Torinese e valli di Lanzo

Pecetto Torinese (TO) : Chiesa di San Sebastiano

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Storia del sito:
Nel più antico documento che ne testimonia l’esistenza (1584) è definita “ecclesiam campestrem”, ma viene anche riportato che un tempo era stata la chiesa parrocchiale del luogo, costruita presumibilmente nei primi anni del Quattrocento.
Il Comune di Pecetto, quale proprietario della chiesa, ha finanziato tra il 2003 e il 2009 un accurato intervento di restauro conservativo degli affreschi.

Descrizione del sito:
La facciata principale della chiesa è in semplici mattoni a vista, come tutto l’edificio.
La struttura interna è a pianta basilicale con tre navate lunghe una quindicina di metri coperte da volte a crociera sorretti da pilastri e un presbiterio che costituisce il prolungamento della navata centrale oltre l’arco santo. Il portale principale è a sesto acuto con cornice in cotto. La parete di fondo della navata sinistra presenta un’apertura tonda segnata da una cornice in cotto a foglie di cardo selvatico. Sulla parete sud un’apertura rettangolare con serramento in legno a due battenti immette nel cimitero. Al centro della navata maggiore due botole in pietra introducono nel sottostante ossario.
Tra il XV e il XVI secolo l’interno fu interamente affrescato, grazie all’intervento di ricche famiglie locali, i Bosio e i Vaudano, i cui stemmi sono ancora dipinti sui capitelli di due colonne all’interno. La molteplicità disorganica degli interventi, evidente nel ripetersi di alcuni temi, evidenzia che in essa operarono pittori di umile formazione accanto a maestri esperti.
L’AFFRESCO della volta del presbiterio, realizzato tra il 1440 e il 1450, è stato attribuito a Guglielmo Fantini, pittore di origine chierese, formatosi sugli esempi di Giacomo Jaquerio. Nelle quattro vele della volta del presbiterio sono raffigurati l’incoronazione della Vergine, gli Evangelisti e i due più popolari santi guaritori, sant’Antonio Abate e san Sebastiano. La Crocifissione affrescata sulla parete di fondo del presbiterio e le scene della Passione in parte sopravvissute sulle pareti, databili al terzo quarto del Quattrocento sono opera di un grande pittore per certi versi ancora misterioso, partecipe di una cultura gotico-internazionale di matrice lombarda. Il nome che compare ai piedi del Cristo crocifisso “Antonius de Manzaniis” viene interpretato come la firma dell’artista, del quale tuttavia non possediamo altre notizie.
Nelle prime tre campate della navata sinistra sono affrescati gli apostoli con il Cristo risorto (con san Tommaso che verifica la piaga del costato di Cristo e vari santi e sante (san Dario Vescovo, san Michele Arcangelo, san Giacomo maggiore, santa Scolastica e santa Pudenziana).
Sulla volta della terza cappella della navata sinistra si narra l’affascinante leggenda medievale di San Domingo de la Calzada, o “miracolo dell’impiccato”, legata al celeberrimo pellegrinaggio verso Santiago di Compostela in Galizia. Gli affreschi sono opera di un raffinato pittore convenzionalmente definito “pseudo Jacopino Longo” per l’affinità della sua arte con quella di Jacopino, dal quale però si differenzia per lo stile ormai pienamente rinascimentale. Suoi sono anche gli affreschi della sottarco della seconda destra e l’Assunta della navata centrale.
La quarta cappella della navata sinistra è dedicata ai santi Stefano e Lorenzo, i due primi martiri del cristianesimo. Il pittore, attivo a Pecetto, pur operando anch’egli fra il sesto e il settimo decennio del ‘400, mostra una cultura ancora medievale, con forti accentuazioni espressive (particolarmente evidente nel realismo con cui rappresenta l’accanimento dei persecutori). La scena sulla parete di fondo (san Lorenzo che guarisce un cieco) allude forse ad una grazia ricevuta o invocata dal committente degli affreschi, dal momento che il viso del miracolato è un vero ritratto, di grande finezza psicologica.
Di grande bellezza e importanza l’affresco posto sulla controfacciata di destra, realizzato con intensa carica emotiva nel 1508 da Jacopino Longo e raffigurante la Natività, prima opera datata pervenutaci dall’artista.

Informazioni:
La chiesa è presso il cimitero, a sud dell’abitato.
Da febbraio 2023 fa parte del circuito “Chiese a porte aperte“, scaricando l’app, registrandosi e prenotando la visita gratuita, si potrà accedere alla chiesa in autonomia.  Comune tel. 011 8609218 oppure e-mail: info@comune.pecetto.to.it

Links:
https://www.comune.pecetto.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/chiesa-di-san-sebastiano-4896-1-f7d60f6c566eb898d4a76cc33326b574

Bibliografia:
Testo tratto da scheda reperibile in loco realizzata a cura di Silvia Gazzola e Claudio Bertolotto.
Benedetto V., La chiesa di San Sebastiano. Pecetto Torinese, Asti 1965
Montanari Pesando M., Villaggi nel Piemonte medievale, Due fondazioni chieresi nel XIII secolo. Villastellone e Pecetto (BSSS, 208) Torino 1991
— La collina torinese. Quattro passi tra storia, arte e archeologia. Catalogo della mostra a cura del Gruppo Archeologico Torinese
Capello C.F., Pecetto torinese, Chieri 1962

Fonti:
Fotografie GAT.

Data compilazione scheda:
11 /8/2000 – aggiorn. 15/10/2012 e luglio 2014 e febbraio 2023

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

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Pecetto Torinese (TO) : Bric San Vito

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Storia del sito:
Il sito, in cima a un’altura presso Pecetto Torinese, immerso nella vegetazione, è stato individuato nel 1991 dai volontari del Gruppo Archeologico Torinese (GAT), a seguito di una ricognizione occasionale (G. Zucco) basata sulle indicazioni dello storico Aldo Settia, e subito segnalato alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte.
La locale tradizione storiografica e le voci popolari avevano erroneamente identificato il sito della antica chiesa dedicata a San Vittore, citata dalle fonti, con la sommità del Bric omonimo (in dialetto: Bric San Vitèr); ad esempio, in un testo del 1962 lo storico locale Nicolao Cuniberti afferma che tale edificio sorgeva su un colle dominante Pecetto, detto appunto dalla sua chiesa “Bric San Viter” (italianizzato in “Bric San Vito”). Le ricognizioni del GAT hanno invece sin da subito evidenziato che i ruderi presenti sulla sommità non hanno nulla a che vedere con la chiesa di S. Vittore ma sono riferibili a una costruzione fortificata medievale della quale, tuttora, non si hanno notizie documentarie. Nelle vicinanze, peraltro, sono state individuate le mura di una struttura absidata che è riconducibile alla chiesa citata.
Nel 1584, a seguito di una visita apostolica, Monsignor Peruzzi scrive che l’edificio religioso si trovava in pessime condizioni, senza citare la vicina fortificazione che, plausibilmente, doveva essere già in rovina. Nel corso del XVI secolo, inoltre, l’abitato circostante (del cui nome non abbiamo certezza) viene indicato come ridotto a qualche casolare sparso sulla collina, mentre andava sempre più ingrandendosi il borgofranco di Pecetto.
Nel 1606, con la venuta dei Camaldolesi all’Eremo, la chiesa di San Vittore venne abbandonata, diroccò e con il tempo si ridusse in rovina.
La presenza di un castrum (sinora non rintracciato nei documenti noti), di strutture verosimilmente abitative, e dei resti della chiesa dei Santi Vittore poco più a valle, sembra delineare una situazione insediativa la cui complessità non si rileva dall’analisi delle fonti scritte a noi pervenute.

Descrizione del sito:
Sin dalle prime attività ricognitive le strutture murarie, una volta liberate dalla vegetazione, risultarono palesemente appartenere ai resti di un castrum medievale. Alla scoperta del sito sono seguiti anni di lavoro, prestato volontariamente dai soci del GAT, in accordo con la Soprintendenza Archeologica del Piemonte, al fine di valorizzare l’area e preparare lo scavo che venne effettuato tra il 1994 e il 1996 sotto la direzione della dott.ssa G. Pantò. Tuttora il G.A.T. prosegue nell’opera di valorizzazione e tutela di questo importante sito archeologico, l’unico visitabile nell’area della collina prospiciente Torino.
L’indagine del sito ha interessatopianta-Bric_san_Vito-GAT il castrum che occupa la parte sommitale del bric, fortificata da una cortina muraria continua che ne segue il profilo, disegnando un poligono di poco meno di 600 mq. L’area così delimitata è circoscritta da un fossato artificiale con andamento a spirale, che sale verso la porta d’ingresso. La struttura comprende anche due torri, una delle quali, la cosiddetta “torre grande”, sembra essere la struttura più antica del sito, mentre l’altra, la “torre piccola”, situata presso l’ingresso, si direbbe più che altro un rinforzo difensivo posto nella zona strategicamente più delicata.

Ben prima che sorgesse la struttura medievale, l’area del Bric San Vito fu sicuramente abitata e frequentata almeno fin dalla seconda età del Ferro, quando qui esisteva un piccolo insediamento dei Taurini con funzioni di emporio. Di questo villaggio sono state trovate notevoli evidenze archeologiche.

Descrizione dei ritrovamenti:
Il materiale raccolto in superficie, nell’area sommitale e lungo le pendici fino al vallo, e nel corso delle campagne di scavo attesta diverse fasi di frequentazione a partire dalla tarda età del Ferro. La presenza di materiali ceramici d’uso comune e nobiliari, tra i quali alcune pedine del gioco degli scacchi, confermano l’occupazione dell’area almeno fino al XIV secolo. Nel corso delle ricerche di superficie sono state rettificate le pareti di uno scavo circolare (forse un intervento clandestino, forse il risultato della rimozione di una postazione contraerea), profondo quasi due metri, che ha permesso di osservare in anteprima la situazione stratigrafica del terreno: negli strati sovrapposti, visibili in sezione, si potevano infatti distinguere livelli preistorici, romani e medievali.

Nel 1992 si diede inizio alla decorticazione dell’area compresa entro il perimetro della struttura. Tra i ritrovamenti più significativi realizzati in questa fase preliminare dai soci del GAT, in depositi superficiali o comunque rimaneggiati, si annoverano:
– due selci ritrovate in superficie e risalenti genericamente all’epoca preromana;
– una moneta romana recante sul rovescio due grandi lettere “SC” (Senatus Consultus), databile al I sec. d.C., ovvero al periodo in cui ebbe a svilupparsi la colonia romana di Iulia Augusta Taurinorum;
– un frammento di lucerna romana che presenta una bugnetta rilevata, particolare che la ascrive alla categoria delle “firmalampen”. La ceramica è d’impasto fine (tipo sigillata), databile al II-III sec. d.C.
– un fondo di ceramica “sigillata” romana, con bollo inciso “in planta pedis”, forato al centro e trasformato in un ciondolo;
– un piccolo frammento di ceramica con decorazione cruciforme impressa “a crudo”, di fattura longobarda;
– una punta di freccia a tre alette di tipo “àvaro”
– chiodi d’epoca medievale usati per ferrare cavalli;
– alcune punte di freccia per balestra, in ferro;
– parti di varie placchette ossee decorate con il metodo degli archi di cerchio e delle circonferenze, alcune probabilmente pertinenti a rivestimenti di oggetti quali scatole eccetera; in particolare si cita una lamina ossea integra, di fattura molto raffinata, a forma di triangolo fortemente isoscele, quasi certamente la copertura per un fodero di pugnale. La decorazione raffigura un serpente rampante che sviluppa le sue spire a partire dalla base del reperto; è sormontato da una cosiddetta “ruota carolingia” formata da due circonferenze inscritte l’una nell’altra, fra le quali corre una fila di “occhi di dado” e al cui interno è inscritto un motivo grafico che può ricordare i raggi del sole od anche i petali di un fiore;
– un gioiello bronzeo placcato in oro, di forma circolare, munito di un occhiello a mo’ di pendente. La decorazione dell’oggetto raffigura un volatile;
– una pedina da gioco ossea, a base quadrata e decorata con tacche e lineee, d’epoca basso-medievale;
– una moneta medievale, tagliata intenzionalmente a metà e ripiegata, forse per essere usata come correggia;
– frammenti di recipienti in pietra ollare;
– un tondello metallico forato, di forma circolare, decorato su entrambi i lati con sferette del medesimo materiale (di epoca imprecisata);
Fra i reperti rinvenuti dai soci GAT a Bric S. Vito è da sottolineare, per la sua importanza, una pedina da scacchi, realizzata con la parte apicale di un corno. Il pezzo è analogo all’attuale “cavallo”. Perfettamente conservato, misura circa cm 3,5 in altezza e cm 1 di diametro alla base. Levigato, di ottima fattura, il pezzo presenta un elemento zoomorfo che ne caratterizza la fronte e una decorazione a gruppi di tre e quattro incisioni orizzontali parallele che delimitano un campo di decorazioni a cerchio regolari (diametro circa 4 mm) ottenuti tramite un compasso. Il confronto con pezzi di uguale fattura, quali ad esempio il “cavallo di Saint Genadio” in avorio, conservato nel monastero di Penalba de Santiago, e il “cavallo di Venafro”, consente di datare il manufatto intorno all’XI secolo. L’esiguo numero di reperti simili – probabilmente poco più di una decina sparsi fra Europa e Russia – conferma l’eccezionalità del ritrovamento e testimonia la diffusione del gioco degli scacchi in Piemonte in epoca molto antica.

Molto altro materiale è ovviamente emerso dalle campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza tra il 1994 e il 1996; una selezione dei ritrovamenti protostorici e medievali è visibile presso il Museo di Antichità di Torino.

I reperti protostorici, relativi alla popolazione celto-ligure dei Taurini (in particolare alcuni elementi metallici quali un’armilla e una fibula), hanno rivelato che essi erano affini alla popolazione celtica dei Taurisci, stanziatasi nell’area dell’attuale Belgrado.
Il villaggio taurino, dotato di robuste capanne lignee e che doveva avere funzione di emporio con le popolazioni vicine, fu abbandonato repentinamente all’inizio del III secolo, forse a seguito del passaggio di Annibale.

Luogo di custodia dei materiali:
Museo di Antichità (Archeologico) di Torino (via XX Settembre)

Informazioni:
Il Bric domina l’abitato di Pecetto Torinese (m 624 s.l.m.).  Il Gruppo Archeologico Torinese effettua periodicamente visite guidate: segreteria@archeogat.it – www.archeogat.it
Scarica:  Come _raggiungere_Bric_San_Vito

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Links:
http://www.archeogat.it/bric-san-vito/

http://www.archeogat.it/bric-san-vito-il-percorso/

http://www.museotorino.it

Bibliografia:
Aldo A. Settia, Il colle di San Vittore e il Monferrato torinese: ritorni alle fonti, in Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, CVIII, fascicolo II, 2010
Filippo M. Gambari (a cura di), Taurini sul confine – Il Bric San Vito di Pecetto nell’età del Ferro, Torino 2008
Gruppo Archeologico Torinese (AA.VV.), La collina torinese. Quattro passi tra storia, arte e archeologia, Torino 1998, riedizione nel 2003, pp. 42-44
Gabriella Pantò, Pecetto, Bric San Vito. Castrum di Monsferratus in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, XIII, 1995, pp. 370-372
Gabriella Pantò, Resti del Castrum di Monsferratus. Restauro conservativo delle strutture in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, XII, 1994, pp. 340-342
Cristina La Rocca Hudson, Le vicende del popolamento in un territorio collinare: Testona e Moncalieri dalla preistoria all’Alto Medioevo, in “BSBS”, LXXXII, 1984, pp. I- 86
Aldo A. Settia, Insediamenti abbandonati sulla collina torinese, in Archeologia Medievale, II, Torino 1975, pp. 237-328
Aldo A. Settia, “Villam circa castrum restringere”: migrazioni e accentramento di abitati sulla collina torinese nel basso medioevo, in M. Quaini (a cura di) Archeologia e geografia del popolamento [Quaderni Storici, 24], Urbino 1973, pp. 905-944, ristampato in Proteggere e dominare. Fortificazioni e popolamento nell’Italia medievale, Roma 1999
Nicolao Cuniberti, Storia di Pecetto Torinese “paese delle ciliegie”, Pinerolo 1962

Fonti:
Immagini a cura del GAT.

Data compilazione scheda:
10 ottobre 2003 – aggiorn. luglio 2014 (verifica sul campo)

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – Gruppo Archeologico Torinese ; Fabrizio Diciotti – Gruppo Archeologico Torinese

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Monteu da Po (TO) : resti della pieve di San Giovanni Battista

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Storia del sito:
Il Settia (Insediamenti abbandonati sulla collina torinese, pag 16) afferma che: “Verso il Po, sopravvive un resto dell’edificio romanico della pieve locale di S. Giovanni, già ricordata nel X secolo (Ottonis III. diplomata, doc. 264). Degli « scavi, che vennero fatti nel 1910 per cura dell’ufficio regionale d’antichità di Torino, dimostrano che essa, probabilmente, sia stata fabbricata nei primi secoli del cristianesimo » (CAMURATI, Monteu, p. 58); certo è che nei suoi muri erano incorporati « quattro pezzi di marmo bianchissimo che tutti erano lavorati e si veggono ancora essere due capitelli di ordine corinzio ». Nel 1875 uno scavo nelle sue immediate vicinanze constatò che il sottosuolo « è pieno di ciottoli e di rottami di costruzioni medioevali e forse di età meno lontana » (FABRETTI, Dell’antica città, p. 20). Tutto ciò indicherebbe che un centro abitato continuò ad esistere, accanto all’edificio della pieve, per un tempo non breve e che il persistere dell’antico toponimo di Industria, sia pure ridotto a Dustria, nelle fonti ecclesiastiche, e a Lustria nella voce popolare, è sicuro indice della persistenza dell’abitato. Nel 1224, infatti, Allustria è ricordata fra i possessi del marchese di Monferrato insieme con altre località sicuramente abitate (SANGIORGIO, Cronica, p. 58); nel 1301, fra i dipendenti feudali del castello di Monteu vi è un « hospicium de Lustria » (AST-1, Provincia Asti, mazzo 17, n. 1), e nel 1349 i signori locali della zona possiedono « braydas in plano Lustrie », insieme con le avvocazie della chiesa « Sancti Iohannis plebis Lustrie », e « partem decimis Lustrie », oltre che diritti in « castris et villis locorum Montisacuti » (ARNOLDl, Il libro, pp. 309-310). Soltanto dopo la metà del XIV secolo, probabilmente, si svuotò del tutto l’insediamento nel piano per raccogliersi attorno alla chiesa della villa di Monteu posta più in alto a mezza costa, come si può indurre per analogia con altri casi occorsi ai centri abitati viciniori (SETTIA, Villam).
Ancora nel 1428 il vescovo di Vercelli rinnova ai signori di Monteu l’investitura anche se con termini che indicano l’abbandono del luogo, se pure la chiesa isolata sopravviveva (Archivio arcivescovile Vercelli, mazzo 14, n. 172);

Vi sono notizie riguardanti un’altra chiesa che ora non è più visibile e che si trovava sulla strada che portava alle Torri (forse resti di un antico Castello). La chiesa era dedicata a San Pietro e doveva essere la chiesa del Castello. Nei pressi di questa chiesa vi era un cimitero, anch’esso dedicato a San Pietro; in esso si sa che le inumazioni continuarono sino al 1625, anno di un terribile incendio (appiccato dagli Spagnoli) che distrusse il tutto. Lo stesso destino fu riservato alla chiesa che si ergeva in zona La Villa. Pare che questa chiesa venne costruita nel XV secolo anno in cui avvenne l’unificazione delle parrocchie di Monte Acuto e di Industria. La chiesa venne ricostruita tra il 1631 ed il 1636 e fu dedicata a San Giovanni Battista (come l’antica Pieve). È posta su un’altura che si trova ai piedi del colle su cui si stagliano le antiche torri del Castello.

Descrizione del sito:
A testimonianza dell’esistenza della chiesa rimane solamente una piccola porzione di muro.

Descrizione dei ritrovamenti:
Nel 1960, durante gli scavi eseguiti dall’Università di Torino a scopo didattico, nella zona adiacente ai resti della chiesa di San Giovanni venne ritrovata una tomba cosiddetta “a cappuccina”, databile forse alla tarda età imperiale. Dall’indagine fatta dagli archeologi della Soprintendenza risultò che all’interno non vi erano né monili né vasellame ma solamente uno scheletro di una persona adulta con dentatura completa. È da segnalare che la tomba è costituita da mattoni di recupero, di grandezza diversa uno dall’altro. Uno di questi mattoni reca impressa l’impronta di un grosso cane.

Informazioni:
Regione San Giovanni

Link:
http://www.comune.monteudapo.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=6365

Bibliografia:
Arnoldi Domenico, ‪Libro delle investiture del vescovo di Vercelli, Giovanni Fieschi (1349-1350)‬, Torino 1934 (BSSS 73-2) 
Camurati don Giovanni, Monteu da Po nel passato e nel presente, Stab. Tip. Paolo Casalegno, Torino 1914
Fabretti Ariodante, Dell’antica citta’ d’industria detta prima Bodincomago, in “Atti della Soc. di archeol. e belle arti” III [1880-81], e poi Torino 1881
Sangiorgio Benvenuto. Cronica [del Monferrato], Torino 1780 (Il brano a cui fa riferimento il Settia è questo: […] domini de Tonengh sunt vassalli, et tenent ab eo Allustriam et Applaciam, et quidquid habent in alia parte […])
Settia Aldo, Insediamenti abbandonati sulla collina torinese, Insegna del Giglio, 1975
Settia Aldo, Villam circa castrum restringere: migrazioni e accentramento di abitati sulla collina torinese nel basso medioevo, in: “Quaderni storici” VIII, n° 24, 1973, pp. 905 -43

Fonti:
Fotografia GAT.

Data compilazione scheda:
2 novembre 2003 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Valter Bonello – Gruppo Archeologico Torinese

Monteu da Po (TO) : Torri del Castello

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Storia del sito:
Il Castello di Monteu da Po  non pare costruito prima del Mille, perché nel 996 l’Imperatore concesse la Plebem Monticuli ai Canonici di Vercelli; in questo periodo quindi il Castello non era ancora stato costruito, altrimenti il diploma avrebbe riportato la scritta “Castrum”.
La sua esistenza è invece evidente dato che nel 1186 Federico Barbarossa, con il suo diploma del 5 marzo, diede a Ottobono, conte Radicati, l’investitura di varie terre, villaggi e castelli, fra i quali vi era annoverato anche quello di Monteacuto (Monteu da Po). Le vicende feudali di Monteu da Po e del suo castello sono riportate nel libro dei feudi Piemontesi.
Inizialmente Monte Acuto (Monteu da Po) faceva parte del cosiddetto “Comitato di Monferrato”. In seguito passò ai signori di Brozzolo. Il 16 aprile 1300 Giovanni Marchese di Monferrato ne acquistò un quarto e lo infeudò il 17 maggio 1304, ad Antonio, conte di Biandrate. Nel 1306 la proprietà passò ai Paleologi che lo ridiedero ai Biandrate. Da costoro passò il 21 febbraio 1376 a Emanuele Gambarana; l’8 marzo del 1402 venne acquistato da Giovanni Paleologo di Monferrato; il 21 aprile 1419 passò a Pietro de Spagnolio. Il 6 dicembre 1422 passò a Delfino Derosso e il 18 gennaio 1464 ai signori Gaspare e Baldassarre Provana, che ne vendettero la metà. La lista è lunghissima, fino ai giorni nostri.

Descrizione del sito:
Le torri sono poste sulla collina più alta che sovrasta il tratto della valle che comprende Lauriano Po e Monteu da Po sino a Brusasco e Cavagnolo. Ovviamente la collina domina anche il tratto del fiume Po che è compreso tra i territori suddetti. Attualmente sono visibili le strutture murarie di due torri quadrate.

Informazioni:
Località Torre del Greppio. Info Agriturismo  Parco del Grep https://www.parcodelgrep.it/

Link:
http://www.comune.monteudapo.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=30397

Fonti:
Fotografia archivio GAT.

Data compilazione scheda:
5 novembre 2003 – aggiornamento giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Valter Bonello – Gruppo Archeologico Torinese

Monteu da Po (TO) : Città romana di “Industria”

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Storia del sito:
Il piccolo centro di Monteu da Po è stato oggetto di indagini archeologiche a partire dal 1700. Il sito è stato identificato con l’antica Industria ricordata dal latino Plinio, sorta nel II sec. a.C. sul precedente villaggio indigeno di Bodincomagus. La città poi decadde e fu abbandonata nel V sec. d.C.

Descrizione del sito:
La parte portata in luce dagli scavi corrisponde solamente ad un decimo della città; in particolare si tratta dell’area sacra e di una parte dell’abitato. L’impianto urbano, databile al periodo augusteo, era caratterizzato da isolati rettangolari regolari scanditi da vie ortogonali; si conservano tracce di case e botteghe. L’area sacra, dedicata al culto di due divinità egizie, comprende il più antico tempio di Iside, il posteriore santuario di Serapide, aree per le danze, i riti e le offerte votive. Nell’epoca romana fiorivano le attività connesse alla lavorazione dei metalli, in particolare del rame e del ferro, estratti dalle miniere della Valle d’Aosta. Pregevoli manufatti bronzei rinvenuti ad Industria sono oggi conservati nel Museo di Antichità di Torino e mostrano l’abilità notevole degli artigiani “Industrienses”. Industria era un importante centro commerciale: situata presso la confluenza della Dora Baltea con il Po, possedeva un porto sul fiume.
Nuovi scavi e un restauro dell’area esposta sono stati eseguiti nel 2011. Vedi sito al n°1.

Descrizione dei ritrovamenti:
Materiali particolarmente significativi sono i bronzi conservati a Torino, tra i quali si segnalano una figura di danzatrice, un fauno, un tripode, il toro Apis, una statuetta di Tyche, un sistro e finimenti di una statua equestre.

Luogo di custodia dei materiali:
Museo di Archeologia di Torino; Museo civico di Chieri (TO), Via Palazzo di Città 10. Materiali murati sulla facciata della chiesa parrocchiale di Monteu da Po.

Informazioni:
Tel. 3393105197

Links:
http://archeo.piemonte.beniculturali.it/index.php/en/musei/aree-archeologiche/70-aree-arch-prov-di-torino/278-area-archeologica-della-citta-romana-di-industria

http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/territorio/archeologia/item/4009-industria-

http://it.wikipedia.org/wiki/Industria_%28colonia_romana%29

Bibliografia:
F. BARELLO, Monteu da Po, Area archeologica di Industria. Scavo e restauro, in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, 27, c.s.
E. ZANDA, Industria. Città romana sacra a Iside. Scavi e ricerche archeologiche 1981/2003, Allemandi, Torino 2011
E. ZANDA – E. LANZA, Industria (Monteu da Po, To). Campagne di scavo 2000-2003. Nuovi dati sulle case private, in Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, 22, 2007, pp. 87-104

Fonti:
Fotografia da Wikipedia

Data compilazione scheda:
28 novembre 2000 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Valter Bonello  – Gruppo Archeologico Torinese

Monteu da Po (TO) : Chiesa di San Grato

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Storia del sito:
Il piccolo centro di Monteu da Po è ricco di evidenze del passato perché nell’antichità vi si trovava la città romana di Industria. La chiesa di San Grato fa parte del passato di questo paese. La chiesa divenne parrocchia del nuovo borgo venuto a formarsi (Monteu da Po) mediante la concessione, nel 996, dell’Imperatore della Plebem Monticuli ai Canonici di Vercelli.
La costruzione della chiesa presumibilmente avvenne nell’anno 996. Divenne parrocchia nello stesso anno.
Ora viene usata come chiesa cimiteriale. Le sue fondamenta poggiano su un terreno insano, usato anche, in passato, come area di sepoltura.
Il campanile è stato restaurato recentemente.

Descrizione del sito:
L’interno della chiesa si presenta su tre navate, con al centro un altare ligneo di rara bellezza, in perfetto stile rinascimentale e databile intorno al 1500.
San Grato al suo interno appare privo di affreschi perchè ricoperti.

Informazioni:
Piazza Bava.  Parrocchia tel. 011 9187843

Link:
http://www.comune.monteudapo.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=6366

Fonti:
Fotografia dal sito del Comune.

Data compilazione scheda:
2 novembre 2003 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Valter Bonello – Gruppo Archeologico Torinese

Moncalieri – Testona (TO) : Sito protostorico di Castelvecchio

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Storia del sito:
Mentre l’indagine di superficie (condotta dal Gruppo Archeologico Torinese sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica del Piemonte) ha provato che l’area sulla quale poi sorse il castello medievale fu intensamente frequentata tra la fine dell’Età del Bronzo (X secolo a.C.) e tutta l’Età del Ferro (X-I secolo a.C.), non vi sono prove della presunta costruzione di un «castrum» in epoca romana; certo esso risale ad un periodo ben anteriore al mille, dal momento che nei documenti medioevali è già chiamato «castrum vetus».
La prima attestazione documentaria della esistenza di un edificio fortificato a Castelvecchio è contenuta in un diploma datato 1037. Per la storia del castello in epoca medievale si veda la scheda “Moncalieri – Testona (TO) : Castello di Castelvecchio” inserita nel presente sito di Archeocarta.

Descrizione del sito:
Al principio del 1995, nell’ambito del progetto di rivalutazione della Collina Torinese dal punto di vista storico-archeologico, alcuni volontari del GAT hanno rinvenuto i resti di un consistente insediamento archeologico di età protostorica, subito segnalato alla Soprintendenza Archeologica del Piemonte; la scoperta di una vasta zona che si presentava costellata di frammenti ceramici si deve anche ai crolli e all’intenso dilavamento a cui essa fu sottoposta durante l’alluvione del 1994. L’indagine di superficie (condotta dal Gruppo Archeologico Torinese sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica del Piemonte) e i successivi lavori di recupero archeologico hanno provato che l’area sulla quale poi sorse la fortezza medievale fu intensamente frequentata tra la fine dell’Età del Bronzo (XIV sec. a.C.) e tutta l’Età del Ferro (X-I sec. a.C.), In passato, in occasione di interventi occasionali all’interno del castello, erano già stati segnalati sporadici e poco significativi rinvenimenti di ceramica preromana, peraltro scarsamente documentati, ma prima di questo fortunato ritrovamento non era stato possibile comprendere la straordinaria importanza del sito. I sondaggi e le indagini archeologiche effettuate essenzialmente nell’area NE del castello hanno evidenziato l’esistenza di una fase protostorica. Purtroppo il materiale, molto frammentario tranne qualche rarissima e fortunata eccezione, si trova in giacitura secondaria, condizione probabilmente originatasi durante i lavori che, nel Medioevo, interessarono l’area del castello e le sue immediate adiacenze per ricavarne un fossato difensivo. Benché nel caso del sito di Castelvecchio non si possa parlare di “scavo stratigrafico”, essendo il materiale recuperato in crollo, si è comunque deciso di procedere con un approccio di tipo stratigrafico. Questa iniziativa è stata successivamente premiata dai materiali e dai dati rinvenuti.
I lavori sulla scarpata, nel 1995, sono iniziati con la decespugliazione di una vasta area (circa 780 mq) e con la raccolta di superficie di quanto emergeva. Successivamente si è provveduto alla creazione di un percorso e di un sistema di piccole terrazze atte a raggiungere le aree di scavo, a rinforzare la scarpata medesima e a garantire la sicurezza dei volontari. L’area è stata poi suddivisa in quadrati di 4 metri di lato sui quali hanno lavorato i volontari del GAT negli anni dal 1995 al 1998. I reperti protostorici, per lo più ceramici, sono stati recuperati grazie ad alcuni sondaggi aperti lungo la scarpata E-NE, che hanno evidenziato come il materiale, a suo tempo inconsapevolmente “scaricato” lungo la scarpata medesima, scivoli progressivamente verso valle inglobato in numerose piccole conoidi (ossia “colate”), di diversa composizione, le quali hanno conservato i resti archeologici in modo differente a seconda delle dinamiche di crollo (o meglio, di più o meno lenta discesa) che le hanno caratterizzate. Sono state finora analizzate due di tali conoidi: identificate come distinte unità stratigrafiche, hanno restituito anche sporadiche tracce della frequentazione romana (in particolare tegole e laterizi generici) e medievale (frammenti ceramici).
Rari e limitati alla zona alta e superficiale del sito sono i rinvenimenti di epoca sub-recente. L’analisi delle dinamiche di movimento della scarpata ha evidenziato come, nel corso dei secoli, le conoidi abbiano avuto tutte un lento movimento di traslazione, benché la zona superficiale, data la natura argillosa del terreno, sia interessata anche da scorrimento viscoso. Senz’altro non sono mancati, sporadicamente, fenomeni di crollo, che però non paiono aver interessato le aree da noi indagate. Il movimento di traslazione di una delle conoidi (US6) è stato assai breve: infatti, mentre la conoide US3 è distribuita lungo tutta la ripa e giunge fino a lambire il torrente, la US6 si è fermata dopo aver percorso pochi metri. Ciò ha consentito al materiale archeologico in essa contenuto di non disperdersi lungo tutta la scarpata ma di rimanere sufficientemente coeso, tanto da consentire il recupero di svariati frammenti ceramici, anche di grosse dimensioni, che hanno permesso la ricostruzione quasi totale di due vasi e il recupero parziale di un terzo.
Le US indagate (su un’area parziale di soli 64 mq) hanno fino ad oggi restituito circa 30.000 reperti, prevalentemente ceramici ma anche litici, metallici e svariate faune. Tutto il materiale ceramico è stato lavato, schedato, disegnato dai soci del GAT e infine consegnato alla Soprintendenza Archeologica del Piemonte. Ma il sito sembra essere ben lungi dall’esaurirsi, tant’è che dalla costante ricognizione superficiale dell’area, al di fuori delle conoidi indagate, continua ad emergere materiale; ciò fa presumere che anche altre conoidi, collocate a NO dell’attuale area di indagine, nascondano strati archeologici.
I volontari del GAT hanno anche partecipato alle operazioni di indagine svolte dalla SAP sulla sommità del sito, ovvero sul pianoro che lo sovrasta; tale indagine, condotta scavando due lunghe trincee, non ha però dato i risultati sperati: non è stato rinvenuto nulla di archeologicamente rilevante. Come nota a margine dei lavori, si rimarca che l’operazione di recupero archeologico ha anche consentito di “bonificare” l’area del torrente sottostante al sito, con la creazione di argini e la copertura di una discarica abusiva, realizzando un intervento archeologico che non ha aggredito l’ambiente circostante ma, anzi, lo ha valorizzato

Descrizione dei ritrovamenti:
L’intervento archeologico sulle pendici del Castelvecchio ha permesso di recuperare informazioni preziose sul sito protostorico. I materiali raccolti, per lo più frammenti ceramici piuttosto piccoli, sono databili entro uno spazio temporale che va dalle fasi finali dell’Età del Bronzo (XIV-X sec. a.C.) a tutta l’Età del Ferro (X-I sec. a.C.). Pochi reperti risalgono all’epoca medievale e pochissimi a quella romana. In particolare, malgrado il sito oggi si presenti in fase di crollo sul versante e dunque non sia possibile (secondo i dati attualmente disponibili) indagare un paleosuolo intatto, il lavoro svolto dai volontari del GAT in stretta collaborazione con la SAP ha consentito di precisare come si trattasse di un sito abitato (non una necropoli, dunque) da popolazioni celto-liguri che si dedicavano anche alla produzione della ceramica in loco. Questa affermazione è avvalorata dal ritrovamento di frammenti di forno e da alcuni reperti che attestano la lavorazione della ceramica (due “brunitoi”, un pettine in bronzo per la decorazione). Il grande numero di frammenti rinvenuti (quasi trentamila in quattro anni di attività) è giustificato anche dalla lunga e pressoché continuativa frequentazione che il sito ha subito in età protostorica.

Luogo di custodia dei materiali:
In qualche caso è stato possibile recuperare abbastanza frammenti da rimettere insieme vasi interi (o quasi); tali vasi sono stati restaurati e oggi si trovano esposti al Museo di Archeologia di Torino.

Informazioni:
Il sito di Castelvecchio nella frazione Testona di Moncalieri, sorge su un’altura all’incrocio fra la strada S. Michele e la strada Castelvecchio a quota metri 360, su una scoscesa propaggine collinare delimitata da due rii denominati di Castelvecchio (o Rulla) l’uno e dei Negri l’altro. Vedi scheda “Moncalieri – Testona: Castello di Castelvecchio”.
Il sito non è visitabile.

Link:
http://www.archeogat.it/archivio/zindex/Mostra%20Collina/collina%20torinese/pag_html/CVA.htm

Bibliografia:
GRUPPO ARCHEOLOGICO TORINESE, 1998, La collina torinese. Catalogo della mostra, Torino
OLIVERO E., 1939, Frammenti di sculture romane e preromaniche nel Castelvecchio di Testona, in “BSBS”, XXXVII, pp. 1-31

Fonti:
Il testo è tratto da GRUPPO ARCHEOLOGICO TORINESE, 1998, La collina torinese. Catalogo della mostra, Torino.  Fotografia archivio GAT e www.archeogat.it

Data compilazione scheda:
16 luglio 2004 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Carlo Vigo – Gruppo Archeologico Torinese

Moncalieri – Testona (TO) : Necropoli

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Storia del sito:
Il complesso di tombe  di Testona fu scavato a partire dal 22 luglio 1878 da Claudio e Edoardo Calandra. Si tratta di un ritrovamento di grande interesse sia per il numero delle sepolture (oltre 350) sia per la presenza di numerosi corredi funerari. Il giornale di scavo è oggi irreperibile e con esso le notizie sul contesto di ritrovamenti dei materiali, la planimetria e persino l’esatta localizzazione della necropoli. Il cimitero apparteneva ad una popolazione residente e raggruppata in schemi, almeno funerari, germanici e tradizionali, separati da quelli della popolazione che nel VII secolo non poteva essere che cattolica. Solo tra le donne si riscontra la presenza di tipi mediterranei che derivano dall’elemento locale.

Descrizione del sito:
Le tombe, tutte a fossa terragna eccetto un limitato gruppo costruito in laterizi all'”uso romano” (con cassa e copertura alla cappuccina), dovevano essere distribuite con relativa regolarità e spesso sovrapposte in due strati. Erano orientate Ovest-Est e disposte in file Nord-Sud, i piedi cioè a levante, il capo ad occidente e le braccia distese lungo il corpo. Le tombe avevano diversa profondità, quasi a fior di terra nella parte nord e profonde fino a due metri nella parte sud, in relazione alla diversa ricchezza e posizione sociale dei defunti: le tombe più profonde erano di norma anche le più ricche. Appartenevano sia a uomini che a donne e si può parlare di un arco d’età che va dai bambini agli anziani. La formazione della necropoli era dovuta non ad un interramento avvenuto in seguito ad un fatto d’armi, bensì ad un lento e successivo deposito di cadaveri.

Descrizione dei ritrovamenti:
Le popolazioni di origine germanica solevano seppellire i corpi dei loro morti vestiti ed armati. Il diritto di proprietà, infatti, non veniva cancellato dalla morte. Grazie a questa consuetudine sono giunti a noi numerosi reperti. Alla fase gota sembra appartenere un solo oggetto: la fibula a testa semicircolare e ricca decorazione a cloisonnè di paste vitree rosse e verdi. Per quanto riguarda i longobardi invece, si nota la presenza soprattutto di armi. Una parte ridotta degli uomini aveva come corredo la serie completa delle armi: lancia, spatha, scudo, coltello, fibbie e guarnizioni di cintura. Un altro gruppo di maschi aveva solo lo scramasax (spada corta ad un taglio). In due casi erano presenti asce da battaglia e archi, mentre non si sono rinvenuti né elmi né qualsiasi altra armatura difensiva ad eccezione dello scudo. Le tombe femminili presentavano collane di perle multicolori in terracotta, vetro, ambra e cristallo, intercalate da pendaglietti in bronzo e monete romane fuori corso. Sono anche stati trovati orecchini d’argento e di bronzo, braccialetti con perle di terracotta o di bronzo, fibbiette per fasce da gambe, fibule. Inoltre sono stati rinvenuti piccoli ornamenti, piastrine, anellini, pendaglietti, pettini, spilloni, piccoli cilindri per unguenti (uno dei quali, in bronzo, ancora ermeticamente chiuso, conteneva una sostanza grassa per colorare capelli e barba), quattro croci auree, quattro paia di forbici grandi in ferro, un paio piccolo in bronzo, una specie di rasoio, un campanello in ferro, una dozzina di anelli in ferro di varia dimensione, chiodi lunghi una decina di centimetri. È da segnalare la presenza di un fiasco da pellegrino in argilla grigia, tenera e ben depurata, ricoperto interamente da una vetrina giallognola. Il vaso, privo di piede, è caratterizzato da un lato piatto e da uno concavo decorato al centro da una rosetta a sei volute. Due brevi anse servivano probabilmente per la sua sospensione

Luogo di custodia dei materiali:
I materiali sono al Museo Archeologico di Torino. Nel 1884 il Museo acquistò infatti dagli eredi Calandra il materiale proveniente dalla necropoli di Testona. Gli scheletri invece sono andati perduti a causa del loro disfacimento.

Informazioni:
Il sito non è più individuabile anche se noto dai giornali di scavo e dai reperti. Si sa soltanto che si trovava su un campo in pendio, alle falde della collina su cui sorge Testona, in regione Vivero a ovest della strada della Sanda e a nord della linea ferroviaria Torino-Asti.

Links:
http://www.museotorino.it/view/s/61fe0d2a1783474c97a097ad8de207b5

http://www.archeogat.it/archivio/zindex/Mostra%20Collina/collina%20torinese/pag_html/testnecr.htm

Bibliografia:
CALANDRA E., Di una necropoli barbarica scoperta a Testona, Atti SPABA, 1880
NEGRO PONZI M.M., Testona: la necropoli di età longobarda, in AA.VV., Ricerche a Testona per una storia della comunità, Torino 1980
PEJRANI BARICCO L., La collezione Calandra, in AA.VV., Ricerche a Testona per una storia della comunità, Torino 1980

Fonti:
Fotografia archivio GAT.

Data compilazione scheda:
11 novembre 2000 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Gabriella Monzeglio – Gruppo Archeologico Torinese

Moncalieri – Testona (TO) : Chiesa di Santa Maria

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Storia del sito:
La chiesa fu edificata dal vescovo di Torino Landolfo tra il 1011 (anno in cui salì sulla cattedra torinese) ed il 1037. Fondando in quell’anno l’abbazia di Santa Maria di Cavour, in un documento, che si può ritenere il suo testamento spirituale, afferma di aver edificato a Testona “in plano ecclesiam in honorem sancte Dei Genitricis semperque virginis Mariae”. La sua costruzione rientra in un vasto piano di rafforzamento della signoria vescovile nelle zone economicamente più rilevanti della diocesi. In particolare si legava al tentativo di controllo del tracciato di una strada che collegava Torino con le terre del Monferrato ed i confini orientali della diocesi. La chiesa non sorgeva isolata, ma con un chiostro annesso e con le strutture residenziali e di servizio necessarie per la vita di una comunità di sacerdoti, che seguivano una regola comune, condividendo il servizio liturgico presso la chiesa sotto la guida di un praepositus, un prevosto. Intorno al 1230, con lo spostamento del centro comunale da Testona a Moncalieri, anche il capitolo dei canonici si trasferì insediandosi nella chiesa di Santa Maria a Moncalieri.
La chiesa danneggiata durante gli endemici scontri con il comune di Chieri dei primi anni del Duecento venne abbandonata e subì un lento declino fino al 1617, anno in cui fu affidata ai monaci Cistercensi. Nel 1910 l’edificio veniva vincolato per intervento della Soprintendenza ai Monumenti del Piemonte. I primi interventi di restauro si collocano a partire dal 1934.

Descrizione del sito:
La chiesa di Santa Maria di Testona si presenta oggi come l’esito di diverse stratificazioni costruttive documentabili a partire dal 1617. Della fabbrica originaria (1020-1030) restano ancora la torre campanaria, la cripta ed il fianco settentrionale della chiesa. Il progetto originale prevedeva una pianta basilicale a tre navate – quella centrale sopralzata rispetto alle laterali – senza transetto e terminante con absidi semicircolari con volta a semicatino. Si rifà quindi come molte altre chiese del periodo ai canoni romanici di derivazione lombarda. Attualmente l’abside di sinistra è adibita a sagrestia, la mediana è sede del presbiterio con volta a botte e del grande coro con stalli, mentre quella di destra è andata distrutta.
Al di sotto del presbiterio e del coro, si trova una spaziosa cripta che in origine si articolava su tre navatelle (la mediana di poco più larga delle laterali) con volte a crociera sostenute da colonne cilindriche dal fusto monolitico, dotate di una base irregolare con semplici modanature e di un capitello costituito da un blocco lapideo scantonato agli spigoli.
La facciata completamente modificata da un rifacimento del 1734 presenta un ampio pronao sagomato, semplicemente intonacato, di intonazione vagamente barocca.
A sinistra si alza un massiccio campanile romanico a quattro ordini di monofore, due per ogni ordine, intervallate da una lesena centrale e due laterali. Gli ordini sono scompartiti orizzontalmente da archetti romanici in cotto, e da una decorazione a denti di sega, anch’essa in cotto. Il materiale edilizio incoerente è costituito da mattoni, pezzi di tegola e embrici di origine romana, frammisti a ciottoli fluviali e pietre appena sbozzate a martello. La cella campanaria alla sommità appare frutto di un intervento tardivo, mentre soltanto in corrispondenza della penultima specchiatura si apriva una bifora sostenuta da una colonnina, in seguito tamponata per l’inserimento dell’orologio.

Informazioni:
In frazione Testona.  Parrocchia tel. 011 6810845

Links:
http://www.parrocchiaditestona.it/?id=8&id_lvl2=106

http://www.comune.moncalieri.to.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/136

Bibliografia:
LA ROCCA C., Da Testona a Moncalieri. Vicende del popolamento sulla collina torinese nel medioevo, Torino 1986
OLIVERO E., L’antica chiesa di Testona, Torino 1934
G. CASIRAGHI, La collegiata di S. Maria: un tentativo di riforma vescovile, in Il rifugio del vescovo. Testona e Moncalieri nella diocesi medievale di Torino a cura di G. Casiraghi, Scriptorium, Torino 1997
— Il millennio di Testona e la chiesa di S. Maria, Gribaudo 1996

Fonti:
Fotografia in alto da www.parrocchiaditestona.it; in basso archivio GAT.

Data compilazione scheda:
21 settembre 2001 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

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Moncalieri – Testona (TO) : Castello di Castelvecchio

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Storia del sito:
Per le evidenze archeologiche del sito in epoca protostorica, vedi scheda: MONCALIERI –TESTONA (TO): sito protostorico di Castelvecchio.

Non vi sono prove dell’esistenza di una fortificazione nel periodo romano o altomedievale.

Nel primo documento pervenutoci (955) in cui si fa menzione di Testona questa viene definita “villa”, cioè piccolo villaggio rurale e successivamente semplicemente “curtem” dall’imperatore Ottone II nel documento in cui la conferma ad Amizone fra i possessi del vescovo di Torino (981). Non vi sono prove documentali quindi della esistenza di un castrum: certo il fatto che già nei documenti medievali il sito sia indicato come “castrum vetus” può far supporre l’esistenza di una fortificazione in un periodo ben anteriore al Mille. La prima attestazione documentaria della esistenza di Castelvecchio è contenuta in un diploma datato 1037 con il quale il vescovo di Torino Landolfo, nel disporre la fondazione dell’abbazia di Santa Maria di Cavour, ricorda i danni subiti dalla sua diocesi negli anni precedenti ed elenca le provvidenze da lui messe in atto. A Testona in particolare il vescovo cinse di mura il castello, ne rafforzò la torre, e sopraelevò la chiesa dedicandola al santo vescovo di Tours Martino. Il documento parla di ben otto costruzioni fortificate, di cui ben quattro sulla collina torinese (Chieri, Testona, Mocoriadum e Tizanum). Si è pensato che il vescovo volesse così attrezzarsi per fronteggiare l’avanzamento sulla collina torinese dei Biandrate, conti di Pombia, che si erano in quell’anno appropriati di molte terre nel chierese, ottenendole dall’abate di Nonantola in cambio di altre terre nel modenese. Ma non bisogna dimenticare che il 1034 è anche l’anno della morte del marchese Olderico e creare un sistema di presenze fortificate significava anche espandere quell’immunità dal potere laico che i possedimenti del vescovo godevano in forza dei diplomi imperiali della fine del X secolo. Sottolineare l’assenza o la latitanza del potere pubblico locale giustificava e legittimava l’intervento vescovile volto non solo a soddisfare necessità religiose ma a svolgere vere e proprie funzioni di supplenza civile. L’immunità dei vescovi cominciava ad essere qualche cosa di più di una semplice esenzione. Era ormai esercizio di un potere signorile di fatto, se pur limitato a nuclei sparsi di ricchezza fondiaria. Nel 1159 nel diploma imperiale con cui Federico I crea intorno a Torino una vera e propria signoria di diritto a favore del vescovo Carlo vengono ancora elencati la curtis di Testona con il suo castello, la torre, la cappella, il diritto del vescovo di riscuotere le imposte sui mercati e un potere di giurisdizione nel territorio circostante dai connotati tipicamente signorili. Fin da Landolfo quindi il castello divenne dimora prediletta dei vescovi di Torino. Fra i più assidui nel cercare riposo e rifugio a Testona vi fu sicuramente Bosone, che vi si ritirò intorno al 1122 in conseguenza di un’azione di forza dei torinesi per il mancato riconoscimento della loro “libertas”, ma soprattutto Arduino di Valperga (1188-1207). Dopo il 1200 infatti, in conseguenza del lento ed irreversibile declino della potenza vescovile di fronte alla politica espansionistica del conte di Savoia ed alla irrequietezza dei comuni collinari, Arduino si trasferì stabilmente nel castello e si limitò a qualche rara puntata a Torino. Scomparso Arduino il castello rimase a lungo abbandonato a se stesso e cominciò un lento abbandono dal momento che il vescovo Uguccione e i suoi successori scelsero come dimora abituale il castello di Rivoli, fatto restaurare nel 1217 dal vescovo Giacomo di Carisio. Abbiamo infatti solo più due testimonianze della presenza vescovile a Testona: Giacomo di Carisio nel 1222 e Giovanni Arborio nel 1252.
Passato in mano ai Savoia venne nel tempo infeudato a varie casate, sino alla fine del Settecento. Tra i feudatari ricordiamo il conte Filippo Vagnone che restaurò il castello nel 1490 trasformandolo in propria residenza e luogo per villeggiatura. La sua famiglia deteneva il feudo dal 1378, ma il vecchio castello dei vescovi di Torino era ormai caduto in rovina; i Vagnoni infatti, a metà Quattrocento vivevano in un palazzo sulla piazza centrale di Moncalieri; a Castelvecchio fino al 1480 secondo alcune fonti non c’erano edifici, eccetto un vecchio torrione in cui abitava un certo Giacometto. Secondo un frate di Moncalieri vi era invece un palacium vetus quasi cadente in cui viveva tal Giacomo Giacomelli con un figlio ed un fratello; presso il palazzo c’era una turris semidiruta circondata di rovi e cespugli. Dopo il 1483 Filippo Vagnone, ereditando dal padre una porzione di quegli edifici, acquistò la restante parte da un parente Antonio Vagnone Fanino e, a detta del già citato testimone, fece allora costruire un’altra torre e altri edifici.
Nel XVII e nel XVIII secolo l’edificio venne adibito a convento da parte dei padri Sacramentini.
Castelvecchio è attualmente un condominio, frazionato in vasti e lussuosi appartamenti.

Descrizione del sito e dei ritrovamenti:
La costruzione si presenta come un corpo di fabbrica quadrangolare, con due torrioni cilindrici, posti sugli angoli sud-est e nord-est. L’odierna sistemazione è senz’altro ben lontana da quella del castello riedificato da Landolfo nel 1037, dell’aspetto del quale non abbiamo notizia alcuna.
castelv_fabbricaA parte le ultime aggiunte, la maggior parte del complesso attuale è databile al tardo secolo XV. Filippo Vagnone fu l’autore del primo restauro, intorno al 1490. La parte più antica è quella meridionale, prospettante verso Testona, con un torrione cilindrico del secolo XI, nel quale, secondo l’Olivero, si scorgevano pezzi di laterizio e mattoni interi di origine romana. Questo è ancor oggi l’elemento forte della costruzione su cui si immorsano i due piani del palazzo e un grande seminterrato affacciato sul lato sud. La manica est non è formata dalla consueta successione di stanze, ma soltanto da un portico largo circa tre metri e dalla soprastante galleria; chiusi verso l’esterno ma dotate di ampie finestre sia verso il cortile sia verso la collina.
Subì interventi la cappella di San Martino ad aula unica e volta a crociera collocata nella torre antica a sud-est. Anche la trasformazione del cortile in un’ampia corte porticata, formata da arcate ogivali a tutto sesto in laterizio, sorretti da esili colonne in pietra locale è dovuta all’umanista piemontese; ancora all’intervento del Vagnone si devono le finestre a crociera decorate da cornici di terracotta, le tonde cornici in cotto contenenti ceramiche colorate, di gusto dellarobbiano, e i busti di imperatori romani.
Ulteriori modifiche sopravvennero nel XVII e nel XVIII secolo, quando l’edificio venne adibito a convento.
Il fronte di ponente si presenta come un grande fabbricato a tre piani con muro rafforzato da 5 grossi speroni, con file di finestre tra le quali sussistono delle caditoie; in alto si trovano alcuni abbaini mascherati da pseudo-merli. Sempre sul lato ovest si trova una sala interrata, con soffitto voltato a crociera, che dà direttamente sul giardino L’interno presenta sale anch’esse dal soffitto voltato a crociera. L’ingresso attuale è posto sul lato nord, rimaneggiato e anzi costruito quasi ex novo tra il 1900 e il 1907 su progetto dell’ing. Enrico Mottura. La torre di nord est in particolare è stata costruita ad imitazione dell’antica solo nel 1907 per accogliervi una cappella.
Il castello ha perduto la sua caratteristica quattrocentesca di piccolo museo privato dei Vagnone: la maggior parte dei marmi romani ed altomedievali, posti sull’antico portone d’ingresso ad est presso la torre antica, così come le terrecotte che ornavano il cortile porticato e i busti romani un tempo posti nel giardino, sono stati da tempo asportati e ora sono conservati nei Musei di Torino.

Informazioni:
In frazione Testona. Sorge su un’altura a quota 360 metri su una scoscesa propaggine collinare delimitata da due rii, denominati di Castelvecchio (o Rulla) l’uno e dei Negri l’altro. Abitazione privata non visitabile.

Links:
http://www.archeogat.it/archivio/zindex/Mostra%20Collina/collina%20torinese/pag_html/CVAmedie.htm

quaderni-della-soprintendenza-archeologica-del-piemonte/215-16-1999/TESTO
quaderni-della-soprintendenza-archeologica-del-piemonte/215-16-1999/TAVOLE

Bibliografia:
LA ROCCA C., Da Testona a Moncalieri. Vicende del popolamento sulla collina torinese nel medioevo, Torino, 1986
AA.VV., Ricerche a Testona per una storia della Comunità, s.d.
OLIVERO E., Frammenti di sculture romane e preromaniche nel Castelvecchio di Testona, in “BSBS”, XXXVII (1939), pp. 1-31
CASIRAGHI G. (a cura di.), Il rifugio del vescovo, Scriptorium, 1997
R. COMBA e R. ROCCIA (a cura di), Torino fra Medioevo e Rinascimento. Dai catasti al paesaggio urbano e rurale, Torino 1993

Fonti:
Fotografie archivio GAT.

Data compilazione scheda:
15 aprile 2002 – aggiornam. giugno 2014

Nome del rilevatore e associazione di appartenenza:
Mauro Marnetto – Gruppo Archeologico Torinese

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