una scena con santi che presentano alla Madonna i membri della famiglia Tornielli; l’altro, corrispondente della parete sinistra, raffigura invece Gesù tra i fanciulli. Altre info su: Oratorio di San Clemente.pdf

Informazioni:
La chiesa di San Clemente si trova sulla strada provinciale per Borgomanero, nei pressi della cascina San Clemente. Tel. 0321 997112 (Parrocchia)

Il Castello, di proprietà privata, è situato sull’altura che domina il paese.  Comune tel.0321 997134

Links:
http://www.comune.barengo.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=851
http://www.comune.barengo.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=848

Bibliografia:
G. PANZA, Notizie di Barengo, Tip. Novagrafica, Novara, 1980
G .ANDENNA, Andar per castelli. Da Novara tutt’intorno, Milvaeditrice, Torino, 1982
C. NIGRA, Torri castelli e case forti del Piemonte dal 1000 al secolo XVI, Vol. I, Il Novarese, Ed. E. Cattaneo, Novara, 1937

Fonti:
Notizie e fotografie tratte nel 2007 dal sito del Comune.
Altre immagini in http://www.aquario2012.eu/TdM/turismo/barengo_c11.jpg

Data compilazione scheda:
9/1/2007 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

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Arona (NO) : Museo Civico Archeologico

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Storia del Museo:
Inaugurato nel 1996, il museo raduna collezioni donate da privati e reperti rinvenuti durante scavi sul territorio. Si distinguono per importanza i nuclei di materiali del Lagone a Mercurago risalenti all’età del Bronzo, i resti degli abitati di Castelletto Ticino e Arona della fine dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro, i corredi tombali delle necropoli golasecchiane, e quelli del I secolo a.C. della necropoli gallica di Dormelletto, cui si aggiunge il materiale di età romana del basso Verbano.
Nel 2015 è stato realizzato un completo cambiamento dell’esposizione museale.

Descrizione del materiale esposto:
I ritrovamenti attuali non consentono ancora un’approfondita conoscenza della preistoria più antica del basso Verbano. Reperti sporadici rimandano al Paleolitico medio, attestando la presenza di gruppi nomadi di cacciatori neanderthaliani ai piedi del ghiacciaio del Verbano. I primi insediamenti stabili di agricoltori risalgono con probabilità al Neolitico e si concentrano nell’area loessica collinare a nord di Novara.

La documentazione si fa sensibilmente più ricca con l’età dei metalli. L’antica età del Bronzo vede infatti l’occupazione dei terrazzi costieri del basso Verbano, come Meina o Arolo di Leggiuno, sulla sponda lombarda. In particolare, il sistema di piccoli abitati organizzati intorno al Lagone di Mercurago (vedi scheda) documenta per tutta l’età del Bronzo lo sviluppo di un’importante comunità che controllava l’accesso alle vie commerciali di acqua e terra, servendosene per lo scambio ad ampio raggio di beni pregiati come i bottoni in pasta di vetro.
La zona di notevole interesse archeologico, oggi diventata parco, comprende due specchi d’acqua derivanti da torbiere in attività nell’Ottocento. Il lago più piccolo, nel territorio di Oleggio Castello, ha portato alla luce alcuni reperti metallici attualmente conservati nei Musei di Torino e Novara. Ad assumere una certa importanza nel panorama della Paletnologia italiana è però il lago più grande, detto Lagone. È qui, infatti, che dal 1860 si svolsero le prime indagini sulle stazioni palafitticole dell’Italia settentrionale. Fu il geologo torinese Bartolomeo Gastaldi a condurre le ricerche sui resti di una palafitta rinvenuta all’estremità settentrionale della conca, eseguendo calchi di gesso sui reperti lignei deperibili e proseguendo i suoi studi fino al 1866. Una copia di questi calchi è esposta nel museo. I calchi fecero dapprima attribuire le ruote all’antica età del Bronzo, mentre una recente rilettura rimanderebbe a una cronologia più recente, nell’ambito della media-tarda età del Bronzo. La ruota esposta nel museo, la più leggera, farebbe pensare ad un carro a due ruote a traino equino. La presenza sul sito di resti di altre quattro ruote lignee fa supporre l’esistenza in loco di un’officina specializzata nella costruzione di ruote.

Nella tarda età del Bronzo l’occupazione fitta e omogenea del territorio prelude all’età del Ferro, caratterizzata dalla cultura di Golasecca.
È in questa fase che gli insediamenti si spostano dall’area del Lagone, più legata al controllo delle vie di terra dell’alto Verbano, alla zona della Rocca di Arona, raccordo strategico tra navigazione lacustre, vie costiere e vie interne.
Il periodo compreso tra il X e l’VIII secolo a.C. è caratterizzato da una progressiva riorganizzazione del popolamento del basso Verbano, con l’affermarsi definitivo dei centri di Arona e Castelletto Ticino.
L’abitato di Arona si organizza a terrazzi sulle pendici meridionali della Rocca, mantenendo una stretta continuità fino all’età romana, mentre l’abitato di Castelletto Ticino occupa l’intero promontorio proteso sull’ansa del Ticino, raggiungendo le caratteristiche di centro protourbano in età golasecchiana.
Tra VIII e VII secolo a.C. i primi villaggi sparsi di Castelletto si organizzano in un centro sempre più omogeneo articolato tra scali per la navigazione e aree abitative più elevate. Intorno al VI secolo a.C. il centro raccoglie almeno tremila abitanti raggruppati in più nuclei. Tale addensamento demografico, è testimonianza della fortuna legata alla strategia di controllo della via d’acqua.
Sono stati rinvenuti numerosi corredi tombali nel basso Verbano fin dall’VIII secolo a.C. e reperti significativi di questo periodo come vasi biconici, scodelle e fibule sono esposti nelle vetrine.
Le tombe golasecchiane sono sempre a cremazione, inizialmente realizzate con un pozzetto nella nuda terra, con l’urna contenente le ceneri e il bicchiere. Un grosso ciottolo spesso posto sopra il tumulo doveva avere funzione di protezione e di segnacolo. Tra VII e VI secolo a.C., con l’arricchirsi del corredo tombale, si diffonde l’uso di aggiungere protezioni al pozzetto, realizzate con ciottoli, lastre e scaglie di pietra. La cremazione avveniva in un luogo separato da quello della sepoltura, ed è ipotizzabile che il trasporto dell’urna con le ceneri assumesse l’aspetto di una vera e propria processione funebre.
La presenza nelle tombe di Motto Lagone di una probabile inumazione e di una fibula tardo-hallstattiana, sembra suggerire nel V secolo a.C. una situazione transizionale favorita in parte anche dalle prime invasioni galliche. Di questa evoluzione diventa rappresentativa la necropoli di Dormelletto, testimonianza del progressivo assorbimento nelle comunità locali di nuclei gallici transalpini, arrivati forse attraverso le vie dell’Ossola o dell’alto Verbano.
La necropoli fu utilizzata dalle popolazioni locali per circa due secoli, dalla metà del III fino all’inizio del I secolo a.C. Tra le tombe rinvenute 25 sono ad inumazione e 26 ad incinerazione. Tutte le tombe ad inumazione presentano una struttura a fossa rettangolare di circa un metro di profondità con perimetro delimitato da cordoli in ciottoli. Il cadavere era deposto sul fondo e coperto con un leggero strato di terra su cui erano poggiati ciottoli e pietre. Molti dei corredi ritrovati, costituiti da bracciali, anelli, cavigliere e fibule, permettono di riconoscere con certezza alcune deposizioni femminili, mentre in due sole sepolture, databili tra il II e il I secolo a.C., si riscontra un armamento, privo però della spada celtica. L’armamento del guerriero celtico, tra II e I secolo a.C., comprende una lunga e pesante spada, usata solitamente di taglio e portata al fianco. La difesa è affidata ad uno scudo ovale dotato di un umbone metallico centrale e di una maniglia di presa sul retro. Alcune tombe della necropoli di Oleggio hanno restituito la panoplia completa cui si associa un grande coltello per la macellazione e la partizione delle carni nel banchetto.
Residui di tessuto permettono invece una ricostruzione ipotetica dell’abbigliamento femminile tra il III e il II secolo a.C. La disposizione delle fibule al momento del ritrovamento suggerisce la presenza di una sopravveste fissata sul petto e sulle spalle e trattenuta in vita da cinture metalliche, in cuoio e in tessuto. Gli stessi anelli da caviglia, oltre ad una funzione ornamentale, avevano forse anche quella di fissare alla gamba i calzari in cuoio.

Dopo un breve periodo di biritualismo, dal I secolo a.C., si impone nuovamente l’uso di cremare i cadaveri come conseguenza della progressiva romanizzazione delle popolazioni locali. I defunti venivano bruciati su una pira insieme a oggetti frantumati in cerimonie rituali. Le ceneri, accuratamente recuperate, erano poi sepolte in un’altra area della necropoli, in genere custodite in ciotole o piatti.
Le tipologie delle strutture tombali, a cassetta litica, a cassetta laterizia o a semplice fossa, talvolta coperta con ciottoli posti a protezione del cinerario e del corredo, sono quelle ricorrenti in tutte le necropoli galliche rinvenute lungo il corso del Ticino. I corredi si caratterizzano per la presenza di manufatti ceramici, collegati alla mensa e destinati a contenere le offerte di cibo: spiccano numerosi vasi a trottola (vedi scheda museo Verbania) legati alla conservazione del vino e prodotti in abbondanza nel basso Verbano. Non mancano, inoltre, oggetti relativi all’abbigliamento personale del defunto, di cui restano soprattutto numerose fibule in ferro e in bronzo.
I resti di numerose necropoli sembrano richiamare uno sfruttamento non pianificato delle aree sepolcrali, caratterizzate dalla presenza di piccoli raggruppamenti di sepolture da attribuire forse ad affinità sociali o parentali.
Nella fase più antica le tombe erano segnalate da piccoli tumuli di pietre o terra, in seguito da recinti in pietra o da urne in laterizio; rare, invece, le stele funerarie.
Tacito attribuisce il rito incineratorio al costume romano, anche se in area novarese era già praticato dalle genti golasecchiane. Nella cremazione indiretta il defunto era bruciato su ustrinum e le ceneri successivamente raccolte erano deposte in un cinerario o nella nuda terra. Nella cremazione diretta, invece, il corpo adagiato su una barella veniva posto sul rogo in coincidenza della fossa di sepoltura.
In entrambi i casi, il corredo funerario era costituito da oggetti personali del defunto e da vasellame d’uso quotidiano, a volte frantumato per ragioni rituali. Le cerimonie di sepoltura prevedevano spesso la deposizione di cibo e monete, il cosiddetto obolo di Caronte, per assicurare il viaggio nell’aldilà.
Armi e rasoi, arcolai e oggetti d’ornamento permettono spesso di distinguere le tombe maschili da quelle femminili.

Fatta eccezione per i rinvenimenti relativi al municipium di Novaria, le testimonianze archeologiche di età romana riferite ai nuclei abitativi distribuiti sul territorio sono piuttosto sporadiche.
Alcuni resti di edifici sono stati individuati a Gravellona Toce, lungo la strada romana verso l’Ossola. Le strutture murarie testimoniano tecniche costruttive molto semplici con impiego di ciottoli e frammenti di laterizi. Del tutto analoghi a questi sono i due complessi rinvenuti a Gattico, abitati probabilmente dal II al IV secolo d.C., realizzati su terrazzamenti sostenuti da mura di contenimento.
Oggetto di grande interesse per le sue ricchezze, la pianura padana fu attraversata da costanti traffici commerciali che spiegano il ritrovamento in quest’area di produzioni estranee alla cultura locale. La ceramica a vernice nera, per esempio, è di tradizione etrusco-italica: importata da centri padani, dalla fine del I secolo a.C. è sicuramente prodotta anche da officine locali.
La presenza di lucerne, attingitoi e padelle in bronzo di sicura provenienza centroitalica attesta l’apertura dell’area novarese a traffici commerciali con la penisola. Ulteriore conferma di tale ruolo sono i precoci rinvenimenti nei corredi delle necropoli ossolane di alcuni bicchieri ovoidi a pareti sottili, prodotti con ogni probabilità nel II secolo a.C. in Etruria meridionale e in breve esportati in tutta la penisola.
Dalla metà del I secolo d.C. si fa largo una produzione in argilla grigia che sopravvive fino alla seconda metà del II secolo d.C. Una produzione di grande diffusione è quella in terra sigillata (gli artigiani, soprattutto aretini, contrassegnano il vaso con un sigillum recante il nome del vasaio), attestata fino al VI secolo d.C.
Dal I secolo a.C., inoltre, sorgono officine vetrarie, che producono bicchieri, bottiglie, piatti e coppe, tra cui la serie di cestelli in vetro policromo rinvenuti nella necropoli di Gravellona Toce.
Con la fine del II e l’inizio del III secolo d.C., la Cisalpina, da terra di collegamento e scambi con le province settentrionali dell’impero, torna ad essere terra di frontiera, oggetto d’invasioni barbariche provenienti da oriente. L’impero è ormai alle soglie della profonda crisi che lo porterà alla decadenza. Alle produzioni pregiate si sostituiscono quelle colture più povere destinate soprattutto al mercato locale. Benché la documentazione archeologica sia piuttosto scarsa, si può tuttavia supporre che anche il basso Verbano fosse occupato da piccole comunità rurali a prevalente economia agricolo-pastorale di sussistenza, gravitanti attorno ad alcune ville rustiche ancora oggi non documentate appieno.
Note le necropoli di Castelletto Ticino, Comignago, Nebbiuno e Borgomanero, accomunate tutte dal rituale della cremazione indiretta in semplici urne coperte da embrici, senza elementi di corredo. Risultano più ricche le tombe ad inumazione, rito cui si fa ritorno nella prima metà del IV secolo, in concomitanza con la diffusione del cristianesimo.
Nel museo è stata ricostruita una tomba cappuccina.

Diffuso già dalla fine del VII secolo a.C. nelle città greche, l’uso della moneta rimase a lungo estraneo alle popolazioni dell’Italia antica. Realizzata in metallo pregiato, la moneta fu spesso utilizzata per il soldo dei mercenari italici e celti, senza sostituirsi del tutto al baratto commerciale. Le prime emissioni nell’Italia settentrionale furono le dramme padane d’argento, imitazione delle dracme della colonia greca di Massalìa (Marsiglia) del IV-I secolo a.C. È solo dopo l’89 a.C. che, con la conquista romana, l’uso della moneta si diffonde in maniera capillare. Ne sono una testimonianza i numerosi assi romano-repubblicani rinvenuti nei corredi tombali tardo-celtici di Dormelletto (II-I secolo a.C.), qui deposti secondo il rituale romano dell’obolo per Caronte.
Tra i pezzi esposti nel museo sono da notare il sesterzio di Conmodo che celebra la divinizzazione di Marco Aurelio portato in cielo da un’aquila e l’antoniniano di Quitillo con la Fides militare.

Informazioni:
Tel. 0322 48294 – email archeomuseo@comune.arona.no.it

Link:
http://www.archeomuseo.it

Bibliografia:
DE MARINIS R., 1988, Liguri e Celto-liguri, in “Italia Omnium Terrarum Alunma”, Milano pp. 157-259;
GALLI L., MANNI C., 1978, Arona preistorica, in “Bollettino Storico per la Provincia di Novara”, LXIX, n. l, Novara;
GAMBARI F.M., COLONNA G., 1986, Il bicchiere con iscrizione arcaica da Castelletto Ticino e l’adozione della scrittura nell’Italia nordoccidentale, in “Studi Etruschi”, 54, pp. 119-164;
RITTATORE E., 1975, La civiltà del ferro in Lombardia, Piemonte, Liguria, in “Popoli e Civiltà dell’Italia Antica”, IV, Roma, pp. 223-328; SPAGNOLO G., 1990-91; La necropoli gallica di Dormelletto (NO), in “Sibrium”, XXI, Varese pp. 293-305;
TIZZONI M., 1981, La cultura tardo La Tene in Lombardia, in “Studi Archeologici”, I, Bergamo pp. 5-39;
SAPELLI RAGNI M. (a cura di), 2004, Tesori del Piemonte. Il Piemonte degli scavi – Siti e musei di antichità;
GAMBARI-SPAGNOLO, 1997, Il Civico Museo Archeologico di Arona, Regione Piemonte

Fonti:
Fotografia tratta nel 2005 dal sito sopra indicato.

Data compilazione scheda:
13/02/2005 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – G. A. Torinese

Arona (NO) : Collegiata della Natività di Maria Vergine

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Storia del sito:
Si può supporre l’esistenza di un edificio di culto dedicato a Santa Maria almeno intorno alla metà del secolo XI, e di questa primitiva fabbrica rimane oggi il solo Campanile.
La chiesa di Santa Maria fu, in quei primi secoli, dipendente dall’abbazia benedettina dei Santi Martiri, i cui abati nominavano i sacerdoti officianti (il documento più antico in merito è del 1271). Nel 1468 i fabbricieri di Santa Maria stipularono il primo contratto per la costruzione di una nuova chiesa, l’attuale, che venne consacrata, ma non ancora terminata, il 12 marzo 1488. Dall’abbazia, comunque, la chiesa di Santa Maria si era già da tempo resa indipendente, anche se fu san Carlo Borromeo, nel 1567, a sancire ufficialmente il diritto del Comune a nominare i fabbricieri.
Sul principio del secolo XVII, il cardinale Federico Borromeo ordinò imponenti lavori di restauro e di decorazione degli interni, terminati i quali, il 10 marzo 1608, la chiesa venne eretta a Collegiata e venne costruita un’ampia canonica sul lato sinistro della facciata (1612). Successivamente venne ricostruita, su pianta ellittica, la cappella del Rosario, poi venne costruito l’altare maggiore neoclassico progettato nel 1812. Tra il 1856 e il 1910, vi furono una serie di interventi miranti a riportare l’edificio a un presunto disegno primitivo. Venne costruito il coro e rifatto il presbiterio; fu aperto il grande occhio della facciata e le finestre portate a sesto acuto (1856-57). Inoltre tutto l’apparato decorativo interno venne rifatto in obbedienza al gusto neoromanico del XIX secolo. Nonostante ciò la struttura fondamentale della chiesa di stile tardo-gotico lombardo è ancora leggibile.

Descrizione del sito:
Il CAMPANILE è originale romanico fino al castello delle campane; ha cinque ordini con cornici di archetti pensili, con bifore e trifore tamponate. È coronato da una cuspide barocca del 1662.
La facciata della chiesa è tardoquattrocentesca, a frontone, tripartita da quattro lesene e terminante con una cornice. Il paramento murario è in pietra calcarea di Arona e di Angera. Nella facciata si aprono un rosone decorato e due finestre con vetrate, rifacimenti ottocenteschi. Al centro vi è un grande portale con due paraste, capitelli, architrave e trabeazione con stemmi borromei abrasi.
Nel portale, sopra l’architrave della porta d’accesso alla chiesa, è collocata una LUNETTA ogivale con un bassorilievo raffigurante il Presepe (o l’adorazione del Bambino) del secolo XV o inizio XVI.
L’interno della chiesa è a tre navate con archi a sesto acuto sostenuti da pilastri ottagonali con capitelli. Le volte sono a crociera. Tutta la decorazione interna è della seconda metà dell’Ottocento.
La navata destra termina con la cappella detta degli Innocenti, la cui parete di fondo, affrescata, fu oscurata per secoli dal polittico di Gaudenzio Ferrari, che fu collocato qui in età barocca. I due AFFRESCHI, che raffigurano san Benedetto e i monaci e la Natività, furono eseguiti da due diversi maestri novaresi, nel penultimo decennio del secolo XV e sono l’unica testimonianza della decorazione interna della quattrocentesca chiesa di Santa Maria. Lungo la parete della navata destra si può notare un piccolo lacerto di affresco con testa di Santo, del primo Cinquecento.
Ornano la chiesa il polittico di Gaudenzio Ferrari risalente al 1511 (che, dopo il recente restauro concluso nel 1996, venne collocato nella campata antistante la cappella della Natività della Vergine, presso la porta che conduce nel quadriportico della canonica), le sei grandi tele del Morazzone ed alcune opere di Nuvolone.

Informazioni:
Via San Carlo, 6 – Tel. 0322.242220

Link:
http://www.comune.arona.no.it

Fonti:
Foto 2 da www.aronanelweb.it

Data compilazione scheda:
10/10/2006 – aggiornamento marzo 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – Gruppo Archeologico Torinese

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