Provincia di Alessandria
Brignano-Frascata (AL) : Polo museale
Storia del museo:
Il museo sorse per esporre una selezione dei numerosi reperti, databili tra l’epoca neolitica e l’Età del Bronzo, venuti alla luce nell’area della comunità montana delle Valli Curone, Grua e Ossona, dove sorgevano alcuni dei più antichi insediamenti neolitici conosciuti della pianura padana.
Il polo museale sorse per iniziativa della Comunità Montana, della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria e del GAL Giarolo, che finanziarono la ristrutturazione dell’edificio del Comune di Brignano Frascata, che lo mise a disposizione per realizzare mostre temporanee e permanenti e attività di indirizzo didattico e divulgativo.
Attualmente il museo risulta chiuso e vuoto.
Descrizione dei ritrovamenti:
Nel comune di Momperone sono stati trovati resti di un villaggio abitato nell’Età del Bronzo, in varie località sono stati rinvenuti reperti dall’età del ferro all’età romana.
In frazione Frascata sono stati trovati i resti di un edificio rurale della prima età imperiale romana (I-II sec. d.C.). Nelle vicinanze si trovava una fornace per la produzione di anfore. Dal IV secolo il complesso venne sostituito da un abitato con strutture in materiale vario e abbandonato nel corso del VI secolo.
In frazione San Giorgio vi era un altro insediamento rurale della prima età imperiale, che ebbe un notevole sviluppo tra il IV ed il V secolo con strutture abitative con base in pietra ed elevato in argilla su scheletro ligneo.
Descrizione delle collezioni:
Nel museo erano conservati anelloni, asce, accette e scalpelli in pietra verde collegati alla presenza di centri di lavorazione attivi in loco tra il VI e d il V millennio a. C.
L’Età del Rame era meno documentata, con alcuni reperti della cultura del “Vaso campaniforme”. Sul versante destro della Val Curone si trovano i resti del villaggio del Neolitico antico di Brignano Frascata, che ha restituito anche reperti del Neolitico più avanzato e dell’Eneolitico.
Nel vicino comune di Casalnoceto è stata rinvenuta una struttura risalente al Neolitico antico-medio, con un pozzetto in cui sono stati accumulati strati con ceramiche e strumenti in selce e quarzo.
Informazioni:
Il museo è chiuso. Piazza IV Novembre – Email: mgmilani@tor.it, tel. 0131 784 003
Link:
http://archeo.piemonte.beniculturali.it -Archeologia nella Valle del Curone
archeologia media valle del Curone.pdf
Bibliografia:
Mandolesi A., Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle di Aosta, Editurist, Torino, 2007.
Pantò G. (a cura di), Archeologia nella valle del Curone; Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1993.
Venturino Gambari M. (a cura di), Archeologia in provincia di Alessandria, Ed. De Ferrari, Genova, 2006.
Fonti:
Fotografia d’archivio
Data compilazione scheda:
27 ottobre 2008 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Bosco Marengo (AL) : Tesoro di Marengo
Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
Si tratta di un composito ed eccezionale complesso costituito da numerosi oggetti, di varia natura e riccamente decorati, in lamina d’argento decorata a sbalzo e a cesello e talora con notevoli resti di doratura.
In epoca tardo-romana venne probabilmente occultato in un “ripostiglio”, per essere poi scoperto nel 1928 fortuitamente, durante lavori agricoli lungo l’odierna strada Alessandria-Tortona nei pressi di Marengo (località Cascina Perbona) e non lontano dal Bormida.
Tutti i pezzi, salvo un vaso a foglie di acanto, presentavano schiacciamenti e deformazioni, tagli intenzionali e, in qualche caso, resti di bruciature; sottoposto a due restauri, nel 1936 e nel 1989, è oggi conservato nel Museo Archeologico di Torino.
L’oggetto più noto è rappresentato dal busto a grandezza naturale in cui, sin dai primi studi sul tesoro, si è riconosciuto l’imperatore Lucio Vero (161-169 d.C.), raffigurato nelle sue sembianze giovanili e in atteggiamento eroico, secondo schemi ritrattistici propri dell’epoca.
Gli elementi del volto, che presenta notevole vivacità espressiva, sono trattati a martellina; capelli e barba sono resi con incisioni a bulino e a cesello, “in modo da ottenere un raffinato effetto coloristico” (Sena Chiesa). Ulteriore prerogativa del personaggio è l’abbigliamento militare, evidenziato da una corazza ornata da una testa di Medusa stilizzata tra un ampio intrico di squame a foglie. Tale prerogativa potrebbe rappresentare la specifica caratteristica di un tipo particolare di ritratto imperiale destinatario di atti di omaggio o di devozione resi all’imperatore nell’ambito del mondo militare.
Pertanto il busto potrebbe essere considerata una di quelle immagini di imperatori in metallo prezioso, oro o argento, che venivano esposte in cerimonie ufficiali o luoghi pubblici. Spesso si trattava di oggetti che potevano essere montati su anime o piedistalli di legno o fissati su supporti (nel busto di Marengo sono visibili fori per chiodi) e facilmente trasportati grazie alla leggerezza della lamina metallica.
Un altro busto maschile è inserito, a rilievo, in un medaglione: si tratta di un’opera di grande qualità, di forte influenza ellenistica e dall’accentuato realismo; anche qui il personaggio potrebbe rappresentare un sovrano raffigurato in atteggiamento eroico, identificato, seppure con riserva, con Alessandro Magno.
Anche una testa femminile in origine forse faceva parte di una statuetta o di un busto, come suggerito dalla lamina strappata alla base del collo, dove hanno inizio le pieghe della tunica; potrebbe trattarsi di una Vittoria, alla quale verrebbe ad appartenere un frammento di braccio che regge una corona.
Vi sono, inoltre, vari esempi di decorazione vegetale derivati dal naturalismo plastico di età ellenistica, ma trasformati da un’interpretazione essenzialmente disegnativa (Carducci): un elegante vaso a forma di capitello corinzio, decorato da foglie di acanto e di loto e, di fattura più modesta, un frammento di oggetto anch’esso decorato con acanto e loto, un probabile frammento di coppa con foglie di quercia e di ghiande, una ghirlanda di spighe ornata di nastri.
Un’altra particolarità del tesoro è l’abbondanza degli elementi di rivestimento, con o senza decorazione, di cui parecchi appartenenti a mobili, mentre alcuni altri forse ornavano zoccoli o supporti, sebbene lo stato frammentario non consenta di ricostruirne l’aspetto originario. Alcuni sono decorati con rilievi eseguiti a sbalzo, come la striscia ornata di spighe o come il frammento con trofei d’armi su cui compaiono elmi, scudi, lance, una clava ed una corazza. Di particolare interesse la lunga fascia argentea ornata da una serie di tredici figure, che, almeno in parte, sono identificabili con divinità grazie a specifici attributi ed atteggiamenti: oltre a Giove con lo scettro, si riconoscono Minerva, Giunone, Nettuno, Anfitrite (con un drago marino), Marte, Mercurio, Venere, i Dioscuri ed un gruppo forse costituito da Proserpina, Cerere e la Fortuna accanto ad una colonna ionica. L’atteggiamento monumentale delle figure presuppone l’utilizzo di modelli tratti dalla grande scultura seppure reinterpretati con una certa pesantezza visibile nei dettagli, nei volti, nelle mani e nelle vesti dalle pieghe spesse, meccaniche e rigide cui si aggiungono alcune sproporzioni tra i personaggi e incongruità o distorsioni nelle posizioni (Baratte).
Altre due probabili raffigurazioni di divinità compaiono in un’applique, dove due giovani di sembianze identiche, posti di fronte, si tengono per le spalle, uno appoggiato ad una clava, il secondo ad una lira, classici attributi di Ercole e Apollo.
Di rilievo anche il fulcrum, elemento di mobilio pertinente ad un letto, attribuito alla metà del I sec. a.C., decorato da eleganti motivi floreali, tra i quali è inserita una donna sdraiata, una Menade o forse Arianna, presentata di dorso nell’atto di bere da una coppa; probabile la derivazione di questa figura femminile da una delle tante scene di banchetto riprodotte sul coperchio di sarcofagi.
Una serie di elementi di aspetto disparato, tra cui due protomi caprine, la parte anteriore di una testa d’aquila, un pesce, sono stati ipoteticamente accostati ai frammenti di un grande disco raggiato presente nel tesoro, facendo supporre un’originaria composizione con motivi zodiacali, simile, ad esempio, a quella dell’altare di Gabi al Louvre.
Quanto alla datazione del complesso, la cronologia relativa è specificamente suggerita da una tabula ansata (tabella) recante l’iscrizione dedicatoria alla Fortuna Melior da parte di Marco Vindio Veriano, che per motivi storici ed epigrafici si colloca agli inizi del III sec. d.C., e dal busto di Lucio Vero, attribuibile per motivi iconografici ai primi anni di regno dell’imperatore.
Più in generale, a fronte del prevalere di oggetti situabili nel II sec., si riscontra una datazione non omogenea che induce a ritenere il complesso una raccolta di pezzi collezionati nel tempo, mentre sulle circostanze che hanno portato al seppellimento del tesoro sono state elaborate varie ipotesi.
L’occultamento in un momento difficile da parte di un legittimo proprietario, in attesa di poter recuperare gli oggetti in tempi più favorevoli, sembra poco attendibile per lo stato in cui sono stati rinvenuti. Più verosimilmente si tratta di refurtiva, raccolta alla rinfusa e quindi abbandonata in seguito ad azioni di guerra o saccheggio e, comunque, per un pericolo incombente: il danneggiamento intenzionale presuppone l’esigenza di un più agevole trasporto di un carico che interessava probabilmente più per il valore intrinseco del metallo, in vista di una rifusione, che per quello artistico dei pezzi.
Del resto la datazione del complesso sembra rimandare ad un periodo di instabilità politica ed economica, in cui si collocano le prime incursioni barbariche che avrebbero causato il seppellimento anche di altri tesori monetali e di argenterie emersi sia in Gallia che in Italia settentrionale.
Ipotesi piuttosto controversa è quella che vede nel tesoro parte dell’arredo di un santuario o di un sacello, oppure della sede di un collegio addetto al culto imperiale, per la presenza della dedica alla Fortuna Melior e per la possibile identificazione dei vari pezzi con doni votivi; tuttavia in proposito lo studioso Baratte sostiene che nessun oggetto possiede un carattere votivo palese.
È stato anche ipotizzato che la sede del sacello depredato fosse la città di Pavia (l’antica Ticinum), non lontana dal luogo di ritrovamento del tesoro, nella quale è attestata la presenza della gens Vindia, cui poteva appartenere il Marco Vindio Veriano ricordato nella tabula ansata.
Di certo rimane l’eterogeneità cronologica, di qualità, di stile e di funzione dei diversi manufatti, attribuiti all’opera di fabri argentarii operanti in officine dell’Italia settentrionale.
Informazioni:
I reperti sono custoditi nel Museo di Antichità (Archeologico) di Torino (vedi scheda). Un nuovo allestimento fu fatto nel 2013.
Link:
https://www.archeomedia.net/torino-nuovo-allestimento-del-tesoro-di-marengo-al-museo-di-antichita/
Bibliografia:
MERCANDO L., Museo di Antichità, Le Collezioni, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, pp. 17-21 .
in “Archeologia in Piemonte” – Torino, 1998 – vol. II – “L’età romana” :
SENA CHIESA G., Un pezzo eccezionale del tesoro di Marengo: il ritratto di Lucio Vero – pp. 359-368.
BARATTE F., Il Tesoro di Marengo, pp. 369-379.
CARDUCCI C., 1968, Arte Romana in Piemonte, Torino, p. 72.
Fonti:
Foto tratte dalla pagina internet sopra indicata.
Data compilazione scheda:
10 novembre 2004 – aggiornamento agosto 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Marina Luongo – G. A. Torinese
Bassignana (AL) : Resti del castello e pieve di San Giovanni Battista
Storia e descrizione del sito:
Rimangono i resti resti di un “Castello Sforzesco“, che fu forse preceduto da più antichi impianti di fortificazione, forse relativi ad un castrum di epoca longobarda. Una lapide marmorea rappresentante il “biscione” del ducato di Milano fu qui ritrovata e conservata in un cortile del Municipio. Il castello era completato da una serie di fortificazioni, che circondavano il paese e che furono inizialmente smantellate nel 1691 e poi completamente demolite nel 1745. Restano parte di un torrione e alcuni brandelli di mura in mattoni cotti a vista.
La pieve (plebs) dedicata a San Giovanni Battista risale al X secolo, ma presenta alcuni resti databili all’epoca romana. L’impianto, tipicamente romanico, è in mattoni rossi a vista e all’interno sono visibili le fasi costruttive successive fino al XVIII secolo. Una lapide dedicatoria in cotto all’interno dell’edificio riporta la data del 1286, presumibilmente l’anno in cui la costruzione fu definita nei suoi elementi fondamentali.
Nell’abside, recentemente restaurata, sono visibili eleganti AFFRESCHI, nello stile della pittura lombarda in provincia di Alessandria dell’ultimo quarto del XIII secolo. Lo stato di conservazione dell’opera è piuttosto limitato e frammentario, a tal punto che nella calotta non sono più visibili gli affreschi originari, mentre sulla parte cel cilindro absidale è possibile osservare alcuni dei dodici apostoli. Gli ultimi tre, sulla destra, mostrano una scelta raffinata di colori dalle tonalità delicate, estrema attenzione nella raffigurazione dei drappeggi degli abiti e nella rappresentazione dei gesti, di gusto classicheggiante. Gli ultimi due personaggi sulla sinistra, invece, sono un san Giovanni e una santa non identificabile, presumibilmente dipinti in età posteriore rispetto al resto degli affreschi e databili con buona probabilità intorno al XIV secolo.
Al di sotto delle figure corre un fregio rosso e azzurro, con alcuni elementi bianchi, costituito da una fascia a fisarmonica di stile arcaico, con interessanti effetti prospettici. Lo zoccolo conserva frammenti che inducono a ritenere vi fosse un velario.
Informazioni:
Comune tel. 0131 92611
Link:
http://www.marchesimonferrato.com
https://www.chieseromaniche.it/Schede/44-Bassignana-San-Giovanni-Battista.htm
antica_ pieve_ s.Giovanni Battista-Bassignana.pdf
Fonti:
Fotografie tratte dalla pagina Wikipedia: Bassignana
Bibliografia:
M. Antico Gallina and Alessandro Rovetta, La pieve di S. Giovanni Battista a Bassignana: Storia, documenti, architettura, in: Arte Lombarda Nuova serie, No. 92/93 (1-2) (1990), pp. 131-147
Data compilazione scheda:
10 novembre 2011 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese

ALESSANDRIA – Villa del Foro : Sito preistorico e città romana di “Forum Fulvii”
Storia del sito:
Il sito fu abitato senza soluzione di continuità sin dall’epoca preistorica (reperti paleo e neolitici ospitati nell’Antiquarium; vedi scheda); era sede di un fiorente emporio fluviale durante l’Età del Ferro. L’attività commerciale nel secoli tra VI e V a :C. è testimoniata dal ritrovamento di ceramica d’importazione greco-ionica, etrusco-corinzia e bucchero padano. Un frammento di iscrizione onomastica indica la presenza di personaggi etruschi, probabilmente commercianti. Il sito si trovava sui percorsi che collegavano gli abitati liguri con quelli golasecchiani della valle del Ticino.
Nell’abitato preromano, sito ad ovest del terrazzo fluviale, sono stai trovati i resti di laboratori per la produzione di ceramica. La produzione locale cessò nel corso del V secolo a. C., probabilmente per l’arrivo dei primi gruppi di Galli e la crisi del mercato etrusco.
L’abitato romano di Forum Fulvii presumibilmente sorse in seguito alla colonizzazione da parte del console M. Fulvio Flacco, assegnato alla Tribus Pollia , poi divenne municipium. La città era in stretto rapporto con la Via Fulvia che univa (Torino) con Dertona (Tortona).
Descrizione del sito:
L’area archeologica è stata aperta al pubblico con percorso guidato strutturato con pannelli informativi, ma da anni è chiusa e in stato di degrado.
Descrizione dei ritrovamenti:
Un tratto suburbano della Via Fulvia è stato scavato ad ovest della città, in località San Damiano. Il tracciato messo in luce, largo una dozzina di metri e lungo oltre 200 metri, è composto da ciottoli di fiume frammisti a piccoli laterizi e scorie in ferro (via glareata); la strada venne utilizzata tra il 125 a.C. ed il II secolo d.C. e sono stati individuati numerosi rifacimenti di certo resi necessari da alluvioni e straripamenti del vicino fiume Tanaro. Ai lati della strada si svilupparono attività artigianali documentate dal ritrovamento di ambienti adibiti alla lavorazione di metalli (un forno) e ceramica ed aree funerarie della prima età imperiale. Le necropoli si trovavano in prossimità dell’abitato nelle zone nord e sud-ovest , vicino al Tanaro.
Sono emersi resti di grandi domus con ambienti riscaldati e pavimenti musivi ed un collettore fognario.
A circa un chilometro fuori dal paese in direzione Oviglio, nel Luglio 2007, è stata rinvenuto, in seguito ai lavori per la posa in opera del metanodotto, un breve tratto di canalizzazione per l’acqua risalente con molta probabilità all’epoca preromana. La tubatura sotterranea che molto probabilmente portava acqua al centro di Villa del Foro, occupa un’area di circa 40 – 50 cm di profondità per 15 m di larghezza.
Informazioni:
L’area del sito, che non può essere circoscritta con precisione, si trova presso la confluenza tra il torrente Belbo e il fiume Tanaro. Comune di Alessandria, tel. 0131 40035 ; email: sistemamusei@comune.alessandria.it . NON VISITABILE
Link:
http://www.comune.alessandria.it
Bibliografia:
Finocchi S., Forum Fulvii: primo contributo della ricerca archeologica alla conoscenza figurativa e storica della citta romana, Estr. da: Antichita e arte nell’Alessandrino: atti del convegno, Alessandria 1988, in: Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, 1989
Zanda E.; Peacco C.; Soma M., Nuclei di necropoli di Forum Fulvii ed Hasta /Estratto da Quaderni della Soprintendenza archeologica del Piemonte 12, Torino, 1995
AAVV,, Villa del foro e agro alessandrino: archeologia del territorio; Biblioteca civica di Alessandria, 1999
Venturino Gambari M. ( a cura di ), Archeologia in provincia di Alessandria, Ed. De Ferrari, Genova, 2006
Mandolesi A., Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle di Aosta, Editurist, Torino, 2007
Fonti:
Immagine da Mandolesi A., sopracitato, p. 99.
Data compilazione scheda:
30/10/2008 – aggiornamento febbraio 2014 – settembre 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
ALESSANDRIA – Villa del Foro : Antiquarium
Storia del Museo:
L’ Antiquarium raccoglie parte dei reperti dell’importante sito archeologico romano di Forum Fulvii. I primi scavi dell’inizio anni ’80, avvennero sulla base dei materiali trovati a seguito di lavori agricoli. Il museo è ospitato nei locali dell’ex scuola elementare.
Si è inaugurato, il 28 ottobre 2008, il nuovo allestimento multimediale dell’Antiquarium, mentre veniva presentato il progetto “Dagli Etruschi a Baudolino. Villa del Foro e le origini di Alessandria”.
La zona archeologica di Villa del Foro (vedi scheda) sarà aperta al pubblico con percorso guidato strutturato con pannelli informatici. Nel 2009 è stato ampliato lo spazio dell’esposizione museale con sale dedicate al più antico popolamento del territorio, che risale al VI millennio a.C.
Descrizione delle collezioni:
Il percorso si propone di illustrare con reperti e pannelli i principali aspetti del popolamento nell’area di Villa del Foro, dalla preistoria all’età romana e altomedievale evidenziando il ruolo svolto dal fiume Tanaro nel favorire lo sviluppo degli abitati e i contatti commerciali. Nella sala dedicata all’emporio ligure della media età del ferro (VI-V secolo a.C.) collocato in prossimità della confluenza del Belbo con il Tanaro, vengono illustrate in particolare le attività artigianali connesse alla lavorazione dell’argilla per la produzione di vasi in ceramica da impasto, spesso ad imitazione delle analoghe forme in bucchero etrusco.
La città romana (fine II sec a.C. – III secolo d.C.) era collocata lungo un importante arteria (via Fulvia), e l’Antiquarium presenta testimonianze della presenza di officine per la lavorazione della ceramica, dei metalli e per la produzione di oggetti in vetro. Il corredo di una tomba del I sec. d. C., tra le più ricche della necropoli di Forum Fulvii, fornisce lo spunto per un approfondimento sugli usi funerari romani nell’età imperiale (I-II sec. d.C).
Informazioni:
Il museo si trova nella frazione Villa del foro, via Oviglio, 10. Ufficio Cultura del Comune di Alessandria, tel. 0131 40035 /0131 234794. Email: sistemamusei@comune.alessandria.it. CHIUSO E IN SITUAZIONE DI DEGRADO
Bibliografia:
AAVV, Villa del foro e agro alessandrino: archeologia del territorio; Biblioteca civica di Alessandria, 1999
Venturino Gambari M. ( a cura di ), Archeologia in provincia di Alessandria, Ed. De Ferrari, Genova, 2006
Mandolesi A., Paesaggi archeologici del Piemonte e della Valle di Aosta, Editurist, Torino, 2007
M. Venturino Gambari, S. Gatti, M. Giaretti, 2010, Alessandria, frazione Villa del Foro. Indagini archeologiche nell’area del sito della media età del Ferro, in “Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte”, 25: 130-133.
Fonti:
Fotografia in alto da http://www.alexala.it/
foto in basso di Claudio Pasero: la situazione odierna.
Data compilazione scheda:
28/10/2008 -aggiornamento febbraio 2014 – settembre 2020
Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta -G.A.Torinese
ALESSANDRIA : Museo civico
Storia del museo:
Palazzo Cuttica di Cassine, edificio settecentesco sito nel cuore della città che conserva intatto il suo aspetto di dimora nobiliare, è la sede delle raccolte del Museo Civico, creato nel 1885, dove è stato recentemente allestito il nuovo percorso museale.
Descrizione delle collezioni:
Le raccolte comprendono arazzi, paramenti sacri e corali miniate del Papa Pio V Ghisleri, unico papa piemontese; cimeli e documenti relativi a Napoleone Bonaparte e alla celebre battaglia di Marengo; stampe, carte geografiche e opere di pittura sacra piemontese, tra cui il polittico dell’Annunciazione della Vergine opera di Gandolfino da Roreto.
LE COLLEZIONI ARCHEOLOGICHE comprendono splendidi oggetti di età pre-romana e romana frutto di un’intensa attività di collezionismo ottocentesca (Cesare Di Negro Carpani), e reperti provenienti da scavi nell’alessandrino. I reperti di età romana provengono da Villa del Foro, Libarna e Tortona. Molti i manufatti di epoca preistorica e protostorica: da Castelceriolo provengono rinvenimenti paleolitici; dalla località Il Cristo asce e scalpello in pietra verde di epoca neolitica.
Le caratteristiche storico-archeologiche delle collezioni, il loro significato nelle attuali conoscenze sulla preistoria e storia antica dell’area alessandrino-tortonese, la qualità e la provenienza interamente locale, ne fanno un insieme di rilevante interesse e di particolare importanza.
Informazioni:
Assessorato Cultura tel. 0131 40035 Email: sistemamusei@comune.alessandria
Link:
http://www.cultural.it/musei/civico.asp – I percorsi del Museo Civico
Bibliografia:
Venturino Gambari M. (a cura di), Archeologia in provincia di Alessandria, Ed. De Ferrari, Genova, 2006.
Fonti:
Fotografia GAT
Data compilazione scheda:
25 ottobre 2008 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
ALESSANDRIA : Musei Civici, Sale d’Arte – “Le stanze di Artù”
Storia del museo:
Le Sale d’Arte comunali sono oggi aperte al pubblico nei nuovi locali ristrutturati dell’edificio che ha ospitato fin dalla seconda metà dell’Ottocento, il Museo, la Pinacoteca civica e la Biblioteca di Alessandria.
Il percorso museale rinnovato negli arredi e nelle strutture espositive, intende proporre al pubblico alcune delle più importanti opere e oggetti d’arte appartenenti alle collezioni del Museo e della Pinacoteca civica. La nuova sede suddivisa in quattro sezioni espositive oltre a proporre una riflessione sull’identità civica della città che vede le sue radici nel Medioevo e nella civiltà comunale, accoglie lo splendido ciclo di affreschi ispirati alle storie di Artù. L’Ottocento rivisitato attraverso il fascino della pittura di Giovanni Migliara e il Novecento rappresentato attraverso l’opera dell’alessandrino Alberto Caffassi, anticipano l’esposizione di opere d’arte contemporanea confluite nelle collezioni a partire dagli anni ‘20. Quest’ultima sala viene inoltre utilizzata per le mostre temporanee.
Descrizione del materiale esposto:
Si tratta di un ciclo di affreschi, commissionati alla fine del XIV secolo da Andreino Trotti, condottiero e membro di un’importante famiglia alessandrina, per festeggiare la vittoria ottenuta nel 1391, al fianco di Gian Galeazzo Visconti, contro le truppe francesi. Gli affreschi si situano successivamente a questa data e prima del 1402, anno di morte di Galeazzo Visconti e del Trotti medesimo. Il ciclo è uno degli esempi più antichi di “camera Lanzaloti” (così in epoca medievale venivano chiamate le sale decorate con tali soggetti) che si sia conservato ai nostri giorni e testimonia il notevole successo riscosso dall’iconografia arturiana in quel periodo. La fonte letteraria degli affreschi è il romanzo “Lancelot du Lac“, il più famoso dei testi della saga cavalleresca di Re Artù, tratto dalla “Vulgate Arthurienne” di Chretien De Troyes.
In origine le quindici scene del ciclo decoravano le pareti della grande sala di rappresentanza della Torre Pio V di Frugarolo (AL) che fu prima curtis carolingia, poi castrum e mansio fornita di hospitium dei cavalieri gerosolimitani e in seguito divenne residenza signorile di Andreino Trotti. Dopo l’esito favorevole dell’impresa militare, il Trotti poté ampliare le sue proprietà e apportò importanti modifiche alla torre di Frugarolo, innalzandola di un piano. Per altre notizie sulla torre vedi la scheda: Frugarolo (AL): Torre medievale
Della sala decorata si erano praticamente perse le tracce documentali, quando fu ritrovata, nel 1971, nella torre ridotta a rudere e colombaia, fra infiltrazioni d’acqua, in condizioni disastrose. Ma la bellezza degli affreschi fece scattare una mobilitazione che consentì di staccarli e, al termine di un lungo e delicato processo di restauro, di presentarli al pubblico in una mostra nel 1999-2000, che poi venne resa permanente. Alle scene del ciclo si aggiunge un sedicesimo frammento raffigurante una “Madonna in trono con bambino”.
La ricostruzione ideale dello sviluppo del ciclo affrescato nello spazio della torre svela come gli episodi più importanti, raffigurati sul lato orientale, avessero come coprotagonisti il cavaliere Lancillotto e l’amico “le prince Galehot”, in cui vanno ravvisate le figure del Trotti stesso e di Galeazzo. Per la committenza di quest’ultimo era presente nel castello di Pavia proprio nel 1393 Giovannino de Grassi, e il frescante di Frugarolo è da identificare fra gli artisti attivi in quel circuito, in un pittore di cui non conosciamo il nome, aperto all’influenza del maestro milanese e ben informato per linguaggio sui codici della biblioteca pavese. Anche per precise affinità degli elementi di moda dei personaggi degli affreschi con le figure miniate nell’Offiziolo Visconti, la realizzazione del ciclo si colloca con un certo margine entro la fine del secolo XIV.
Lancillotto è riconoscibile dalla sigla “L” dipinta vicino a lui; Galehot ha sempre lo stesso cappello e una corta barbetta bionda come dettava la moda del tempo; Ginevra ha una lunga treccia bionda che le scende lungo la schiena, mentre la Dame de Malohaut porta i capelli sul capo intrecciati con un nastro.
Informazioni:
Indirizzo: Via Niccolò Machiavelli, 13 – 15121 Alessandria (AL)
Telefono: 0131.23.42.66 (lun-ven)
Link:
http://www.asmcostruireinsieme.it/sale-darte/
http://www.rialfri.eu/rialfriPHP/public/testo/testo/codice/frugarolo.html
https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0100408631-0
https://www.italiamedievale.org/portale/gli-affreschi-arturiani-di-frugarolo/
Bibliografia:
CASTELNUOVO, E. Le stanze di Artù: gli affreschi di Frugarolo e l’immaginario cavalleresco nell’autunno del Medioevo, Catalogo della Mostra tenuta a Alessandria nel 1999-2000, Electa, Milano 1999, rist. 2009
Fonti:
Fotografia in alto tratta da: https://medioevoinalessandria.wordpress.com/la-torre-di-frugarolo-e-gli-affreschi-arturiani/.
Immagini in basso da http://leradicideglialberi.blogspot.com/2020/02/
Data compilazione scheda:
3 dicembre 2011 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Acqui Terme (AL) : Siti archeologici romani
Storia e descrizione dei siti:
AREA RCHEOLOGICA DI VIA CASSINO, 28
A maggio 2014 è stato inaugurato il recupero e il nuovo allestimento di uno dei più importanti siti archeologici di epoca romana della città, l’impianto artigianale di via Cassino.
Nell’antico edificio, rinvenuto nei primi anni ’80 del secolo scorso e di cui si conservano importanti resti, è possibile riconoscere un impianto artigianale destinato alla produzione di vasellame ceramico d’uso comune, risalente al I-II secolo d.C., ma rimasto in uso fino alle soglie dell’età medievale.
Composto da sei ambienti (in uno dei quali sono stati rinvenuti i resti di un forno), distribuiti attorno ad un cortile centrale dove si trova un pozzo dotato di una vera in pietra, l’edificio si affacciava con un porticato sul marciapiede di una strada acciottolata conservata per un lungo tratto. Ubicato lungo l’antica via per Hasta (Asti), ai margini del perimetro urbano antico.
SITO ARCHEOLOGICO DELLA PISCINA ROMANA (CALIDARIUM) – CORSO BAGNI/VIA GHIONE
Resti facenti parte di un vasto complesso termale risalente all’età imperiale, ritrovati nel 1913, durante la costruzione di un edificio. Si tratta di una vasta piscina affiancata da alcuni ambienti riscaldati attraverso un sistema ad ipocausto che costituiva un settore di un vasto complesso termale risalente all’età imperiale romana. Ritrovata nel 1913 durante la costruzione dei nuovi portici fu in parte reinterrata ed in parte inglobata nel piano cantinato del palazzo allora in costruzione. Ulteriori scavi effettuati negli anni ’70 del secolo scorso e altri compiuti nel 2001 hanno messo in luce la piscina e confermato la maggiore estensione dell’impianto termale di cui faceva parte.
La piscina presenta forma rettangolare e dimensioni considerevoli (m 13 x m 6,5). La vasca è scavata direttamente nella roccia e chiusa all’intorno da un poderoso muro perimetrale in scaglie di pietra che sorreggeva la copertura. L’accesso poteva avvenire da ogni lato, poiché l’intero perimetro murario che la delimita presenta tre gradoni, di altezza differente, dai quali si poteva scendere all’interno della vasca; sui lati lunghi essa è costeggiata da un largo corridoio mentre sui lati brevi si trova un passaggio più stretto. In origine, l’ambiente doveva essere coperto da una volta rivestita da mosaici in tessere di pasta vitrea colorata e dotato di ampie finestre protette da vetrate e la vasca rivestita di marmi molto pregiati. La piscina, forse approvvigionata direttamente dall’acqua della sorgente “Bollente”, doveva svolgere la funzione di grande calidarium cioè di ambiente in cui prendere bagni caldi.
TEATRO ROMANO – VIA SCATILAZZI
Posto nelle immediate vicinanze di piazza della Bollente, l’antico teatro di Aquae Statiellae, risalente all’epoca imperiale e riportato alla luce alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, sfruttava il pendio naturale del colle per la cavea, rivolta verso la sottostante piazza, dove si doveva trovare la scena, i cui resti sono oggi nascosti sotto alcuni palazzi moderni. Nel banco roccioso della collina erano direttamente tagliate parte delle gradinate destinate agli spettatori, collegate da scalinate di accesso di cui ancora si conservano alcuni resti. L’edificio doveva creare una monumentale scenografia urbana con l’antica fontana della Bollente e con l’impianto termale che sorgeva accanto ad essa e che ne sfruttava le acque.
Informazioni:
Link:
https://turismo.comuneacqui.it/
https://www.acquimusei.it/limpianto-artigianale-di-via-cassino/
https://www.acquimusei.it/la-piscina-romana-di-corso-bagni/
https://www.acquimusei.it/il-teatro-romano-di-via-scatilazzi/
Fonti:
Fotografie tratte nel 2014 dal sito del Comune di Acqui.
Data compilazione scheda:
7 giugno 2014 – aggiornamento agosto 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Angela Crosta – G.A.Torinese
Acqui Terme (AL) : Museo Archeologico
Storia del Museo:
Acqui Terme occupa oggi quello che fu il sito della città romana diAquae Statiellae, centro sorto nella prima metà del II secolo a.C., in luogo di Carystum, antica capitale dei Liguri Statielli, difficile da localizzare con precisione vista la scarsità di tracce archeologiche di età protostorica.
I reperti archeologici finora ritrovati permettono di avviare una ricostruzione dell’iniziale popolamento del territorio acquese durante il Paleolitico e il Neolitico, intensificatosi poi nel corso dell’età del Bronzo e del Ferro. La presenza in età preromana di un insediamento su questo territorio e la formazione di una città, vitale per lunghi secoli a partire dall’età romana, è senz’altro riconducibile all’esistenza delle ricche acque termali, elemento peculiare della città. Ancora oggi il paesaggio acquese è caratterizzato dalle rovine del grandioso acquedotto romano e dalla monumentale fonte detta La Bollente, posta al centro della città.
I numerosi e significativi reperti archeologici acquesi, frutto di varie campagne di scavo o di ritrovamenti fortuiti, sono stati raccolti all’interno del Museo Archeologico ricavato negli ambienti del vecchio Castello dei Paleologi.
Dopo alcuni tentativi di raccogliere i reperti acquesi, malamente conclusi tra Ottocento e Novecento, una sommaria esposizione fu allestita alla fine degli anni Settanta, trascurando tuttavia di approfondire la conoscenza dei contesti perduti.
L’odierno allestimento del museo, inaugurato nel 2002, mira a colmare questa lacuna e rappresenta il primo lotto di un progetto che mira al recupero completo del castello. Un secondo lotto è’ stato completato nel 2013.
Descrizione delle collezioni:
Le sei sale del museo sono organizzate per temi e periodi cronologici, in modo da spaziare dalla preistoria all’età romana e al Medioevo.
Le prime due sale,riservate al periodo preistorico, affrontano le tematiche del popolamento del territorio dal Paleolitico alla seconda età del Ferro.
Una scheggia in selce rinvenuta a Toleto di Ponzone e un raschiatoio proveniente dai terreni della vecchia fornace acquese collocata sulla strada per Savona sembrano confermare una frequentazione dell’Appennino ligure-piemontese a partire dal Paleolitico inferiore. Altri reperti testimoniano la presenza di gruppi di cacciatori nomadi che probabilmente si spostavano seguendo i branchi di selvaggina e raccogliendo i vegetali nati spontaneamente.
Più nutrita la documentazione riferibile al Neolitico (fine VI-metà IV millennio a.C.), lungo arco di tempo in cui l’uomo passa dalla sopravvivenza basata sulla caccia e sulla raccolta a un’economia produttiva imperniata sull’agricoltura e sull’allevamento. Gli insediamenti si fanno stabili e inizia la produzione di recipienti in ceramica e di utensili levigati come asce, accette e scalpelli. Il reperto più antico riferibile all’età del Bronzo (2200-900 a.C.) è un frammento di un grande vaso biconico recuperato ad Acqui Terme durante i lavori di estrazione nella cava di argilla collocata sulla destra della strada per Savona, nell’area della necropoli romana.
A partire dalla media età del Bronzo gli insediamenti si concentrano nei bassi terrazzi fluviali del Bormida. È in questo periodo che si attua il graduale passaggio dal rito funerario dell’inumazione a quello della cremazione, con la deposizione dei resti dapprima all’interno di fosse scavate nel terreno e forse ricoperte da un basso tumulo, poi in un’urna fìttile, insieme agli oggetti di abbigliamento e di corredo raccolti dal rogo funebre. In riferimento all’età del Bronzo finale (XII-X secolo a.C.) è particolarmente interessante l’area del Sassello, assai sfruttata per l’approvvigionamento del rame necessario alla nascente metallurgia. Numerosi i materiali qui rintracciati: punte di lancia, rasoi, lingotti, frammenti di spada e di vasi.
La seconda sala illustra l’età del Ferro (IX-II secolo a.C.) e soprattutto il momento di passaggio dall’abitato dei liguri statielli alla formazione della città romana.
La prima età del Ferro è condizionata dallo sviluppo del commercio etrusco, fino al crollo del macrosistema dell’Etruria Padana a seguito delle invasioni galliche, iniziate sul finire del V secolo a.C. Appartiene a questo periodo una fibula con lunga staffa a globetto rinvenuta nel 1961 ad Acqui. La seconda età del Ferro termina con l’avvio del processo di romanizzazione (II secolo a.C.) ed è caratterizzata dall’arroccamento delle popolazioni nelle vallate appenniniche e dalla prevalenza di un’economia basata sulla pastorizia e sull’impiego come mercenari negli eserciti.
Le tre sale seguenti affrontano l’età romana, con l’obiettivo di raccogliere in maniera sistematica l’insieme dei dati acquisiti nel centro urbano in tempi differenti, dagli scavi più recenti e meglio documentati alla rilettura delle conoscenze più datate. Si è potuta così abbozzare una prima ricostruzione dell’impianto urbano di età romana.
Aquae Statiellae è stata costruita intorno alla sorgente termale, urbanizzando la piana, terrazzando l’altura del castello e cercando di ovviare con opere di drenaggio agli allagamenti cui era soggetta la valle del Medrio.
La terza sala espone i corredi delle necropoli urbane, testimonianza dell’alto tenore di vita degli antichi abitanti del centro. Lungo il tracciato della strada consolare, l’antica via Aemilia Scauri, ad est e a ovest, sono state individuate due grandi necropoli sviluppatesi in gran parte tra l’inizio dell’età augustea e la fine del I secolo d.C.
I corredi più antichi – come quelli dei settori di piazza San Guido e via De Gasperi – sono caratterizzati da ceramiche da mensa, bottiglie, lucerne e unguentari. Merita di essere ricordato un anello in ambra con una gemma intagliata a forma di piccola scimmia. Si distingue inoltre una sepoltura raccolta dentro un’anfora, con un ricco corredo di coppe, bicchieri e vasi fittili, oltre a uno specchio, una lucerna, alcuni unguentari e un prezioso piatto in vetro verde scuro.
Le tombe ritrovate in via Alessandria sono caratterizzate da una maggiore monumentalità. Si tratta più spesso di pozzetti quadrati in muratura con nicchie in cui era deposto il corredo, con una certa prevalenza di urne cinerarie e oggetti in vetro. Si segnalano strigili in bronzo argentato lavorati a bulino con la raffigurazione di opliti, recipienti vitrei di vari tipi, tra i quali spicca un rhyton, la cui funzione riporta direttamente all’ambiente termale.
È ipotizzabile che l’asse stradale che costeggiava l’impianto cittadino a sud dell’abitato abbia acquistato maggior importanza a partire dalla seconda metà del I secolo, forse in concomitanza con la costruzione dell’anfiteatro e del vicino centro termale.
Alla piazza della Bollente, sin dall’antichità centro dell’impianto urbano, è dedicata la sala principale del museo. Sono qui collocati resti dei sedili marmorei della grande fontana romana pertinente all’impianto termale romano, di cui si conserva, sotto i portici di via Saracco, la dedica a mosaico voluta dai magistrati responsabili di una delle ricostruzioni o dei restauri, forse collocabile tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale.
Si può immaginare che alla fine del I secolo a.C. lo spazio oggi costituito dalla piazza e dal tribunale fosse occupato dalla monumentale fontana, ubicata nella parte più alta, nel punto in cui sgorga la sorgente. I dati degli scopritori raccontano di gradini in marmo e di una vasca di forma circolare con un diametro di quattro metri e mezzo, circondata lungo tutto il perimetro interno da un sedile con schienale sempre in marmo. Il pavimento era in calcestruzzo rivestito di lastre marmoree, con un pozzo quadrato centrale da cui sgorgava la sorgente. La parte bassa, invece, doveva essere destinata al complesso termale. Questo doveva essere assai articolato con una serie di vani strutturati secondo funzioni diverse.
I pochi tratti, individuati durante recenti campagne di scavo, mettono in evidenza alcuni muri che dovevano delimitare una nicchia rettangolare, al centro della quale sorgeva una struttura circolare. La pavimentazione, posta su un solido vespaio, era costituita da un mosaico in tessere bianche, mentre l’andamento delle pareti era sottolineato da un largo bordo a fascia in tessere nere. La parete occidentale doveva ospitare un alveus, una vasca per il bagno a immersione, mentre in quella settentrionale era invece posto un labrum, un largo bacino su basamento in muratura, destinato a contenere acqua fredda per rinfrescarsi dai bagni caldi. Mancano le tracce del consueto impianto di riscaldamento a ipocausto, ma è ipotizzabile che gli ambienti venissero scaldati sfruttando il calore delle acque termali. Accanto al calidarium si aprivano altri ambienti con funzioni differenti, come il laconìcum (sauna), il tepidarium e il frigidarium (destinati ai bagni tiepidi e freddi), la natatio (la piscina che solitamente concludeva il percorso termale).
La stessa sala conserva numerosi reperti provenienti dagli scavi di edifici pubblici e privati: ricchi materiali architettonici in marmo e in terracotta, frammenti di sculture, arredi domestici marmorei e un frammento di mosaico con iscrizione. Pochissime le notizie relative ai frammenti di sculture ritrovati in territorio acquese. Si distingue per pregio la mano femminile rinvenuta nell’edificio di via Aureliano Galeazzo. Si tratta dell’unico esempio di grande scultura reperito in città. Le dimensioni notevolmente superiori alla grandezza naturale e la qualità del pezzo, insieme alla destinazione pubblica del luogo del ritrovamento, fanno pensare a una statua, forse rappresentante una divinità.
Interessanti le testimonianze relative ai pavimenti romani della città, che permettono la ricostruzione di quattro tipi differenti di pavimentazione. I sectilia pavimenta erano i più pregiati e costosi. Se ne sono rinvenuti quattro esemplari, tutti di età imperiale, a disegno geometrico, giocato sul contrasto cromatico delle mattonelle nere e bianche, I pavimenti a mosaico sono il tipo più rappresentato, con oltre una ventina di attestazioni. Si tratta soprattutto di esemplari in tessere bianche, talvolta arricchiti da cornici nere. Pochi i casi di decoro geometrico, come quello a stelle e quadrati di via Carducci, databile al I secolo d.C., o quello decorato da cornici a onde correnti di tradizione tardoellenistica, ritrovato nei pressi della Bollente. A un altro edificio pubblico deve essere assegnato il mosaico che reca un’iscrizione, quella di M. Octavius Optatus, che fece costruire il pavimento stesso, o l’intero edificio, a sue spese.
Un altro tipo di pavimentazione piuttosto diffuso è rappresentato dai cocciopesti, apprezzati per la loro resistenza e impermeabilità. Di essi si registrano una decina di esemplari, alcuni semplici, altri con decorazioni in scaglie o tessere o piastrelle in marmo e pietra. Il più interessante appartiene a una domus rinvenuta in corso Roma e presenta piastrelle romboidali e triangolari disposte in modo regolare. Infine esistono testimonianze di pavimenti in elementi di laterizio o cotto, in particolare piastrelle rettangolari disposte a spina di pesce. Nel 2013 è stato riportato nel museo il frammento di pavimento musivo di epoca romana recentemente rinvenuto in via Mariscotti, nella zona occidentale della città, nel corso degli scavi per la posa delle tubazioni per il teleriscaldamento cittadino.
Centro termale con una intensa vita commerciale Segue una sala dedicata agli aspetti della vita commerciale e produttiva della città antica: una selezione delle centinaia di anfore, rinvenute nella bonifica antica di via Gramsci, testimonia l’intensità dei traffici commerciali che interessarono Aquae Statiellae e che ebbero come fulcro il porto di Savona, tramite con la penisola iberica. Alle importazioni di materiali dalla Spagna si affianca la produzione locale di oggetti di immediata necessità. Dalla fornace suburbana di via Cassino proviene un consistente nucleo di materiali ceramici di uso comune, come pentole, tegami, coppe e brocche prodotti in serie e sicuramente destinati ad un commercio locale. Altri oggetti, come le matrici per la produzione di lucerne, informano di una produzione più specializzata che doveva avvenire anch’essa in loco.
La presenza della sede episcopale, in epoca paleocristiana, si inserisce in una serie di elementi che confermano la continuità abitativa della città. La prima testimonianza certa dell’episcopato acquese risale alla seconda metà del V secolo. La sua collocazione sul colle attesta il progressivo abbandono della maggior parte dell’abitato antico posto nella piana e l’accentramento nella parte più alta e protetta. Non si conoscono ancora nel dettaglio le dinamiche storiche vissute da Acqui nel corso dell’alto medioevo, tuttavia, nella pur lacunosa documentazione, in città sono evidenti tre aree cimiteriali altomedievali di notevole consistenza: la zona di San Pietro, l’area di corso Roma e quella di piazza della Conciliazione. Tra le chiese assume infatti una particolare rilevanza quella dedicata all’apostolo Pietro, a cui è appunto connessa l’ampia area cimiteriale, collocata in quello che era stato il centro della città romana. Si conosce purtroppo poco delle vicende costruttive di questa chiesa, ma la presenza di un variegato campionario scultoreo alto-medievale fa pensare a diverse fasi di rifacimento dell’arredo liturgico. Purtroppo gran parte di queste decorazioni è conservata soltanto in fotografia, poiché molti dei pezzi rinvenuti nel cantiere degli anni Trenta sono andati perduti. Le immagini consentono in ogni caso di datare i decori in un’epoca compresa tra la fine del VII secolo e l’età carolingia.
Poco distanti sorgono le tombe attribuibili al cimitero della chiesa di San Giovanni, attestata almeno dal X secolo. La chiesa, poi donata ai francescani e completamente ricostruita, è giunta a noi con la dedica a san Francesco. Il cimitero è comunque più antico: nel corso di indagini archeologiche in corso Roma sono state portate alla luce 31 tombe a inumazione prive di corredo e databili tra VII e X secolo d.C. Dai dintorni del centro urbano provengono invece corredi funebri che attestano la presenza dei longobardi: pettini, orecchini, fibbie di cinture, lame di coltello, resti di casse funebri.
Un’ultima vetrina è infine dedicata a un gruppo di materiali ceramici del XVI secolo rinvenuti nei terreni che andarono a colmare la vecchia piscina medievale della fonte termale, in piazza della Bollente. Testimoniano la diffusione di tipologie decorative e di produzioni tipiche del primo rinascimento.
Informazioni:
Tel. 0144 57555
Link:
http://www.acquimusei.it -Museo archeologico di Acqui Terme
Bibliografia:
SAPELLI RAGNI M. (a cura di), 2004, Tesori del Piemonte. Il Piemonte degli scavi. Siti e musei di antichità.
Fonti:
Fotografie tratte dal sito del Museo archeologico di Acqui Terme
Data compilazione scheda:
08 gennaio 2005 – aggiornamento giugno 2014
Nome del Rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – G. A. Torinese
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